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venerdì 31 agosto 2018

Fitch conferma rating Italia, ma rivede outlook da stabile a negativo: “Debito pubblico molto elevato”

Il debito pubblico dell’Italia rimarrà “molto elevato”, lasciando il paese “più esposto a potenziali shock”. Lo afferma l’agenzia di rating Fitch in una nota, in cui sottolinea fra le criticità la “natura nuova e non collaudata del governo, le considerevoli differenze politiche fra i partner della coalizione e le contraddizioni fra gli elevati costi dell’attuazione degli impegni presi nel Contratto e l’obiettivo di ridurre il debito pubblico. Non è chiaro come queste tensioni politiche saranno risolte”. Per questo motivo l’agenzia Fitch conferma il rating BBB dell’Italia ma rivede al ribasso l’outlook da ‘stabile ‘ a ‘negativo’.

Un giudizio del resto atteso in giornate in cui lo spread è tornato a sfiorare i 300 punti e in cui i due cavalli di battaglia elettorali del M5S, sud e reddito di cittadinanza, si trasformeranno nei temi chiave sui quali il vicepremier Luigi Di Maio e i ministri pentastellati punteranno per la grande partita della manovra. Un solo weekend separa il governo giallo-verde dalle riunioni tematiche che, all’inizio della prossima settimana, metteranno sul tavolo di due piatti “bollenti” dell’autunno: migranti e conti pubblici. Ed è su quest’ultimo dossier che, in queste ore, sale la pressione esterna e interna al governo.

L’economia italiana rallenta. Nel secondo trimestre dell’anno il Pil è cresciuto dello 0,2% contro il +0,3% dei due trimestri precedenti e il +0,4% di metà 2017. Su base annua le cose sono andate un pò meglio, con una crescita dell’1,2% che l’Istat ha rivisto al rialzo rispetto alle prime stime. Ma il ritmo non è comunque soddisfacente per il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, che ambisce a numeri ben più alti, del 2 o del 3%, da raggiungere anche a costo, se ce ne fosse necessità, di sfondare il famigerato tetto del 3% di deficit. Parole che cadono appunto in una giornata tesa sui mercati con lo spread in rialzo fino oltre quota 290 e Fitch emette il suo giudizio.

L’avversione di alcune parti del governo” dell’Italia “nei confronti dell’Ue e dell’euro rappresentano un ulteriore rischio”, nonostante questo “riteniamo bassa la probabilità che il governo avanzi politiche che minaccino un’uscita” dall’Europa o la “creazione di una moneta parallela”. Nella nota l’agenzia scrive anche: “Non ci aspettiamo che il governo” dell’Italia “duri l’intero mandato, e vediamo un aumento della possibilità di elezioni anticipate dal 2019” sottolineando come “il rischio di elezioni anticipate renderà più difficile per i partiti fare compromessi che alienino le loro basi politiche”.

A Palazzo Chigi non battono un ciglio. “L’agenzia Fitch lascia invariato il suo rating sul debito italiano. Riteniamo questa valutazione ampiamente giustificata alla luce delle attuali condizioni della nostra economia” sostengono fonti del governo Conte. “Ovviamente c’è attesa che venga definito il Documento di economia e finanza del governo e che gli impegni di bilancio per il prossimo anno siano rispettati e le riforme strutturali già annunciate siano attuate. Siamo certi che ci saranno valutazioni integralmente positive, senza alcuna riserva, non appena questi impegni verranno ufficializzati nel documento del governo in preparazione che confermerà l’impegno a proseguire nel percorso di riduzione del debito italiano, come peraltro già più volte comunicato, a realizzare efficaci prospettive di crescita economica e di sviluppo sociale del Paese”.

A Milano intanto il fondatore del M5S incontra José Pepe Mujica, l’ex presidente dell’Uruguay, icona della sinistra globale. Lo incontra in un barber shop di fronte al consolato uruguagio e, in un video pubblicato sul blog, Grillo mette in scena un dialogo tutto incentrato su “intelligenza della povertà”, necessità di mettere al centro la persona, importanza di lavorare meno e meglio. “Il reddito universale per noi è fondamentale”, spiega Grillo che, al presidente “tupamaro” rinverdisce anche “l’utopia” del M5S.

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giovedì 30 agosto 2018

L’Europa di Salvini &C. è quella austroungarica, nulla di più lontano dagli interessi degli italiani

La manifestazione convocata in gran fretta contro l’incontro tra Salvini e Orban è riuscita bene, nonostante il periodo estivo, e preannuncia sicuramente il grande successo di quella, promossa dal manifesto, che si terrà verso fine settembre contro la barbarie razzista. Intanto anche a Rocca di Papa fallisce il raduno razzista contro l’ospitalità ai richiedenti asilo, qualche decina di squallidi figuri, alcuni dei quali ben noti alla cronache giudiziarie.

Peraltro occorre osservare come la linea adottata sulle questioni europee da Salvini, e sulla sua scia, volenti o nolenti, da Luigi Di Maio e da Giuseppe Conte, faccia acqua da tutte le parti e faccia in ultima analisi il gioco delle oligarchie e tecnocrazie europee saldamente abbarbicate alle lobby della finanza e di altro genere. Se questo governo volesse realmente trovare una soluzione costruttiva al problema migratorio dovrebbe ovviamente fare causa comune con i Paesi della sponda mediterranea, tra l’altro tutti oggi governati da coalizioni di stampo alquanto progressista. Parliamo di Portogallo, Spagna, Grecia. Un coordinamento con questi governi è assolutamente necessario ed urgente anche per cambiare i rapporti di forza nell’Unione e cambiarne le politiche di chiusura e di recessione, che non sono altro che due facce della stessa medaglia. Quello che ci vuole è un rafforzamento del versante mediterraneo dell’Unione che potrebbe spingersi fino allo sganciamento dal dominio semicoloniale imposto dalla Germania al resto del continente. Respingendo ovviamente al mittente le profferte di Emmanuel Macron di mettersi alla testa di un fronte anti-Salvini, infatti nessuno lo ha chiamato, nessuno lo vuole e non ha per nulla le carte in regola per aspirare a un tale ruolo, avendo a sua volta promosso politiche di respingimento e di esclusione.

Neanche un barlume di visione progettuale alternativa nel governo Conte e nella bizzarra coalizione che lo sostiene. A parte le solite rodomontate sulla restituzione dei contributi (Di Maio sulle orme di Renzi che già ci rallegrò all’epoca con sparate del genere) e qualche buontempone che continua parlare di uscita dall’euro, ma così, tanto per dire, non c’è nulla. Nessuna seria ricerca di una linea alternativa che passi per la ricostruzione di un fronte dell’Europa mediterranea. Un tale fronte dovrebbe ridiscutere a fondo costi e benefici dell’Unione e chiarire una volta per tutte che il principio di solidarietà, sia all’interno che verso l’esterno, ne deve orientare le politiche.

Ovviamente la confusione è enorme specialmente nel Movimento Cinquestelle. E non data certo da oggi, basti ricordare l’innaturale scelta di Nigel Farage come alleato europeo attuata a suo tempo. Non credo però che Di Maio & C. riusciranno ancora a condurre per lungo tempo il loro gioco delle tre carte, dando fondo a un equilibrismo davvero degno dei migliori maestri circensi. Se non si sgancia al più presto dal soffocante abbraccio con la Lega, sia ben chiaro, il Movimento è destinato a scomparire, con la sua ala destra che sarà vampirizzata da Salvini e la non trascurabile base elettorale di provenienza sinistroide destinata a defluire nell’astensione e nella disperazione, a meno che qualcuno, come Potere al Popolo, non si faccia seriamente carico del problema.

Occorre una strategia di lungo periodo precisa che prevede la ridefinizione delle alleanze internazionali ed europee e l’identificazione degli interessi dei settori sociali da portare avanti, scegliendo chiaramente tra flat tax, da un lato, e reddito di cittadinanza dall’altro così come tra gli interessi delle cricche sempiterne, oggi ben rappresentati proprio dalla Lega, e quelli del popolo italiano.

Per soddisfare gli interessi del popolo italiano è necessario cambiare le politiche europee valorizzando la sponda mediterranea dell’Europa anche in funzione di un governo efficace dei processi migratori. Il progetto neoasburgico di Salvini, Orban & C. va nella direzione esattamente opposta ma, come la storia ci insegna fin da epoche remote, senza un rapporto aperto e costruttivo con lo spazio mediterraneo l’Europa è destinata alla decadenza. All’approfondimento senza ritorno, oggi, di quella grave crisi che stiamo vivendo oramai da vari anni e sulla quale prosperano queste destre senza ideali, senza cultura e senza futuro, che vivono solo della frustrazione, della paura e del risentimento senza prospettive dei settori più demuniti del popolo italiano, traditi e massacrati dal Pd e dal neoliberismo che Salvini vorrebbe consolare additando loro il falso bersaglio dei migranti da respingere, escludere ed odiare. Ma la guerra tra poveri come sempre fa solo gli interessi dei padroni.

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mercoledì 29 agosto 2018

M5s, Salvatore Caiata archiviato: “Chi giudicò troppo in fretta dovrebbe chiedere scusa”

Omise di informare il MoVimento che era indagato e dopo una autosospensione il capo politico – Luigi Di Maio – lo espulse. Ma per Salvatore Caiata, che fu comunque eletto – è arrivata una archiviazione. “Il tribunale di Siena ha accolto oggi la richiesta di archiviazione del procedimento pendente nei miei confronti” ha fatto sapere l’onorevole, vicepresidente del gruppo Misto-Maie alla Camera e presidente del Potenza Calcio (serie C), in una nota. Nel comunicato si evidenzia anche che “chi ha giudicato troppo in fretta oggi dovrebbe chiedere scusa“.

Lo scorso 23 febbraio, a pochi giorni dalle Politiche, il M5s annunciò l’espulsionea per non aver comunicato di essere indagato per riciclaggio: poi il 4 marzo l’imprenditore fu eletto vincendo il collegio uninominale Potenza-Lauria con il 42,1 dei voti%.

Nella nota il deputato ha ricordato che la richiesta di archiviazione “era stata trasmessa dal pm lo scorso 16 luglio 2018. Sono sollevato e ringrazio tutti coloro che in questi mesi mi hanno testimoniato la loro vicinanza. Ovviamente – ha proseguito Caiata – rimane l’amarezza per il danno portato alla mia immagine e alle mie attività di imprenditore. Ora continuerò con la serietà e con l’impegno che mi  contraddistinguono, ad essere sempre più utile alla mia comunità e ai cittadini che – ha concluso il deputato – mi hanno dato la loro fiducia”.

Nei giorni della bufera politica Caiata aveva ostentato serenità. Ai giornalisti allo stadio di Potenza avava parlato di “totale infondatezza delle cose che sono state dette” sull’inchiesta. “Sono tranquillo che in pochissimo e brevissimo tempo si farà luce su questa cosa e in quel momento chiederò la riammissione al Movimento” aveva aggiunto. “Qualora dovessi essere eletto sosterrò il programma e il Movimento. Io continuo a correre, rimango coerente al Movimento Cinque Stelle, ho sposato il progetto del M5s e per cui continuo la mia competizione elettorale”. Sull’espulsione, annunciata dal candidato presidente Luigi Di Maio, Caiata aveva però detto che era “d’accordo con quello che ha fatto il Movimento. Non sono risentito. Entrambi abbiamo agito in assoluta buona fede. In un Paese normale non sarebbe stato un problema ma in un Paese dove si strumentalizza tutto lo è diventato: per cui giustamente il Movimento ha fatto tutto quello che doveva fare. Io rimango coerente a quello che ho detto e a quello che devo fare”.

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lunedì 27 agosto 2018

M5s, morta la deputata Iolanda Nanni: ex consigliere in Lombardia, si era candidata alle politiche nonostante la malattia

È morta la deputata del Movimento 5 stelle Iolanda Nanni. Ex consigliere regionale in Lombardia, era malata da diversi mesi ma, nel gennaio scorso, aveva deciso ugualmente di candidarsi alle Politiche, finendo poi eletta. Nata a Pavia, avrebbe compiuto 50 anni il prossimo 29 novembre. “Con grande dolore e commozione – si legge nella nota dei suoi ex colleghi in Regione – il M5s Lombardia annuncia che Iolanda Nanni è mancata oggi, dopo aver combattuto a lungo contro una grave malattia“. “Ci ha insegnato a non arrenderci, a cercare sempre la verità, a combattere al fianco dei cittadini. Ci lascia un’importante eredità: il suo esempio e il suo lavoro da portare avanti con tutto il nostro impegno – conclude la nota – per l’ambiente e la salute di tutti”.

“Era una grande guerriera e ha lottato fino all’ultimo respiro. Non ti dimenticheremo mai”, scrive in un tweet il capogruppo del M5s alla Camera Francesco D’Uva. Dopo la notizia della morte, sono arrivati anche i messaggi dei più importanti esponenti dei Cinquestelle. “La nostra Iolanda Nanni ha lottato come una vera guerriera fino alla fine. Amava la sua vita, amava il Movimento, amava gli attivisti. Con una energia incredibile ha fatto anche la campagna elettorale per le politiche di marzo ed è diventata deputata della Repubblica nonostante il male con cui stava combattendo giorno e notte. Per questo ero andato a trovarla e potete vedere il suo sorriso contagioso in questa foto”, scrive su Facebook Luigi Di Maio. “Oggi se ne è andata e lascia un vuoto incolmabile“, aggiunge nel suo post.

Il presidente della Camera Roberto Fico la ricorda invece così su Twitter: “Un affettuoso abbraccio alla famiglia di Iolanda Nanni, che ha lottato con coraggio contro una crudele malattia. Il suo entusiasmo e la sua voglia di affrontare tutte le difficoltà sempre con il sorriso resteranno con noi”. “Porta lassù nei cieli il tuo meraviglioso e nobile modo di essere. Sei la grillina più un battagliera e capace che abbia conosciuto e porterò con me per sempre come esempio il tuo coraggio e la tua dedizione”, è il saluto del ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli.

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Milano, Bussolati (Pd): “La nostra Europa non è quella di Orban e Salvini. Imbarazzo M5s è evidente”

“Dovremmo lavorare per togliere fondi europei a Paesi così, Salvini sta invece svendendo Italia a questi Stati che hanno interessi opposti a quelli degli italiani. Ci vuole un’Europa forte e integrata ed è quello di cui Milano ha bisogno, mentre l’Europa disgregata che vogliono loro va in senso opposto agli interessi di questo territorio”. Così Pietro Bussolati, segretario del Pd e Consigliere regionale Milano Metropolitana, parlando ai cronisti, a margine della conferenza stampa per presentare la Festa de L’Unità, in riferimento all’incontro fra il vicepremier Matteo Salvini e il premier ungherese Viktor Orban in programma domani a Milano in prefettura a Milano. Il Pd con altre associazioni ha organizzato domani un presidio di protesta in piazza San Babila per l’incontro Orban-Salvini nel capoluogo lombardo

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sabato 25 agosto 2018

Salvini-Orban si vedono a Milano, M5s: “Non è un incontro istituzionale o governativo ma solo politico”

Il Movimento 5 stelle prende la distanze dall’incontro tra Matteo Salvini e Viktor Orban. Il ministro dell’Interno e il presidente dell’Ungheria si vedranno nel pomeriggio di martedì 27 agosto alla prefettura di Milano. “Va considerato come un incontro solo ed esclusivamente politico e non, dunque, istituzionale o governativo“, scrivono in una nota Francesco D’Uva e Stefano Patuanelli, capigruppo M5s di Camera e Senato. “I Paesi che non aderiscono ai ricollocamenti e tutti quelli che nemmeno si degnano di rispondere alla richiesta d’aiuto dell’Italia, per noi non dovrebbero più ricevere i fondi europei. E tra questi, al momento, c’è anche l’Ungheria”, dicono gli esponenti pentastellati.

L’incontro tra Orban e Salvini ha ovviamente provocato numerose polemiche: Insieme senza muri e Sentinelli di Milano hanno organizzato un presidio in piazza San Babila nelle stesse ore in cui il leader della Lega incontrerà il premier ungherese.  “Orban deve fare la sua parte, Salvini deve smettere di giocare con la vita dei migranti”, hanno spiegato gli organizzatori della manifestazione. “Ci saremo anche noi. Per contrapporre alla violenza delle loro politiche il valore dell’accoglienza e della responsabilità nella gestione dell’immigrazione. L’Europa di Orban non è la nostra”, ha scritto su facebook l’assessore milanese Pierfrancesco Majorino. “È arrivato il momento di uscire dai social, di manifestarci e di manifestare. Per l’Italia, l’Europa, contro chi smantella i nostri valori. “, è invece quello che ha scritto Giuseppe Civati, leader di Possibile.

Al presidio ha deciso di aderire anche in Pd. “È gravissimo che il ministro Salvini incontri il primo ministro ungherese proprio a Milano, città che negli anni ha saputo coniugare sviluppo e inclusione, svendendo la nostra città e i milanesi, che non si piegheranno certo a un’immagine del tutto contraria a quella che da sempre esprimono”, ha spiegato il segretario metropolitano Pietro Bussolati.

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martedì 21 agosto 2018

Cosenza, cittadini alla parlamentare M5S: “Aprite i porti”. Lei: “Non decido io. Governare con Salvini non è una passeggiata”

“Io sono ovviamente favorevole ad aprire i porti ai migranti e credo che dobbiamo essere orgogliosi del modello Riace creato da Mimmo Lucano. Purtroppo governare con la Lega di Matteo Salvini non è una passeggiata di salute”. Risponde così la deputata calabrese del M5S, Annalaura Orrico, intervenuta a un dibattito al Cleto Festival, nell’antico borgo in provincia di Cosenza, a chi nel pubblico la contestava urlando: “Aprite i porti, sei al governo con Salvini cara, lo sappiamo che decide tutto lui”.

La parlamentare cinque stelle difende l’operato del sindaco di Riace. Lucano era stato attaccato sia dallo stesso leader della Lega che qualche tempo fa che lo aveva definito “uno zero”, in un video su Facebook – sia, più recentemente, dal sottosegretario all’Interno del Movimento, Carlo Sibilia che aveva attaccato il sistema di accoglienza di Riace: “un business a cui mettere fine”.

A margine dell’incontro di Cleto, Orrico ha poi aggiunto: “I migranti con le loro diversità possono essere sicuramente una risorsa per il nostro Paese, però l’Unione Europea di cui noi siamo tra i Paesi fondatori ci ha lasciato completamente soli nella gestione dei flussi migratori”. Sull’accordo con la Lega la parlamentare ha ribadito: “Sicuramente la convivenza non è facile, ma il contratto di governo che abbiamo sottoscritto ci tutela perché si devono attuare solo quelle misure previste”.

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sabato 18 agosto 2018

Il senatore Alberto Airola tenta il sucidio: salvato dalla sorella. M5s: “Massimo sostegno, ora chiediamo rispetto”

Il senatore Alberto Airola (M5s) ha tentato il suicidio nel suo appartamento alla periferia di Torino. Come riportato da la Stampa, il parlamentare è stato ricoverato nei giorni scorsi in ospedale e non è in pericolo di vita. A dare l’allarme è stata la sorella. Nella sua abitazione sono state trovate due lettere, una indirizzata alle forze dell’ordine, l’altra ai familiari. Airola, 48 anni, noto per le sue battaglie No Tav, è al secondo mandato come senatore.

“La notizia ci colpisce e ci addolora profondamente”, ha scritto il gruppo parlamentare M5s in una nota. “Siamo vicini ad Alberto e ai suoi familiari, cui manifestiamo il massimo sostegno possibile e tutto il nostro affetto e vicinanza. In questo momento così delicato chiediamo agli organi di stampa e a tutti di dimostrare il dovuto rispetto evitando appostamenti in ospedale ed ogni altro atto possa disturbare la famiglia di Alberto”. Anche la sindaca M5s di Torino, Chiara Appendino, ha espresso la sua solidarietà ad Airola su Twitter: “Alberto è prima di tutto un amico con cui sin dall’inizio abbiamo condiviso una grande avventura. Provo profondo dolore per quello che è successo. Gli auguro una pronta ripresa e, nell’esprimere vicinanza alla famiglia, mi associo alla richiesta di rispetto e privacy”.

Nella notte tra il 3 e il 4 settembre scorso, Airola era stato aggredito da due uomini sotto casa e aveva riportato la frattura della mandibola. L’ultimo post di Airola sul suo profilo Facebook risale al 14 agosto e riguardava il crollo del viadotto Morandi: “Sono scioccato da quello che è successo a Genova. Sono addolorato e angosciato per le vittime, i feriti e i loro cari”, aveva scritto.

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La maggioranza silenziosa ora governa, meglio non ascoltare chi non vuole collaborare

“Maggioranza silenziosa” non è un semplice gioco di parole con il quale gli “specialisti” della politica battezzano in ogni tempo il fiorire delle correnti di pensiero. E’ la volontà silenziosa, quasi mai espressa a parole, ma statuita con determinazione al momento del voto, di quei cittadini che sono troppo impegnati nella vita quotidiana, o poco avvezzi alle discussioni, per aver tempo e voglia di confrontarsi con chi la politica la segue con passione o con chi la esercita direttamente.

I “millennials” (così chiamano i giovani nati a cavallo del nuovo secolo) non possono certo sapere, in forma diretta perlomeno, cosa era e cosa rappresentava attorno agli anni Sessanta e seguenti la “maggioranza silenziosa”. E’ stato un fenomeno popolare, e certamente spontaneo, perfettamente democratico, sorto tra gli anni 60 e sviluppatosi in Italia fino alla stagione di “Mani Pulite”. Inizialmente in completa autonomia, cioè senza inquinamenti partitici di qualunque colore (anche se, tra i media, già si poteva individuare qualche importante influenza a favore del cambiamento) tra la guida politica e governativa impressa al paese dalla predominanza democristiana e quella rivoluzionaria, classista, del partito Comunista, che insieme ai socialisti costituivano la perenne opposizione al sistema. Ebbene, quando si era ancora nel pieno dell’egemonia dc al governo, e del Pci in buona sintonia coi sindacati all’opposizione, avvenne un episodio di importanza storica ad imprimere una svolta decisiva verso il sistema liberista: la marcia dei 40.000 (1980), la protesta di migliaia di impiegati Fiat contro i picchettaggi che impedivano loro, da 35 giorni, di entrare in fabbrica. Forse le “sinistre” dell’epoca avevano osato troppo, o forse era maturo un cambiamento, difficile dirlo, fu però il momento della svolta, che poi, con il deflagrare di “Mani Pulite” guidato da un più gagliardo che mai Antonio Di Pietro e seguito alla caduta del Muro di Berlino e del regime sovietico nell’est europeo, aprì definitivamente la strada anche in Italia al liberismo capitalista ora arrivato all’apice del potere globale quasi completamente privo di controllo.

Quella maggioranza “silenziosa” ora ha trovato non solo voce per farsi sentire, ma anche artigli per comandare.

La Lega e il Movimento 5 Stelle hanno per ora trovato tra di loro un “modus vivendi” attraverso il quale sembrano navigare abbastanza bene. Certamente alcune loro decisioni fanno discutere, ma non sembra che ciò stia provocando grande sdegno o rivolta popolare, anzi, sembra proprio il contrario. Quindi, salvo errori madornali dovuti all’inesperienza (che non sono certo peraltro mancati nemmeno negli immediati governi precedenti), non c’è motivo di suonare le sirene d’allarme o la gran cassa della rivolta, il popolo è con loro!

Forse durerà poco, come sembra inevitabile, visto che la novità è costituita a livello popolare (non “populista”, prego!) da persone che non hanno voglia o tempo per occuparsi di politica, ma è un fatto che tutta una serie di circostanze (il degrado democratico ventennale del berlusconismo sovranista-pseudo-democratico seguito dal blitz avventuristico-riformista e altrettanto-sovranista-pseudo-democratico del renzismo pigliatutto) abbia portato anche il più maturo popolo delle “sinistre” a cercare altrove la propria bandiera e a trovarla in chi non si è limitato a promettere la luna ma ha annunciato quei cambiamenti, a livello normativo e legislativo, che tutti i popoli delle democrazie evolute ormai sperano di fronte all’imperio delle multinazionali e alla voracità cannibalista del capitalismo globale, verso cui “destra” e “sinistra” indistintamente e supinamente chinano il capo e obbediscono.

Questo governo no, per ora almeno, non lo fa.

Salvini e Di Maio non sono miliardari (come l’americano che vuole cambiare il mondo… per vederlo sdraiato ai suoi piedi), quindi sono senz’altro più credibili. Non manterranno tutte le loro promesse, certo, ma si sappia che solo i grandi “statisti” sono riusciti a mantenerle quasi tutte.

Se i cittadini, e persino gli inesperti “millennials”, hanno deciso di votare a maggioranza i candidati di Lega e M5S nonostante il vulnus di leggi elettorali che garantiscono l’elezione solo ai famigli e ai pupilli dei ras di partito, significa che sono gli unici che danno qualche speranza di vero cambiamento. Agli eletti quindi per ora chiedono solo di essere buoni politici e di rimediare ai gravissimi errori fatti da quelli che li hanno preceduti. Sarebbe già un ottimo inizio dopo i disastri compiuti nel trentennio precedente.

Quasi inutile chiedere ai loro oppositori moderazione e collaborazione: sono gli stessi che, quando erano in carica, hanno abusato in modo inverecondo dei loro poteri al solo scopo di rafforzare e consolidare il loro personale potere. Se non vogliono collaborare alla rinascita di una sana ed efficiente democrazia… meglio non ascoltarli nemmeno. Anzi, non per difendere se stessi ma in difesa della vera democrazia, se quelli dovessero insistere nell’uso scriteriato dei media da loro controllati per fare opposizione fine a se stessa, dovranno legiferare allo scopo di impedirglielo. Il popolo della maggioranza silenziosa sarà al loro fianco.

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venerdì 17 agosto 2018

Manganelli e squadracce ‘goliardiche’ nell’Italia dei rigurgiti razzisti pentaleghsiti

E’ un venticello trasformatosi in tempesta. E’ un rigurgito maleodorante fuoriuscito dalla fogne della storia: invade, pervade e ammorba l’aria. Un virus endemico, dormiente. Una micosi ideologica di un Paese che non ha mai fatto i conti con il suo tragico passato. C’è un travestimento ipocrita, una vernice giustificatoria, una sorta di autoassoluzione. E’ stato un “gesto goliardico”, “miravo a un piccione”, “provavo l’arma”, “le uova? Lanciavamo per noia”, “è una ragazzata”. E’, invece, un film dell’orrore, tre mesi di rappresaglie.

Al grido ‘Salvini, Salvini’ nel mirino finiscono due ragazzi maliani, feriti a colpi di pistola. C’è l’ex dipendente del Senato – versione cecchino – che dal tetto di casa spara con una carabina modificata ad aria compressa e centra alla vertebra una bambina rom di 15 mesi in braccio alla mamma. Sulla vicenda, le parole dure del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

C’è il disoccupato che punta il suo fucile a piombini contro un operaio di Capo Verde che sta montando delle luminarie. C’è il lancio di uova contro la campionessa Daisy Osakue che per poco non ci rimette un occhio. Poi le scorribande di due 13enni armati di scacciacane che giocano per ‘goliardata’ alla caccia al nero. Ci va di mezzo un migrante gambiano mentre fa jogging inseguito e terrorizzato. A Napoli viene gambizzato un migrante e la cosa si liquida con: “E’ stata la camorra”. E poi ci scappa il morto, si tratta di Hady Zaitouni, marocchino, 43 anni, trucidato ad Aprilia in provincia di Latina perché sospettato di essere un ladro. Gli assalti ai centri d’accoglienza.

E’ un’estate calda e nulla c’entra la colonnina di mercurio. Episodi vergognosi, tollerati e digeriti che trovano l’indifferenza di cittadini inerti, disorientati, ipnotizzati, silenti. E’ paradossale discutere se in Italia c’è razzismo: ce n’è tantissimo, più che sotto al fascismo. Non l’ha portato il nuovo governo penta-leghista, diciamo che l’ha incoraggiato a venire a galla come del resto ha fatto il precedente esecutivo con la punta avanzata del ministro Marco Minniti.

E’ il conato dell’ideologia populista, semplificatoria narconarcisistica che trova nel ministro dell’Interno Matteo Salvini, il suo naturale condottiero. Senza alcun ombra di dubbio il capo del Viminale con le sue pittoresche uscite ci ha messo un bel bollo istituzionale.

E’ una spirale pericolosa, fa accapponare la pelle, neppure fanno più notizia le manifestazione di ferocia verso migranti, rifugiati e rom. E’ un crescendo di attacchi verbali, minacce e aggressioni fisiche. C’è una legittimazione politica-parlamentare degli istinti rancorosi xenofobi che si stratificano nella quotidianità sociale: l’anziana nel bus stringe la borsa non appena vede il ‘negro’ e lo ‘zingaro’ oppure il signore distinto che per principio – impone – alla donna di colore di cedergli il posto a sedere.

E’ un mostro che avanza. E’ la continuità con gli anni maledetti del berlusconismo spinto, propulsore di disinteresse, allontanamento e abbandono del civismo. Il problema non è mai stato Silvio Berlusconi ma è il Silvio Berlusconi che è dentro di noi. Questo razzismo – da sempre – cova ed è nascosto negli italiandioti. I social poi sono ormai le ‘agenzie del veleno’.

Basta dare un’occhiata al sito cronachediordinariorazzismo.org, un prezioso osservatorio per capire, comprendere e rendersi conto di come l’impennata d’intolleranza in Italia cominci ad essere fuori controllo. La legge Mancino non a caso è a rischio. Qualcuno nell’esecutivo ne ipotizza la cancellazione. In verità occorrerebbe applicarla e perseguire i reati sull’apologia del fascismo.

Accade nel corso di una passeggiata serale – in una località calabrese – di fermarsi e sbirciare tra la mercanzia esposta in un emporio. C’è un cartello che pubblicizza la vendita di manganelli a 7 euro. Sono la riproduzione perfetta di quelli adoperati nel ventennio dalle squadracce nere. Strabuzzo gli occhi dalle orbite, arresto il fiato, sudo freddo. Motti e slogan fascisti,  come “Boia chi molla”, “Dux Mussolini”, “Credere obbedire combattere”, e anche “Me ne frego”,  “Molti nemici molto onore”, twittati di recente dal ministro Salvini. Sulla mazza di legno massiccio, l’effige di Mussolini con elmetto e simboli nazi-fascisti. Non fa scandalo. Anzi, si vendono.

In vetrina anche tirapugni di metallo al costo 14,90 euro e coltelli serramanico di varie misure a partire da 5 euro. Sono gadget? Souvenir? Perché sono in commercio? Propagandare simboli fascisti non è un reato? Perché il ministro dell’Interno – tanto solerte con le circolari contro i venditori ambulanti da spiaggia – non emana una direttiva e chiede il sequestro di questo materiale e il perseguimento di chi produce, vende e acquista? Il silenzio del Movimento 5 Stelle, il suo essere supino verso l’alleato di governo, il fornirne l’alibi, lo strizzare l’occhietto al mio paese si chiama collaborazionismo e non esenta per niente dalle responsabilità.

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giovedì 16 agosto 2018

Ponte Morandi, Di Maio: “Non mi sento umanamente di incontrare Benetton. Lo farò in fase di contraddittorio”

“Non mi sento umanamente di incontrare i vertici di Edizioni Srl, società della famiglia Benetton che possiede Atlantia, ovvero Autostrade per l’Italia. Lo dico con tutto il cuore, perché la situazione fa davvero tanta rabbia. La verità è che gli utili netti che fanno queste società in regime di monopolio fanno arrabbiare tutti”. Sono le parole pronunciate ai microfoni di “Ma cos’è questa estate”, su Radio24, dal ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio, che spiega: “Molti soldi potevano essere investiti in sicurezza, mentre sono andati in dividendi. Significa che quando si mette in mano a un privato e a delle finanziarie le nostre strade e la sicurezza delle nostre famiglie, si preferisce il profitto. I Benetton li incontreremo virtualmente nella fase di contraddittorio, quando gli ritireremo la licenza”. E sottolinea: “‘Non penso a una nuova Iri, ma credo che in questo Paese ci siano già tutti gli strumenti giuridici che permettano a uno Stato, quando vuole tutelare gli interessi dei cittadini, di gestire asset strategici, come le autostrade e le telecomunicazioni. Non c’è bisogno di creare pachidermi da Prima Repubblica. Se i privati non sono in grado di gestire una parte di strada, interverrà il pubblico. Vedremo con quali forme nei prossimi mesi, adesso abbiamo il ritiro della concessione. Da oggi tutti sanno che con questo governo chi non rispetta le regole paga. Non gli si fanno più leggi ad personam per scagionarlo dalle sue responsabilità”.

Il vicepresidente del Consiglio ribadisce la linea del governo Conte: “Confermo la revoca della concessione ad Autostrade. Non è possibile che in questo Paese si vada a morire pagando il pedaggio. Prima che il governo annunciasse il ritiro della concessione per Autostrade per l’Italia, già la Borsa aveva condannato Atlantia. Era evidente che chi doveva fare le manutenzioni non le aveva fatte. Ora sono a Genova e qui c’è tanta, tanta rabbia perché una cosa del genere non si era mai vista. I vigili del fuoco mi hanno detto che in tanti anni di carriera non hanno mai visto una cosa simile. E il ponte Morandi andava chiuso prima che avvenisse questa tragedia. Il responsabile è Autostrade per l’Italia”.

Di Maio puntualizza: “La favoletta secondo cui il privato avrebbe gestito meglio del pubblico i nostri asset strategici non regge più. E allora vuol dire che lo farà lo Stato in prima persona. La penale di 20 miliardi di euro da corrispondere ad Atlantia in caso di revoca della concessione? Quella penale si deve pagare quando stracci un contratto senza motivazione. Noi invece stiamo parlando di un contratto che prevedeva degli obblighi, che per noi non sono stati rispettati. Quindi, si recede dal contratto. Abbiamo avviato la procedura di annullamento non in maniera immotivata, ma con una motivazione. E se quest’ultima è giusta” – continua – “visto che finora ci sono quasi 40 morti, io non credo che si debbano pagare penali. Né credo che si debba agitare questo argomento, e infatti non lo sta facendo Autostrade per l’Italia, perché così faranno incazzare ancora di più tutte le persone che in questo momento vogliono giustizia, e non solo a Genova, ma in tutta Italia”.

Il ministro M5s chiosa: “In tutti questi anni ad Autostrade per l’Italia sono stati fatti contratti molto permissivi e norme ad hoc. Addirittura abbiamo visto il nostro governo pregare la Ue di prorogare le concessioni ad Autostrade per l’Italia, pur sapendo che stava violando le leggi sulla concorrenza. Ora stiamo nel paradosso in cui l’opinione pubblica non conosce bene i termini di questi contratti, perché erano secretati. Sono stati secretati forse perché erano troppo vergognosi. Noi adesso desecreteremo tutto e porteremo avanti tutte le azioni per ritirare le concessioni ad Autostrade per l’Italia. E sono convinto che ci siano tutte le motivazioni per non pagare penali”

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Ponte Morandi, Di Pietro: “Toninelli? Dice sciocchezze, come altri faciloni del M5s. Non può costituirsi parte civile”

Durissimo rimbrotto dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, ospite di In Onda (La7), al ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli circa il suo proposito di costituirsi parte civile col suo dicastero, dopo il crollo del ponte Morandi. “Mi piange il cuore” – esordisce Di Pietro – “dover dare ragione a quel furbacchione e navigato di Salvini rispetto a quello che stanno dicendo i miei amici e improvvisati ministri del M5s. Fateci caso: su alcuni temi fondamentali, Salvini si defila e dice sempre ‘ni’. E infatti lui si è limitato a dire che i controlli, nella tragedia del ponte Morandi, non hanno funzionato. Toninelli invece ha detto il suo ministero si costituirà parte civile. Anche un laureando in legge sa che, se esiste una struttura del ministero che è addetta al controllo e che non controlla, allora il ministero stesso è responsabile civile, non parte civile“. E aggiunge: “Salvini sa bene che c’è una norma specifica nel contratto delle concessioni, che potete trovare anche su internet. Questo contratto fu stipulato nel 2007, quando io ero ministro dei Trasporti. Dal 2013, all’interno del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, è stata inserita una struttura di vigilanza del sistema e delle concessioni autostradali. Prima questa funzione di controllo apparteneva all’Anas, dal 2013 compete direttamente al ministero”. Di Pietro spiega: “E’ sicuramente prevista la possibilità di revocare la concessione autostradale, però nell’ambito di una procedura. Salvini il furbo non ha mai detto che il governo ha disposto la decadenza delle concessioni, ma ha affermato che sono state avviate le procedure per la decadenza. Quei faciloni di alcuni ministri 5s, a cui voglio tanto bene, hanno detto che, invece, hanno disposto la decadenza. Non è così. Toninelli ha parlato di ‘commissario speciale’? E che fa, va lui con la zappa e la pala domani mattina a fare i controlli? Si rende conto di cosa sta dicendo chi fa queste affermazioni? Sono sciocchezze politiche con fini elettorali“. Poi chiosa: “Nel crollo del ponte Morandi c’è una responsabilità grossa quanto una casa da parte del concessionario e c’è anche una responsabilità anche da parte del concedente, e cioè del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che aveva il dovere di controllare quel sistema infrastrutturale. Quindi, prima di dire che il ministero si possa costituire parte civile, bisogna stare attenti a che, alla fine, il ministero stesso non risulti essere responsabile civile”

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lunedì 13 agosto 2018

Populismo e ‘popolo dei fax’, se è la rabbia la chiave di lettura del successo giallo-verde

Le riflessioni di mezza estate dei commentatori che dalle pagine dei giornaloni non si rassegnano al risultato uscito dalle urne il 4 marzo e alle fin troppo note “vicissitudini”, da cui come unica soluzione praticabile è nato il governo giallo-verde, non vanno oltre la miopia e la partigianeria poco lungimirante a difesa di un sistema pluriventennale andato in frantumi.

L’ossessione per “lo spettro pupulista” che si aggirerebbe tra Stati Uniti ed Europa di cui Donald Trump e Beppe Grillo, posti incredibilmente sullo stesso piano, sarebbero i campioni più rappresentativi aveva già indotto “l’intellettuale a capo del think tank renziano” Giuliano da Empoli autore del pamphlet La rabbia e l’algoritmo, a individuare nel nostro Paese una “Silicon valley“, e cioè un allarmante avamposto e un diabolico laboratorio del populismo dilagante.

Poco importa che finora, stando al bilancio concreto dei primi due mesi di governo, ci sia stato il decreto dignità, a cui si poteva attribuire anche un nome meno altisonante, che ha ridotto i danni del Jobs Act; la rottamazione dell’Air Force Renzi, costoso e inutile frutto della megalomania dell’ex rottamatore; un alt al pericoloso pasticcio sulle intercettazioni. Niente di eclatante e probabilmente al di sotto delle aspettative di molti elettori del M5S ma ancor meno qualcosa di tanto allarmante da essere additato come il pernicioso mix di “paranoia antistatalista” e di “vetero anticapitalismo” alla base del virus populista di cui il M5S sarebbe il diffusore e il rappresentante più significativo.

Con lo sguardo tenacemente rivolto al passato in una coazione a ripetere senza fine i detrattori a prescindere del presunto populismo grillino, termine usato in modo altrettanto improprio e strumentale del “giustizialismo” coniato illo tempore da Giuliano Ferrara per denigrare chi non si arrendeva all’impunità per i potenti, si affannano a cercare genesi e collegamenti storici in grado di spiegare “il populismo italiano”. Christian Rocca qualche giorno fa in una colorita ricostruzione storico-sociologica sulla Stampa intitolataQuel ponte che unisce il populismo del 2018 alla rabbia del popolo dei fax, ai miei occhi sembra non avere dubbi sulle origini prime dell’allarmante fenomeno per cui i cittadini pretendono di vedere realizzato da quelli che hanno votato ciò per cui si sono impegnati in campagna elettorale e non l’esatto contrario. E nemmeno riguardo l’inaudita pretesa degli elettori, sempre più intossicati dal mito illusorio e fallace della democrazia diretta, di vedere  che i loro rappresentanti  in parlamento legiferino prioritariamente in funzione dell’interesse dei rappresentati e nel rispetto dei loro diritti, come si evince anche dalla Costituzione, piuttosto che per garantirsi e mantenere privilegi, alimentare sprechi e ruberie, accordarsi spesso in una permanente società fondata sul ricatto, sulla connivenza o nella migliore delle ipotesi su una malsana tolleranza.

L’inizio di questa perniciosa “deriva populista” andrebbe collocata sempre secondo l’autore, che continua a rappresentare nel modo più genuino l’avversione viscerale per la stagione di Mani Pulite del Foglio di cui è stato partecipe, ben prima di quella che definisce la “campagna pubblicistica” contro la Casta del 2006 e cioè nel 1993 “anno in cui i partiti politici, le tv generaliste e i grandi giornali iniziano ad invocare il fantomatico ‘popolo dei fax’ che protesta contro la classe politica, contro l’establishment e contro l’élite del paese”. Magari per chiarezza e completezza di informazione sarebbe il caso di ricordare che l’informazione si curava del “popolo dei fax” solo perché era temporaneamente libera dal condizionamento della partitocrazia autodissolta nel vortice della corruzione e che la voce via fax dei cittadini più che “il commentatore rancoroso dei social di allora” rappresentava una legittima richiesta, calpestata in totale continuità da prima e seconda repubblica, di trasparenza, legalità, difesa dell’indipendenza della magistratura, rifondazione della politica.

Se poi, come sostiene Rocca, “‘il popolo dei fax’ aveva la stessa composizione politica, sociale e popolare dell’attuale maggioranza di governo” e persino “le stesse istanze, lo stesso lessico, lo stesso risentimento” a doversi interrogare, per usare un eufemismo dovrebbero essere i due soggetti politici che da allora a oggi si sono impegnati a “sfruttare elettoralmente il fuoco populista e allo stesso tempo a cercare di domarlo”.

Quali meriti vadano attribuiti in tal senso a Pd e Forza Italia mi risulta difficile da comprendere: se esistesse davvero “un guaio tutto italiano” condensato nel combinato disposto Salvini-Di Maio, a cui stando ai sondaggi credono in pochi, gli artefici massimi condannati all’irrilevanza politica per eccesso di zelo nel raggirare gli elettori sono gli ex furbetti del Nazareno.

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domenica 12 agosto 2018

M5s, Dall’Osso: “Il mio vaffa in Aula? Ho espresso la rabbia di tutti i disabili d’Italia. Opposizione fuori dal mondo”

Il mio vaffa in Aula alla Camera? Ho riassunto tutto con quella parola, perché mi ero stancato di sentire le balle che ripetevano su noi disabili. Non c’era termine diverso per dire a quei parlamentari che erano veramente deludenti. E quel vaffa era tutta la rabbia dei disabili italiani che vivono queste problematiche”. Sono le parole del deputato M5s, Matteo Dall’Osso, intervistato da Lanfranco Palazzolo per Radio Radicale, commentando la bagarre avvenuta alla Camera qualche giorno fa, in occasione del dibattito sul decreto per il riordino dei ministeri. Lo scontro in Aula è esploso per la creazione del ministero della Disabilità voluto dalla Lega, ma il Pd, con Maria Elena Boschi, ha denunciato il rischio di “ghettizzazione” dei disabili. Dall’Osso, da anni affetto da sclerosi multipla, spiega la sua reazione stizzita in Aula: “Pd e partiti dell’opposizione affermavano che fosse discriminatorio fare un ministero del genere. Dovete sapere che la convenzione Onu per i diritti delle persone con disabilità è stata ratificata dall’Italia 9 anni fa, ma da allora non è stato fatto nulla. Nulla. E nel mio intervento ho detto: se fossimo in un Paese normale, un dicastero del genere non sarebbe necessario. Ma, visto che siamo in Italia, che Paese normale non è, ce n’è bisogno, perché voi avete ratificato 9 anni fa un piano, che non è mai stato assolutamente portato avanti”. E aggiunge: “In Italia ci sono le barriere architettoniche. Oggi un disabile col 99% di disabilità in Italia percepisce 280 euro al mese. Ma, secondo voi, come si può vivere con 280 euro non potendo lavorare? Vi sembra normale? Sono cose banali, solo che, se poi tu glielo spieghi, loro non capiscono. Sono veramente nati in un altro mondo. Tra i partiti dell’opposizione, c’era chi chi contestava la dicitura “disabilità” e sosteneva che i disabili vanno chiamati “diversamente abili”, altri ancora dicevano che così si discriminavano i disabili creando questo ministero. In realtà, sono loro che discriminano i disabili, perché non attuano ciò che l’Italia ha già ratificato”. Il deputato si esprime anche sull’attacco di Simone Baldelli, parlamentare di Forza Italia, al presidente della Camera, Roberto Fico, a seguito del suo ‘vaffa’: “Baldelli ha un po’ teatralizzato, perché il Parlamento è un grande teatro e una valvola di sfogo per certe persone. Ho Ho visto Baldelli fuori dall’Aula e mi ha detto che non ce l’aveva con me. Ma il giorno prima Sgarbi, che è del suo partito, ha detto le stesse cose mie. Qualcuno ha sentito Baldelli arrabbiato con Sgarbi? No. Se l’è presa solo con me. E anche con Roberto Fico, accusato da Baldelli di non avermi richiamato: in realtà, non ha richiamato né Sgarbi, né me, perché Fico è una persona molto inclusiva. Se poi Baldelli pretende un richiamo, sulla carta forse ha ragione, ma umanamente non vale nulla”. Dall’Osso, infine, ringrazia Palazzolo per l’intervista e denuncia: “Tu sei il secondo giornalista che mi intervista, quindi l’attenzione mediatica è stata molto scarsa. Sarà che la disabilità spaventa. E invece basta conoscerla. Se conosci le problematiche della disabilità, non ti fanno paura. Si ha paura nel momento in cui non si conosce. Bravo tu che mi hai chiamato. Più se ne parla, meglio è. Pensa che l’altro giorno una parlamentare mi ha regalato un bastone per camminare. Chi è? Renata Polverini. E’ bravissima e molto umana”

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sabato 11 agosto 2018

Abruzzo, Pagano (FI): “Rottura con Lega alle regionali? Salvini sta facendo campagna acquisti volgare, anche con fake news”

Lo strappo della Lega con Forza Italia alle prossime elezioni regionali in Abruzzo? Qui e in vari territori del centro-sud Sud stanno facendo una vera e propria campagna acquisti anche un po’ volgare, perché stanno promettendo posti per le elezioni regionali e comunali. Ma in Abruzzo e nel Sud Forza Italia è ancora in ottima salute“. Sono le parole pronunciate ai microfoni di Radio Radicale da Nazario Pagano, senatore di Forza Italia e coordinatore abruzzese del partito di Berlusconi. Intervistato da Giovanna Reanda, il parlamentare commenta la rottura dell’alleanza con gli azzurri da parte della Lega alle prossime elezioni regionali abruzzesi, che si terranno il 21 ottobre prossimo. “Ovviamente la preoccupazione c’è” – osserva – ” perché a noi stanno a cuore i valori e i principi in cui abbiamo sempre creduto, come la libertà e il pluralismo. E soprattutto un atteggiamento ben differente da quello espresso dalle politiche di Salvini. Noi comunque abbiamo tantissimi tantissimi amministratori locali, qui in Abruzzo ci sono oltre 140 sindaci di Fi e della Lega solo 5, cioè non esiste nemmeno il termine di paragone; in consiglio regionale abbiamo 5 consiglieri, la Lega neppure uno, così come gli altri partiti di centrodestra. Forza Italia, cioè, è fortemente radicata sul territorio. Riflettano bene coloro che si sentono protesi verso quel tipo di offerta politica. Bisogna stare attenti. Fino a pochi mesi fa in Abruzzo la Lega neanche esisteva“. E aggiunge: “Rispetto a qualche mese fa tutto è cambiato: la Lega ha stretto un patto di governo con i 5 Stelle, rompendo uno schema di alleanza che reggeva da molto tempo. Ora i sondaggi volano, perché siamo in piena luna di miele, ma prima o poi finirà come tutte le lune di miele. E in Abruzzo e nel Centro-Sud gli esponenti del Lega sono quasi esclusivamente recuperati tra personaggi di secondo piano della ex Alleanza Nazionale, quindi hanno un target molto spostato a destra, anche nell’atteggiamento spesso arrogante”. Poi lancia l’allarme: “In Abruzzo e altrove nel Sud, rompendo questo schema di alleanza tra Lega e Fi, di fatto si offre al M5s la possibilità di vincere le elezioni regionali, perché, secondo tutti gli osservatori politici locali, il centrodestra unito è largamente vittorioso. Si dà un vantaggio ai 5 Stelle, ma anche al centrosinistra. Quindi, pensiamo che rompere questa alleanza sia un atto autolesionistico incomprensibile e che così si vada dritto dritto nel baratro”. Pagano poi accusa: “Noi non vogliamo rompere lo schema del centrodestra, ma se la Lega intende romperlo, è un’offensiva che non vediamo di buon occhio. Tra l’altro, i leghisti si stanno avvalendo di pretesti e di fake news, come quella secondo cui noi staremmo inciuciando col Pd, un assoluto falso storico e un atteggiamento irritante soprattutto per la ripetitività con cui si offre una notizia falsa per cercare di conquistare il nostro elettorato. Se Salvini con questa mossa in Abruzzo e probabilmente in altre regioni d’Italia vuole rompere lo schema del vecchio centrodestra, è evidente che debba nascere una nuova offerta nell’area politica più centrale e moderata che noi occupiamo, in modo da convincere la maggioranza silenziosa, cioè quelle persone che lavorano e non pensano a perder tempo con la politica”.

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Razzismo, Bonafede: “C’è una responsabilità genitoriale. Serve prevenzione nelle scuole e noi stiamo intervenendo”

I fatti di Pistoia, dove due 13enni hanno sparato a un giovane gambiano, e le baby gang a Napoli? C’è sicuramente un problema di responsabilità genitoriale e purtroppo non posso intervenire. Però stiamo intervenendo con percorsi negli istituti minorili e nelle scuole con il ministero dell’Istruzione”. Sono le parole del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, rispondendo a una domanda di un radioascoltatore di “Ma cos’è questa estate” (Radio24). E spiega: “Siccome finora la giustizia è sempre stata interpretata come un qualcosa con cui uno ha a che fare solo in età adulta, sto avviando nelle scuole un percorso in cui la giustizia agisca in via preventiva come messaggio di legalità. Questo, credetemi, è fondamentale. I primi magistrati antimafia li ho incontrati quando andavo a scuola a Mazara del Vallo, dove i magistrati venivano nelle scuole e ci spiegavano quanto fosse importante essere servitori dello Stato”. Bonafede, poi, si dichiara in sintonia con l’idea di Salvini, secondo cui bisogna far scontare la pena agli extracomunitari nei Paesi di provenienza: “I rientri dei detenuti stranieri nei Paesi di origine costano molto di meno rispetto alla loro reclusione in Italia. Questa è una delle politiche su cui sto investendo. A settembre farò quattro incontri coi ministri della Giustizia dei Paesi aventi le più alte percentuali di detenuti nelle nostre carceri”. Il Guardiasigilli sottolinea l’importanza delle attività culturali nelle carceri: “Il nuovo schema di decreto, che noi abbiamo già approvato in Consiglio dei Ministri, insiste sull’importanza della mediazione culturale coi detenuti. Il carcere finora è stato anche un luogo di reclutamento della criminalità organizzata, un luogo in cui purtroppo è facile la radicalizzazione di estremismi. L’opera dei mediatori culturali all’interno delle carceri è fondamentale non solo per andare incontro alle esigenze religiose e culturali dei detenuti, soprattutto dei minori su cui stiamo investendo tantissimo, ma anche per la sicurezza della collettività”.

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venerdì 10 agosto 2018

Roma, il Comune progetta musica e film al cimitero Verano. Ma lo lascia nell’abbandono

“Svolgere eventi musicali e potenziare le proiezioni cinematografiche al Verano potrebbe promuovere la conoscenza del luogo e dare una opportunità a romani e turisti di vivere il cimitero anche in maniera diversa, come avviene già in altre città europee e italiane”. Eleonora Guadagno, presidente grillina della commissione Cultura del Campidoglio, ha avuto davvero una bella idea per il cimitero di Roma. Non l’unico, ma certo quello più monumentale. Musica e cinema al Verano! Come fosse una piazza d’estate. Quasi fosse un giardino. Come fosse un luogo della città, a tutti gli effetti. Uno spazio del quale esaltare la straordinarietà con eventi scelti. Non solo questo. “Stiamo pensando anche a visite guidate con un piccolo ticket. Questo potrebbe contribuire alla manutenzione del cimitero e a creare altre opportunità di lavoro, ad esempio per le guide turistiche”, sostiene Guadagno, aggiungendo che in ogni caso le iniziative dovranno svolgersi “nel rispetto dei defunti, scegliendo attività idonee al posto e differenziando gli orari con quelli delle visite dei familiari”.

Insomma una proposta che non sembra tralasciare proprio nulla. Eventi per i romani, innanzitutto, ma anche possibilità di lavoro per le guide. Pensando anche alla manutenzione. Ed ora alzi la mano chi non è d’accordo con questo progetto! Ci sarebbe solo da augurarsi che tra il dire e il fare trascorra davvero poco tempo. Insomma che tra il lancio del progetto e la sua realizzazione il tempo scorra via veloce.

In realtà c’è un particolare che sembra inficiare la bontà di questa idea. Particolare a dire il vero tutt’altro che di poco conto. Il luogo nel quale la presidente Guadagno vorrebbe “svolgere eventi musicali e potenziare le proiezioni” da anni versa in condizioni indecorose. Condizioni che continuano a farsi più critiche. Con una progressione inimmaginabile. Il verde, uno degli elementi distintivi del cimitero, sostanzialmente abbandonato a se stesso. Settori di sepoltura da anni transennati per evidenti danni strutturali. Pulizia minima assicurata con tempistiche chiaramente inadeguate alle esigenze. In aggiunta, frequentemente furti alle tombe monumentali. Chi abbia la ventura di inoltrarsi nei settori ai lati del vialone che si diparte da piazzale del Verano può sperimentare senza difficoltà le condizioni del cimitero. Rendersene conto in prima persona.

Possibile che il cimitero nel quartiere Tiburtino, adiacente alla basilica di San Lorenzo fuori le mura sia così malmesso? Purtroppo è così. Possibile che il cimitero istituito durante il regno napoleonico del 1805-1814 su progetto di Giuseppe Valadier non abbia alcuna attenzione? Purtroppo è così. Né la giunta guidata da Gianni Alemanno, né quella di Ignazio Marino, tanto meno quella di Virginia Raggi hanno mostrato reale interesse per questo luogo.

Sulle Lettere al direttore delle Cronache di Roma di diversi quotidiani, almeno dal 2009, sono numerose le segnalazioni sullo stato in cui versa il Verano. Diverse anche le indagini della magistratura sui lavori di manutenzione e ristrutturazione eseguiti anche all’interno del cimitero. Da ultimo, nel giugno scorso, sono stati rinviati a giudizio, per fatti relativi al periodo tra il 2012 e il 2014, l’imprenditore Paolo Marziali ed alcuni suoi collaboratori, oltre all’ex direttore generale di Ama Giovanni Fiscon, l’ex dirigente responsabile dei Servizi cimiteriali, Vittorio Borghini e Fabrizio Mericone, anche lui in servizio al tempo nella municipalizzata. Il processo chiarirà le eventuali colpe, ma intanto il Verano continua ad essere un luogo abbandonato. Un luogo che, ancora prima di musica e proiezioni cinematografiche, avrebbe bisogno di cura. Di decoro. Altrimenti è davvero tutto inutile.

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giovedì 9 agosto 2018

Sardone (ex FI) vs Polverini: “Lascio il partito, siete col Pd”. “Sii coerente, lascia la poltrona di consigliere regionale”

Bagarre a L’Aria che Tira Estate (La7) tra la deputata di Forza Italia, Renata Polverini, e la consigliera regionale lombarda, Silvia Sardone, che ieri annunciato l’abbandono del partito di Berlusconi. Sardone spiega: “Non ho mai votato il Pd e nel momento in cui Forza Italia ha le posizioni del Pd, io faccio fatica a riconoscermi. Salvini sta portando avanti il programma del centrodestra, basti vedere tutte le cose che ha fatto sull’immigrazione. Le maggioranze si fanno sui programma. E Salvini e Di Maio stanno realizzando un programma che hanno scritto e sottoscritto. Criticare un governo dopo due mesi che lavora mi sembra folle“. Alla domanda del conduttore Francesco Magnani, che le chiede se intende passare alla Lega, la consigliera risponde: “Non mi interessa. Io ho militato 20 anni in Forza Italia e non sono esattamente la persona che entra da una parte ed esce dall’altra. A me interessava solo uscire da Forza Italia, perché non rispecchia più l’elettorato di centrodestra. L’elettorato di Forza Italia si sta già spostando e non vota certamente la sinistra. E soprattutto non riesce a riconoscere in Salvini un oppositore”. Polverini non ci sta: “Qui stiamo cambiando un po’ la realtà. Noi siamo all’opposizione, perché, pur avendo vinto con Salvini le elezioni del 4 marzo, il leader della Lega ha deciso di fare il governo del M5s. Se la Sardone non si sente valorizzata all’interno di Fi, fa una scelta in totale autonomia. Ma è fuori strada se pensa che noi, pur stando all’opposizione, possiamo sostenere un governo col M5s. Io non sono alleata del Pd, ma sto all’opposizione di questo governo” – continua – “Quando questo governo non vuole fare le infrastrutture, io sono contraria. Quando non vuole applicare la flat tax, io sono contraria. Ma nel nostro programma non era previsto la inopportunità di tenere dentro gente che poi cambiava casacca? In tutta la scorsa legislatura io ho sentito Salvini inveire contro quei parlamentari e quei consiglieri regionali che prendevano voti in un partito e poi se ne andavano. E allora io penso che in politica l a coerenza sia un valore. Quindi, per coerenza io mi ritrovo in Fi e faccio opposizione a un governo che ha all’interno il M5s“. Sardone ribatte: “Se chiediamo a qualsiasi cittadino quale sia la posizione attuale di Fi, risponderà che l’unica posizione che ricorda è quella riguardante la vicenda della Rai e delle poltrone. Fi è riuscita ad astenersi sull’abolizione dei vitalizi ed è lontanissima dai cittadini. Io ho sempre stimato Berlusconi, perché sapeva toccare con mano le esigenze dei cittadini. Io non vedo più in Fi questa capacità. Ed è molto vicina alle posizioni del Pd”. Polverini smentisce le accuse di Sardone e ammonisce: “Riguardo alla Rai, c’era un presidente calato dall’alto. Qui siamo veramente alle fake news. Parla di poltrone, ma lei ormai se n’è andata. Anzi, perché non lascia la sua poltrona di consigliere regionale e di presidente della Commissione Bilancio alla Regione? Così almeno dà una lezione ai cittadini in fatto di poltrone”. “Veramente ho preso le preferenze“, ribatte Sardone. “E allora dimettiti dalla carica di presidente della Commissione Bilancio”, ribadisce Polverini

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Vaccini, Grillo: “Depositata proposta di legge, previsto obbligo flessibile. Spingeremo metodo di raccomandazione ”

Vaccini? Abbiamo depositato ieri una proposta di legge della maggioranza, sarà parlamentare. E con essa spingeremo per il metodo di raccomandazione, che è quello che noi prediligiamo da un punto di vista politico”. Lo annuncia a Omnibus (La7) il ministro della Salute, Giulia Grillo, che aggiunge: “Nella proposta di legge prevedremo anche delle misure flessibili di obbligo sui territori, quindi nelle Regioni e nei Comuni dove ci sono tassi più bassi di copertura vaccinale o emergenze epidemiche. Ci sono, per esempio, Regioni che hanno la copertura sul morbillo per il 97%, altre per l’87%. Ecco perché è necessario l’obbligo vaccinale, su cui tanti si divertono a prendermi in giro. Si possono divertire quanto vogliono, ma ha una razionalità”. Il ministro si esprime anche sulle parole della vicepresidente del Senato, Paola Taverna, circa i vaccini: “Ognuno usa i toni che crede, sappiamo che Paola è una persona estremamente passionale nel modo di comunicare, ma ha detto una cosa importante: i No Vax, cioè quelli che non si voogliono vaccinare a prescindere, sono una grande minoranza, un numero piccolissimo. Certo, a mio avviso, decidere di non vaccinarsi in maniera ideologica è sbagliato

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Vaccini, ministra Grillo: “Polemica presidi? Tardiva, è atto politico contro di me. Autocertificazione vale per 2018”

La presa di posizione dei presidi italiani sull’autocertificazione? Mi sembra una polemica surreale e tardiva, nonché un atto politico contro di me che non c’entro niente, perché l’autocertificazione è un atto deciso dal precedente governo, e utilizzato per tutto il 2017. E’ stato solo proseguito anche per il 2018”. Sono le parole del ministro della Salute, Giulia Grillo, ospite di Omnibus, su La7. Il ministro M5s spiega: “Mi sembra surreale ricevere questo ennesimo attacco politico, ma ormai ho le spalle larghe e mi sono abituata. L’autocertificazione è stata usata per tutto il 2017, e la presa di posizione dei presidi arriva tardi rispetto a una circolare che è più di un mese fa. Non esiste tra l’altro alcuna circolare Grillo, ma una circolare Grillo-Bussetti che riprendeva l’autocertificazione utilizzata appunto per tutto il 2017. Questa misura” – continua – “è stata adottata perché, in mancanza di un’anagrafe vaccinale nazionale, che la Lorenzin non ha fatto, non volevamo caricare di oneri ulteriori i cittadini. Ribadisco però che autocertificare non significa certificare il falso, perché altrimenti ti becchi sei mesi di carcere”. Poi puntualizza: “La scienza è sempre separata dalla politica, nel senso che la scienza fa la scienza e non deve entrare nelle scelte politiche e viceversa. Questo mi sembra ovvio e naturale, ognuno deve svolgere il suo compito. Il diritto alla salute superiore al diritto allo studio? Questo è un tema su cui i costituzionalisti hanno scritto libri, quindi voglio invitare chi la prende alla leggera o chi vuole fare il partito dell’obbligo a riflettere, perché tra i due diritti è sempre difficile capire quale dei due abbia la prevalenza”. Infine, un messaggio ai presidi: “Mi spiace che non sono il loro ministro, ma sono sempre disponibile a un confronto e le strutture sanitarie sono a loro disposizione qualora ne avessero bisogno per qualunque necessità”

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mercoledì 8 agosto 2018

Ilva, Di Maio: “Scelte a ferragosto, legge dirà cosa fare. Air Force Renzi? Simbolo del narcisismo di quel personaggio”

Ilva? Ho chiesto all’Avvocatura di Stato un parere e la legge mi dirà cosa fare”. Sono le parole del ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio, intervistato da Francesco Magnani a L’Aria che Tira Estate, su La7. E spiega: “Ho presentato agli avvocati dello Stato tutte le criticità e i dati e gli ho chiesto se questa gara si deve revocare oppure no. Giustamente Arcelor Mittal dice che sono pronti alla causa, la richiesta che sto facendo all’Avvocatura è per capire se la causa si vince o si perde. Io non ho esigenze punitive nei confronti di chi sta subentrando nello stabilimento. Ma di fronte all’accertamento delle criticità e delle irregolarità, ho il dovere di far rispettare la legge e di non assegnare quello stabilimento in queste condizioni”. Poi aggiunge: “Se ci saranno elementi di irregolarità, sara la legge a dire cosa devo fare. Non è che Di Maio decide se revocare la gara. Per le decisioni saranno i giorni di ferragosto a essere interessati. A me premono la salute dei cittadini di Taranto e dei lavoratori dell’Ilva. Abbiamo dei seri problemi ambientali in questa città, che dipendono da come si fanno le gare di assegnazione degli stabilimenti”. Di Maio difende strenuamente anche l’operato del governo giallo-verde: “Sicuramente arriviamo dopo due mesi di questo governo coi vitalizi tagliati alla Camera, con l’Air Force Renzi chestiamo per rottamare e finalmente ce ne liberiamo perché è il simbolo di un privilegio e del narcisismo di quel personaggio, con un decreto dignità approvato. E, in più, non sbarca più nessuno da un po’ di tempo sulle coste italiane. Questo decreto è rivolto a quei ragazzi che lavorano nei centri commerciali dal lunedì alla domenica o nelle grandi multinazionali” – continua – “dove ti dicono ‘o me li fai sfruttare i tuoi figli o noi ce ne andiamo all’estero’. Non sono più disposto a sottomettermi a questo ricatto come governo: se vogliono stare sul suolo italiano, devono dare un trattamento dignitoso ai nostri cittadini, altrimenti glielo faccio io il biglietto per andare all’estero“.

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Dl dignità, Bentivogli (Fim Cisl) vs Alemanno: “Meglio farsi le foto con Calenda che coi Casamonica”. E attacca Cgil

Botta e risposta al vetriolo a Omnibus (La7) tra il segretario della Fim Cisl, Marco Bentivogli, e l’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno. Il primo motivo della polemica è il decreto di dignità, sul quale Bentivogli è tranchant: “Questo decreto, purtroppo, è figlio di due estensori, che sono i consulenti giuridici più ideologici della Cgil, con una idea pre-novecentesca del lavoro. E affidare a loro la scrittura del decreto di dignità è come consegnare i corsi pre-matrimoniali a Fabrizio Corona. Questa legge non ha nulla a che vedere con la riduzione della precarietà. Invito tutti, anche Alemanno, a leggere il testo del decreto. C’è bisogno di parlare di lobby e potentati economici per distrarre l’analfabeta funzionale che non capisce il testo di una legge, per cui si affida a una lettura banale”. “Illuminaci tu, allora, visto che sei ben informato”, risponde Alemanno. “Io provo con l’illuminazione” – replica Bentivogli – “quando passiamo al sale, tocca a te”. Il sindacalista poi attacca il ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, e la Lega: “Se Bagnai e Borghi incontrano gli investitori e questi subito dopo dicono di voler lasciare l’Italia, perdiamo investimenti e ricchezza e soprattutto lavoro”. Poi polemizza ancora una volta con Alemanno: “La sicurezza di un Paese non la danno solo le forze dell’ordine e la magistratura, capisco che questo nella cultura politica di Alemanno sia difficile da capire. Per lui la sicurezza si ottiene solo con il bastone”. “Ma roba da pazzi”, commenta l’ex sindaco di Roma. Bentivogli ribatte citando “gli amici di Alemanno”. Il politico controbatte menzionando Calenda. E il sindacalista insorge: “Meglio farsi le foto con Calenda che con i Casamonica“. L’atmosfera si surriscalda e il conduttore dà immediatamente la linea alla pubblicità.

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martedì 7 agosto 2018

M5s-Lega, a Livorno i gialloverdi finiscono in tribunale. “Nogarin? E’ come quelli che difendono i boss”. Il sindaco: “Querelo”

A Livorno l’alleanza gialloverde non sta tanto bene, anzi. I principali esponenti locali del Movimento 5 Stelle e Lega finiranno in tribunale, l’uno contro l’altro. L’ex candidato al collegio uninominale del Carroccio e segretario dei Giovani leghisti Lorenzo Gasperini ha scritto un post su facebook in cui paragonava il sindaco Filippo Nogarin a quegli amministratori che “proteggono i boss della mafia o della camorra”. Nogarin ha replicato annunciando querela: “Davanti a queste accuse non ci sono contratti nazionali che tengano – ha replicato Nogarin – persone come queste vanno semplicemente querelate”.

La contesa nasce da quanto accaduto giovedì, quando la serata inaugurale di Effetto Venezia (la principale festa estiva di Livorno) era stata segnata dalle cariche della polizia nei confronti di un gruppo di manifestanti antagonisti che si opponevano alla rimozione di uno striscione critico nei confronti di Pd, Lega e M5s.  Negli scontri erano rimasti feriti 4 agenti, mentre un vicequestore aveva rimediato la frattura del polso. Tutto è avvenuto nei primi giorni di lavoro del nuovo questore Lorenzo Suraci, appena trasferito da Viterbo. E sui fatti era intervenuto anche Nogarin che aveva condannato gli episodi di violenza: “Ciò che è successo è semplicemente inaccettabile – aveva scritto su facebook – Ogni forma di manifestazione del pensiero critico, dal mio punto di vista, va tutelata e garantita. Io non solo non mi sarei mai sognato di chiedere un intervento delle forze dell’ordine dopo l’esposizione di uno striscione antigovernativo ma sarei felice di vedere uguale determinazione nel contrasto allo spaccio e alla criminalità in alcuni quartieri”. Dalla questura si erano difesi minimizzando la cosa e parlando di “lieve intervento di alleggerimento dopo aver registrato un atteggiamento ostile degli antagonisti”.

Da qui parte l’attacco di Gasperini. “In tempi di differenze politiche non vedo molta differenza tra Nogarin che con le proprie dichiarazioni difende la delinquenza livornese e quei sindaci che proteggono i boss della mafia e della camorra – ha attaccato Gasperini – la differenza tra me e lui è che io sto con i ragazzi della polizia e lui sta con i centri sociali”. Il sindaco di Livorno, definito dall’esponente del Carroccio il “capo dell’ala anti Di Maio del M5s”, ha risposto denunciando il segretario giovanile della Lega che, a suo dire, avrebbe paragonato “un gruppo di cittadini che manifestava il proprio pensiero critico ai boss di Cosa Nostra”.

Non è la prima volta che il sindaco M5s di Livorno esprime il proprio dissenso sulle posizioni della Lega: a metà giugno, mentre la nave Aquarius vagava per le acque libiche, Nogarin aveva pubblicato un post su Facebook (poi cancellato) annunciando l’apertura del porto di Livorno, contro le posizioni del ministro dell’Interno Matteo Salvini. Lo stesso era avvenuto pochi giorni prima sulle posizioni del ministro Fontana contrario ai matrimoni omosessuali: “Continuerò a celebrarli – aveva detto in quell’occasione – Sui diritti civili non faremo passi indietro”. Nogarin, che dovrebbe ricandidarsi a un secondo mandato, fu eletto nel 2014 e sconfisse il Pd al ballottaggio anche grazie ai voti di molti ex elettori di centrosinistra.

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Governo M5s-Lega: Rai, Grandi Opere e vincoli europei: i tre tavoli di gioco che anticipano la gara interna sulla manovra

Tre tavoli, ciascun giocatore con la propria strategia, cercando di far rimanere il confronto serrato, sì, ma solo fuori dai riflettori. Come dice uno dei due giocatori seduti ai tavoli, Matteo Salvini, uno dei due vicepremier-portabandiera: “Le polemiche con il M5s? Mi diverto a leggerle sui giornali”. “La Tav? Non farà cadere il governo” rassicura mentre parla a una festa della Lega, ironicamente ad Arcore. E il centrodestra? Non è finito, ma è “chi abita nella villa qua vicino” che “ultimamente preferisce votare con Renzi e con il Pd piuttosto che con la Lega e con Salvini”. Ma l’altro giocatore al tavolo non è ovviamente Silvio Berlusconi, bensì i Cinquestelle, gli alleati di governo. I fronti di confronto sono tre e lo start è proprio ora, all’indomani dell’ultima seduta del Parlamento, in un mese di pausa estiva prima del rush finale verso la legge di Bilancio, il primo vero crash-test della maggioranza gialloverde. Sullo sfondo, forse, anche le elezioni in 4 Regioni e le Europee del 2019.

La Rai, le Grandi Opere, la sfida ai vincoli europei – i tre tavoli di gioco – differenziano nella forma e nella sostanza Lega e M5s. Sono i tre binari sui quali si giocherà la partita, politica, elettorale e finanziaria, tra Carroccio e Cinquestelle, tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio in un campo che vede incrociarsi nomine pesanti, bandiere elettorali e necessità legate ai conti pubblici. Si comincia già oggi perché a Palazzo Chigi il presidente del Consiglio Giuseppe Conte – che si sta ritagliando sempre di più il ruolo di raffreddatore delle situazioni, di mediatore tra le due parti – guiderà un vertice in cui si parlerà di manovra, ma anche di infrastrutture (che nei giorni scorsi hanno visto protagonisti lo stesso Conte, Salvini e la ministra del Sud Barbara Lezzi) e della tv pubblica, ancora in stallo perché manca un accordo politico in commissione di Vigilanza che porti all’elezione di un presidente.

L’impasse sul nome di Marcello Foa genera una situazione che, chi è a conoscenza del dossier, definisce in “alto mare”. “Sulla Rai non stiamo pensando a niente, le ipotesi di sostituire Foa non sono attendibili”, facevano notare un paio di giorni fa fonti della Lega parlando con l’agenzia Ansa. E su Foa, allo stesso tempo, sembra assottigliarsi il sostegno del M5s. E’ proprio Luigi Di Maio – capo politico, vicepremier e peraltro ministro dello Sviluppo con delega alle telecomunicazioni – che ha ribadito ieri che serve un’intesa politica con le opposizioni per sbloccare tutto. Difficile che la situazione si sblocchi prima di Ferragosto. Probabile, invece, che tutto venga rinviato a settembre, con buona pace di Salvini che punta soprattutto su Tg1 e Tgr.

Al tavolo di Palazzo Chigi oggi, come la settimana scorsa, saranno seduti – oltre a Conte e ai due vicepremier – il ministro dell’Economia Giovanni Tria e il ministro per gli Affari Europei Paolo Savona. E all’ordine del giorno, tuttavia, ci saranno soprattutto i “titoli” della manovra. Titoli in merito ai quali Lega e M5s puntano tutto sull’avvio delle loro due misure “bandiera”, reddito di cittadinanza e flat tax, il quarto campo da gioco, ancora da inaugurare. Con la prima che il M5s vuole in discussione già a settembre al Senato mentre, parallelamente, alla Camera sarà presentato il ddl per le pensioni d’oro. E, a proposito di pensioni, la Lega già da oggi punta a convincere Tria sull’inserimento, nell’ambito della manovra, della riforma della legge Fornero. Tanto più che il Carroccio, ieri, ha visto esultare – con tanto di foto di gruppo – tutti i componenti M5s per l’approvazione del decreto Dignità, la prima vera legge del governo del cambiamento approvata dal Parlamento. E quindi, ora, tocca un po’ per uno.

Non sarà facile, per M5s e Lega, ottenere tutti i loro “desiderata” e, l’argine dei conti e dei margini imposti dall’Unione europea potrebbe costringere Di Maio e Salvini ad una battaglia su quali, tra le misure proposte, debbano avere il bollino della priorità. Sarà, probabilmente, un gioco del “do ut des”, proprio come sulle Grandi Opere dove, sullo stop alla Tav, in queste ore la Lega sembra più possibilista. Fonti dell’esecutivo assicurano d’altra parte che la tensione per ora resta in superficie. “Non c’è alcun litigio” assicurano fonti del Carroccio. Le visioni, tuttavia, restano differenti. La linea di Salvini resta quella di andare avanti sulle Grandi Opere e di non chiudere Ilva. L’Italia ha bisogno di infrastrutture moderne e di acciaio per le nostre imprese, è il ragionamento che si fa nel quartier generale leghista.

Il M5s, per ora, basa qualsiasi giudizio sugli esiti delle analisi costi-benefici. Ma il rischio è che, già su queste ricognizioni si alzi la tensione con la Lega. Nel Movimento, ad esempio, si sottolinea che un giudizio sarà espresso solo sui dati “finali” e non su quelli “parziali“, come ha fatto Salvini in questi giorni. E, anche sul team che il ministero dei Trasporti metterà in campo per la valutazione della Tav, nel Movimento si guarda con qualche sospetto alla “sorveglianza” della Lega. La squadra sarà completata per settembre e tra i nomi circolati in queste ore gli unici sui quali c’è la conferma del governo sono quelli di Marco Ponti e Franco Ramella, personalità che, in passato, non hanno certo tifato per la Tav.

L’impressione – sottolinea l’Ansa – è che, nel gioco di do ut des tra M5S e Lega sia più il Tap che la Tav, al momento, a vedere la luce verde. Anche perché le salati penali previste sul gasdotto potrebbero avere effetto su una manovra che si preannuncia come un percorso a ostacoli tra le promesse elettorali di M5s e Lega e i margini strettissimi dei conti. Su un punto, Salvini e Di Maio non sembrano dare margini al ministro Tria: reddito di cittadinanza e flat tax vanno almeno avviate. La seconda, è l’obiettivo della Lega, si applicherà innanzitutto alle partite Iva.  “Il lavoro procede bene, il contratto di governo funziona” ha detto Di Maio ieri sera parlando all’assemblea congiunta dei parlamentari del Movimento. L’estate torrida non è ancora finita, ma l’autunno caldissimo sembra già qui.

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