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lunedì 31 agosto 2020

Regionali Puglia, Emiliano agli elettori M5s: “Voto disgiunto per non indebolire il governo. Dialogo aperto sulle cose da fare insieme”

Un appello diretto, senza l’uso di mezzi termini: “Gli elettori del M5s sanno che possono tranquillamente votare me come presidente e il M5s come partito, attraverso il voto disgiunto. Questa è l’unica strada per non indebolire il governo e salvare la Puglia”. A venti giorni dalle Regionali, Michele Emiliano chiede supporto ai suoi potenziali elettori che votano Cinque Stelle seguendo la strada aperta in Emilia-Romagna da Stefano Bonaccini che, proprio come il governatore pugliese uscente, ricevette un “no” dalla struttura territoriale pentastellata e si rivolse direttamente ai suoi elettori per vincere la corsa alla presidenza. Suggerimento arrivato nei giorni scorsi, anche per le Marche, dal segretario del Pd Nicola Zingaretti.

“Il dialogo con il Movimento 5 stelle resta aperto, prima e dopo il voto, sulle cose da fare insieme, su come migliorarci a vicenda, su come generare cambiamento positivo. Ringrazio Conte e Di Maio per aver avviato questo percorso politico”, dice Emiliano in un’intervista a La Gazzetta del Mezzogiorno ricordando la spinta per l’alleanza data dal premier e dal ministro degli Esteri, ma non concretizzatasi per l’opposizione dei Cinque Stelle pugliesi, in primis dalla ri-candidata governatrice Antonella Laricchia fino all’ex ministra Barbara Lezzi.

E le argomentazioni di Emiliano, già indebolito nella corsa a due contro Raffaele Fitto a causa dello strappo di Italia Viva e Azione, seguono in parte quelle espresse dal presidente del Consiglio in un’intervista a Il Fatto Quotidiano: è fondamentale, spiega il candidato del centrosinistra sostenuto da 15 liste, la convergenza dei programmi sull’ex Ilva di Taranto. “Come priorità porterò avanti la battaglia per la decarbonizzazione dell’ex Ilva di Taranto, un punto programmatico che finalmente unisce Regione Puglia, governo con le sue principali forze, Pd e Movimento 5 stelle”, assicura.

Invece i renziani, attacca, “stanno facendo di tutto per far vincere Fitto perché Fitto, come Renzi, è per il ciclo integrato a carbone dell’Ilva”. Sono uniti, sostiene Emiliano, dall’essere “vicini alle lobby del carbone” e “lavorano in questa direzione”. La “antipatia personale”, aggiunge, è “un corollario”: “Il problema per loro, per Calenda e gli altri, è che abbiamo spostato tutto il governo nella missione della decarbonizzazione, intervenendo in una battaglia epocale per l’Europa”, ovvero la trasformazione dell’acciaieria attraverso il Green New Deal. Guardandosi alle spalle, Emiliano ammette che l’errore più grande della legislatura “è stata la scelta dell’assessore all’Agricoltura che è anche la cosa che più mi ha amareggiato. Per fortuna oggi è candidato con Fitto”, conclude riferendosi al consigliere regionale uscente Leonardo Di Gioia, che corre per la rielezione a consigliere nella lista civica a sostegno dell’ex governatore ricandidato dal centrodestra.

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sabato 29 agosto 2020

Pd e Cinque stelle: lasciamo da parte gli slogan. E guardiamo alle scelte concrete sull’ambiente

Si parla e si scrive molto di una alleanza permanente Pd-Cinque stelle. Si tratta di due forze politiche profondamente diverse come moralità, formazione, strutture e, soprattutto, contenuti. A questo proposito, tuttavia, vale la pena di sottolineare che entrambe indicano, tra gli obiettivi fondamentali, quello di uno “sviluppo sostenibile”, rispettoso della tutela dell’uomo e dell’ambiente, cui viene associato, spesso, un richiamo alla “economia circolare”, che dovrebbe risolvere alla radice il problema dei rifiuti.

Purtroppo, ci si ferma qui. Perché manca, poi, qualsiasi indicazione di scelte concrete, anche se solo di tendenza, atte a raggiungere realmente questi obiettivi. Anzi, si parla contemporaneamente di favorire al più presto la “crescita” intesa, ovviamente, in senso puramente quantitativo, dimenticando che le risorse naturali sono già al limite dell’esaurimento.

Come giustamente ci ricorda la Enciclica Laudato si, non basta conciliare, in una via di mezzo, la cura per la natura con la rendita finanziaria, o la conservazione dell’ambiente con il progresso. Su questo tema le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro. Semplicemente si tratta di ridefinire il progresso. Uno sviluppo tecnologico ed economico che non lascia un mondo migliore e una qualità di vita integralmente superiore, non può considerarsi progresso.

D’altra parte, molte volte la qualità reale della vita delle persone diminuisce – per il deteriorarsi dell’ambiente, la bassa qualità dei prodotti alimentari o l’esaurimento di alcune risorse – nel contesto di una crescita dell’economia. In questo quadro, il discorso della crescita sostenibile diventa spesso un diversivo e un mezzo di giustificazione che assorbe valori del discorso ecologista all’interno della logica della finanza e della tecnocrazia, e la responsabilità sociale e ambientale delle imprese si riduce per lo più a una serie di azioni di marketing e di immagine.

Ma, se con queste premesse andiamo a vedere le scelte politiche del Pd di questi ultimi anni, appare evidente che siamo addirittura ben al di sotto anche di questo contesto già insufficiente. Con un picco vergognoso in epoca renziana. E’ stato il Pd a volere, ad esempio, nel 2014, l’addolcimento delle sanzioni (del D. Lgs 152/06) connesse a violazioni commesse dalle attività più inquinanti, cioè quelle soggette ad Aia (Autorizzazione Integrata ambientale); aggiungendo che si possono prevedere, per scarichi in mare, “valori limite di emissione anche più elevati e proporzionati ai livelli di produzione”.

E come dimenticare la vergogna della legge “Sbloccaitalia” che ha dato il via libera a trivellazioni con la distruttiva tecnica dell’air gun e alla cementificazione del territorio, programmando di riempire il paese di inceneritori (chiamati termovalorizzatori) definiti come “insediamenti strategici di preminente interesse nazionale ai fini della tutela della salute e dell’ambiente”, e, come tali, sottratti al normale iter autorizzativo? Per non parlare dell’altra vergogna sull’Ilva di Taranto con un assurdo scudo penale per gli amministratori-inquinatori. E l’elenco potrebbe continuare a lungo.

Ben diverso è stato il comportamento dei Cinque stelle che, nel complesso (ma con numerosi distinguo) sono nati come movimento sensibile ai temi dell’ambiente ma, dopo essere andati al governo, pare che se ne siano dimenticati, accettando spesso compromessi indifendibili, come è avvenuto, ad esempio, nella legalizzazione dell’uso, in agricoltura, di fanghi di depurazione con sostanze tossiche.

Particolarmente emblematico, a questo proposito, è quanto avvenuto in epoca Covid quando, con la scusa della pandemia, Pd e Cinque stelle, con l’avallo del Ministero dell’ambiente, hanno votato un emendamento che ha direttamente modificato la legge ambientale esistente per aumentare in via definitiva, – cioè per sempre, a prescindere dalla Covid-, i limiti quantitativi e temporali fissati per il deposito temporaneo di rifiuti; il deposito cioè dei rifiuti presso il luogo di produzione per il tempo strettamente necessario all’avvio a smaltimento o recupero.

Per cui, oggi, un’azienda può tenere in deposito fino a 60 metri cubi di rifiuti, di cui 20 pericolosi, senza autorizzazione, senza darne conto a nessuno e, praticamente, senza controlli (anche e soprattutto sulle quantità), addirittura per un anno e mezzo. Senza rischiare niente se poi, in questi 18 mesi, i rifiuti scompaiono e, magari, finiscono illecitamente in qualche capannone, in qualche discarica abusiva, nella terra dei fuochi, in terreni destinati all’agricoltura o in qualche rogo. Chiaro esempio di economia circolare “all’italiana”.

E allora, se vogliamo tornare alla questione base dell’alleanza Pd- Cinque stelle, a me sembra che il dibattito dovrebbe finalmente orientarsi su scelte e temi concreti, lasciando da parte slogan più o meno suggestivi e andando al nocciolo del problema e cioè al tipo di sviluppo che si vuole programmare, dicendo con chiarezza e con precisione quali attività economiche, culturali e produttive vanno incentivate, con la consapevolezza che, con buona pace di Mario Draghi, uno sviluppo vero del nostro paese non coincide affatto, anzi è incompatibile con una crescita solo quantitativa che, in ogni caso, è arrivata al limite. E che Covid-19 non è un incidente ma il risultato prevedibile del tipo di sviluppo distruttivo oggi dominante.

Ecco, è proprio su questo che vorrei essere rassicurato. Vorrei sapere, insomma, se una alleanza Pd-Cinque stelle ci propone uno sviluppo “umano” dove compare anche il termine “felicità” oppure se vuole continuare, al di là degli slogan e delle chiacchiere “sostenibili”, in questo tipo di sviluppo distorto che, soprattutto nel dopo Covid, può solo aumentare diseguaglianze, disastri, violenza ed infelicità.

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Sondaggi, Conte il leader più amato: seguono Zaia e Draghi. Cala ancora la Lega (ma resta primo partito). Al referendum l’82% vota Sì

Giuseppe Conte resta il leader più apprezzato dagli italiani, con un gradimento del 60 per cento degli intervistati (anche se in calo rispetto ai mesi scorsi). Resta in seconda posizione il governatore del Veneto Luca Zaia, forte della gestione dell’emergenza Covid affidata inizialmente al virologo Crisanti e delle sue posizioni più moderate rispetto a quelle del segretario del Carroccio, ma a tallonarlo c’è una new entry: l’ex presidente della Bce Mario Draghi, finora non preso in considerazione dai sondaggi. Reduce dal suo discorso al meeting di Cl, 53 italiani su 100 lo vedono bene come leader politico. Molto più distanti ci sono poi Giorgia Meloni, Vincenzo De Luca e Paolo Gentiloni. A sostenerlo è la rilevazione condotta da Demos & Pi per Repubblica nei giorni 24-26 agosto 2020. Nella classifica di gradimento dei politici bisogna scendere in nona posizione per trovare Matteo Salvini e in undicesima per trovare il segretario dem Nicola Zingaretti. Invariato l’apprezzamento per Luigi Di Maio.

Per quanto riguarda i partiti, se si votasse oggi il 24,5% degli intervistati sceglierebbe la Lega. Lo schieramento guidato da Salvini resta saldamente in prima posizione, ma subisce un’emorragia di preferenze che va avanti ormai da oltre un anno. A settembre 2019 era dato al 32,5%, a febbraio 2020 al 29,2, per poi passare 26,6 di aprile e al 25,2 del giugno scorso. Sempre più vicino il Partito democratico a guida Zingaretti (20,7%), anche se perde terreno rispetto all’inizio dell’estate. Non troppo lontano il Movimento 5 stelle, dato dai sondaggi al 16,2%, anche se restano lontani i fasti delle politiche 2018. Chi guadagna più di tutti, invece, è il partito di Giorgia Meloni. Fratelli d’Italia passa dal 14,3% di giugno al 15,4% di agosto, inseguendo a stretto giro i pentastellati. Stabile intorno al 7% Forza Italia, mentre Italia viva, +Europa e Azione di Carlo Calenda sono ancora sotto la soglia del 3%.

Il sondaggio commissionato dal quotidiano romano rivela anche l’opinione dei cittadini sul futuro del governo. Il 17% degli intervistati ritiene che rimarrà in carica solo per pochi mesi (un dato in crescita rispetto al 13% di giugno), mentre 1 su 3 pensa che durerà fino alla fine della legislatura. Stabile chi crede che abbia davanti a sé solo un altro anno di vita. Per quanto riguarda il referendum sul taglio degli eletti, invece, nonostante il fronte del No tra politici e costituzionalisti sia in costante aumento, l’82% degli italiani è deciso a votare . Una quota che sale al 91% tra gli elettori del Movimento 5 stelle e all’89 tra quelli della Lega. Anche chi vota Forza Italia è convinto all’84% di ridurre il numero di parlamentari, nonostante diversi esponenti del partito (che all’ultima lettura della legge hanno dato il loro via libera) siano schierati per il No. Più complessa la situazione nel centrosinistra: 3 elettori del Pd su 5 sono convinti sostenitori del Sì, ma i restanti propendono per il No, accodandosi alla posizione espressa proprio ieri dal fondatore Romano Prodi. Quasi unanime, riferisce Repubblica, il consenso sul quesito tra coloro che hanno un basso titolo di studio (97%), che si abbassa al 77% tra le persone più istruite.

Sul fronte delle Regionali, è un sondaggio realizzato da Ipsos per il Corriere della Sera a rivelare le intenzioni di voto dei cittadini in Campania. Il governatore uscente De Luca può contare al momento su un consenso enorme: il 50,4% degli aventi diritto al voto intende sostenerlo, mentre è distaccato di oltre 21 punti il concorrente del centrodestra Caldoro. La pentastellata Valeria Ciarambino, invece, è data al 15,8%. Se le cose dovessero rimanere così, il Partito democratico si confermerebbe come primo partito in Regione (19,2%), seguito a ruota da Forza Italia (14%) e da Fratelli d’Italia (10,2%). In caduta libera la Lega: dal 19,2% ottenuto alle Europee, ora è data al 3,3%.

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giovedì 27 agosto 2020

Regionali, l’appello di Zingaretti: “Gli elettori M5s? Voteranno per vincere, ne sono convinto”

“Sono convinto che gli elettori, tantissimi elettori anche del M5s faranno la scelta per vincere”. Dalla città in cui per la prima volta esponenti pentastellati sono entrati in una giunta Pd e in una delle regioni spartiacque per il giudizio su chi la spunterà alle elezioni del 20-21 settembre, Nicola Zingaretti spinge per la prima volta sul voto disgiunto rivolgendosi direttamente a chi sostiene il Movimento. Lo fa nelle Marche, ma il discorso è replicabile anche in Puglia, altra regione in cui il centrosinistra ha governato negli ultimi 5 anni e non ha trovato un accordo con il partner di governo per una candidatura comune.

Il segretario del Pd è chiaro: “La base del Movimento Cinquestelle si è pronunciata, i dirigenti più importanti hanno fatto appelli”, spiega. “E io sono, quindi, molto fiducioso che l’elettorato 5 stelle sceglierà, perché io ho rispetto di tutti i candidati presidenti, ma in realtà tutti sappiamo che la scelta è a due”, continua lasciando intendere che la lotta per la vittoria è tra l’aspirante governatore sostenuto dal centrosinistra Maurizio Mangiarlardi e quello di centrodestra, Francesco Acquaroli.

La conseguenza, a suo avviso, diventa logica: “Se non vogliamo che la destra, perché non è una coalizione di centrodestra ma di destra, anzi di estrema destra, metta le mani sul futuro delle Marche, io sono convinto che gli elettori, tantissimi elettori anche di M5s faranno la scelta per vincere”, è l’appello lanciato da Pesaro, città in cui il sindaco dem Matteo Ricci è stato tra i primi ad aprire la sua giunta ad esponenti dei Cinque Stelle.

“Nei sistemi maggioritari a turno unico o si sta di qua o di là – ha osservato Zingaretti – E visto che siamo tutti di qua a governare il Paese, come ha detto la base del Movimento 5 stelle, bisogna fare la scelta dell’unità”. Perché, ha aggiunto chiudendo il suo invito agli elettori Cinque Stelle sul candidato demMangialardi, “quando ci si divide vincono gli avversari, quando si è uniti vinciamo noi”.

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domenica 23 agosto 2020

Referendum, l’eurodeputato Giarrusso (M5s): “Battaglia storica contro la casta. Ora tocca ai cittadini confermarlo”

“Sono decenni che tutti parlano di ridurre il numero dei parlamentari e noi l’abbiamo fatto. Adesso toccherà ai cittadini confermarlo con un si al referendum. Tagliare il numero dei parlamentari significherà avere un Parlamento più efficiente e risparmiare 100 milioni di euro all’anno. Una battaglia storica del Movimento 5 Stelle contro la casta e a favore dei cittadini e dell’efficienza delle istituzioni”, così Dino Giarrusso, europarlamentare del Movimento 5 Stelle, a proposito del referendum per il taglio del numero dei parlamentari.

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sabato 22 agosto 2020

Regionali – Le liste: dai ritorni di Tosi e Azzollini (e della lista Mastella) ai leghisti col bonus sostituiti in corsa. I nomi: tra cambi casacca e impresentabili

Si è chiusa alle 12 la partita per la presentazione delle liste elettorali in Veneto, Liguria, Toscana, Marche, Campania e Puglia, le sei Regioni al voto il 20 e 21 settembre prossimi. Una maratona che, per i partiti, va avanti da settimane, tra tentativi di alleanza in extremis e candidati eccellenti fatti fuori dopo lo scandalo del bonus 600 euro incassato da alcuni consiglieri locali. Mentre in Veneto, Toscana e Campania i giochi sono chiusi da tempo, c’era attesa per eventuali colpi di scena in Puglia e Marche, al centro delle trattative tra Pd e Movimento 5 stelle dopo gli appelli all’unità del premier Giuseppe Conte e del ministro Luigi Di Maio. Un’intesa che però è stata raggiunta solo in Liguria con il candidato unitario Ferruccio Sansa. E ora è nelle decine di liste depositata che si nascondono le sorprese (o le conferme) tra gli ennesimi ritorni dei volti noti che hanno deciso di riciclarsi in Regione e impresentabili. In Veneto è spuntato ad esempio l’ex sindaco Flavio Tosi, indagato per concorso in peculato, mentre in Puglia l’ex senatore Azzollini condannato per la vicenda della Casa della Divina Provvidenza. Senza dimenticare Clemente Mastella, regista di una delle 15 liste che sostengono Vincenzo De Luca in Campania. Già nelle scorse ore intanto aveva fatto discutere la candidatura in Puglia con Forza Italia dell’ex assessore di Emiliano all’agricoltura Leo di Gioia, insieme al consigliere indagato con il governatore (già arrestato nel 2019) Napoleone Cera. Decine poi i passaggi di casacca (soprattutto verso Fratelli d’Italia), senza dimenticare gli ex M5s che o corrono da soli puntando alla presidenza o hanno scelto altri partiti.

15 liste per De Luca in Campania. C’è anche quella di Mastella. E tra i candidati un massone in sonno – Il governatore uscente della Campania Vincenzo De Luca può vantare ben 15 liste in suo sostegno, così tante che persino Mastella nei giorni scorsi aveva messo in guardia sull’assembramento eccessivo. Ma di sicuro il presidente-sceriffo si è costruito un impianto che gli garantisce un sostegno bipartisan. Così tra i candidati che lo sostengono c’è ad esempio il demitiano Ernesto Sica, ex uomo di Berlusconi, poi leghista e ora passato a Italia viva di Matteo Renzi. Il suo nome è noto anche perché fu autore, insieme a Cosentino, di un dossier per screditare Stefano Caldoro (che poi lo ha perdonato). Ma non solo. In prima linea appunto anche Mastella, che ha presentato la lista “Noi campani”, completando così una delle sue ennesime mosse di trasformismo: sindaco di Benevento, a febbraio si è dimesso annunciando di voler correre alle Regionali e lamentando di essere stato (proprio lui) “fregato dai voltagabbana”. Poi ha cambiato idea ed è tornato al suo posto, ma alla competizione ha presentato comunque i suoi candidati in sostegno del centrosinistra. Ma per il presidente non è Mastella di certo il problema. Scorrendo la lista, si trovano i radicali di “Più Europa”, che hanno deciso di far correre per De Luca il massone “in sonno” Enzo Peluso. Ma anche su questo De Luca non sembra avere particolari problemi.

Nel campo del centrodestra, invece, che ha schierato per la presidenza Stefano Caldoro, con Fratelli d’Italia si candida Marco Nonno, condannato (maggio 2014) a otto anni in primo grado per devastazione durante l’emergenza rifiuti. Con la Meloni corre anche Enzo Rivellini, che nel 2017 venne trovato da NapoliToday a una messa in piazza del Plebiscito a Napoli in memoria dei caduti della Repubblica di Salò. Saltata l’intesa con i dem per spingere il ministro dell’Ambiente, il Movimento 5 stelle ha candidato di nuovo la consigliera uscente Valeria Ciarambino. Mentre corre da sola anche Sinistra italiana, in campo con Luca Saltalamacchia.

Toscana, terremoto in Forza Italia – Nella Regione rossa gli occhi sono puntati sul dem Eugenio Giani e la leghista Stefania Ceccardi che si contenderanno le presidenza, con una sfida per certi versi molto simile a quella dell’Emilia-Romagna. Ma intanto il terremoto c’è stato in Forza Italia durante la presentazione delle liste in Toscana. Il coordinatore regionale Stefano Mugnai ha rassegnato le proprie dimissioni a causa di una “capolistura” imposta dai vertici nazionali del partito. Il nome della discordia, rivela un dirigente fiorentino, è quello di Marco Stella, vicepresidente azzurro in Consiglio regionale e imposto ora come capolista nella circoscrizione di Firenze da Arcore. Perché arrivare alle dimissioni? “Le voci che si sono rincorse sulla stampa sulle ipotesi di un passaggio” di Stella “dapprima ad Italia Viva, poi addirittura a fianco di Eugenio Giani e infine con la Lega“, non sono “mai state smentite personalmente da lui”. Il cambio di casacca c’è stato invece per Nicola Cecchi, candidato al Senato con i 5 stelle nel 2018 e ora in quota Fratelli d’Italia. Poi c’è una new entry (o almeno si fa per dire).

Dopo 30 anni di assenza, torna alle urne in Toscana il simbolo del Pci con falce e martello. Rinato nel 2016, ora è in mano al candidato governatore Marco Barzanti. Qui è apparso per l’ultima volta sulle schede elettorali nel maggio 1990, pochi mesi prima della nascita del Pds avvenuta dopo la “svolta” di Achille Occhetto. Ma non è la sola vecchia sigla che ritorna. In sostegno del dem Giani infatti è stata presentata la lista civica Orgoglio toscano che vede: Partito Repubblicano Italiano, Partito Socialista, Italia dei Valori e Centro democratico.

Niente accordo nelle Marche tra Pd e M5s: l’ex capogruppo grillino corre per i dem – Archiviato il tentativo di stringere un accordo con i dem, il Movimento 5 stelle corre da solo nelle Marche con Gian Mario Mercorelli. Il centrosinistra e il suo candidato Maurizio Mangialardi dovranno ora puntare sui voti dei grillini delusi e sperare di riuscire a tenere la Regione. Non è un caso che il capolista ad Ancona della lista civica “Marche coraggiose” che sostiene proprio Mangialardi sia Gianni Maggi: ex capogruppo M5s e ed ex candidato M5s alla presidenza della Regione che ha lasciato i suoi in segno di polemica per il mancato accordo con i dem. Il centrodestra si gioca tutto con il candidato Francesco Acquaroli, in quota Fratelli d’Italia, accusato in passato per aver partecipato a una cena ad Ascoli in ricordo della marcia su Roma con un menù con il fascio littorio. Diversi i partiti al debutto: Sabrina Banzato è candidata alla guida della Regione per Vox Italia, il movimento di Diego Fusaro in prima linea contro le misure anti-Covid disposte dal governo. In pista pure Anna Rita Iannetti, esperta in neuroscienze per la Biologia del Comportamento, candidata dal Movimento 3V (Vaccini vogliamo verità).

Puglia, dall’ex sindaco incandidabile al ritorno di Azzollini – Anche qui l’intesa Pd-M5s per convergere su Emiliano non si è fatta. L’uscente Michele Emiliano cercherà la riconferma, nonostante il mancato accordo con i 5 stelle. Anche per lui, come per De Luca, sono 15 le liste che lo sosterranno per oltre 700 candidati e con un’asse che va dal partito animalista al Partito democratico. A imbarazzare Emiliano in queste settimane è stato Angelo Riccardi, ex sindaco di Manfredonia, comune sciolto per mafia a fine 2019. Se non fosse stato per l’intervento del Tar, che a luglio ha stabilito la sua incandidabilità, Riccardi avrebbe corso in sostegno del centrosinistra (anche se a lungo si è vociferato di un suo passaggio con Fitto). Morale: Riccardi non ci sarà in prima persona ma farà campagna per Rino Pezzano e Lucia Trigiani, entrambi nella lista Con che sostiene Emiliano.

La notizia delle ultime settimane però, è che a fare da capolista in tre circoscrizioni per il governatore uscente c’è l’epidemiologo Pierluigi Lopalco. “Serve serietà”, aveva commentato il competitor del centrodestra Raffaele Fitto nell’apprendere la sua candidatura. Senonché anche lui ha deciso di schierare un’esperta nel campo della microbiologia, cioè Danila De Vito dell’Università di Bari. Diverse conferme nelle liste di Fratelli d’Italia, tra cui il capogruppo uscente Ignazio Zullo. Il nome nuovo è quello del generale Giuseppe Silletti, nominato dal governo Renzi come commissario straordinario all’emergenza Xylella in Puglia e dimessosi dopo l’avviso di garanzia ricevuto dalla procura di Lecce. L’indagine poi è stata archiviata nel 2019. Lascia Forza Italia per il partito guidato da Giorgia Meloni l’ex consigliere comunale di Bari Pasquale Finocchio, mentre se ne va per lo stesso motivo dalla Lega il collega Michele Picaro.

Gli azzurri, invece, hanno deciso di schierare l’ex assessore di Emiliano all’agricoltura Leo di Gioia, insieme al consigliere indagato con il governatore (già arrestato nel 2019) Napoleone Cera. Torna, nelle liste di Forza Italia, anche l’ex senatore ed ex sindaco di Molfetta Antonio Azzollini. Per lui risale a gennaio scorso la condanna a 1 anno e 3 mesi per il crac della Casa della Divina Provvidenza di Bisceglie, quella dove l’ex senatore, intercettato, diceva alle suore: “Da oggi in poi comando io, se no vi piscio in bocca”. Essendo la condanna in primo grado per bancarotta semplice e a meno di due anni, per lui non scatta l’incadidabilità secondo la legge Severino. Pochi mesi prima, dicembre 2019, aveva incassato l’assoluzione per l’accusa di truffa sulla costruzione del porto di Molfetta.

Veneto, Zaia non ricandida i 3 consiglieri del bonus. Tosi corre con Fi – Il governatore uscente del Veneto, Luca Zaia, è il grande favorito delle prossime Regionali: in testa ai consensi, non solo locali, punta alla riconferma per poi dare ancora più forza alle mire nazionali. Ma nelle scorse settimane si è trovato a dover gestire lo scandalo del bonus 600 euro incassato da parlamentari e consiglieri regionali. Nell’elenco dei leghisti che ne hanno fatto richiesta, infatti, c’erano tre suoi fedelissimi: Riccardo Barbisan, Alessandro Montagnoli e il vice presidente dell’attuale Giunta Gianluca Forcolin (che però non l’ha ottenuto). Tutti e tre non sono stati ricandidati. Al loro posto sono stati scelti Christian Schiavon, assessore al bilancio a Treviso, l’assessore veronese Luca Zanotto e il segretario del Carroccio a Caorle Gianfranco Gnan.

Non manca uno dei nomi storici della Lega in Regione: Flavio Tosi (sindaco di Verona dal 2007 al 2017) in lizza per Forza Italia dopo lo strappo con Salvini avvenuto nel 2015. Tosi risulta indagato per concorso in peculato nell’ambito di un’inchiesta sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta a Verona: l’accusa riguarda una distrazione di denaro avvenuta tramite l’ex presidente dell’Ami, la municipalizzata dei rifiuti. Il primo cittadino si è difeso dicendo di essere completamente estraneo ai fatti.

Zaia correrà con cinque liste, tre della galassia leghista: Lega, Zaia Presidente e Veneta Autonomia più quelle degli alleati Fratelli d’Italia e Forza Italia. Il principale sfidante è l’ex vice sindaco di Padova Arturo Lorenzoni, appoggiato dal Partito Democratico. Il Movimento Cinque Stelle punta sull’ex deputato Enrico Cappelletti. Candidata presidente, tra gli altri anche l’ex pentastellata Patrizia Bartelle (Veneto Ecologia Solidarietà): nella sua squadra spuntano l’ex assessore regionale dei Verdi Michele Boato e Antonio Pellegrino, per due volte vice presidente dell’Associazoione sordomuti.

Liguria, dalle ex M5s storiche in corsa da sole al candidato Fi che ha dato il posto alla madre – Chiude la partita elettorale la Liguria, dove è sfida a due tra Ferruccio Sansa e l’uscente Giovanni Toti. Anche qui Italia viva ha deciso di correre da sola, candidando Aristide Massardo con +Europa e Psi. Tra i candidati della coalizione Pd-M5s il nome noto è quello di Flavio Gaggero, 83 anni, dentista di Beppe Grillo, Gino Paoli e Renzo Piano e noto per il suo impegno nel curare migranti e indigenti. L’accordo Pd e M5s non è stato però indolore, tanto che alla presidenza si candidano due ex esponenti storiche del Movimento: l’ex consigliera M5s Alice Salvatore (lista Buon senso) e l’ex dissidente Marika Cassimatis (lista Base costituzionale).

Nell’area del centrodestra scende in campo Marco Scajola, nipote del sindaco di Imperia Claudio (ex uomo forte di B.), nonostante Scajola senior abbia più volte sottolineato la sua ostilità al governatore uscente. Poi c’è il caso dell’azzurro Filippo Maria Bistolfi, che si è ritirato per rispettare la regola delle quote rosa ma ha messo la madre al suo posto. E quello del capogruppo di Fi a La Spezia, Fabio Cenerini, noto alle cronache perché nel 2017 scrisse su Tripadvisor un commento razzista contro una cameriera di colore con costume tirolese in servizio a Cortina d’Ampezzo.

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Regionali, Bonaccini: “Mancate alleanze PD-M5S? Dovevano pensarci prima ma 5Stelle decidano da che parte stare”

Con il deposito delle liste elettorali sfuma l’ipotesi di alleanza tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle in tutte le prossime elezioni Regionali, così come auspicato anche recentemente dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, in un’intervista a ‘Il Fatto Quotidiano’ .
Per il presidente della Regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini, interpellato sul punto al Meeting di Rimini: “L’obiettivo era giusto ma ci si doveva certamente pensare prima e non a ridosso delle elezioni, anche se – aggiunge – le alleanze fatte solo per battere l’avversario non servono a niente.
Le alleanze si devono fare non contro qualcuno ma per qualcosa”. Poi il presidente Bonaccini parla delle scorse elezioni che lo hanno rieletto: “In Emilia Romagna elettori e dirigenti M5S da soli hanno deciso cosa fare senza che noi dovessimo fargli degli appelli – ma poi l’esponente dem non risparmia una stoccata agli alleati nel governo nazionale – il M5S a breve dovrà decidere definitivamente da che parte stare perché non si possono giocare continuamente troppe parti in commedia”.

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“Non vogliamo morire grillini”, Boschi dal Metting punzecchia gli alleati: “Alleanza Pd – M5S? Si aprono praterie per Italia Viva”

“Per noi la riapertura della scuola e fondamentale. Abbiamo due priorità, la scuola e il lavoro”. Così Maria Elena Boschi dal Meeting di Rimini, che poi si esprime sulla possibile alleanza fra Pd e Movimento 5 Stelle: “Dal nostro punto di vista, se si apre a un alleanza fra loro, per noi si aprono le praterie, siamo chiaramente un’alternativa a quest’alleanza. Un anno fa abbiamo fatto nascere questo Governo per ché non volevamo morire leghisti, adesso non vogliamo certo morire grillini”.

“Draghi? Ha offerto spunti fondamentali, condividiamo le politiche che puntano alla ripartenza, alla crescita. La questione educativa del Paese è una questione fondamentale per noi.”

Poi un giudizio sulle prossime elezioni regionali: “Sono un appuntamento importante ma separato dalla vicende del Governo. Dobbiamo affrontare la crisi economica e la riapertura delle scuole, lo stiamo facendo”.

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venerdì 21 agosto 2020

A Faenza M5s sostiene il candidato sindaco Pd: c’è l’accordo con la coalizione di centrosinistra

Avevano deciso di non presentarsi neanche alle urne, poi il via libera della base M5s sulla piattaforma Rousseau ha cambiato i piani. Il Movimento 5 stelle di Faenza, in provincia di Ravenna, ha deciso che sosterrà il candidato del Pd Massimo Isola alle prossime elezioni comunali del 20-21 settembre. Ad annunciarlo è stato il capogruppo grillino uscente Massimo Bosi. Dopo l’apertura alle alleanze, è arrivata la decisione di sostenere Isola, assessore uscente, la cui candidatura è stata designata da tempo dalla coalizione di centrosinistra che fa capo al Pd. “Abbiamo deciso, già da prima della candidatura di Isola – si legge in un post del M5s di Faenza – di confrontarci e collaborare con altri gruppi che ritenevamo potenzialmente affini al nostro modo di desiderare la città e di vivere la nostra Comunità, per iniziare insieme a loro un lavoro di confronto sui programmi, che ci ha permesso di evidenziare una sostanziale comunione d’intenti con L’Altra Faenza, Articolo 1, Psi e Verdi“. D’altronde, aggiungono i Cinquestelle faentini, “la storia del nostro storico gruppo faentino, iniziata 15 anni fa come Meetup, parla chiaro: i temi progressisti, della tutela dell’ambiente, della solidarietà, sono sempre stati al centro del nostro operato”.

Faenza, città di 60mila abitanti con un importante distretto ceramico, è un Comune dove negli anni scorsi il Movimento 5 stelle è riuscito a radicarsi. Cinque anni fa il candidato del Pd Giovanni Malpezzi (al suo secondo mandato) vinse al ballottaggio di misura contro il centrodestra. Massimo Isola ne è stato uno stretto collaboratore, vicesindaco e assessore alla cultura. Non si può dire, insomma, che non sia un candidato in continuità. Il confronto, continua il M5s di Faenza, è durato giorni e ha prodotto “un buon documento” che contiene alcune proposte del Movimento. “Oltre al rigetto degli assurdi veti che arrivavano da alcune parti rispetto alla nostra presenza e alla certezza di partecipare all’eventuale coalizione da una posizione paritaria e senza decisioni preconcette sulla composizione dell’eventuale giunta. Vogliamo ringraziare Isola e tutte le forze politiche sedute al tavolo per il confronto corretto, leale e positivo”.


Nei mesi scorsi il Pd ha deciso di convergere sul candidato del centrosinistra, raccogliendo attorno a sé una coalizione più vasta. Il M5s, solo qualche giorno fa, aveva annunciato di non voler partecipare alle elezioni. Le trattative, tuttavia, sono andate avanti, fino alla decisione di sostenere, esplicitamente e fin dal primo turno, il candidato del Pd. Un accordo che, secondo Silvia Piccinini, capogruppo in Regione del M5s, “è la dimostrazione di come le alleanze non vadano costruite e tavolino o calate dall’alto ma, al contrario, devono essere frutto di un percorso condiviso che si è basato soprattutto su temi e programmi”.

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Pd-M5s, Bonaccini d’accordo con Di Maio: “Sue parole condivisibili. Naturale che forze di governo provino a collaborare sul territorio”

Le parole di Luigi Di Maio sono “condivisibili” ed è “naturale” che le forze di governo “provino a collaborare anche sul territorio”. Stefano Bonaccini, governatore dem dell’Emilia-Romagna che nella sua tornata elettorale non venne supportato dal M5s, sposa la linea degli “aperturisti” a una collaborazione alle prossime regionali, anche nelle Marche e in Puglia. Pur specificando che le alleanze “si fanno sui territori a partire da contenuti e programmi”, perché “non credo né ai matrimoni per procura né alle alleanze calate dall’alto”.

Però, è la linea di Bonaccini in un’intervista al Corriere della Sera, “trovo naturale che forze che governano insieme il Paese provino a collaborare anche sul territorio”. Del resto, da governatore uscente e ricandidato, ricorda, “provai ad aprire un confronto nel gennaio scorso”. Allora “per i 5 Stelle decise Roma e mi fu risposto di no, così chiesi il voto ai loro elettori”. Otto mesi fa, usa le stesse parole del premier Giuseppe Conte a Il Fatto Quotidiano in riferimento alla prossima tornata, “si perse un’occasione”. Soprattutto, aggiunge, “la persero i 5 Stelle che lo scorso gennaio ebbero una batosta elettorale con la loro rappresentanza in assemblea ridotta al minimo”.

Uno scenario, sondaggi alla mano, che si prospetta anche in Puglia, dove i pentastellati fanno muro contro Michele Emiliano. In quest’ottica, aggiunge, le parole di Di Maio, “che chiede di lavorare alle alleanze lì dove possibile, sono condivisibili”. Anche perché è “senza dubbio vero che ci sia un’evoluzione in corso”, certificato anche dal voto su Rousseau, mentre “fino a qualche mese fa, come ho ricordato, era un tabù anche solo parlare di alleanze”, conclude.

Sul tema dell’’asse stretto tra Pd e Movimento 5 Stelle è intervenuto anche l’ex ministro Graziano Delrio in un’intervista a IlSussidiario.net: “Abbiamo scongiurato una deriva illiberale della nostra democrazia, fermando uno che invocava i pieni poteri e aveva isolato l’Italia in Europa. Questo lo ritengo un risultato importantissimo”. In più, aggiunge l’ex ministro e capogruppo Pd alla Camera, “crediamo che sia cambiato profondamente l’atteggiamento dei 5 Stelle su diverse questioni, in particolare verso l’Europa”. Di Maio, dice ancora Delrio, è “un ministro degli Esteri capace, rappresenta bene l’Italia e ne mantiene la tradizione europeista”. Adesso, conclude, “c’è bisogno di avere un’alleanza più forte con obiettivi più chiari, riconoscibili, che non abbia sbandamenti”.

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Scuola, ministra Azzolina su La7: “Salvini la paragona a lager? È un gaglioffo, i suoi sono livelli da trogloditi. Chieda scusa”

Salvini ha paragonato le scuole ai lager? Oggi lo chiamerò ‘Salvini gaglioffo’. È ridicolo. Gli suggerisco una buona lettura: ‘Fino a quando la mia stella brillerà’ di Liliana Segre, che io adoro e alla quale voglio molto bene. Salvini avrebbe bisogno di studiare e di leggere, perché tutte le volte in cui parla di scuola dice scempiaggini”. Così, a “In onda” (La7), la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina commenta le parole pronunciate dal leader della Lega, Matteo Salvini, a Sarzana, in provincia di La Spezia (“Questi del governo sono tarati, vogliono trasformare la scuola in lager con i banchi a rotelle, le mascherine e i plexiglass).

La ministra M5s aggiunge: “A Sarzana, peraltro, io ho insegnato. E ai miei studenti spiegavo cosa fosse un lager. Lui deve chiedere scusa, non a me, ma a tutta la comunità scolastica. A me non interessa che mi insulti, tanto ogni giorno dice una cosa su di me. E più parla di me, più sono onorata, perché io e lui siamo anni luce distanti su tutto. Io capisco che sulla scuola si stia facendo campagna elettorale, faccio politica anche io. Ma non si può arrivare a questi livelli. Sono livelli da trogloditi, da persone abbruttite”.

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Taglio dei parlamentari: dalle Sardine a Panebianco, ecco la Santa Alleanza dei “No”

Non potevano mancare le Sardine alla santa alleanza del “no” contro la riduzione dei parlamentari che riconduce il numero degli eletti in Italia ai parametri numerici delle democrazie europee, ad un mese dal voto sul referendum che tutti invocavano da decenni, per inciso storicamente anche da sinistra, ma che è diventato un tabù in prossimità del referendum confermativo.

Tanto più, ovviamente, perché il promotore della Riforma è il Movimento 5 Stelle e dunque l’esito della consultazione pressoché scontato, nonostante la variopinta compagine dei detrattori della prima ora (pochini e silenti) e dell’ultima (decisamente più rumorosi e iper -rappresentati), costituirebbe un indiscusso successo per la forza politica più avversata di sempre.

Ricapitolare il percorso dell’approvazione della riforma finalizzata a ridurre il numero degli attuali 630 deputati a 400 e quello degli attuali 315 senatori a 200 limitandosi a modificare due soli articoli costituzionali il 56 ed il 57 (in modo più che parziale il 59) evidenzia chiaramente i ripensamenti, le giravolte, i mal di pancia, i “ni”, che hanno contraddistinto le forze politiche, basti pensare al Pd che votò “no” ai primi tre passaggi in aula, al consenso altalenante di Fi, ai leghisti assenti dall’inizio dei lavori all’ultimo passaggio alla camera.

Ciononostante la riforma è passata quasi all’unanimità lo scorso autunno. A seguire abbiamo assistito prima alla corsa dei senatori, verosimilmente più allarmati dalla riduzione degli scranni che dal “furto di democrazia” per raggiungere il fatidico numero dei 64 necessario a bloccare la riforma e ad indire il referendum confermativo: promozione bipartisan targata Pd (Tommaso Nanniccini) e Fi (Andrea Cangini) con il fattivo appoggio di Matteo Salvini.

Quindi alla costituzione del variopinto comitato per il “no”, composto “naturalmente” anche da parlamentari che avevano votato a favore come il pirotecnico Roberto Giachetti, approdato felicemente ad Italia Viva, ma al contempo inorridito contro “una riforma che offre lo scalpo del parlamento ai peggiori istinti dell’antipolitica”.

Per azzoppare e/o rimandare la consultazione referendaria il Comitato promotore per il “no” ha anche giocato la carta del conflitto di attribuzione davanti alla Consulta con l’argomento un po’ specioso della difformità di partecipazione al voto a livello nazionale ma la Consulta ha dichiarato inammissibili tutti e 4 i conflitti sollevati sull’abbinamento del referendum al voto per il rinnovo dei consigli regionali e ha così evitato slittamento del referendum e costi ulteriori ed ingiustificati per la collettività.

Dati i generalizzati comportamenti “contraddittori” per non dire schizofrenici della politica, durante l’iter parlamentare, sempre mirati a difendere le poltrone senza perdere la faccia e soprattutto il consenso, non c’è da stupirsi che a distanza di un mese dal voto i partiti siano schierati ufficialmente per il “sì” e facciano contemporaneamente campagna per il “no” sui social, come FI, o cerchino di mantenersi in equilibrio sul piano inclinato del “Ni”.

È quello che tenta di fare Nicola Zingaretti mettendo la sordina al referendum con la speranza che a votare vadano in pochi e che il distacco tra “sì” e “no” sia contenuto, visto che nel suo partito insieme alla “libertà di coscienza”, evocata anche da Berlusconi, aleggia la mobilitazione per il “no” che va da Matteo Orfini a Giorgio Gori.

Gli argomenti addotti in buona o male fede dagli avversatori della riforma sono noti, sempre gli stessi e accomunano “singolarmente” Angelo Panebianco alle Sardine. Il primo dalle pagine del Corriere già nei giorni dell’approvazione definitiva in aula tuonava che “il taglio dei parlamentari” giova solo ai “cultori dell’ antiparlamentarismo” che mirano al “depotenziamento massimo della democrazia rappresentativa” colpevoli di aver concepito “una riforma ineccepibile nelle forme, ma eversiva nelle aspirazioni”.

I secondi partendo dalla premessa inquietante che “parlare del referendum fa paura ma non si può tacere” hanno denunciato che con il taglio dei parlamentari “si mettono in discussione le fondamenta della democrazia parlamentare” e si indebolisce la centralità del parlamento e dunque del popolo”. Quanto al problema che riguarda i nostri rappresentanti non è il sovranumero come i populisti vogliono farci credere, ma la qualità del dibattito e della classe dirigente“.

Se possa essere eversivo e possa minare le fondamenta democratiche ridurre in modo ragionevole il numero di deputati e senatori, toccando limitatamente sotto un profilo numerico due articoli della Costituzione lo lascio valutare al buon senso dei cittadini elettori.

Quanto all’osservazione, leggermente scontata uscita dal pensatoio delle Sardine sulla qualità della classe dirigente vorrei rispondere con le parole di Guido Neppi Modona, già membro della Corte Costituzionale in vista dell’ultimo passaggio alla Camera: “La riforma può essere demagogica solo se si concentra sul risparmio, ma con meno posti i partiti saranno costretti a una selezione più rigorosa” in quanto “se non vigileranno su preparazione e moralità dei candidati saranno più facilmente penalizzati a livello elettorale”. E conseguentemente “il ruolo dei nuovi parlamentari sarà più rilevante di prima”.

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giovedì 20 agosto 2020

Regionali Puglia, esponenti locali M5s contro ogni accordo. D’Ambrosio: “Capisco l’esigenza di Conte, ma Emiliano e Fitto sono stessa cosa”

Governare con Michele Emiliano provando a indirizzarne le politiche e vedere centrati obbiettivi di lungo corso del M5s, come l’ambientalizzazione di Ilva, è un’ipotesi da scartare. Anche se l’invito arriva dal presidente del Consiglio, pugliese pure lui, che nell’alleanza tra dem e grillini vede un’occasione da non sprecare, come ha spiegato in un’intervista a Il Fatto Quotidiano. Almeno così la pensa il deputato Giuseppe D’Ambrosio, al secondo mandato in Parlamento, storico attivista pentastellato nella provincia di Barletta-Andria-Trani. E per buona parte della pattuglia del Movimento pugliese. Ad iniziare dalla ri-candidata governatrice, Antonella Laricchia, che chiarisce di essere “sacrificabile in ogni momento, se qualcuno lo decide dall’alto” ma “non chiedetemi di piegare la testa, piuttosto trovate il coraggio di tagliarla”. In cambio del passo indietro “mi hanno promesso poltrone certe, prestigio assicurato”, accusa spalleggiata da Barbara Lezzi.

Una chiusura netta, che appare irrevocabile: “Ci siamo ritrovati, nei messaggi e nelle telefonate tra eletti e attivisti, a convergere come fossimo un’armatura intorno ad Antonella Laricchia”, dice l’ex ministra vicina ad Alessandro Di Battista. “Un solo pensiero per un solo obiettivo: arginare la mala politica, peraltro identica, di Emiliano e di Fitto – continua – Non ci sono tavoli a cui sedersi, proprio perché, come dice il presidente Conte, il bene dei cittadini è al di sopra di tutto. E il bene per i cittadini è il cambiamento che solo Antonella Laricchia e il Movimento 5 Stelle possono garantire”. Un’armatura alla quale si unisce D’Ambrosio: “Venite nel mio territorio, sono tutti contrari, attivisti ed eletti”, sostiene allontanando anche l’ipotesi del voto disgiunto, bollato come una “toppa irrispettosa” nei confronti dei cittadini.

Presentarsi divisi non è quindi un’occasione sprecata? L’invito di Conte è stato chiaro: in politica viene prima l’interesse dei cittadini.
Con Emiliano non possiamo fare alcun tipo di discorso, lui e Fitto sono la faccia della stessa medaglia. Dalle mie parti non troverete nessun attivista né alcun consigliere comunale a favore. Nessuno ci ha chiesto di pensare a questa ipotesi. Si tratta di giochi attorno ai quali si arrovella la politica.

A suo avviso non esistono spazi di manovra, quindi?
Capisco l’esigenza del premier di fare sintesi nei territori perseguendo quanto sta avvenendo in qualche modo a livello nazionale, ma le condizioni in Puglia sono completamente diverse. Una frase che non dimentico, detta anche dal presidente del Consiglio: il rispetto della volontà dei territori è fondamentale. E l’indicazione della Puglia in questo senso è chiara. Se il nostro risultato in Puglia – che credo sarà buono – determinerà la vittoria di Emiliano o di Fitto, non ci interessa. Noi non ci candidiamo per far vincere o perdere qualcun altro.

In ballo c’è il percorso di ambientalizzazione dell’Ilva con i soldi del Recovery Fund e Taranto è una storica battaglia del M5s. La svolta green non dipende anche da un dialogo più veloce tra governo e Regione?
In questi 5 anni i nostri consiglieri regionali sull’Ilva quale sponda hanno avuto da Emiliano e dalla sua maggioranza? E cosa è cambiato negli ultimi mesi? Io vivo tra Andria e Mottola e conosco bene i problemi sanitari del Tarantino. Quali sono le differenze tra il piano sanitario di Emiliano e quello di Fitto? Nessuna, sono uno la continuazione dell’altro. Non capisco perché ora Emiliano e la sua maggioranza dovrebbero diventare una parte politica capace di un confronto quando non lo sono mai stati. L’ultima dimostrazione sono le quote rosa nella legge elettorale che il Consiglio regionale non è stato in grado di approvare, nonostante la sollecitazione di Conte. È la dimostrazione che la continuità governativa tra Roma e Bari non è automaticamente un modo per giungere a una rapida soluzione dei problemi.

Sono arrivate sollecitazioni anche dai vertici M5s per cercare un’intesa?
Ho visto da parte loro un estremo rispetto di quelle che sono state le decisioni del territorio. Vito Crimi aveva detto e ha ribadito che la volontà è quella di andare al voto con Antonella Laricchia come candidata presidente. Faccio un altro esempio per chiarire quanta libertà abbiamo: su Andria, il comune più grande al voto e nel quale ci giocheremo il ballottaggio con il centrosinistra, non c’è stata alcuna pressione, eppure la desistenza poteva rientrare in un accordo. Ripeto, abbiamo un modello completamente diverso da Emiliano e Fitto, che sono la stessa cosa.

Proprio la stessa cosa?
Magari con il primo si parla meglio che con il secondo, ma le parole non corrispondono ai fatti. È chiaro che Fitto fa ancora più paura perché dimostra l’incapacità del centrodestra di rinnovarsi: con lui la Puglia tornerebbe indietro di 20 anni.

E se dovesse essere avanzata l’ipotesi del voto disgiunto?
Non ha senso. Un candidato presidente porta una squadra con un programma, che va in una direzione. Il voto disgiunto significa creare un “papocchio”, tipico della politica, per mettere una toppa dopo non aver raggiunto un accordo. È irrispettoso nei confronti dei cittadini.

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“Siete pronti alla battaglia contro la casta?”. Il senatore Ferrara diventa Leonida nello spot per il Sì al referendum per il taglio dei parlamentari

Una scelta bizzarra quella di Gianluca Ferrara, senatore del Movimento 5 Stelle, che sceglie un elmo da guerriero per iniziare il suo spot a favore del taglio dei parlamentari. Si rifà ai 300 uomini guidati dal re spartano Leonida nella battaglia delle Termopili, una metafora che vuole sottolineare il valore epico della battaglia pentastellata per la riduzione del numero dei parlamentari: “Grazie al M5S noi cittadini con una innocua matita potremo infliggere un bel fendente alla casta”. Secondo Ferrara per vincere al referendum servirà lo stesso coraggio che dimostrarono i guerrieri che tennero testa ai persiani, per sconfiggere il partito trasversale dei privilegi.

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Scuola, Gubitosa (M5s) a Borghi su La7: “Salvini la paragona a lager nazisti? Va ricoverato, parole indegne”. “Lo giudicheranno gli elettori”

Salvini paragona le scuole italiane ai lager nazisti? Le parole hanno un peso. Un parlamentare della Repubblica che parla così è da ricovero. Questo politico alla frutta è da ricoverare. Non è possibile, noi ci dobbiamo indignare davanti a questa propaganda”. Così, a“Coffee Break” (La7), il deputato del M5s Michele Gubitosa commenta le parole del leader della Lega, Matteo Salvini, che in un comizio a Sarzana (La Spezia) ha dichiarato stamattina a proposito della riapertura delle scuole: “Questi sono tarati. E’ una battaglia che combatterò, vogliono trasformare le scuole in lager con i banchi a rotelle, le mascherine e i plexiglass”.

Gubitosa poi si rivolge al deputato della Lega, Claudio Borghi, anch’egli ospite della trasmissione: “Prima ho paragonato Salvini a Er Faina, ma mi sono sbagliato: è peggio. Guardate che io su questa cosa non transigo più. E lo dico anche al collega Borghi: l’opposizione deve collaborare, queste cose non si possono sentire. Salvini deve chiedere scusa ai nostri insegnanti, alle nostre scuole e agli italiani per aver fatto questo accostamento indegno“.

Borghi replica: “Dubito che Salvini abbia detto che gli insegnanti e i lavoratori della scuola siano dei nazisti o qualcosa del genere. Non mi risulta che abbia mai detto una parola contro gli insegnanti. Dato che ha due figli piccoli, Salvini, come me, è dell’idea che tenere in classe per lunghissime ore i bambini con una mascherina che non li fa respirare è una cosa che allarma”.
“Ma quella è una fake news che diffondete voi”, ribatte il parlamentare 5 Stelle.
“Se il ministero farà piazza pulita di tutte queste barbarie – continua Borghi – noi saremo i primi a essere contentissimi”.

Gubitosa risponde: “Lo sai che ti stimo e da te mi aspetto che tu prenda le distanze dalle parole di Salvini, che non è autorizzato a fare questi accostamenti. Almeno tu, Claudio, ti prego. Questi accostamenti non vanno fatti”.

Se c’è una cosa bella della Costituzione – replica Borghi – è che un parlamentare è libero di dire quello che pensa. I giudici delle parole di un politico sono i cittadini. Se Salvini ha pensato di fare un accostamento forte per sollevare una questione è importante, come il benessere e la salute anche psicologica dei bambini, il giudizio poi lo daranno gli elettori“.

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Regionali, senatore Fenu (M5s): “In Marche e Puglia corriamo da soli, no ad alleanze a priori”

Nessuna alleanza a priori, cittadini e programmi vengono prima”. Lo dice in un video il senatore sardo del Movimento 5 stelle Emiliano Fenu, intervenendo nel dibattito sulle possibili alleanze con il Pd in vista delle Regionali nelle Marche e in Puglia

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Regionali, Jasmine Cristallo (sardine): “Si alleanza Pd-M5s. Iscritti di Rousseau più maturi di alcuni loro rappresentanti”

“Si alle alleanze tra Pd e M5s, l’abbiamo anche ribadito in occasione dell’alleanza in Liguria. Siamo sempre stati per la responsabilità”, così Jasmine Cristallo, portavoce nazionale del movimento 6000 sardine. “Abbiamo accolto con interesse il voto su Rousseau. Riteniamo che gli elettori e gli iscritti del Movimento 5 stelle stiano testimoniando una maturazione che anticipa e supera quella di alcuni loro rappresentanti”, ragiona la sardina. “Finalmente con questo voto si segnala una volontà di progettualità e si mettono da parte la demagogia, gli slogan alla base del movimento e adesso si può pensare ad un futuro con una visione politica. Noi siamo per la politica non per l’antipolitica”, spiega Cristallo. Già “quando Di Maio parlava di mandato zero contro ogni legge dell’aritmetica e di decenza – continua – si portava nella vita reale la consapevolezza che gli slogan e la demagogia erano andati perduti. Non c’è opposizione ideologica al M5s, non condividiamo il loro populismo”.

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Regionali, Crimi frena le alleanze in Marche e Puglia: “Questione chiusa da tempo”. E su Pd e Bibbiano: “Forse abbiamo esagerato”

A pochi giorni dalla chiusura delle liste per le elezioni regionali 2020, fissate a fine settembre, il premier Conte aveva fatto appello a Pd e M5s, tramite Il Fatto Quotidiano, di non “sprecare la grande occasione” di un’alleanza. Parole rafforzate dal voto del 14 maggio su Rousseau con cui gli iscritti al Movimento hanno dato il via libera proprio alle intese locali con i partiti, mandando un segnale di distensione ai dem. Ma ora il capo politico reggente Vito Crimi spegne le aspettative del presidente del Consiglio e ridimensiona la portata di quel voto. “Non si tratta di sprecare un’occasione, perché non c’è, altrimenti l’avremmo colta al volo. Noi abbiamo il massimo rispetto del territorio. Dove abbiamo fatto opposizione fino a ieri, è difficile immaginare un percorso insieme”, dichiara al Corriere della Sera. E per sgombrare il campo da dubbi, Crimi si fa ancora più esplicito. Tra Pd e M5s “non c’è alleanza strutturale“.

Una doccia fredda per chi sperava, come il premier Conte, in una “sinergia anche a livello territoriale” tra le forze che sostengono il governo. Pure il ministro Luigi Di Maio, alla luce del risultato su Rousseau, aveva parlato di “una nuova era per il Movimento 5 Stelle nella partecipazione alle elezioni amministrative”. Suggellata da un patto di non belligeranza con i dem sul fronte giudiziario (entrambi gli schieramenti hanno rinunciato alle cause che li vedevano contrapposti). Nell’intervista al quotidiano di via Solferino, Crimi detta la nuova linea – spalleggiando chi sul territorio è contrario all’alleanza – e spiega perché, ad oggi, lo scenario ipotizzato da Conte è impossibile. In Marche e Puglia “la questione è chiusa da tempo”, dice. “Lì abbiamo fatto un’opposizione ferma e un’alleanza è infattibile“. Di fronte al rischio di una sconfitta, il capo politico pentastellato dice: “Noi non governiamo in quelle regioni. Sarebbe il Pd a perdere e in tal caso dovrebbe farsi una domanda su come hanno governato finora. Avrebbero dovuto darci retta prima”. Una posizione lontana anche da quella fatta trapelare nei giorni scorsi dal fondatore Beppe Grillo. “Beppe non ha mai nascosto le sue idee”, chiarisce il capo politico. “Come Conte, auspicava una convergenza. Mi ha chiesto perché Puglia e Marche no, ma gli ho spiegato perché era impossibile e non ha insistito“.

Crimi chiarisce quindi la natura della consultazione indetta su Rousseau a ridosso di ferragosto. Il voto sulla piattaforma è stata deciso “perché ho ricevuto richieste da quattro comuni che hanno presentato un progetto”. Sul tavolo, insomma, a suo dire non c’era alcuna ipotesi di alleanza con i dem per le regionali: “Assolutamente no“. E aggiunge: “Qualcuno poteva parlare anche di alleanza strutturale con la Lega. Ma non l’abbiamo fatta e non la facciamo oggi, perché siamo nati per combattere il sistema dei partiti e vorremmo aiutarli a migliorarsi”. Nel corso dell’intervista al Corriere, però, il reggente del Movimento fa una concessione ai dem. “Forse con il Pd ci sono più somiglianze, anche se ci sono distinguo non indifferenti”. E su Bibbiano aggiunge: “Forse abbiamo esagerato nel generalizzare fatti specifici attribuendoli a tutto il Pd”.

In chiusura, Crimi fa poi un assist a Davide Casaleggio, di recente al centro delle critiche anche all’interno del Movimento. “Davide è un pilastro, è come un fratello fondatore dei due padri fondatori”, spiega. A chi gli contesta il fatto di avere in mano le liste degli iscritti, Crimi chiarisce che “le liste le ha il capo politico e le gestisce tramite Rousseau”. Polemiche a parte, assicura che il governo “sicuramente dura per la legislatura. Nessuno poteva governare senza di noi”.

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mercoledì 19 agosto 2020

Regionali, l’appello del sindaco di Pesaro Ricci (Pd): “Ha ragione Conte, forze di governo si presentino unite per sconfiggere i sovranisti”

“Ha ragione il premier Conte, le forze di governo si presentino uniti alle prossime elezioni regionali. Soprattutto nelle Marche in Puglia i 5 stelle diventino protagonisti di una coalizione vincente con un programma di rinascita delle Regioni per sconfiggere i sovranisti“, così in un video-messaggio il sindaco dem di Pesaro, Matteo Ricci, caldeggia l’ipotesi di una coalizione Pd-M5s anche in Puglia e nelle Marche.

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Governo, Fassina (Leu): “Draghi al Meeting Cl di Rimini? Intervento da piacione. Si vuole defenestrare Conte perché dà spazio al M5s”

L’intervento di Mario Draghi al Meeting di Comunione e Liberazione di Rimini? Come è già avvenuto a marzo sul Financial Times, seppure con toni più sofisticati, ha fatto un altro intervento da piacione. Chi mai può essere in disaccordo sulla necessità di prospettare un futuro migliore per le nuove generazioni?”. Sono le parole pronunciate ai microfoni de “L’italia s’è desta”, su Radio Cusano Campus, dal deputato di LeU, Stefano Fassina, che aggiunge: “Questo mantra delle giovani generazioni è stato il cavallo di battaglia dell’egemonia liberista degli ultimi trent’anni per nascondere una drammatica questione sociale: l’enorme redistribuzione di ricchezza e il peggioramento delle condizioni lavorative che si sono riflessi sulle giovani generazioni, ma non per tutti in modo simmetrico”.

E spiega: “C’è una fetta di giovani, figli di quelle fasce sociali più ricche, che vivono in una condizione fantastica. Purtroppo nei primi anni ’90 anche la mia sinistra ripeteva questo mantra liberista: ‘meno ai padri, più ai figli’, come se tutti i padri fossero uguali. Nel frattempo sono stati cancellati e massacrati i diritti dei lavoratori-padri e per i figli è andata ancora peggio, perché ora vivono in un contesto ancora più povero. Quello di Draghi è stato, per carità, un discorso ecumenico da padre della patria, ma ha rimosso questa drammatica questione. L’Ue e l’Eurozona, che lui, figura di grandissimo profilo, così brillantemente ha difeso con grandi capacità che gli vanno riconosciute – continua – hanno però determinato la svalutazione del lavoro e l’impoverimento di larghissime fasce di classi medie. A me invece, una volta tanto, interesserebbe che Draghi, o chi per lui, dicesse che c’è la necessità di mettere dei paletti a questo mercato unico che oggi fa dumping social e dumping fiscale, colpendo le generazioni più giovani, oltre che i lavoratori. Mi piacerebbe che Draghi dicesse che si è drammaticamente sbagliato con la Grecia, perché si sono imposte politiche che hanno massacrato la sanità e il sistema pensionistico, senza risolvere niente. Sono state salvate le banche francesi e tedesche e ora la Grecia ha un debito pubblico più alto di prima”.

Fassina sottolinea: “Insomma, da parte di Draghi mi piacerebbe un po’ meno retorica. Peraltro, oggi le prime pagine dei giornali sono davvero imbarazzanti con questa esaltazione tutta strumentale al fine di costruire un governo Draghi. Penso che lo stesso Draghi, legittimamente dal suo punto di vista, in qualità di eccezionale interprete di quell’impianto liberista, sia disponibile ad avere i ruoli più importanti in questo paese, che potrebbero essere quello di presidente del Consiglio emergenziale o di presidente della Repubblica. Non ho nulla contro Draghi, che stimo – prosegue – ma deve essere chiaro che, in termini di segno sociale, un governo Draghi altererebbe quell’equilibrio, anche pieno di difetti, che in questa fase col governo Conte Due abbiamo realizzato. Un governo Draghi non toglierebbe la concessione ad Atlantia, né alimenterebbe riforme che danno più garanzie al mondo del lavoro precario. Certo, magari ci farebbe fare più bella figura ai tavoli europei, ma avrebbe una funzione conservatrice di un ordine che invece va radicalmente rimesso in discussione. E oggi le prime pagine dei giornali esplicitano questa operazione politica apparecchiata ieri al meeting di Cl a Rimini”.

Il parlamentare chiosa: “Vogliono defenestrare Conte? Sì, perché dà al M5s quello spazio che consente di avere un qualche cambiamento in senso di maggiore giustizia sociale. Si elimina Conte, si determina una frattura nei 5 Stelle e si imbarca Forza Italia. E’ un’offensiva plateale, i giornali stamattina sono chiarissimi in questo senso. I 5 Stelle devono resistere e il Pd deve guardare al futuro con un minimo di lungimiranza. Purtroppo c’è un pezzo di Pd che vorrebbe scaricare i 5 Stelle incentivando politiche conservative e centriste in termini di effetti sociali. È uno scontro politico che non può essere giocato in termini di capacità tecniche di “Super Mario”, perché qui la tecnica non c’entra niente. Qui – conclude – lo scontro politico è durissimo, perché ci aspetta un periodo molto difficile. Gli interessi più forti oggettivamente stanno mettendo in campo, a cominciare dai giornali, tutte le leve che hanno per difendere gli assetti costruiti negli anni. La questione di Atlantia ha mandato un messaggio che in tanti ambienti viene giudicato estremamente pericoloso, quasi eversivo. E il messaggio è: ‘si rimette in discussione una rendita privata così generosa da questi quattro straccioni dei 5 Stelle'”.

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martedì 18 agosto 2020

Zingaretti sulle intese alle Regionali con M5s: “Alleati e non avversari. La decisione spetta ai dirigenti locali e passa da candidati credibili”

“Diversi ma alleati” al governo e ora “alleati, e non avversari” alle Regionali di settembre, puntando su candidati capaci di sconfiggere le destre. Nicola Zingaretti manda un messaggio all’interno del Pd e anche agli alleati del M5s in un messaggio su Facebook. Lo fa, a quattro giorni dal voto sulla piattaforma Rousseau che ha sdoganato il veto del Movimento sulle liste allargate a livello locale, per mettere a tacere chi non digerisce la possibilità di correre insieme nelle prossime tornate elettorali.

Non esulta, il segretario dem, ma non nasconde la soddisfazione di un passo avanti. E complice il fuoco amico, alza la voce per zittire le polemiche su quel matrimonio tattico che vive in bilico tra paure di essere fagocitati dall’altro e perdere la propria identità. La premessa di Zingaretti è che sul voto “si sta generando troppa confusione. Non sempre senza malizia e, spesso, con una buona dose di strumentalità si fanno ricostruzioni fuorvianti”.

Zingaretti parla a tutti, compresi i suoi. Ad iniziare dal sindaco di Firenze Dario Nardella, che definisce le alleanze una “tattica miope” più “che il frutto di un serio progetto politico”. Lamenta l’assenza di un confronto che non ha coinvolto “gli iscritti, i dirigenti locali e le migliaia di amministratori” e quindi chiede una prova di “coraggio”, convocando “un congresso, vero, di nome e di fatto”. Perciò nel suo post il numero uno del partito ricorda che l’ipotesi di un matrimonio elettorale è “ovviamente delegata a processi politici locali e all’individuazione di candidati credibili da sostenere per vincere”.

E sulle rispettive identità insiste: “È quanto abbiamo detto dal primo giorno. Proprio perché forti delle nostre idee, vogliamo farle vincere nei processi reali, politici e sociali che ci sono e non solo declamarle nelle interviste e nei tweet”. Più morbido è il suo vice, Andrea Orlando: “Che ne dite di fare la campagna elettorale prima e parlare di assetti interni poi?”, è l’interrogativo-suggerimento dopo che appena un mese fa da Giorgio Gori e altri dem era giunta una richiesta simile a quella di Nardella.

Del resto il primo banco di prova è alle porte, con il voto del 20 e 21 settembre che imporrà di chiudere le liste dei candidati entro il 22 agosto alle 12. Nella partita che coinvolge in tutto sette regioni, sono Marche e Puglia le regioni dove l’alleanza manca nonostante siano proprio i due territori più a rischio. La corsia per un accordo in extremis è sempre più stretta, nonostante sia stata caldeggiata già in passato anche dal premier Giuseppe Conte. Nelle Marche non demorde il candidato M5s Gian Mario Mercorelli e nemmeno il sindaco di Senigallia Maurizio Mangialardi in lizza per il Pd.

Strada in salita pure in Puglia. Contro il presidente uscente Michele Emiliano del Pd c’è Antonella Laricchia dei 5S, voce di chi “dice no”. “Ci stanno provando, ancora ieri ho ricevuto pressioni pesanti – rivela su Facebook – Prima mi offrono di essere sistemata a vita o poltrone comode, poi minacciano di estromettermi”. E invece assicura: “Non hanno compreso che in Puglia c’è un popolo in marcia, che spazzerà via loro e i loro tentativi di accordicchi”. Difficile quindi, per ora, che si ripeta l’eccezione della Liguria con l’accordo trovato su Ferruccio Sansa.

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Dagli iscritti M5s una nuova missione. Ora basta poteri accentrati nel capo politico e piattaforma Rousseau passi sotto il controllo del Movimento

Gli iscritti del M5S ci hanno indicato una nuova missione per i prossimi anni: ripartire dai comuni con più forza, esperienza e più strumenti. In pochi anni al governo del Paese abbiamo ridato centralità e credibilità dell’Italia in Europa, stiamo ponendo le basi per una riconversione economica che crea posti di lavoro e Pil con misure strategiche come l’EcoBonus al 110%, gli invisibili di questo Paese ritornano a riconquistare dignità e ad essere inseriti in politiche attive per il lavoro grazie ad una misura strutturale come il reddito di cittadinanza.

Tutte le iniziative politiche del 2020, dal sostegno ai lavoratori, alla liquidità alle imprese, ai 6 miliardi investiti nella scuola sono obiettivi precisi di un movimento che investe in conoscenza e capitale umano e in questi mesi emerge chiara l’impronta di un governo di cui il M5S è protagonista principale. Restiamo però indietro nei cambiamenti necessari per gli enti locali: rifiuti zero, economie locali, acqua pubblica. Sono gli obiettivi che ci siamo dati 11 anni fa con la Carta di Firenze e che oggi restano ancora pienamente da realizzare perché con le regole che avevamo sugli enti locali il M5S governa solo lo 0,58% dei Comuni.

Detto questo le alleanze e le coalizioni con i partiti sui territori non sono per nulla scontate perché il nostro obiettivo è di alzare la qualità della politica sui progetti per il Paese e di avvicinare i cittadini onesti. Se esiste un Pd sano sui territori ci dialogheremo, se il Pd continua ad affidarsi a dinosauri della Politica locali come De Luca e come in Campania, l’indipendenza del M5S non può che essere l’unica alternativa sana per i cittadini. E questo discorso vale per tutte altre forze di governo e i partiti italiani che hanno un radicamento più locale.

Ho chiesto che il tabù degli accordi locali cadessero nel 2019 dopo la formazione di questo governo perché preoccupato dalla qualità della classe politica che Salvini e Meloni stanno portando sui territori, una politica di slogan e piegata sui propri affari piuttosto che sull’interesse collettivo di cui il governatore Fontana ne è simbolo. Tuttavia non si prendono in giro i cittadini con alchimie di palazzo. Il percorso sui territori deve essere serio, fondato sui progetti e il rinnovamento altrimenti l’alternativa è il M5S autonomo sui territori ed è per questo che oggi vanno sostenuti con forza i nostri candidati regionali e costruire percorsi seri per il 2021.

Per chi teme che così il Movimento sia destinato a trasformarsi in una costola del Pd direi che abbiamo esattamente la missione opposta. Il M5S deve diventare la più importante forza di governo degli enti locali, come è accaduto a livello nazionale con 11 milioni di voti dei cittadini che ci hanno dato fiducia ed hanno permesso di avere Giuseppe Conte come Presidente del Consiglio.

Alcune debolezze del M5S e qualche passaggio di scarsa trasparenza nel M5S è frutto dell’assenza di organizzazione e struttura capillare e territoriale che manca al M5S. E ormai tutti i portavoce nazionali, locali e attivisti chiedono una struttura raificata e siamo già in ritardo.

Vito Crimi sta facendo al meglio il suo lavoro e sta cercando di rendere i processi più condivisi possibili, ma la verità è: lo Statuto del M5S che accentra in lui tutti i poteri va riscritto perché gli strumenti che si ritrova non sono adeguati a rispondere alle emergenze politiche impreviste, visto che sia per una votazione importante come quella di Ferragosto che per la certificazione di una lista comunale del M5S nel più piccolo Paese della nostra Penisola è nelle mani di una sola persona, mentre il M5S ha bisogno di organi collegiali, comitati decisionali e reti territoriali suddividendo responsabilità precise.

Questo possiamo farlo solo con gli Stati generali, scegliendo anche che la piattaforma Rousseau passi sotto il controllo diretto del Movimento, in modo chiaro, trasparente e democratico.

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Pomigliano, c’è l’accordo M5s-Pd: Del Mastro il candidato sindaco nella città di Di Maio

Il Movimento 5 stelle e il Partito democratico insieme a Pomigliano d’Arco, città del ministro degli Esteri ed ex capo politico M5s, Luigi Di Maio. Le due forze di maggioranza al governo hanno trovato l’accordo per correre in coalizione alle prossime comunali. Il candidato unico sarà Gianluca Del Mastro, come ha annunciato su Facebook Dario De Falco, braccio destro di Di Maio e membro dello staff del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro. “Il mio passo indietro ne farà fare parecchi avanti alla mia città!”, ha commentato.

L’intesa tra M5s e Pd che replica lo schema nazionale arriva dopo il via libera di Rousseau: sulla piattaforma gli iscritti al M5s la scorsa settimana hanno votato sì alla modifica del regolamento per consentire alleanze locali non solo con le liste civiche ma anche con i partiti tradizionali. E proprio Di Maio durante il voto si era schierato apertamente a favore della nuova regola: “Niente di più e niente di meno di quello che abbiamo già fatto al governo centrale“, aveva spiegato, sostenendo la necessità di “sbloccare nelle elezioni comunali la possibilità di allearci con altre forze politiche”.

De Falco parla di un “nuovo laboratorio politico di Pomigliano” in cui i due partiti “hanno scelto Gianluca Del Mastro” come candidato. “Gianluca – scrive su Facebook De Falco – ha 46 anni è sposato ed è padre di due bambini. Attualmente è professore di Papirologia presso l’Università della Campania ‘Luigi Vanvitelli’ , professore di Paleografia presso l’Università Federico II di Napoli e presidente della Fondazione Ente Ville Vesuviane nominato dal Ministro per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo. È abilitato alla dirigenza di Istituti del Cnr”.

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