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mercoledì 31 ottobre 2018

Governo, Mulè (Fi): “Amici della Lega mi dicono che i 5 Stelle sono incapaci e superficiali ma devono ingoiare il rospo”

“Diversi amici della Lega mi dicono che c’è una insofferenza enorme e che questi del M5s sono pressapochisti, incapaci, superficiali. E aggiungono che devono ingoiare il rospo e che fanno fatica a tenere gli elettori leghisti. Allora capisci che la barca comincia a fare acqua. Ragazzi, il governo imploderà, non possono andare avanti, finiranno a gambe all’aria”. Sono le parole pronunciate ai microfoni de “L’Italia s’è desta”, su Radio Cusano Campus, dal deputato di Forza Italia, Giorgio Mulé, che aggiunge: “Il potere, le poltrone… Quando finisci sopra alle poltrone è molto difficile mollarle, alzarsi e andare via. E’ un governo che non ha nessun senso politico. Che senso ha questo governo in cui Lega e 5 Stelle la pensano diversamente su tutto? L’unico collante è quello di stare seduti sulle poltrone e occupare occupare. Ieri si sono spartiti la Rai. Nulla di nuovo sotto il sole, ma per i grillini è uno sport nuovo. Come piace ai ragazzi, hai voglia se non gli piace”.
Il parlamentare poi si pronuncia sull’ultimatum di Silvio Berlusconi a Matteo Salvini: “Se tu vieni meno alle promesse che hai fatto agli elettori della coalizione di centrodestra e lo fai convintamente, vuol dire che vieni meno a un giuramento di lealtà nei confronti degli elettori. E allora non rappresenti più il centrodestra. Se la flat tax diventa flop tax e fai il reddito di cittadinanza, vuol dire che non stai facendo nulla delle politiche di centrodestra. C’è il dl sicurezza, ma è tutto minoritario. Questo governo non si ricorderà per il dl sicurezza, si ricorderà per il reddito di cittadinanza”.
Tranchant il parere sul reddito di cittadinanza: “Butteranno 10 miliardi e porteranno il Paese a sbattere. Ieri ho letto una cosa pericolosissima nella manovra. Una tassa nuova per la pesca sportiva da 10 a 100 euro. Non vorrei fosse vero, perché vorrebbe dire che si sono ridotti a tassare i pescatori della domenica per fare cassa. E’ un governo ancorato al concetto di gabelle, gabelline, tasse, tassettine, ma questo non doveva essere il governo del cambiamento?”. E ribadisce: “I primi che devono stare attenti sono gli amici della Lega perché gli elettori del nord e del centro gli presenteranno il conto, se davvero daranno 780 euro ai rom, ai sinti o a quelli che stanno in pantofole

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PD, Orfini: “Martina dimesso, primarie a febbraio” e su Di Maio: “Sacrifica valori M5s per suo collegio”

“Abbiamo discusso dimissioni e adempimenti. Non è stata una riunione politica. Assemblea del partito nei prossimi giorni. Realisticamente credo che le primarie si svolgeranno nel prossimo febbraio. Avremo tempi ravvicinati per quella scadenza: elezioni europee ed amministrative. Serve il tempo per preparare campagna elettorale. Di Maio? Svia l’attenzione da ciò che ha fatto: ha sacrificato i val ori del M5s al suo collegio elettorale. Immagino presenterà richiesta ma credo sarà respinta. Non ha i requisiti per far parte del Partito Democratico”. Così Matteo Orfini ai cronisti dopo l’assemblea della segreteria del PD.

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Manovra, Fornero vs Castelli: “Dite con candore così tante bugie che fate tenerezza”. “Avete fatto ammalare l’Italia”

Botta e risposta acceso a Dimartedì (La7) tra il sottosegretario all’Economia, Laura Castelli, e l’ex ministro del Lavoro del governo Monti, Elsa Fornero. Il viceministro M5s si dichiara molto soddisfatta della manovra: “Ci sono maggiori investimenti, reddito cittadinanza, quota 100 e molto altro, come liste di attesa più corte, fondi per giovani e famiglie”.

Fornero osserva: “Ci sono tutte le premesse per un aumento del debito e questo aumento del debito va a danno di quella parte del popolo che purtroppo conta meno: i giovani. Questa è una manovra contro i giovani. Con quota 100 non si cancella la nostra legge di riforma delle pensioni, cancellazione tante volte promessa, cioè i requisiti restano quelli della legge Fornero e si dà la possibilità di andare prima in pensione con una pensione più bassa”. E aggiunge: “La mia legge non viene abolita. Io sarei disposta ad apprezzare anche questo governo, se dicessero meno bugie. Ma le dicono con un tale candore che qualche volta fanno anche un po’ di tenerezza”.

Castelli insorge: “Se lei e il suo governo non aveste scritto quella norma scellerata, oggi non saremmo qua a parlare di questo tema. Stiamo parlando di una norma che ha fatto ammalare gli italiani. L’Italia si è ammalata con le cure del suo governo. E non mi dica che sono bugiarda, perché io coi miei colleghi ero a quel tavolo che ha formato il contratto di governo e su quell’accordo c’è scritto ‘superamento della legge Fornero’. Non mettiamo nessun ricatto con un prestito alle banche. Queste erano le norme che facevano i governi per mandare prima la gente in pensione”.

“Questo era il governo Renzi”, puntualizza il conduttore Giovanni Floris.
Fornero ribatte: “Voi, grazie anche agli interventi dei governi precedenti, arrivate in una condizione non di emergenza finanziaria. Forse, se non ci fossero stati quegli interventi, le pensioni ai pensionati non sarebbero neanche state pagate”.
Castelli poi spiega il reddito di cittadinanza. “Uno si presenta e lo chiede oppure lo trovate voi?”, chiede Floris. “Stiamo lavorando perché si possa fare e si farà” – risponde il viceministro – “Ci piacerebbe che lo Stato ti venga a dire che sei in una certa situazione”.
“Quindi, il senso è: non venire tu, ti cerco io”, osserva il giornalista.
“No, è una questione di messaggio” – continua Castelli – “E’ lo Stato che viene da te, ti prende la mando e ti dice: ‘Facciamo un percorso insieme perché questo Stato ti ha abbandonato fino a ieri’”.
Floris chiede: “Date il reddito di cittadinanza sul conto corrente?”.
No” – risponde Castelli – “Sarà fatto attraverso il sistema bancomat”.
“Quindi, sarà dato a gente che ha un conto corrente”, osserva il giornalista.
Ce l’hanno tutti il conto corrente, anche i pensionati” – replica il viceministro – “Anche la badante va pagata con un bonifico per via di una legge secondo cui non si può pagare nessuno in contanti”.

Il direttore di Radio Capital, Massimo Giannini, controbatte: “Ma un povero che sta sul lastrico e che dorme alla Caritas non prenderà il reddito di cittadinanza, perché non ha un conto corrente”.
“Se ha lavorato fino al giorno prima, ha un conto corrente”, ribadisce Castelli.
“Ma non è affatto sicuro” – commenta Giannini – “Quindi avranno il reddito di cittadinanza solo quelli che hanno un conto corrente”.
No, ce lo avranno tutti”, risponde Castelli.

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Scuola, per essere assunti si torna all’antico: riecco il concorsone, cancellati formazione iniziale e tirocinio

In cattedra con un semplicissimo, tradizionale concorso. Niente abilitazione, tirocini triennali, corsi e apprendistati: il governo ritorna all’antico. Il cosiddetto Fit (Formazione iniziale e tirocinio), il percorso triennale creato nell’ultima legislatura, viene cancellato ancora prima di nascere: il primo bando avrebbe dovuto esserci nel 2019, ma a questo punto non vedrà mai la luce. Per diventare insegnanti basterà un normale concorso, aperto a tutti i laureati senza requisiti troppo particolari: chi vince, sarà subito assunto.

CANCELLATA LA BUONA SCUOLA – La rivoluzione, l’ennesima per la scuola italiana e per le migliaia di aspiranti docenti, è contenuta nella bozza di manovra che dovrà diventare definitiva nelle prossime settimane ed essere approvata entro la fine dell’anno. Il ministro Marco Bussetti, del resto, aveva anticipato di voler intervenire sul sistema di reclutamento, ribadendo quanto già contenuto nel contratto di governo tra Lega e Movimento 5 stelle. La legge di Bilancio (se il testo sarà confermato) lo fa nella maniera più diretta e sbrigativa possibile, abrogando in blocco il meccanismo messo a punto dal precedente governo e sostituendolo con una trafila molto più semplice e rapida.

ADDIO AL TIROCINIO TRIENNALE – Si tratta dell’ennesimo pezzo della Buona scuola che viene cancellato: il Fit era un’idea della coppia Giannini-Fedeli (la prima lo aveva pensato, la seconda realizzato). Prevedeva il superamento del vecchio sistema con doppio titolo (prima l’abilitazione, poi l’assunzione) che tanto aveva fatto discutere per l’eccessiva selettività, con un unico corso-concorso: una prova a monte (scritto e orale), i vincitori accedono ad un tirocinio triennale (pagato in misura variabile), il primo anno più teorico, gli ultimi due più pratici con sempre più ore di supplenze a scuola, fino all’assunzione definitiva al termine del triennio (e al giudizio positivo sul suo superamento). Sembrava un buon compromesso tra la necessità di formare adeguatamente i futuri docenti e l’esigenza di abbreviare il percorso di reclutamento: le proteste maggiori riguardavano la durata (tre anni non sono pochi) e lo stipendio ridotto (a partire inizialmente da circa 600 euro al mese per il primo anno), ma gli aspiranti insegnanti sembravano essersene fatti una ragione. Invece si riparte daccapo.

TORNA IL CONCORSO: APERTO A TUTTI (E NIENTE PIÙ IDONEI) – Di fatto si torna alla situazione pre Buona scuola, davvero all’antico: al concorso tradizionale (come quello storico del ’99, o del 2013 per intenderci), a cui tutti partecipano e chi vince viene immesso il ruolo, dopo il solito anno di prova (che però è una mera formalità). Il requisito di ammissione è la laurea: possono partecipare tutti i laureati, che abbiano preso almeno 24 crediti all’università su alcuni esami pedagogici e propedeutici all’insegnamento. Per quanto riguarda le prove, saranno tre, niente più preselettiva e quiz a crocette: due scritti, il primo sulla materia d’insegnamento, il secondo di carattere pedagogico; poi l’orale, con un colloquio in lingua straniera (livello B2) e valutazione delle conoscenze informatiche. Il sostegno avrà un concorso a parte, con una prova scritta a carattere nazionale e anche un orale specifico.

Nella formazione della graduatoria i titoli varranno almeno il 20%, e verrà “particolarmente valorizzato” quello di abilitazione (ma ormai quelli che l’hanno preso sono stati già quasi tutti assunti) e il dottorato di ricerca (che da sempre rivendica più peso per l’accesso alla scuola, anche in tribunale). Scompare la figura degli idonei: ci saranno solo vincitori, per il numero di posti messi a bando; tutti quelli che non rientrano ma hanno comunque conseguito il punteggio minimo nelle tre prove ottengono l’abilitazione, titolo che dà diritto a essere inseriti nelle graduatorie d’istituto, le liste da cui si assegnano le supplenze. L’ultima novità è il vincolo quadriennale su cattedra: una volta assunti, non si potrà chiedere il trasferimento prima di 4 anni (oggi era 3, ma finestre ulteriori erano state concesse in deroga); così viene accontentata la Lega, da sempre contraria alla mobilità che penalizza il Nord.

IN CATTEDRA PRIMA (MA MENO PREPARATI) – Non è facile tracciare un bilancio di questa nuova rivoluzione. I più scontenti potrebbero essere i vecchi precari, a cui era stato promesso un concorso straordinario per non abilitati che ora non ci sarà più: avranno solo una corsia preferenziale, il 10% dei posti riservato a chi ha 3 anni di servizio nel prossimo bando (una tantum). Al di là delle rivendicazioni di categoria, la scuola si prepara all’ennesimo cambiamento: di sicuro il nuovo sistema accorcia la trafila, permettendo in teoria di entrare in ruolo già a 24 anni. Di contro, il vecchio percorso, magari un po’ farraginoso, aveva il merito di formare molto approfonditamente gli aspiranti prof: l’ultima generazione uscita dai Tfa lo dimostra. Senza più corsi, apprendistati e supplenze di prova, di sicuro arriveranno in cattedra insegnanti un po’ meno preparati, almeno all’inizio.

Twitter: @lVendemiale

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martedì 30 ottobre 2018

Dl Sicurezza, Nugnes e De Falco (M5s): “Espulsi se non votiamo fiducia? Noi coerenti al Movimento, non stiamo tradendo”

Non sembra bastare l’ultimatum del capogruppo M5s al Senato, Stefano Patuanelli, ai dissidenti pentastellati che non intendono votare il provvedimento senza le modifiche richieste e in gran parte già bocciate in Commissione. “Se verrà posta la fiducia e non la votano, sono fuori”, era stato l’avvertimento. Ma la senatrice Paola Nugnestra le più critiche insieme alla collega Elena Fattori e a Gregorio De Falco, insiste: “Non votai lo statuto M5s, prendo atto che viene usato contro il regolamento del Senato e contro la Costituzione. Io mi sento parte del gruppo M5s, ma se non vuole rispettare la Costituzione e il regolamento stesso di Palazzo Madama, dovrò prendere atto di una trasformazione del Movimento. Ma non dipende da me”. E sulle minacce di espulsione: “Non mi sento sotto ricatto. La fiducia è una cosa complessa, il giudizio su un provvedimento altra cosa. Credevo che voler assimilarle fosse abitudine dei partiti che contestavamo”.
Dello stesso avviso Gregorio De Falco: “Sento parlare di tradimento, affermazioni violente. Ma un parlamentare non può essere accusato di tradimento se segue i dettami del Movimento a cui appartiene. Ma non credo si arriverà a possibili espulsioni”. De Falco lascia però qualche spiraglio in vista del voto: “Abbiamo registrato qualche miglioria al testo anche importante, però il punto di approdo è ancora lontano: il risultato non è ancora soddisfacente, non bastano”.

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Dl Sicurezza, Patuanelli (M5s): “Provvedimento disciplinare per chi non vota eventuale fiducia al governo”

Il capogruppo del M5s al Senato, Stefano Patuanelli, sul decreto Sicurezza a firma Matteo Salvini, richiama alla disciplina di partito i senatori pentastellati Fattori, De Falco, Nugnes e Mantero: “Il miglioramento al testo che stiamo proponendo con gli emendamenti concordati con la Lega sono sufficienti per farlo votare a tutti i membri del nostro gruppo parlamentare e laddove si arrivasse a porre la questione di fiducia – spiega Paruanelli – difficilmente un componente del M5s potrà non votarla – e aggiunge – per chi non vota la fiducia si aprirà un provvedimento disciplinare“. Così non si limita la libertà del parlamentare? “Chi non vota la fiducia si pone all’opposizione del governo -replica Patuanelli – e questo esecutivo guidato da Giuseppe Conte è comunque espressione del M5s – e ribadisce – chi non voterà la fiducia, se sarà posta, se ne assumerà le conseguenze”.

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M5s, dopo il Tap che ne sarà di Tav e Terzo valico?

Lo sappiamo tutti, buona parte del consenso che il M5s ha accumulato in questi anni e che gli ha consentito di diventare il primo partito d’Italia (ora già non più) si è basato sull’opposizione che il Movimento ha fatto alle grandi opere: Tap, Tav, Terzo valico sono le più rilevanti.

Sul Tap il consenso è già scemato: dall’opposizione si è passati all’avallo, complici le penali. Che poi penali non sono (e qui hanno ragione i No Tap), ma piuttosto risarcimenti danni che lo stesso presidente del Consiglio Conte ha quantificato in una forbice tra i 20 ed i 35 miliardi di euro. Non bisognava essere degli economisti per comprendere che un’opera di carattere internazionale, di quelle dimensioni, che la magistratura finora ha ritenuto legittima, non si potesse interrompere semplicemente con un “abbiamo scherzato”.

È lecito allora pensare che quando il M5s ha affermato (anche per bocca di Di Battista) che il Tap sarebbe stato fermato fosse in buona fede, ma non avesse guardato, colpevolmente, le carte. Altrimenti si dovrebbe pensare che fosse in mala fede e cavalcasse l’onda della protesta per accaparrare voti. Ma voglio pensare/sperare che non sia così. Sarebbe stupido e autolesionista. Piuttosto, non comprendo perché non si applichi al Tap quell’analisi costi-benefici che il governo vuole applicare a tutte le opere pubbliche non ancora terminate o in progetto. Analisi che sembra contenuta nell’articolo 27 del contratto di governo, seppure non chiarissimo nella sua formulazione: “Occorre inoltre recuperare risorse attraverso una politica tariffaria basata sull’analisi del rapporto tra costi e benefici, individuare e dare ascolto ai bisogni e alle esigenze del territorio coinvolgendo gli stake holder qualificati e gli utenti.”

NoTap, il videomessaggio degli attivisti a Lezzi e M5s: "Chiediamo scatto d'orgoglio ai vertici del movimento, sennò dimissioni"
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Questa dunque è la domanda: perché il governo non fa la stima dei risarcimenti danni e dei danni ad ambiente e territorio, compresi i servizi ecosistemici indicati dall’Ispra per il Tap? Non sarebbe più serio, piuttosto che limitarsi a dire che costa troppo non fare l’opera?

Rilevate queste carenze, viene da domandarsi cosa accadrà per le altre opere. Per la Tav Torino-Lione lo stesso articol 27 recita esplicitamente (è l’unica grande opera citata): “Con riguardo alla Linea  ad  alta  velocità  Torino-Lione,  ci  impegniamo  a ridiscuterne integralmente il progetto nell’applicazione dell’accordo tra Italia e Francia”. L’impressione è che il M5s voglia bloccare questa grande opera. E la conferma la si avrebbe anche dal fatto che a guidare la “struttura di missione” relativa ai costi-benefici Toninelli abbia incaricato Marco Ponti, uno dei maggiori esperti internazionali in materia di trasporti, da sempre contrario (dati alla mano, si intende) alla Tav.

Ma l’impressione è anche che il Movimento – dopo aver perso il consenso dei No Tap – non possa assolutamente perdere quello dei No Tav. Da quando è nato, il Movimento è stata l’unica formazione politica esplicitamente contro la linea ed in valle in molti comuni era già il primo partito grazie proprio a questa lotta. E poi, a detta dello stesso Paolo Foietta, a capo dell’Osservatorio Torino-Lione, la rinuncia all’opera costerebbe “solo” quattro miliardi.

Ma non vorrei che il Tav diventasse solo una merce di scambio con la Lega (che le grandi opere le farebbe tutte) per realizzare tutto il resto. Dal Terzo valico alla Tav Brescia-Verona, dalla Pedemontana Veneta alla Orte Civitavecchia, dalla autostrada della Valdastico al futuribile Ponte sullo Stretto.

Lo stesso Marco Ponti, in un recente intervento ha affermato: “L’amministrazione passata ci ha lasciato con solo 132 miliardi di scelte strettamente politiche e nessuna valutazione (nemmeno finanziaria, o con stime di traffico, si badi, altro che Abc!)”. La speranza è che si ridiscuta tutto ciò che si può ridiscutere alla luce di una effettiva convenienza, non solo economica. Solo così almeno su questo terreno il governo svolterebbe effettivamente pagina.

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Dl Sicurezza, Salvini: ‘Maggioranza è compatta’. Conte ai dissidenti M5s: ‘Bene critiche, ma ora serve responsabilità’

La Lega va avanti sul decreto Sicurezza, i 5 stelle pure. E anche a costo di dover cacciare i quattro dissidenti che insistono nel chiedere modifiche al testo. Dopo che in queste settimane la maggioranza sta dimostrando di poter superare senza problemi la prova dell’Aula, lo scoglio più significativo continua a essere il provvedimento tanto caro al Carroccio. In queste ore sono stati bocciati in commissione gli emendamenti proposti dai quattro senatori M5s: secondo i vertici 5 stelle sono stati fatti comunque dei miglioramenti, mentre per i critici “non basta” per votare a favore. Se così fosse però, cioè se loro arrivassero fino all’estrema ratio di votare contro la fiducia, il capogruppo M5s Stefano Patuanelli ha ricordato a ilfattoquotidiano.it che si arriverebbe all’espulsione: “Se votano contro sono fuori”, ha detto. Una versione ribadita poco dopo davanti alla telecamere, ricordando che i parlamentari hanno firmato una scrittura privata al momento della candidatura che li vincola sul punto: “Si aprirebbe per forza un’azione disciplinare”. Il provvedimento arriverà in Aula al Senato lunedì prossimo. I numeri a Palazzo Madama sono sempre più traballanti, come da tradizione, rispetto a Montecitorio, ma il cordone di sicurezza è composto – ammesso che i 4 non votino il decreto – da un margine di 7 voti e anche da un atteggiamento collaborativo di Fratelli d’Italia. Il vicepremier del Carroccio Matteo Salvini ha detto di non aver preoccupazioni nel merito: “Nessuna polemica e maggioranza compatta nel nome del diritto alla Sicurezza”. E, in diretta su Facebook, ha detto: “Mentre in Italia piove e piove un po’ troppo, ci tenevo a raccontare cosa sto facendo qui. Vi ringrazio e ringrazio molto meno i giornalisti che inventano polemiche con i 5 stelle anche dove non ci sono. Per esempio in Senato viaggia spedito il decreto sicurezza: siamo al trentesimo articolo, il decreto va in porto”.

Ben diverso quello che sta succedendo sul fronte dei 5 stelle, dove la preoccupazione principale è quella di dare un’immagine complessiva di unità. Anche per non far vedere al socio di governo che Di Maio non tiene il suo gruppo. “Le osservazioni critiche sono le benvenute”, ha detto a margine del suo viaggio istituzionale in India il premier Giuseppe Conte, “ma occorre una sintesi e chi si riconosce nella maggioranza deve assumere un atteggiamento di consapevolezza e responsabilità”. E’ necessario attenersi “al contratto di governo se un provvedimento si radica in quello che è previsto nel contratto, a un certo punto bisogna tirare le fila”. Al capogruppo Patuanelli il compito di ricordare cosa rischiano i dissidenti: “Sono un uomo del dialogo e anche per questo, probabilmente, sono stato scelto per fare il capogruppo”, ha detto a ilfattoquotidiano.it “I 19 emendamenti al provvedimento sono già un miglioramento al testo che in aula si potrà continuare a migliorare. Ma se si dovesse arrivare alla fiducia, un voto difforme vorrebbe dire mettersi fuori dal Movimento”. Quindi ha garantito che non ci sarà nessun redde rationem nel corso dell’assemblea dei senatori M5s: “Non cacciamo nessuno, ma abbiamo delle regole che delineano un perimetro di comportamento molto chiaro”, ha insistito Patuanelli. “Il segnale che verrebbe dato all’esterno, in caso di dissenso su questo provvedimento che fa parte degli accordi di governo con la Lega, sarebbe quello che il Movimento va in ordine sparso. E questo non va bene perché ci indebolisce nei confronti del Carroccio che invece procede compatto”. Per stasera è prevista un’assemblea congiunta, presieduta da Luigi Di Maio, per affrontare il tema. Ma la senatrice Paola Nugnes ha già detto che non parteciperà: “Siamo fuori tempo massimo per parlare del decreto sicurezza e per cercare un modo di partecipare e collaborare”. Non ci saranno neanche Matteo Mantero ed Elena Fattori per altri impegni.

Segnali di distensione, anche sul fronte dei dissidenti, sono arrivati però dal senatore Nicola Morra. Che in realtà più volte in passato aveva mosso critiche verso la linea ufficiale del Movimento. “Stiamo lavorando coesi in commissione Affari Costituzionali, il decreto Sicurezza verrà approvato presto dal Senato, nel rispetto di quanto previsto dal contratto di governo, per andare alla Camera”, ha detto oggi. “L’unità del Movimento è fuori discussione: se manifestassimo segnali di incertezza, vanificheremmo tutti gli sforzi fatti finora. Da pochi mesi stiamo operando grandi trasformazioni e siamo solo all’inizio, abbiamo il dovere di andare avanti. Lo dobbiamo alle persone che ci hanno votato il 4 marzo e che poi hanno approvato il contratto di governo”.

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Dl Sicurezza, bocciati i primi emendamenti dei dissidenti M5s. De Falco a Di Maio: “Siamo formazione politica, non un esercito”

Dopo le tensioni nei gruppi M5s per il via libera al Tap, sul decreto Fiscale e sul decreto SicurezzaLuigi Di Maio ha lanciato un richiamo all’ordine ai parlamentari pentastellati, rivendicando l’unità e avvertendo i dissidenti: “Siamo sotto attacco, chi si sfila dovrà renderne conto”. Eppure, in casa M5s, i malumori restano, a partire dallo stesso decreto Salvini, con il gruppo composto dai senatori Elena Fattori, Paola Nugnes e Gregorio De Falco che non intende demordere, rivendicando la richiesta di modificare un provvedimento che considerano indigesto, oltre che “contrario al programma del M5s”, dal nodo dell’abolizione degli Spar alla stretta sui permessi umanitari, fino al diritto d’asilo.

Senza modifiche, non lo votiamo”, aveva rivendicato De Falco. Ma l’appello sembra rimasto inascoltato dato che, dopo i primi voti in commissione Affari costituzionali, le richieste dei senatori M5s sono state bloccate. Bocciate dalla maggioranza di governo. “Siamo delusi, lanciamo un appello a Di Maio affinché ci aiuti ad essere quello che siamo sempre stati. Vogliamo aiutare il governo ad andare nella direzione giusta”, ha rivendicato la senatrice M5s, Elena Fattori, a margine della commissione Affari costituzionali ai microfoni de ilfattoquotidiano.it. Ma Fattori rilancia, al di là dell’avvertimento del suo capo politico: “Salvini ha chiesto garanzie a Di Maio? Sono i nostri emendamenti la garanzia al decreto. Sono stati bocciati, ne prendiamo atto. Evidentemente non si vuole migliorare questo testo, nel rispetto del contratto e nel rispetto del programma. Ma sono sicura che Di Maio non tradirà il programma”.

Più netto, Gregorio De Falco, un altro dei senatori che rivendica modifiche: “L’avvertimento di Di Maio a essere ‘compatti come una testuggine romana’ e un rischio sanzioni per chi si sfila? Non siamo un esercito. Al di là della sensibilità personale, io mi richiamo ai valori del Movimento, e ancor prima ai valori della Costituzione”, ha rivendicato, precisando di non temere il rischio espulsione. “Io non sono qui perché mi devo mettere paura delle sanzioni ma perché ho aderito a un movimento che esprime certi valori e a questi sono rimasto fedele”. Come lui, anche la senatrice Paola Nugnes insiste: “C’è la divisione dei poteri e c’è una funzione sancita dalla Costituzione e data alle Camere, questo è sacrosanto. Da Berlusconi a Renzi, ci si è abituati a un Parlamento come luogo di ‘spingibottoni’. Ma Grillo diceva che non sarebbe stato più così. Ora vogliamo una decisione assembleare“.

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Tap, il ministro Lezzi attacca la cronista del Fatto per un articolo sulle promesse fatte in campagna elettorale

Una ricostruzione de Ilfattoquotidiano.it di tutte le volte in cui il Movimento Cinque Stelle ha contestato il gasdotto Tap e assicurato che avrebbe fatto di tutto per fermarlo ha mandato su tutte le furie la ministra del Sud, Barbara Lezzi. In un lungo passaggio del video nel quale l’esponente pentastellata, eletta in Salento con percentuali altissime, risponde alle contestazioni subite nel suo collegio dopo il via libera all’infrastruttura, se la prende con la nostra collaboratrice Tiziana Colluto. Il ministro ammette, come riportato nell’articolo pubblicato venerdì 26 ottobre su ilfattoquotidiano.it, di sapere da prima delle elezioni che sarebbe stato difficile fermare la costruzione dell’opera. E si rivolge direttamente alla cronista: “Alla giornalista dico che quando si fa un’inchiesta la si fa in maniera completa. Il percorso di Tap parte molti anni fa (…) quando il 20 febbraio 2018 vado a Melendugno dico che sarebbe stato difficile e complicato fermare il Tap ed erano subentrati dei contratti. Sta sulla mia pagina, Tiziana Colluto…”.

In quell’occasione (annunciando la sua firma a un documento di impegno per bloccare Tap) Lezzi disse effettivamente che sarebbe stato difficile, spiegando che nel trattato non erano previste norme per l’uscita, ma non disse solo questo. E dal minuto 9.30 del video tirato in ballo dalla Lezzi che pubblichiamo qui sotto, prendendolo proprio dalla sua pagina facebook, si sentono queste frasi: “Io posso dirvi senza dubbio una cosa: appena il M5s andrà al governo denuncerà il trattato, perché così si fa. Avvierà un ciclo di arbitrati internazionali con tutti i Paesi che sono coinvolti perché se noi riuscissimo a convincere tutti i Paesi sarebbe molto più semplice. Altrimenti noi ci affideremo all’arbitrato internazionale”, spiegava tra un attacco al Pd e uno a Massimo D’Alema. E ancora: “Vedremo di quanto si parla, che costi ci sono (…) C’è anche un problema di credibilità internazionale (…) non sarà una cosa semplice. Una delle prime cose che faremo è iniziare a denunciare questo trattato internazionale. Perché così si fa. Una denuncia all’autorità internazionale che si vuole uscire da questo trattato. Dopodiché avvieremo tutta la diplomazia necessaria in modo tale da toglierci da questa gabbia (…) e inizieremo a cercare di spostare… chiederemo alle forze dell’ordine anziché di bloccare i manifestanti di fermare gli operai“.

A ilfattoquotidiano.it non risulta che questo iter e queste iniziative siano state portate avanti nei quattro mesi che separano la nascita del governo dall’annuncio di Giuseppe Conte sull’impossibilità a bloccare Tap. Ecco il video integrale di quel comizio e il comunicato sindacale dei cdr del Fatto Quotidiano e de Ilfattoquotidiano.it.

Dopo il video del ministro e il comunicato del comitato di redazione, anche Fnsi e Assostampa Puglia si schierano al fianco della collega. “Il ministro per il Sud Barbara Lezzi non ha trovato di meglio, nel giustificarsi con i propri elettori per il mancato blocco alla realizzazione del gasdotto Tap, che prendersela con i giornalisti. Nel video postato ieri sera sul suo profilo Facebook, Lezzi ha attaccato duramente la giornalista Tiziana Colluto, contestandole il lavoro, rigoroso e professionale fatto sinora nel raccontare tutta la vicenda del gasdotto”, si legge in una nota congiunta del sindacato dei giornalisti e dell’Assostampa.

“Quel video, contenente gravissime accuse nei confronti della giornalista che ha commesso l’unico errore di raccontare fedelmente tutta la vicenda Tap, senza sconti o riverenze nei confronti di alcuno, ha infatti suscitato decine di commenti, alcuni dei quali gravemente ingiuriosi e diffamatori nei confronti della collega in particolare e dei giornalisti in generale – continua il comunicato – È gravissimo che un ministro della Repubblica, cerchi maldestramente di non rispondere delle promesse da marinaio fatte ai cittadini in campagna elettorale, additando al pubblico ludibrio una giornalista ed esponendola a critiche violentissime da parte della sua clacque”. Fnsi e Assostampa concludono quindi: “Un fatto inaudito che merita la condanna non solo degli organismi preposti ma anche di tutte le persone che ritengono che una informazione rigorosa, puntuale e indipendente costituisca il fondamento essenziale di una democrazia fondata sul rispetto del diritto di cronaca e del diritto dei cittadini ad essere informati di ciò che accade nel loro territorio”.

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M5s, Di Maio: “Vili attacchi contro di noi, restiamo compatti come una testuggine romana. Chi attacca M5s attacca l’Italia”

I dubbi dell’Europa (e non solo) sulla manovra, la manina che inserisce condoni e scudi nel decreto fiscale, il Tap che s’ha da fare senza tante storie. Mentre il Movimento 5 stelle deve fare i conti con i malumori della base e i “vili attacchi” che provengono dall’esterno, Luigi Di Maio calca l’elmetto e scende in trincea, anche se solo dal punto di vista verbale, per difendere l’operato del governo.

“Siamo sotto attacco, è vero, ma siamo seduti dalla parte giusta della Storia e se avanzeremo insieme compatti anche la vittoria di questa battaglia sarà nostra – scrive il vicepremier e capo politico del M5s sul Blog delle Stelle – Ma dobbiamo essere compatti. Molto compatti. Fusi insieme. Come lo era la testuggine romana” che “veniva usata in particolare durante gli assedi. E’ bene infatti avere molto chiaro che dalla compattezza della testuggine del Movimento dipende non solo il futuro del governo, ma anche quello del nostro Paese”.

“Oggi nel nostro esercito alcuni stanno dando segni di cedimento e visto che tra di noi siamo in famiglia è bene che queste cose ce le diciamo. Questi cedimenti non ce li possiamo permettere. Non possiamo permetterceli come MoVimento 5 Stelle, non possiamo permetterceli come governo e soprattutto non possiamo permetterceli come Italia”, scrive il ministro del Lavoro. Che sottolinea: “Tutto quello che stiamo facendo rispetta i 20 punti che abbiamo presentato in campagna elettorale, quello che abbiamo votato su Rousseau e i nostri principi. Non permetterei mai che passasse qualcosa contrario ai nostri valori e mi sembra di averlo dimostrato perché appena ho visto la manina sul decreto fiscale, ho fatto il diavolo a quattro e abbiamo rifatto il consiglio dei ministri per sistemare le cose per come dovevano essere. Quindi non passerà mai nulla che vada contro i principi del MoVimento 5 Stelle. Qualcuno di noi però si sta prendendo a cuore alcune cose, alcuni dettagli che sollecitano una loro sensibilità individuale, non un nostro valore comune“.

“Ogni singolo problema va affrontato e anche le sensibilità di ognuno hanno un grande valore, ma mai al punto di mettere in discussione il supremo bene collettivo dei cittadini. Le decisioni nel M5S si prendono sempre a maggioranza e per questo devono essere accettate da tutti i singoli componenti. Non possiamo rischiare che reddito di cittadinanza, superamento della Fornero, eliminazione delle pensioni d’oro, investimenti per le imprese, riaffermazione della nostra sovranità come Paese vengano rimessi in discussione perché qualcuno decide di fare un passo indietro di testa sua. In quel caso se ne assumerà le responsabilità”, scrive.

“Vogliono dipingerci agli occhi degli italiani come gente che non rispetta le promesse e sminuendo, censurando o stravolgendo il senso di tutti i risultati raggiunti. Quando invece nel giro di quattro mesi e mezzo abbiamo portato a casa metà del programma elettorale votato da un terzo degli italiani. E scusate se è poco, anche se c’è ancora tanto tanto da fare prima di rendere questo Paese all’altezza dei nostri sogni. Questi vili attacchi da tutti i fronti esterni hanno varie conseguenze e state vedendo lo spread che si alza, i commissari Ue che sono uomini di partito che ogni giorno sparano contro l’Italia, le agenzie di rating che o abbassano il rating o parlano di ‘outlook negativo’ perché alla fine tutti sanno benissimo che i fondamentali dell’Italia sono solidissimi e che non abbiamo alcuna intenzione di uscire dall’euro”, sottolinea il vice premier.

“Questo attacco sconsiderato da parte di nostri concittadini capi di partito, direttori di giornali e burocrati, non sono solo contro il governo e contro il MoVimento 5 Stelle, ma contro tutta l’Italia. Anziché stare dalla parte del popolo che rialza la testa, hanno deciso di stare dalla parte delle élite“, sottolinea.

La questione che scotta di più, al momento, è quella del Tap, il gasdotto Trans-Adriatic Pipeline che porterà in Italia e in Europa gas naturale proveniente dall’area del Mar Caspio. “Il risarcimento” che lo Stato potrebbe dover pagare in caso di mancata costruzione “è anche più alto di 20 miliardi“, ha detto Di Maio a margine di un evento di Fs a Marcianise. “Noi ci siamo battuti contro quest’opera. Se fossimo andati al Governo nel 2013 quest’opera non si sarebbe fatta, ci siamo arrivati nel 2018 dopo che il Pd e i governi precedenti hanno fatto accordi internazionali e firmato accordi con il Tap e questo genera una serie di miliardi di euro da sborsare che oggi lo Stato italiano non si può permettere”.

“Quando abbiamo fatto il contratto di governo abbiamo detto che il Tap sarebbe rientrato in uno studio costi-benefici – ha proseguito il vicepremier – Abbiamo considerato che avremmo dovuto sborsare più di 20 miliardi che sono più di reddito cittadinanza e quota 100 messi insieme ed è logico che ai cittadini abbiamo dovuto dire la verità”. “Dire la verità ai cittadini non significa aver cambiato idea rispetto alla campagna elettorale – ha aggiunto Di Maio – Significa arrivare ai ministeri, studiare le carte, studiare gli accordi e fare tutte le proiezioni di rischio per le casse dello Stato. Quelli di prima hanno blindato questa opera che resta non strategica e che si poteva evitare”.

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Tap, a Melendugno bruciate le foto di ministri e politici M5s: “Devono dimettersi tutti. Le bugie sono troppo grosse”

Alcuni attivisti che partecipano alla manifestazione No Tap a San Foca di Melendugno (Lecce) hanno bruciato le proprie tessere elettorali e le foto che ritraevano i volti dei parlamentari del M5s eletti in Salento, compresa quella del ministro del Sud, Barbara Lezzi, e il simbolo del Movimento pentastellato.
Lo hanno fatto perché – hanno spiegato – si sentono traditi da coloro che aveva promesso in campagna elettorale che il gasdotto Tap sarebbe stato bloccato in due settimane, invece il governo Conte ha ora avallato la costruzione dell’opera.

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Tap, la sinistra ha la sua occasione per ripartire. E per parlare con i 5 stelle

di Giulio Scarantino

Il premier Conte annuncia che la Tap sarà costruita. Si sgretola così un’altra posizione (dopo l’Ilva) fortemente sostenuta dal M5s nell’ultima campagna elettorale. Per quanto potrà essere giustificata come scelta inevitabile dall’elettore medio del Movimento 5 stelle, agli occhi di un osservatore esterno tale circostanza può, invero, sussumere a un dato politico rilevante.

Con le ultime scelte, per dolo (intenzione) o colpa (mancata previsione), del Movimento si apre infatti uno squarcio in un pezzo della società, sempre più crescente, che vede nei temi sull’ambiente un interesse preminente. Una parte della società che fino ad ora ha visto nel Movimento un portatore di interessi affidabile (vedi i risultati vincenti nelle zone dell’Ilva , della Tap o della Tav).

Onore al merito per il Movimento di aver rappresentato detti interessi, ma non basta. Perché aver promesso la fine (“in soli quindici giorni”) della Tav per poi scoprire al governo dell’impossibilità per le “maxi-penali” di sicuro ne compromette la credibilità. Forse non è un caso che le suddette posizioni del M5s fossero le più controverse per la Lega, così che un compromesso di interessi potrebbe aver determinato qualche rinuncia.

Tap, Di Maio: "Va fatta, non ci sono alternative. In campagna elettorale non sapevamo ci fossero penali"
di Agenzia Vista
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di Agenzia Vista

Ebbene, questo non verrà mai ammesso dai grillini, ma ciò non deve certo portare a ostracizzare la prima forza politica in Parlamento. Può rappresentare invece un punto di svolta per l’opposizione, o meglio per una sinistra che cerca ancora la propria identità. L’onda ecologista infatti ha travolto l’Europa (vedi le ultime elezioni in Germania, con il successo dei Verdi) con temi afferenti alla tutela dell’ambiente e non solo (scuola, pensioni, lavoro).

Potrebbe questa calamità giungere adesso in Italia? La premessa è sicuramente che quest’onda non potrà essere cavalcata da chi (ancor più colpevole del M5s) oggi ridicolizza il governo, ma ieri – sebbene si proclamasse sinistra – pontificava viadotti e trivelle. Serve una sinistra diversa, che abbia il coraggio di perseguire interessi anche al momento impopolari come l’ecologia.

A ben vedere, per quanto l’onda dei Verdi sia arrivata nei Paesi più ricchi – come se, in virtù di una regola ontologica dell’umano, per guardare oltre il proprio naso, serva avere intanto le tasche piene – diversi segnali sembrano mostrare un latente (forse inconsapevole) interesse dell’italiano. Un esempio fra tutti è il più volte rifiuto al nucleare (che ha avuto grande successo al referendum del 2011), che ci contraddistingue in Europa.

Così come, le ultime battaglie come No Tav o No Tap che mostrano, ormai sporadici, episodi di partecipazione attiva. E, perché no, anche quel famoso “Ciaone” a margine del mancato quorum per il referendum che aveva unito persone sulle concessioni sine die alle trivelle e che ha determinato l’inizio del declino inarrestabile di quel centrosinistra.

Allora perché non ricominciare proprio da lì? Chissà magari sarebbe il pretesto per una sinistra in grado di dialogare con il Movimento 5 stelle.

Il blog Utente Sostenitore ospita i post scritti dai lettori che hanno deciso di contribuire alla crescita de ilfattoquotidiano.it, sottoscrivendo l’abbonamento Sostenitore e diventando membri del Fatto social club. Tra i post inviati Peter Gomez e la redazione selezioneranno quelli ritenuti più interessanti. Questo blog nasce da un’idea dei lettori, continuate a renderlo il vostro spazio. Se vuoi partecipare sottoscrivi un abbonamento volontario. Potrai così anche seguire in diretta streaming la riunione di redazione, mandandoci in tempo reale suggerimenti, notizie e idee, sceglierai le inchieste che verranno realizzate dai nostri giornalisti e avrai accesso all’intero archivio cartaceo.

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No Tap, bruciano le bandiere del M5S. Anche le schede elettorali vanno al rogo: ‘Questa terra non in vendita, dimettetevi’

Bruciano le bandiere M5S, dentro un bidone. E pure le foto di esponenti di spicco del M5S, compresa quella del ministro per il Sud, Barbara Lezzi. “Questa terra non è in vendita, dimettetevi“. Sfidando il vento, i manifestanti No Tap si sono radunati a San Foca di Melendugno per il sit-in contro la realizzazione del gasdotto che porterà il gas in Italia dall’Azerbaigian. E protestano anche contro il Movimento 5 Stelle, che le promesse per bloccare il cantiere le ha tradite.
Tornano a strappare le schede elettorali, ma bruciano anche il manifesto con i volti dei parlamentari di cui chiedono le dimissioni, e anche una bandiera del Movimento 5 Stelle.

Tap, a Melendugno bruciate le foto di ministri e politici M5s: "Devono dimettersi tutti. Le bugie sono troppo grosse"
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L’incontro è cominciato in ritardo a causa di un violento acquazzone abbattutosi alle 10 circa su San Foca e si svolge davanti alla Torre della marina di Melendugno, luogo simbolo delle battaglie dei No Tap. Ora che ha smesso di piovere, i manifestanti stanno arrivando alla spicciolata. Al momento é presente un centinaio di persone, ma altre stanno arrivando. Ci sono donne, uomini, anziani e bambini. Pochi minuti fa ha preso la parola il leader del movimento No Tap, Gianluca Maggiore, che al microfono é tornato a chiedere le dimissioni dei portavoce pentastellati eletti in Salento. La manifestazione è presidiata, ma senza grandi dispiegamenti di forze, da carabinieri, vigili urbani e personale della Digos.

I vertici M5S cercano di placare lo scontro contenere la rivolta della base pentastellata. Luigi Di Maio assicura “non moll0, gli italiani sono con me”. Del resto sul capo politico del M5S nonché ministro dello Sviluppo Economico, impegnato in un tour un Sicilia, piovono le accuse, cui il vicepremier risponde: “Le carte un ministro le legge solo quando diventa tale, e a noi del M5S non hanno mai fatto leggere niente”. Una posizione che confligge con quelle dei parlamentari che ieri sosteneva il contrario, ovvero che le carte erano disponibili e che dimostravano chiaramente che mancando un contratto con lo Stato, non  ci sono penali di sorta.

Gli risponde ai microfoni di RaiNews il sindaco di Meledugno, Marco Potti: “Per bloccare Tap basta la volontà politica e far prevalere le volontà del territorio. Il contratto non esiste e ce lo ha detto lo stesso ministero dello Sviuluppo di Di Maio”. Che poi infierisce sulla competizione interna al M5S tra ala moderata e quella più barricadera, nonché sulla debolezza che la componente gialla del governo dimostra su vari fronti, dalla “pace fiscale” ai condoni per Ischia e fino decreto sicurezza. “Il rapporto tra il cittadino elettore e i propri politici eletti del M5S si è incrinato in modo incredibile. Di Battista in campagna elettorale era in questa piazza e su questa panchina diceva che avrebbe chiuso Tap in quindici giorni. Ma ci vuole coraggio in politica, e non tutti lo hanno”. “Salvini – dice – per mantenere le promesse fatte ai suoi elettori se ne frega e porta avanti le sue idee, con cui non sono d’accordo, anche quando ci sono delle vite umane a rischio. La parte gialla del governo, invece, sta perdendo tutto quello che ha guadagnato in sei anni di battaglia con i cittadini”.

La versione ufficiale del M5S però no cambia. “Abbiamo portato avanti un’istruttoria, fatto l’analisi costi-benefici ed esaminato tutti i documenti ma l’opera è stata blindata ad arte dai partiti che hanno sottoscritto gli accordi”. Lo afferma in un’intervista al Corriere della Sera il ministro per i Rapporti con il Parlamento e la Democrazia Diretta, Riccardo Fraccaro, che precisa: “Gli altri con quei 20 miliardi si sono assicurati che venisse realizzata anche con la loro sconfitta: è il lascito della vecchia politica. Noi daremo la massima attenzione alle comunità locali”.

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Roma, Politi (Lega): “Raggi? Attendiamo sentenza, ma si dimetta per disastri. Sua giunta più marxista del Pd”

Manifestazione contro Virginia Raggi a Roma? Eravamo in piazza anche noi della Lega a protestare contro una delle peggiori amministrazioni di Roma”. Sono le parole pronunciate ai microfoni de “L’Italia s’è desta” (Radio Cusano Campus) da Maurizio Politi, ex Fratelli d’Italia e attualmente capogruppo della Lega in Assemblea Capitolina.
“E’ vero che tanti problemi sono stati ereditati dalle giunte precedenti” – spiega – “ma Atac sta andando allo sbaraglio, su Ama ci sono problemi di bilancio, per quanto riguarda la manutenzione stradale la situazione è sotto gli occhi di tutti. Oggi siamo completamente fermi e tutto sotto un’unica ideologia: la legalità per la legalità. I 5 Stelle hanno promesso legalità, ma hanno portato solo immobilismo. Quello che fa sorridere della Raggi e del M5s è che sono due anni che assistiamo a questo confronto, anche in Aula, tra il Pd e i 5 Stelle su chi è più di sinistra, quando siamo di fronte a un vero disastro sia del Pd, sia del M5s”.

E aggiunge: “Stiamo parlando di una delle amministrazioni più marxiste, anche del Pd. Stanno facendo una sfida a sinistra, che sta solo uccidendo la città. Per la prima volta a Roma, dopo 20 anni, hanno tolto la libertà ai genitori di scegliere l’asilo nido per i figli, ora è il Comune che dice dove devi portare tuo figlio all’asilo. A San Lorenzo” – prosegue – “Roberto Fico se n’è uscito dicendo che serve più amore, la Raggi vieta gli alcolici. A San Lorenzo c’è da andare con la mano pesante, ma molto molto pesante, cacciando via non solo i clandestini ma anche tanti italiani organizzati dei centri sociali, che hanno ridotto il quartiere una defecazione a cielo aperto. Quei luoghi vanno abbattuti e le persone che li difendono vanno imputate e messe in carcere”.

Politi poi annuncia: “Troveremo un nostro candidato sindaco, ci stiamo lavorando. Saltamartini? Potrebbe essere, ma a oggi non c’è nessun nome. E’ una questione che si vedrà quando sarà il momento. Siamo in attesa della sentenza sul sindaco Raggi, che per statuto del M5s in caso di condanna dovrebbe dimettersi. Aspettiamo il 10 novembre. Io non credo che debba dimettersi per questioni giudiziarie, ma per i disastri a cui ha ridotto Roma. La sentenza è irrilevante. Questo è un sindaco che sta devastando la città”.
E ribadisce: “Mi ha fatto davvero sorridere il fatto che la Raggi abbia vietato il consumo di alcolici dalle 21.00 al quartiere di San Lorenzo. Farebbe sorridere, purtroppo, se non fosse drammatico. Mandiamo, invece, la nostra polizia locale, che è anche armata, per controllare quei quartieri ormai fuori controllo, avallati per tanti anni dalla sinistra al governo”.

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Tap, tre parlamentari M5s invocano passo indietro. I No Tap chiedono le dimissioni. Di Maio: “Ci sono penali da 20 miliardi”

“Anche Conte sbaglia. Sul Tap non ci possono essere penali”. Parola di tre esponenti del M5s che, spinti anche dalla reazione furibonda dei No Tap, tentano la fronda parlamentare o almeno di mettere a verbale la richiesta al governo di un passo indietro, dopo la decisione di proseguire con l’opera per evitare la soccombenza a pesanti penali. Nelle stesse ore, infatti, il Movimento No Tap denuncia tutto il proprio “sdegno” per la decisione del governo e chiede le dimissioni di tutti gli eletti M5s in Puglia, a partire dai due firmatari dell’appello a Conte per il passo indietro. Nel mirino anche il ministro per il Sud Barbara Lezzi. Alla contestazione replica Luigi Di Maio: “Da ministro dello Sviluppo economico ho studiato le carte per tre mesi. Vi posso assicurare che non è semplice dover dire che ci sono delle penali per quasi 20 miliardi di euro. Ma così è, altrimenti avremmo agito diversamente”.

Insomma, l’inversione a U dell’esecutivo apre una nuova crepa tra i Cinque Stelle, dopo quelle sull’Ilva, sulla manovra e sul decreto sicurezza. E già avanza la protesta, con una mobilitazione da domani contro ” chi ha speculato per un pugno di voti, gridando falsità” alla Torre di San Foca, nel punto in cui approderà il terminale del metanodotto.

A farsi avanti, su fronte più istituzionale, sono due senatori eletti in Puglia, Lello Ciampolillo e Saverio De Bonis, sostenuti nel loro appello dalla deputata veneta Sara Cunia. In una nota a tre firme chiedono di invertire la rotta sostenendo che non c’è alcun prezzo da pagare che costringa l’esecutivo giallo-verde a realizzare l’infrastruttura. “Non ci possono essere penali – si legge nella nota – semplicemente perché non esiste alcun contratto tra Stato e TAP. Non ci possono nemmeno essere costi a carico dello Stato, semplicemente perché, non essendovi ad oggi il rispetto delle prescrizioni da parte di TAP, non vi può essere responsabilità dello Stato. Continuiamo ad avere fiducia nella magistratura”.

La realizzazione della Tap “non è che è più conveniente farla, è che non ci sono alternative“, alla luce del fatto che “ci sono penali per quasi venti miliardi di euro”, risponde Di Maio. Il vicepremier sottolinea anche che, prima di diventare ministro, “al M5s non hanno mai fatto leggere alcunché”. “E quando quelli che sono andati a braccetto con le peggiori lobby di questo Paese parlavano di Tap, l’unica cosa che ci dicevano – aggiunge – è che eravamo nemici del progresso“. “Non ci hanno mai detto che c’erano penali da pagare”, presegue Di Maio. Che poi, rispondendo alle domanda dei giornalisti a Scordia, nel Catanese, prova a recuperare sull’Alta Velocità: “Da sempre noi siamo contrari alla Tav, e soprattutto è nel contratto di governo. Credo che in questo momento nessuno del governo a Roma abbia intenzione di foraggiare quell’opera”.

Di sicuro, sull’uscita dei tre esponenti M5s agisce la reazione che arriva dal territorio. Dopo l’ufficialità del via libera ai lavori, i No Tap hanno avviato sui social una campagna per far dimettere tutti gli esponenti del M5S eletti in Salento grazie ai voti del movimento (“Se avete le palle come le stelle, dimettetevi”, si legge nel post). I volti dei destinatari della campagna, tra cui figura anche il premier Conte, vengono raffigurati al centro di due loghi, il primo recante la scritta “No Tap, né qui né altrove”, il secondo “Sì Tap, sia qui che altrove”. Gli attivisti accusano di tradimento gli eletti grillini che, affermano, dopo aver fatto della battaglia contro il gasdotto il tema “madre” delle rispettive campagne elettorali, ora hanno cambiato idea.

Nel pomeriggio a Melendugno è prevista un’assemblea pubblica degli attivisti mentre domattina davanti alla Torre di San Foca, ci sarà una manifestazione di protesta indetta dal movimento. I No Tap hanno invitato a partecipare anche il ministro per il Sud, Barbara Lezzi, chiamata a portare la documentazione che attesta l’esistenza delle penali da pagare nel caso in cui il gasdotto venisse bloccato dal Governo. “Chiederemo davanti ad un luogo simbolo della nostra lotta – dice Gianluca Maggiore leader No Tap – le dimissioni di chi, davanti a quella Torre, ha speculato per un pugno di voti, gridando falsità”. Domani primo atto della mobilitazione. Alle ore 10:00 a San Foca, presso Lungomare Matteotti, manifestazione contro il Governo.

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NoTap, il videomessaggio degli attivisti a Lezzi e M5s: “Chiediamo scatto d’orgoglio ai vertici, sennò dimissioni”

Il Movimento No Tap, per bocca del suo portavoce, Gianluca Maggiore, ha chiesto attraverso un videomessaggio pubblicato su Facebook “uno scatto d’orgoglio ai vertici del movimento” sulla vicenda della realizzazione del gasdotto. “Vogliamo vedere i documenti, vogliamo vedere se queste penali esistono davvero”. Proprio ieri il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, aveva scritto ai sindaci pugliesi che l’opera si deve fare.

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Parlamento Ue si tiene le pensioni (privilegiate). Pd si spacca, sei votano con M5S e Lega: “I politici paghino contributi”

Quando in Senato è arrivato il taglio dei vitalizi, i parlamentari del Pd sono usciti dall’aula senza votarlo, diversamente dai colleghi deputati. Un copione simile, ma senza il lieto fine, si è verificato mercoledì a Bruxelles sul voto per cancellare le pensioni privilegiate degli eurodeputati: un assegno da 1484,70 euro (il doppio, in caso di secondo mandato) che percepiscono al compimento dei 63 anni per il quale non hanno mai versato un contributo, scaricando così sui contribuenti il peso di 20 milioni di euro. Tanto  costerà nel 2019 l’assegno agli “ex” eletti al Parlamento (13.797.000) e membri della Commissione (4.238.000). L’emendamento, manco a dirlo, non passa. Votano a favore in 125, 77 si astengono e ben 457 votano contro. Per uno favorevole, due sono contrari.

Gli esponenti del PD sono rimasti in aula, hanno votato e si sono divisi: sei componenti su 19 – forse guardando alle elezioni di maggio – hanno sostenuto insieme alla Lega l’emendamento al bilancio presentato dai Cinque Stelle per modificare lo statuto e allineare i diritti pensionistici degli eletti ai regimi previdenziali dei normali cittadini degli Stati membri, sia per il calcolo dell’ammontare che per i requisiti anagrafici e contributivi che danno diritto all’assegno. Di fatto, solo l’ultimo di una serie di tentativi inaugurati nel 2014, che contemplano anche una proposta di risoluzione e una lettera-appello al presidente Tajani (rimasta senza risposta). Anche questo, come detto, è andato a vuoto.

Guardando lo statino del voto si nota però un barlume. Oltre ai delegati M5S (Adinolfi, Agea, Corrao, Castaldo, Evi, Pedicini Ferrara, Valli, Zullo, Beghin, D’Amato) anche sei esponenti del gruppo Socialisti Democratici votano a favore della revisione del privilegio insieme a Lega e Cinque Stelle, e sono: Benifei, Bettini, Bonafé, Cofferati, Fernandino e Sclein. Di fatto, una parte del Pd italiano in Europa, seppur minoritaria, si dissocia dalla linea dei colleghi europei e romani, linea che – evidentemente – non paga e crea divisioni interne. Arriva anche il “sì” della Sinistra Unitaria Europea (Gue) con Barbara Spinelli ed Eleonora Forenza.

Ma non basta. Del resto nella stessa delegazione italiana i contrari sono più del doppio dei favorevoli (45 contro 26), con in testa proprio i 19 di Sinistra democratica (Bresso, Briano, Caputo, Chinnici, Costa, Cozzolino, Danti, De Castro, De Monte, Gentile, Giuffrida, Morgano, Mosca, Panzeri, Paolucci, Picierno, Sassoli, Viotti, Zanonato), i 12 “no” di Forza Italia e centristi nel PPE (Cesa, Cicu, Cirio, Comi, Dorfmann, Gardini, La Via, Leontini, Martusciello, Matera, Patriciello, Salini), quindi il niet dei Consiervatori e Riformisti Fitto e Sernagiotto. Ci sono due astenuti; Affronte dei Verdi e Gualitieri di S&d.

La piccola crepa a sinistra infonde però coraggio ai proponenti. “In 19 Parlamenti nazionali degli Stati membri dell’UE non esistono vitalizi e pensioni privilegiati, il Parlamento europeo purtroppo è una eccezione e, votando contro i nostri emendamenti, salva privilegi indifendibili” commenta la delegazione del M5S al Parlamento Europeo. “Noi non ci arrendiamo. La nostra è una battaglia di giustizia ed equità sociale. I politici devono pagare i contributi come tutti gli altri cittadini e percepire una pensione proporzionale a quanto versato”.

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M5s, le ‘manine’ sono l’ultima frontiera della propaganda grillina

L’Italia sta vivendo sulla propria pelle un pericoloso esperimento socio-politico, ampiamente criticato dagli economisti e politologi italiani e stranieri. Al momento non è dato sapere come andrà a finire – anche se lo spread e la crescita del debito pubblico non promettono nulla di buono-, però il governo gode di un consenso popolare notevole e addirittura in crescita.

Il successo della Lega coincide in gran parte con il crollo dei suoi tradizionali alleati: in larga misura un riequilibrio di voti interno alla destra. La tenuta del M5s è invece più sorprendente visto che le azioni di governo spesso tradiscono promesse precedenti: ad esempio Di Maio aveva garantito non solo coperture accertate per il reddito di cittadinanza ma addirittura uno spettacolare calo del debito pubblico, oltre alla chiusura dell’Ilva e al blocco del Tap. Ma il M5s cresce grazie a una serie di straordinarie trovate propagandistiche che costituiscono la novità più interessante della politica italiana recente.

Il M5s è nato da una intuizione di Gianroberto Casaleggio, che ha reclutato come front man un attore consumato e famoso come Beppe Grillo e ne ha potenziato il messaggio facendolo rimbalzare tra il blog e una serie di siti associati, come la Fucina e Tze-Tze. A questo Casaleggio ha fatto aggiungere i siti dei Meet Up, sui quali chiunque poteva scrivere le sue proposte e crederle poi parte integrante del programma del neonato Movimento.

In pratica un modo ingegnoso per riproporre alla gente i propri pregiudizi e preconcetti, sfruttando la natura interattiva del mezzo di comunicazione scelto. Mentre Bossi e Berlusconi dovevano raccogliere i pregiudizi del propri simpatizzanti e armonizzarli in un messaggio vagamente coerente da trasmettere con mezzi non interattivi, quali comizi e tv, a Casaleggio bastava permettere alla gente di scriverseli da sola sui siti web messi a disposizione.

Italia 5 Stelle, Di Battista: "Torno a Natale, ho fatto il biglietto. Luigi? Ha fatto bene a incazzarsi, viva la faccia"
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Da questa raccolta di idee sparse e mal digerite non poteva nascere un programma di governo coerente e realizzabile in modo non distruttivo per il Paese e tutti gli esperti, politici, giuristi ed economisti, lo hanno denunciato fin dal principio. La risposta del duo Grillo-Casaleggio rivela una capacità strategica notevole: anziché contrapporsi agli esperti li hanno delegittimati. Beppe Grillo era ed è da tempo impegnato in una campagna denigratoria senza precedenti, che prende a bersaglio le personalità più eminenti della cultura del paese: dal premio Nobel Rita Levi Montalcini a Umberto Veronesi. Ovviamente la guerra contro la cultura del Paese ha provocato qualche ferita: Beppe Grillo ha raccolto varie condanne per il reato di diffamazione. Non si può fare la frittata senza rompere le uova. Anche in questo caso la comunicazione M5s solletica i preconcetti degli elettori: almeno di quelli che senza nessuna preparazione godono nel sentirsi “più bravi” degli esperti.

Alla denigrazione degli esperti si associa quella degli avversari politici, prima di tutto il Pd cui è più facile sottrarre quote di elettorato sfruttando le tematiche pseudo-intellettuali di Beppe Grillo, che a destra hanno minore presa. Di qui l’altra grande componente della strategia propagandistica M5S: “e allora il Pd?” ripetuto come un mantra, citando puntigliosamente tutte le porcherie fatte dal Pd (che non sono poche) e ignorandone i meriti (che pure esistono: lo spread con Gentiloni era un terzo di quello attuale). La propaganda M5S è scesa quindi dall’orgogliosa rivendicazione della propria diversità al più bieco menopeggismo e recita: qualunque cosa faccia il M5s gli altri (il Pd) sono peggiori; peggio di loro non si può fare. Promessa avventata perché al peggio non c’è limite.

Con la vicenda delle “manine” che cambiano i documenti scritti da Di Maio e l’appassionata difesa di Di Battista dall’estero, si scende un altro gradino nella qualità della propaganda e si approda al “menopeggismo teorico”. Il M5s non è più il partito che fa meno peggio degli altri: è il partito che fa meno peggio di quello che gli altri avrebbero fatto se ne avessero avuto la possibilità. L’identità degli altri resta nel vago: leghisti? Tecnici dei ministeri messi lì dal Pd? O da Berlusconi? Secondo Salvini non c’erano altri: lui, Conte e Di Maio. Cercherà il Movimento di individuare i proprietari delle manine o la pace ritrovata sana l’attentato alla democrazia con tarallucci e vino?

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Dl Genova, sanatoria per Ischia resta ma si restringe. Legambiente: “Soldi pubblici negati solo per gli aumenti di cubatura”

La sanatoria per le abitazioni di Ischia resta, ma si restringe. Con un emendamento al decreto Emergenze presentato dai relatori Gianluca Rospi (M5s) e Flavio Di Muro (Lega), la maggioranza – denuncia Legambiente – ha mantenuto gli aiuti di Stato per la ricostruzione anche per le abitazioni abusive danneggiate dal terremoto del 2017 escludendo però quelle che hanno subito aumenti di cubatura. In quest’ultimo caso, sostiene l’associazione ambientalista, le case saranno comunque sanabili ma non potranno accedere ai fondi. Le procedure, è stabilito nella modifica introdotta in commissione Ambiente e Trasporti, dovranno essere chiuse entro 6 mesi ai sensi del condono edilizio del 2003. Inoltre non sarà concessa nessuna sanatoria nel caso in cui il proprietario risulti condannato con sentenza definitiva per i reati di associazione di tipo mafioso, riciclaggio o impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita.

“Nonostante le parole rassicuranti del vicepremier Luigi Di Maio, secondo il quale nel decreto Genova non c’è nessuna sanatoria per Ischia, il condono edilizio esiste”, attacca il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani. “Basta leggere l’articolo 25 – aggiunge – dove si prevede una sanatoria tombale per l’isola campana secondo la quale si devono concludere i procedimenti ancora pendenti per gli immobili distrutti o danneggiati dal sisma del 2017, facendo riferimento alle sole disposizioni del primo condono, ossia la legge 47/1985 approvato dal governo Craxi“. La norma, spiega l’associazione ambientalista, consentirebbe di sanare edifici “che perfino i due condoni approvati successivamente dai governi Berlusconi nel 1994 e 2003 vietavano, proprio perché posti in aree pericolose da un punto di vista idrogeologico e sismico, oltre che vincolate paesaggisticamente”.

Con l’emendamento presentato dalla maggioranza, secondo il relatore pentastellato Rospi, si va “incontro alla necessità di sbloccare la ricostruzione delle abitazioni colpite dal terremoto dell’agosto 2017, ma senza fare alcun passo indietro sulla tutela dell’ambiente, del paesaggio e della legalità”. A Ischia “ci sono circa mille edifici danneggiati che aspettano una risposta sulla richiesta di sanatoria che risale al 2003, con il condono fatto dal governo Berlusconi, non certo da noi che siamo stati e continueremo ad essere contrari ai condoni, edilizi e fiscali”. I soldi per la ricostruzione “andranno soltanto a coloro i quali avranno l’ok delle amministrazioni comunali alla sanatoria: noi abbiamo semplicemente stabilito che questo via libera debba arrivare entro sei mesi e ora aggiungiamo nuove tutele per evitare ogni scappatoia”, conclude il deputato M5S.

Ma l’emendamento, secondo Legambiente, è un “imbroglio” perché “non modifica il testo ma aggiunge un passaggio, il nulla osta paesaggistico, già previsto e obbligatorio nella normativa del 1985, e conferma anche i contributi pubblici per gli edifici abusivi, escludendoli solo per gli aumenti di cubatura“. Per il sottosegretario ai Trasporti, Edoardo Rixi, si tratta “assolutamente di un accordo di buon senso” dopo le polemiche della Lega che aveva alzato le barricate su Ischia in seguito alla “manina” che secondo Luigi Di Maio aveva modificato il dl fiscale. “Su Ischia resta una situazione più particolare che altrove, ma rispetto all’inizio ci sono stati chiarimenti – ha spiegato l’esponente del Carroccio – Abbiamo mediato con la situazione del centro-Italia perché lì erano vietate anche le minime modifiche, il che creava una disparità di trattamento troppo grande”.

Al vicepremier Di Maio e ai parlamentari M5s, Legambiente chiede di “modificare il provvedimento cancellando questa norma salva abusi, perché se per la Lega non sarebbe una novità, visto che ne ha già approvati due nelle scorse legislature, lo troveremmo quanto meno imbarazzante per il Movimento 5 Stelle, arrivato in pochi anni al governo del Paese urlando nelle piazze di tutta Italia lo slogan ‘onestà, onestà’“.

Per Rossella Muroni, deputata di Leu ed ex presidente di Legambiente, si tratta di uno “scambio di favori nella maggioranza giallo-verde” con la Lega che “ottiene il condono fiscale e con il decreto Urgenze i Cinque Stelle ottengono la sanatoria edilizia per Ischia tanto cara al vicepremier Di Maio”. L’intesa, continua Muroni, ha “il sapore del colpo di mano, fatta passare in un blitz notturno con un emendamento dei relatori leggermente migliorativo rispetto all’art. 25 depositato alle 22 di ieri e grazie al quale sono stati bypassati sia gli emendamenti di LeU a mia prima firma per correggere il condono, che quelli analoghi delle altre opposizioni”. All’attacco anche il Partito Democratico. “Perché Di Maio insiste?”, si chiede l’ex segretario Matteo Renzi. Mentre il presidente del Pd Napoli, Tommaso Ederocliteha pubblicato un video di un comizio di Maio del 23 agosto 2017: “Cercate una mia proposta di legge di condono che riguarda Ischia o qualche altra Regione: se la trovate mi iscrivo al Pd“, diceva ai militanti l’allora deputato M5s. “Ti aspettiamo in federazione”, ironizza ora l’esponente dem campano.

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