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lunedì 30 novembre 2020

Dl Sicurezza, il leghista Paternoster ai deputati M5s: “Fate schifo, al vostro posto mi sputerei”. Rampelli lo riprende: “Non insulti”. Caos in Aula

Fate schifo, fate schifo”. E poi il coro dai banchi della Lega, ‘vergogna, buffoni”. Così il leghista Paolo Paternoster si è rivolto in Aula alla Camera ai parlamentari di M5s, durante l’esposizione degli ordini del giorno sul Decreto sicurezza e immigrazione, dopo l’approvazione della fiducia. Il deputato è stato così ripreso dal vicepresidente di turno, Fabio Rampelli: “In questa Aula non èp consentito insultare”. “Allora fate pena, non schifo, ma pena. Al vostro posto mi alzerei la mattina e mi sputerei”, ha insistito Paternoster, nonostante i richiami di Rampelli. “Prendo atto che non ha recepito le indicazioni della presidenza”, ha concluso il vicepresidente, tra le urla e gli applausi proveniente dai banchi leghisti

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domenica 29 novembre 2020

Brunetta ora bacia il suolo dove passa Di Maio: “E’ un vero leader, è intelligente e preparato”. Prima era “spudorato, ignorante e truffatore”

“Spudorato”, “ignorante”, spaccone e pure “truffatore”. C’era una volta Renato Brunetta, che così parlava di Luigi di Maio. E non era molto tempo fa. Ma ora il responsabile economico di Forza Italia ha rivelato ben altri sentimenti verso ministro degli Esteri, vergandoli con l’inchiostro come nelle storie d’amore d’altri tempi. Galetto fu Il Foglio e la corrispondenza d’amorosi sensi sui 10 punti scritti da Di Maio che il quotidiano ha “girato” a Brunetta per un commento a caldo. Ed è lì che è scattato il colpo di fulmine. All’improvviso Di Maio è un “vero leader”, uno “studente preparato”. Di più: “Di Maio è giovane, intelligente, rispettoso, veloce, sa ascoltare e con un vecchio signore come me si è sempre comportato bene”. Dal cielo grigio di un’Italia deserta per restrizioni fioccano, improvvisi, fiori di arancio. Da cosa nasce l’ardore? “Di Maio – scrive Brunetta poi al Corriere – sta trasformando un movimento caotico in un partito strutturato e responsabile. E queste imprese non le raggiungi se non sei un leader”.

E’ solo un caso che la corrispondenza di amorosi sensi arrivi in scia alle manovre che, con un “Sì” di Forza Italia allo scostamento di bilancio, hanno consentito al partito del Cavaliere di rimettersi alla testa del duo Salvini-Meloni, bruciati in velocità e prontezza di riflessi e lasciati ai margini dei discorsi sulle riforme future e sullo “scostamento della maggioranza”. Solo una coincidenza se mentre FI pattinava verso la “responsabilità” e il dialogo suggeriti dal Quirinale, Brunetta imbustava la sua lettera dolce a Di Maio.

La poesia dell’amore ritrovato lo spinge a tratteggiare una speciale comunanza, quasi una predestinazione, nell’irresistibile ascesa politica che accomuna l’ex bibitaro da stadio al figlio di un venditore di gondole di plastica. “Siamo entrambi figli della periferia. Rivesti ora una posizione di grande prestigio e dimostri che in Italia funziona la democrazia coi suoi ascensori sociali”. Non è dato sapere se sia amore vero o interessato. Certo il cinguettio di usignoli di oggi non copre del tutto le rapaci urla di Brunetta di ieri. Alla vigilia delle politiche 2018, ad esempio, era presidente dei deputati di FI e salutava così Di Maio e l’idea di ministri outsider della politica: “Caro Luigi Di Maio, spudorato e ignorante. Stai truffando i cittadini con la barzelletta del candidato premier e della lista di ministri al Quirinale. Vergognati e studia un po’ di diritto costituzionale. Trovati un lavoro e solo dopo cita il professor Brunetta”.

Il rapporto è continuato per anni all’insegna delle turbolenze. Tre anni fa Brunetta assimilava Di Maio a Renzi nel comune epiteto di “inutili spac-co-ni”. Adesso Brunetta ventila addirittura la fuga d’amore a braccetto nel Partito socialista europeo (“Se il ministro pensasse di iscriversi, faccia uno squillo che magari vado ance io”). Ma non le mandò a dire quando Di Maio criticò la scelta di mettere a capo della commissione banche Casini e lo stesso Brunetta, “due uomini sostanzialmente vicini a Berlusconi e al centrosinistra”. Lui reagì con un brusco: “toglietegli il vino”. Di vero però, in questa inedita stagione di nuovi amori, c’è l’attenzione e il divertimento che Brunetta ha sempre riservato al detestato avversario (e futuro prediletto). In tempi non sospetti.

Correva l’anno 2016. Da giorni impazza la storia con annessa polemica dell’account pro-M5S “Beatrice Di Maio”. Il Pd accusa il titolare di fomentare il cyber-odio a colpi di tweet in realtà orchestrati ad arte dai Cinque Stelle e Casaleggio. Dopo alcuni giorni il Pd annuncia iniziative legali per stanare l’hater e solo allora si scopre che non era una macchina del fango: era la moglie di Brunetta. Fu proprio lei a rivelarlo pubblicamente, giurando che il marito non sapesse che le provocazioni col cognome di Di Maio in odor di cyber-propaganda in realtà erano sue. Ma visto l’amore a scoppio ritardato, finito ora sui giornali, resta il dubbio di allora su chi alimentasse davvero quell’attenzione insistente e quasi morbosa verso il “Caro Luigi”.

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sabato 28 novembre 2020

Sondaggi: Conte resta il leader più apprezzato, ma perde tre punti. Fratelli d’Italia sorpassa i 5 Stelle

Nell’Italia sferzata dalla seconda ondata della pandemia, cresce la preoccupazione per la crisi economica, che si accompagna a senso di insofferenza e fatica. Solo un italiano su 3 dichiara che farà il vaccino non appena sarà disponibile mentre il 41% preferisce attendere, per avere garanzie su efficacia ed effetti collaterali. La situazione fotografata da Ipsos per il Corriere della Sera evidenzia una crisi sociale che si ripercuote anche sul panorama politico, dove cala il gradimento per il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e per il governo, specie tra gli elettori di Lega e centrodestra. L’esecutivo risulta essere il secondo attore chiave dopo le imprese per fare ripartire il Paese, secondo la rilevazione Demos-Libera per Repubblica. Al terzo e quarto posto ci sono istruzione e ricerca, seguite dallo spirito di iniziativa degli stessi cittadini, poi associazioni, banche e organismi internazionali. Una classifica che vede all’ultimo posto i sindacati e al penultimo i partiti politici, che gli italiani identificano come le entità meno efficaci per il rilancio del Paese. Gli elettori vicini al centrodestra, e in particolare quelli di Forza Italia, puntano sulle imprese, mentre sud e sostenitori dei partiti al governo puntano soprattutto su Palazzo Chigi.

Gradimento dei leader e partiti – Guardando al sondaggio Ipsos, rispetto a un mese fa, il premier perde 3 punti assestandosi al 55%, mentre l’esecutivo si ferma a 52 e registra due punti in meno. Per entrambi il calo è di 10 punti da settembre, e si tratta del livello più basso da quando è iniziata la pandemia. Quanto invece al gradimento degli altri leader politici, in testa c’è Giorgia Meloni stabile al 36, seguita dal ministro della Salute Speranza al 35 (-1), da Salvini che cresce di due punti al 33, e da Zingaretti stabile al 29. Cala di altri due punti Renzi, che dal 13 passa all’11.

Un punto in più per Di Maio che passa al 25% (come Berlusconi), ma guardando alle intenzioni di voto, i 5 Stelle (15%, in calo di 0,9%) vengono sorpassati da Fratelli d’Italia (15,5%, in flessione di 0,4%) che diventano terzo partito dietro la Lega, salda al primo posto col 25,5% e in aumento di 1%, seguita dal Pd con il 20,6%. Forza Italia, nonostante le aperture al dialogo col governo Conte, si ferma all’8%, mentre Sinistra Italiana/Leu si attesta al 3,2%, seguita da Azione (3%), Italia viva (2,8%, in calo dello 0,1%), Europa verde (2%) e +Europa (1,9%). Crescono ancora gli astensionisti, che dal 40,3 di un mese fa passano al 41%.

Quando usciremo dalla pandemia? – La fase sociale che sta attraversando il Paese è complessa e densa di preoccupazioni anche per i mesi a venire, con la maggior parte degli italiani convinta che la crisi sanitaria sia destinata a durare ancora molto tempo. Il 47% degli italiani è infatti certo che l’emergenza si chiuderà tra l’estate e l’autunno del 2021, ma il 27% è convinto che i tempi saranno più lunghi. La fascia dei più ottimisti, convinta che la crisi sarà alle spalle entro la prossima primavera, riguarda solo il 13% degli italiani.

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giovedì 26 novembre 2020

Puglia, le lacrime di Laricchia dopo l’accordo Pd-M5s in Consiglio regionale: “Io all’oscuro, se potessi restituire i voti ai cittadini lo farei” – Video

“Sono dispiaciuta che i miei colleghi siano commettendo il classico errore della vecchia politica”. Così Antonella Laricchia, candidata del M5S alla Presidenza della Regione Puglia alle ultime elezioni, durante la prima seduta del Consiglio regionale pugliese dopo l’annuncio dato dal capogruppo Pd, Filippo Caracciolo, e dalla consigliera regionale pentastellata Grazia di Bari, di un accordo politico tra centrosinistra e Movimento 5 stelle. “Mi dispiace ma state sbagliando”, ha aggiunto. Commossa, dovendosi fermare più volte per riprendere il controllo, Laricchia ha proseguito, rivolgendosi ai cittadini: “Agli oltre 200mila cittadini che ci hanno votato vorrei dire che se potessi restituirvi i voti di ci ci avete onorato e che in questo momento i miei colleghi stanno disonorando, lo farei”. “Spero non perdiate la fiducia, e spero di continuare a dimostrarlo – ha continuato, interrompendosi per le lacrime – Io sono stata tenuta all’oscuro dalle ultime riunioni. I miei colleghi si sono negati al telefono salvo informarmi solo ieri sera. Nei messaggi chiedevo una riunione per decidere insieme come richiedere per loro e per il Movimento 5 stelle, ruoli di garanzia che spettano alle opposizioni. Mentre si negavano incontravano Michele Emiliano, e con lui hanno deciso con l’approvazione di Cristian Casili e con il silenzio/assenso di Grazia di Bari e Rosa Barone di fare questo passo verso la maggioranza”.

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Puglia, accordo politico Pd-M5s in Consiglio regionale: la vicepresidenza a un pentastellato. Laricchia: “Tradimento, state sbagliando”

Il primo accordo è raggiunto, probabile preludio all’ingresso in giunta con l’assegnazione a un esponente pentastellato dell’assessorato al Lavoro, rimasto vacante quando Michele Emiliano ha composto la sua squadra. In Puglia il centrosinistra e il Movimento Cinque Stelle si stringono la mano e annunciano in aula, durante la prima seduta del Consiglio regionale, l’intesa su presidenza e vice-presidenza dell’assise. La poltrona più alta del Consiglio va a Loredana Capone, ex assessora e prima donna a ricoprire la carica, la vicepresidenza è di Cristian Casili, consigliere regionale pentastellato rieletto.

L’annuncio della fumata bianca ha provocato l’irritazione di Antonella Laricchia, sfidante di Emiliano e ultima barricadera del “no”. La consigliera, intervenendo durante la seduta, ha parlato di “errore” e “tradimento” nei confronti degli elettori pugliesi. “State sbagliando tanto”, ha ripetuto commossa contestando l’intesa ‘firmata’ da Casili e dai colleghi Rosa Barone, alla quale dovrebbe andare l’assessorato al Lavoro, Marco Galante e Grazia Di Bari, capogruppo e volto che ha annunciato il via libera insieme al capogruppo dem Filippo Caracciolo.

Capone è stata eletta con 32 voti, quindi con oltre i 29 a disposizione della maggioranza di centrosinistra. Le schede bianche sono state 18, uno il voto ritenuto nullo. Il centrodestra, durante le indicazioni di voto, ha annunciato la propria astensione lamentando la mancata interlocuzione, il M5S invece non ha dichiarato le proprie intenzioni. Il gruppo ha in parte votato con la maggioranza in virtù dell’accordo.

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mercoledì 25 novembre 2020

La violenza di genere va soprattutto prevenuta. Ecco dove possono intervenire le istituzioni

di Stefania Ascari*

Nel 2019, esattamente vent’anni dopo la scandalosa sentenza della Cassazione sul non-stupro della ragazza con i jeans, l’Istat ha fotografato l’abisso culturale in cui mette radici il fenomeno della violenza di genere. Quattro persone su dieci (tra cui anche donne) ha risposto con affermazioni da Medioevo ad una intervista per tracciare l’immagine sociale della violenza all’interno della coppia. “Colpa delle donne”, la violenza, specie quella sessuale che “potrebbe essere evitata”, che dipende “da come ci si veste” e che non succede “alle ragazze serie”. Se poi hai bevuto qualche cocktail di troppo o hai assunto droghe è proprio colpa tua.

Risposte che rappresentano una galleria dell’orrore che fa male, ancor di più, considerando questi numeri: in Italia una donna subisce violenza ogni 15 minuti e viene commesso un femminicidio ogni 72 ore. L’ambiente familiare è il luogo della maggior parte degli abusi. In Italia l’83,4 % delle 130 donne uccise nel 2018 ha trovato la morte per mano di un familiare, di un partner o di un ex-partner.

Le difficoltà che le donne incontrano nella fuoriuscita dalla violenza sono spesso legate a scarsi strumenti di sostegno dei loro percorsi di libertà e autonomia. Cioè se una donna è economicamente dipendente dal partner farà molta fatica a denunciare. Questa violenza, cosiddetta economica, fa sì che spesso le vittime tornino dal partner violento per le difficoltà economiche che si trovano ad affrontare.

In questo senso, è dovere delle istituzioni introdurre strumenti di welfare volti a sostenere economicamente le donne nel loro percorso di fuoriuscita dalla violenza, al fine di favorirne l’inserimento nel mondo del lavoro e l’autonomia abitativa, promuovendo progetti di autoimprenditorialità femminile e misure di sostegno all’occupazione come il bonus baby sitter. Così come per le imprese prevedere assunzioni riservate e sgravi fiscali per favorire il lavoro delle donne. E’ fondamentale implementare politiche sociali che consentano a tutti e tutte di conciliare il lavoro con la famiglia senza dover scegliere l’uno o l’altro e di poter contare su strutture pubbliche come consultori o centri anti-violenza in caso di necessità.

La violenza sulle donne nel 2020 è ancora e soprattutto un problema culturale, frutto dell’ignoranza, della discriminazione, dell’omertà, dell’incapacità di amare e spesso del poco amore che noi donne abbiamo di noi stesse. Per questo, il lavoro più importante che si possa fare è prevenire. Formare i giovani già a partire dai primi banchi di scuola al rispetto della parità di genere e della persona in generale, includendo nei programmi scolastici ed universitari i temi dell’educazione alla legalità e al contrasto alla violenza di genere.

Accanto all’educazione scolastica è indispensabile la formazione di medici, infermieri, psicologi, avvocati, magistrati, assistenti sociali, forze dell’ordine e di tutti i soggetti che parlano con donne che hanno subito violenza. Purtroppo ancora oggi, nei mondi che vengono a contatto con la violenza sulle donne sono presenti molti pregiudizi. Per questo la specializzazione e la formazione sono cruciali.

Sul fronte della prevenzione è necessario anche il trattamento degli uomini violenti per evitare che, espiata la pena, commettano altri reati della stessa natura. Questo comporta l’attivazione di una rete territoriale antiviolenza, che predisponga protocolli operativi tra aziende sanitarie, forze dell’ordine, procure, enti locali, centri anti-violenza.

Un’attenzione particolare va rivolta ai media affinché non trasmettano una visione sessista e stereotipata dei ruoli tra uomo e donna e affinché siano sanzionati, qualora incorrano in questi stereotipi, avendo una cura particolare per il contesto dei social network, canale comunicativo privilegiato da parte delle fasce più giovani della popolazione. Nell’era del web, la violenza corre anche in rete e le donne sono le principali vittime del discorso d’odio online, il cosiddetto hate speech. Normare il web non è cosa semplice, tuttavia, si deve porre l’attenzione su come arginare questi discorsi violenti.

Per fare tutto questo, serve, soprattutto, la costruzione di una reale cultura della parità tra i sessi che favorisca la partecipazione delle donne al lavoro e alla vita politica e sociale, eliminando le disparità nelle retribuzioni, nelle pensioni, nelle carriere, nei processi decisionali e nei ruoli apicali. Un cambiamento totale del paradigma sociale che metta al centro la donna per ridurre così il gap oggi esistente.

Ciò significa investire realmente sul futuro del Paese, per costruire una cultura del rispetto e della valorizzazione della donna con la consapevolezza che la battaglia decisiva si combatterà sul terreno culturale prima che su quello normativo.

* deputata cinquestelle, prima firmataria della legge sul Codice Rosso

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martedì 24 novembre 2020

Stati Generali M5s, una comparsata di calibri da novanta con le polveri bagnate

Tutti quelli che hanno visto al cinema o letto qualche libro sulla Rivoluzione Francese o comunque sulle prime riunioni del popolo parigino, dette “Stati Generali”, allo scopo di liberarsi dalla sudditanza della nobiltà (e del clero), avranno certamente ricostruito con l’immaginazione quella spinta verso la libertà, l’eguaglianza e la fratellanza cui il popolo si sentiva chiamato, allo scopo di creare una società più giusta, fraterna, senza divisioni di casta o di censo, e anche per questo, finalmente libera!

Ma se questa visione era, almeno nelle intenzioni, lo scopo degli organizzatori, quella è miseramente naufragata.

Lo sforzo di richiamare quegli ideali appare dunque più altezzoso che idealistico. Si è capito benissimo fin dall’inizio della preparazione organizzativa che il tutto serviva solo a disegnare l’organigramma, non a risolvere i problemi dei 5Stelle (e tantomeno quelli degli italiani).

Come si fa a chiamare “Stati Generali” una roba qualunque come quella che ci è stata riportata da Vincent Russo: sembrava un raduno provinciale degli Oratori, non la riunione dei vertici del partito maggioranza di governo. Persino il direttore Marco Travaglio nel suo eccellente editoriale Esame di immaturità strapazza come merita quella estemporanea e raccogliticcia comparsata di politici, alcuni dei quali di altissimo livello istituzionale, che nell’occasione hanno mostrato solo di essere calibri da 90 con le polveri bagnate.

Del resto è lo stesso Travaglio a fare una specie di inventario di quello che ha trovato nel resoconto di questi altezzosi dirigenti che vorrebbero venderci come costruenda “democrazia diretta” queste delizie: “Regolette, formulette, schede, mandati, scontrini, quote sociali, piattaforme online: ma a chi interessa ‘sta sbobba?”. E poi prosegue: “Siamo nel pieno di una pandemia mondiale che sta cambiando il pianeta e impone a tutti un nuovo welfare, un nuovo ambientalismo, un nuovo modello di sviluppo. E i 5Stelle, cioè la forza politica italiana più attrezzata per storia e Dna a dare risposte innovative sul futuro, oltreché la spina dorsale del governo con un buon premier indicato da loro e una serie di buoni ministri, che fanno? Si accapigliano su minutaglie da trapassato remoto che non fregano niente e non scaldano nessuno”.

Ringrazio Travaglio per questa sua splendida descrizione dei troppi fallimenti che il M5S riesce ad inanellare uno dopo l’altro, nell’ansia di recuperare la fiducia dell’elettorato. Lui riesce a scrivere in due o tre righe tutto quello che io impiegherei più pagine per descrivere. Però anch’io è da anni ormai che cerco di contattare qualcuno ad alto livello per informare su qualche azione organizzativa che avrebbe potuto essere molto utile e ho ottenuto solo porte in faccia, da Grillo in giù.

La peggiore è stata quell’orrenda presa in giro della candidatura alle Europarlamentarie. Hanno preteso persino il certificato del casellario giudiziale, ma probabilmente è l’unico documento che hanno controllato, perché nel loro sistema dei meriti avrei dovuto averne almeno tre o quattro e invece me ne hanno riconosciuto solo uno. Se non l’hanno fatto apposta significa solo che hanno una organizzazione da schifo.

Potevo denunciarli. Non l’ho fatto perché sapevo che, comunque, nel programma del Movimento c’erano traguardi ambiziosi che anch’io condividevo e la mia denuncia avrebbe potuto danneggiarli. Ora però i “grillini” non sono più, anche politicamente, “neonati” e, anche se sono arrivati al governo ancor prima che alla maturità, è ora che si sveglino. E’ finito il tempo degli esami e la bocciatura secca elettorale non sono stato io ad avergliela data, ma proprio gran parte di quello stesso popolo che due anni fa loro erano riusciti a conquistare. Almeno questo dovrebbero capirlo. O pensano davvero che la scuola a qualche centinaio di attivisti (o arrivisti?) basterebbe a riconquistare quel 15% di voti persi alle prossime elezioni generali?

Sono stato il primo a scrivere nel 2015, proprio in questo blog, “Grillo, con un partito invisibile non si va lontano!”, ma adesso non è più la visibilità che manca: sono i fatti e sono i soldi. Due cose che non basta avere qualche attivista volenteroso e bene addestrato a distribuire volantini nel proprio circondario a risolvere. Ma non è comunque colpa loro se gli elettori sono scappati. La colpa è tutta di quelli (Grillo compreso) che pensano davvero di aver aperto il Parlamento come una scatoletta di tonno.

Inizialmente poteva sembrare così, ma adesso, dopo che i sondaggi li quotano a meno della metà e che il loro gradimento si sta squagliando come neve al sole, basta un’analisi solo un po’ più profonda per capire che loro non hanno aperto un bel niente, la scatoletta gliel’abbiamo aperta noi elettori finché ci era sembrato meritassero la nostra fiducia. Ora che sono diventati come gli altri, più bravi a parlar male degli altri quando vanno in televisione che a studiare come risolvere i problemi della gente, alle prossime elezioni potrebbero scoprire che la “scatoletta” non si apre più.

Non è studiando i “giochi” di palazzo, o decidendo il numero dei mandati parlamentari cui partecipare, che si possono conquistare voti, perché questi sono problemi che riguardano esclusivamente loro. Cosa volete che gliene importi alla gente se uno fa due o dieci mandati? Se uno entra in Parlamento per farsi gli affari suoi è già troppo un mandato, se lavora bene per la gente e per la nazione può starci fino alla pensione, non dà fastidio a nessuno (salvo agli invidiosi).

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Cari M5s, avete una responsabilità storica: le manovre di B. puntano al Quirinale

In vista della discesa dal nord dei miliardi europei per invadere l’Italia, stremata dalla Covid-19, la macchina degli appetiti illeciti si è messa in moto, prima in sordina, poi via via sempre più articolata da distinguo e assicurazioni: niente inciuci, solo collaborazione senza contropartita. Oh! bella, qui non c’è contropartita, c’è solo la partita dei miliardi stanziati dall’Europa che, costi quel che costi, bisogna spartire tra furbi e pregiudicati in nome, naturalmente, del bene dell’Italia.

Il coro intonato della stampa padronale (Repubblica/Stampa, Corriere, Giornale e satelliti), sotto un’unica direzione orchestrale, canta l’inno dell’unità nazionale ritrovata e cavalca l’occasione della Covid-19 per mettere le mani sulle mammelle della vacca da mungere e chi arriva prima munge di più e meglio. Se poi chiagne, la mungitura è elettronica.

Il M5S, ormai rintronato da sé, sta cedendo all’usignolo travestito da rapace e come un qualsiasi D’Alema prova a balbettare che Mediaset è un “valore nazionale”. Il Pd non aspettava altro che dare corso alla sua vera anima, destinata a essere partito di destra, come lo ha consacrato Renzi e il suo nefasto programma di svelarne il vero animo nascosto: partito berlusconiano a lungo tempo criptico. Costoro non fanno finta di non sapere: essi non vogliono sapere che Berlusconi è un pregiudicato, condannato in via definitiva per frode fiscale; che il suo amico, cofondatore del partito-azienda, Marcello Dell’Utri, fu condannato per mafia e Berlusconi stesso indagato per le stragi del 1992, come frutto della trattativa con la mafia che pagava anche da presidente del Consiglio dei ministri. Il Pd, e noi con esso, ha lottato per anni contro tutto questo. Vogliamo lasciare da parte Ruby, nipote di Mubarak e tutto il porcaio annesso e connesso?

Lasciamo da parte, ma il Pd, epigono di partiti che nel millennio scorso erano di sinistra, può fare tante giravolte per arrivare finalmente a casa sua, Arcore, l’utero caldo e garantito della sua inutile esistenza? Cessi almeno di definirsi centro-sinistra. Noi, che abbiamo con il Pd dei decenni passati combattuto il berlusconismo come virus nefasto e nefando, ammorbante il Paese e l’animo civile, oggi siamo esterrefatti di fronte a un partito che non solo subisce il fascino berlusconista, ma addirittura lo cerca attivamente come espressione democratica.

Non c’è più religione e nemmeno le mezze stagioni. Il partito dei Parioli vuole la consacrazione ufficiale di portatore d’acqua – Sherpa – del Sol dell’Avvenire berlusconista, padre nobile della patria infetta e purulenta e gli sta preparando il trampolino di lancio per il Quirinale del 2023. Se non ce la dovesse fare lo statista rialzato di Arcore, è pronta la ruota di scorta Casellati madama Alberti-vien-dalla-campagna, che peraltro ci crede così tanto da invitare Di Maio a colazione e cominciare l’accostamento del riccio.

Può il M5S avere solo l’idea di una collaborazione con Berlusconi, il cui solo interesse supremo nazionale è la sua “roba”, il suo patrimonio, le sue aziende che sono “private” e fanno utili con le concessioni dello Stato, a danno degli italiani? Come mai i 5S non hanno ancora stornato tutti i tagli alla scuola e alla sanità fatti dal Pd fino a Renzi, ma specialmente da Tremonti per conto dei governi Berlusconi e della Lega (4 governi, dal 1994 al 2011, con qualche pausa intermedia) che hanno ridotto scuola e sanità a quel colabrodo che ci siamo ritrovati nella epidemia Covid-19?

Si può fare alleanza o solo maggioranza o solo parziale comunella con “questi-qua” senza arrossire di vergogna? Ognuno può vendersi l’anima a chi vuole, ma fare finta di non capire che l’interesse di Berlusconi è solo il suo utile è demenza politica e incoscienza economica. Suicidio.

Berlusconi, ridotto a semi-vivente con partito ai minimi storici, si riprende la scena, proponendo un appoggio alla maggioranza “per il bene del Paese”, prima senza condizioni, ma “per senso di responsabilità” (lui che fa il moderato, sic!!!!); gli risponde Renzi che vuole un aggiustamento di governo “perché arrivano 200 miliardi dall’Europa”. Berlusconi alza il tiro e pone condizioni, al coro si aggiungerebbe pure Confindustria che non può tollerare lo “sperpero” degli aiuti ai poveri, ma solo alle aziende sue e dei suoi amici, anche a chi evade sistematicamente le tasse o le elude.

Chiedo: perché non dare contributi solo a chi paga le tasse e a chi non evade? In tutti questi preparativi per l’arrembaggio, il M5S è afono, quasi assente, impegnato nella direzione plurale (cinque o sette? Perché non nove o sette e mezzo?). Anime ambulanti senza più contatto con la realtà vitale da cui sono nati, invece di essere argine alla malavita si stanno trasformando in sacerdoti accompagnatori delle vestali del malaffare nel santuario dello Stato e intronizzarlo definitivamente. W l’Italia! W la Repubblica!

Nicola Morra, il presidente dell’antimafia, uomo mite e trasparente, sulla Calabria ha detto una ovvietà che ha il sapore della banalità, eppure è stato trasformato in una potente distrazione di massa dal tentativo di Berlusconi di occupare il Palazzo d’Inverno, complice il M5S che invece di accerchiarlo a difesa come muraglia ne ha preso le distanze, lasciandolo solo e permettendo all’homo quidam Di Mare di espungerlo dalla tv di Stato come fosse sua, come fosse un giudice.

Il degrado è senza fondo. Se le cose stanno così, spero proprio che i miliardi dell’Europa non arrivino mai e restino dove sono, forse serviranno meglio ad altri, ma almeno non saranno dilapidati dai lupi rapaci che fanno stragi di agnelli e gliene danno pure la colpa.

Questa operazione mira al Quirinale. State attenti 5S, avete una responsabilità storica e voi lo sapete. Noi lo sappiamo.

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Sondaggi, Fratelli d’Italia perde mezzo punto. Salgono M5s, Pd e Lega. Cala Renzi: sotto il 3%

Un micro passo avanti di tutte le forze principali, tranne quella guidata da Giorgia Meloni. È questo in sintesi il senso dal sondaggio settimanale Swg per il TgLa7. Secondo la rilevazione salgono Lega, Partito democratico e Movimento Cinque Stelle, mentre è in calo Fratelli d’Italia: passa dal 16,7% al 16,2%. In pratica perde mezzo punto in una settimana: si tratta del primo vero calo del partito della Meloni, in crescita costante dalle europee del 2019.

Arresta la sua caduta il partito di Matteo Salvini, che passa dal 23% al 23,3% mentre il Pd passa dal 19,9% al 20,3% .Il Movimento Cinque Stelle guadagna tre punti percentuali, passando dal 15,3% al 15,6%. In crescita di pochissimo pure Forza Italia che passa dal 6,2% al 6,4% così come Azione di Carlo Calenda data al 3,6% rispetto al 3,4%. Giù invece il partito di Matteo Renzi: Italia viva passa infatti dal 3,2% al 2,9%, scendendo di fatto sotto il tetto della quota di sbarramento. Rimarrebbero fuori dal Parlamento anche +Europa (passa dal 2,4% al 2%), Cambiamo dal 1,3% al 1,1%.

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M5s, su Rousseau spunta il tasto ‘mi fido’ per votare attivisti e parlamentari. Sabatini: “Renderà visibile chi si impegna per il Movimento”

Tre le novità presentate dall’Associazione Rousseau c’è una nuova funzione che tutti gli attivisti iscritti alla piattaforma on-line potranno utilizzare: il tasto ‘mi fido’. A spiegarla Cristian Laurini, responsabile tecnico Level Up Rousseau ed Enrica Sabatini, socia dell’Associazione Rousseau. Si tratta “di distinguere tra i semplici iscritti al Movimento 5 stelle da coloro che sono considerati veri attivisti e che negli anni si sono spesi per il Movimento”, spiega Laurini. “Ognuno di noi da oggi potrà decidere di rendere pubblica la propria fiducia verso determinate persone e si potrà dire ‘per me quella persona risponde ai principi del M5s'”. Sabatini aggiunge: “Mettere i ‘mi fido’ renderà visibile quali sono le persone che più s’impegnano sul territorio e chi sono le persone che garantiscono per quella persona in un sistema di ‘raccomandazione sociale’, la comunità stessa farà emergere chi sono le persone degne di fiducia”.

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Rousseau, Casaleggio: “Autofinanziamento nuovo per rilanciare le attività degli iscritti”

Rilancio delle attività per gli utenti iscritti alla Piattaforma Rousseau anche attraverso nuove forme di autofinanziamento. Questo il centro della presentazione del ‘Piano Rousseau 2020-2021’ avvenuta attraverso un evento on-line. Davide Casaleggio, presidente dell’Associazione Rousseau, i soci dell’Associazione, Enrica Sabatini e Pietro Dettori, il responsabile Tecnico Level Up Cristian Laurini, e la consigliere regionale del Lazio, Francesca De Vito, hanno illustrato bilanci e obiettivi dell’Associazione. Nel suo intervento Casaleggio, dopo aver annunciato il lancio per tutti, dopo un periodo di sperimentazione, dell’app Rousseau, ha parlato delle difficoltà economiche: “Abbiamo avuto delle difficoltà nelle ultime settimane e infatti mancano 175mila euro. Per questo motivo avevamo informato prima alcune personalità del M5s, poi tutti gli iscritti e poi abbiamo proceduto alla riduzione di alcuni servizi. Ma ora – assicura Casaleggio – dobbiamo pensare al rilancio del progetto Rousseau per i prossimi mesi”.

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lunedì 23 novembre 2020

M5s, pubblicato il documento finale degli Stati generali: cosa è stato deciso su alleanze, leadership collegiale e piattaforma Rousseau

Trasferire “le funzioni attribuite al Capo politico ad un organo collegiale” e autorizzare “in via eccezionale” alleanze con le altre forze politiche. Sono queste le due novità più significative contenute dentro il documento finale degli Stati generali M5s e che, per entrare in vigore, dovranno essere ora sottoposte al voto degli iscritti. Per quanto riguarda i rapporti con la piattaforma tecnologica, ovvero la piattaforma Rousseau presieduta da Davide Casaleggio, si chiede di prevedere “un contratto di servizio”. “Le affermazioni” presenti nel testo, è la premessa, “sono il frutto del lavoro svolto nel corso degli Stati generali a partire dalle riunioni territoriali fino all’evento nazionale, e saranno sottoposte, per parti separate, al voto dell’assemblea degli iscritti. Le parti approvate costituiranno un atto di indirizzo a cui gli organi del movimento preposti, attuali e futuri, dovranno attenersi. Per le parti in cui è necessario apportare modifiche allo Statuto, al Codice etico, ai regolamenti esistenti, gli organi preposti formuleranno le relative proposte che saranno di volta in volta sottoposte al voto dell’assemblea degli iscritti. Per alcuni temi che richiedono un ulteriore lavoro di approfondimento, saranno costituiti appositi tavoli di lavoro”. Quindi non basta la diffusione del testo per rendere automatiche le modifiche: l’ultima parola, come già ribadito dai vertici M5s nelle ultime settimane, spetterà agli iscritti del Movimento 5 stelle.

La proposta per la leadership collegiale – E’ uno dei cambiamenti più significativi e più attesi nel Movimento e che dovrà sicuramente prevedere una revisione dello statuto. “Trasferire le funzioni oggi attribuite al Capo politico ad un organo collegiale, che combini rapidità ed efficienza nell’azione politica”, ha . Attribuire alcune funzioni di indirizzo politico, nonché di convocazione dell’assemblea degli iscritti, ad un organo collegiale ad ampia rappresentatività dei livelli istituzionali, territoriali, anagrafici e di genere. L’elezione dei componenti degli organi deve essere effettuata in via prioritaria individualmente individuando eventuali incompatibilità”. L’obiettivo dei vertici è quello di arrivare a un passaggio di consegne dal capo politico reggente a una sorta di segreteria entro la fine dell’anno.

Il nodo alleanze – Sul fronte degli accordi con le altre forze politiche, il documento autorizza che “in via eccezionale” siano fatte alleanze con i partiti tradizionali sia prima che dopo le elezioni. “Il M5s nasce come forza alternativa alle altre forze politiche esistenti”, si legge. “In via eccezionale, in relazione ai singoli sistemi elettorali, possono essere autorizzate, prima o dopo le votazioni, specifici accordi con altre forze politiche, prioritariamente con liste civiche. Ciò può avvenire solo sulla base di accordi chiari e percorsi stabiliti di condivisione di programmi, idee e obiettivi, che tenga conto prioritariamente dei livelli territoriali coinvolti ma con un’autorizzazione che avvenga a livello nazionale che tenga conto degli interlocutori e del contenuto degli accordi”.

Il rapporto con Rousseau – Uno degli aspetti più delicati è quello che riguarda il rapporto con l’associazione Rousseau, presieduta da Davide Casaleggio. Nel documento il riferimento a Rousseau non viene mai fatto, ma si specifica che dovrà essere previsto “un contratto di servizio”. “La piattaforma tecnologica è uno strumento di servizio a supporto dell’azione politica decisa dagli organi del Movimento e per l’esercizio della democrazia diretta nelle forme e nei modi previsti dallo Statuto. I rapporti con il gestore della piattaforma devono essere regolati da apposito contratto di servizio o accordo di partnerhip che definisca i servizi delegati, ruoli, doveri reciproci”.

Cade il tabù delle province – Tra le novità introdotte, c’è anche quella che riguarda le candidature. “In attesa di una revisione del sistema delle province, prevedere modalità di presentazione di candidature alle elezioni provinciali“. Il M5s è sempre stato contrario alle province e in passato ne ha proposto in Parlamento l’abolizione e criticato il meccanismo di elezione indiretta. Nel 2014 sul blog delle Stelle si leggeva: “Il M5s continuerà a non presentare le proprie candidature in un organo politico del quale auspica la soppressione. Non cediamo e non ci facciamo lusingare dalla prospettiva di acquisire poltrone o, addirittura, da eventuali vittorie in alcune elezioni provinciali. La coerenza è una virtù che sopravvive solo nelle fila del Movimento 5 Stelle“.

La Carta dei principi non modificabile Tra le prime proposte c’è inoltre quella di stilare una “Carta dei valori” che non possa poi essere sottoposta a successive modifiche. “I principi e i valori che costituiscono la ragion d’essere del Movimento 5 stelle”, si legge, “devono essere trascritti in una Carta dei valori che non possa essere sottoposta ad alcun tipo di revisione. Il principio di collegialità dovrà essere applicato nella composizione di tutti gli organi del Movimento 5 stelle, sia nazionali che locali, e laddove non sia possibile perché imposto da norme si preveda l’affiancamento di organi almeno di carattere consultivo. Il Movimento 5 stelle ha come principio ispiratore la democrazia diretta e la stessa deve essere esercitata prioritariamente attraverso la rete, strumento che garantisce l’ampia e costante partecipazione dell’assemblea degli iscritti alla definizione dell’azione politica e delle scelte fondamentali per la vita associativa”.

Organizzazione territoriale e introduzione del “recall” – Nel documento si parla anche della necessità di strutturare i “referenti locali”: “Formalizzazione e potenziamento della attuale struttura dei referenti territoriali a livello regionale, individuando le relative funzioni sulla base delle specifiche esigenze anche temporanee (organizzazione, campagne elettorali, formazione, realizzazione di eventi, ecc..)”, si legge. “Possibilità di riconoscere il ruolo di attivista e gruppo locale, indipendentemente dalla presenza di un portavoce eletto, e di eventuali gruppi di interesse (ad. es. giovani), individuandone caratteristiche e l’eventuale loro regolamentazione, anche prevedendo luoghi di incontro sia fisici che on line. Introduzione di meccanismi di recall in relazione alle varie figure facenti parte della struttura organizzativa o per alcune di esse. Prevedere incontri plenari con cadenza regolare, sia a livello locale che a livello nazionale, di carattere tematico o organizzativo”.

Finanziamento – Per quanto riguarda i fondi, il testo sottolinea come si debbano “potenziare le forme già esistenti” ed individuarne di nuove: “Prevedere una gestione centralizzata dei fondi, superando il modello dei comitati di scopo, potenziando le forme di finanziamento già esistenti e individuandone di nuove, garantendo un sistema di controllo e trasparenza delle attività economico-finanziarie e della gestione amministrativa del Movimento. Individuazione di criteri oggettivi e trasparenti per la destinazione ai livelli locali di risorse necessarie alla realizzazione di specifici progetti o attività”.

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domenica 22 novembre 2020

Caso Morra, Andrea Orlando: “Fuori dal mondo che Salini abbia deciso di escludere un parlamentare da trasmissione Rai”

Escludere Nicola Morra da una trasmissione televisiva è grave. Non può essere l’ad della Rai Salini a decidere quale parlamentare escludere, sulla base delle opinioni del parlamentare stesso. Questo mi sembra fuori dal mondo, anche se Morra ha detto delle cose assolutamente sbagliate“. Così, ai microfoni de “Il caffè della domenica” (Radio24), il vicesegretario del Pd, Andrea Orlando, risponde a una domanda della giornalista Maria Latella sul caso Morra.


Orlando si pronuncia anche sull’atteggiamento dell’opposizione di governo, concordando con Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti circa il maggiore senso di responsabilità assunto da Forza Italia in questa emergenza: “Non si tratta di discutere con Forza Italia ma di discutere con tutta l’opposizione. Abbiamo provato a fare questo, ma dall’opposizione abbiamo avuto risposte molto diverse: Forza Italia si è resa disponibile a una interlocuzione, la Lega e Fratelli d’Italia hanno assunto posizioni molto conflittuali, al limite dello scontro frontale. Mi auguro che Forza Italia voti lo scostamento di bilancio. E’ comunque paradossale che si contesta il fatto che gli aiuti non siano sufficienti e poi ci si sottragga alla responsabilità di votare lo scostamento di bilancio”.

Il politico dem, infine, nega che ci siano ritardi sul Recovery Fund e si pronuncia sulle dichiarazioni odierne del ministro degli Affari Europei, Enzo Amendola, secondo cui ‘qualcuno’ usa il Recovery Plan per colpire il governo: “Amendola ha ragione. Quelli che sperano di beneficiare dall’instabilità di governo possono essere tantissimi, specie se di parla di 200 miliardi e rotti. Un governo indebolito ha più difficoltà a individuare le priorità. A questo bisogna far seguire una definizione di chiari obiettivi di fronte al Paese. E questo consente di resistere meglio agli assalti alle diligenze che ci sono quando ci sono così tante risorse in ballo. Nel nostro Paese è urgentissima la definizione di una legge sulle lobby. E questa è una discussione che si fa da troppo tempo”.

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sabato 21 novembre 2020

M5s, dopo gli Stati Generali la riabilitazione di B. va respinta a una sola voce

Appena conclusa l’assemblea degli Stati generali in cui i 30 delegati designati dalla base si sono confrontati e scontrati sui fronti opposti dei governisti (i dimaiani) e dei movimentisti-puristi (Di Battista, Lezzi, Morra ecc.) e che è stata aperta da Giuseppe Conte con un intervento in cui ha elogiato “il coraggio di cambiare idea” anche andando contro i valori di riferimento, il M5S si deve misurare con il sempre più insistente “segnale di collaborazione” da parte di Forza Italia.

Un segnale – secondo Goffredo Bettini, regista dai tempi di Veltroni delle mosse “ardite” del Pd ora ideologo riconosciuto di Zingaretti – che “deve essere raccolto senza indugi” e che ha suscitato in lui e in una considerevole parte del partito, per non parlare della totale adesione di Italia Viva, un tale entusiasmo da caldeggiare sulle pagine del Corriere addirittura un rimpasto con l’esplicito auspicio-invito a chiamare “anche all’interno dell’esecutivo le energie migliori e necessarie per competenza e forza politica”.

In questo contesto, dato che i segnali e le manovre di convergenza tra Fi e Pd in nome dell’eccezionalità del momento sono in corso da settimane, si sono concretizzati gli Stati Generali del M5S, sovraccaricati di aspettative per il protrarsi di una reggenza durata più del previsto nel momento meno ideale per catalizzare interesse e attenzione da parte di un’opinione pubblica concentrata comprensibilmente sull’andamento della pandemia e provata psicologicamente dalle restrizioni di un secondo lockdown semigeneralizzato.

Tutti gli osservatori quasi all’unanimità hanno evidenziato, anche perché i protagonisti si sono adoperati in tal senso, le grandi assenze (Grillo e Casaleggio), le divisioni, il tasso di conflittualità, i personalismi, ignorando o liquidando come beghe interne che non interessano a nessuno i motivi politici della dilaniante querelle tra le ragioni della mediazione e del compromesso rappresentate in primis da Conte (da esterno ma non irrilevante) e Luigi Di Maio contrapposte a quelle non negoziabili della coerenza e dell’identità rivendicate nelle sue “condizioni” da Di Battista.

Naturalmente il tema cruciale del limite al compromesso, ovvero ad accordi con le cosiddette “energie migliori”, più che mai stringente, è rimasto decisamente fuori focus, almeno nei titoli di prima pagina: “Stati troppo generali: tra i 5 Stelle non comanda nessuno” (Domani); “Il movimento si fa partito. E Di Maio vuole il controllo per neutralizzare Conte” (Repubblica); “Stati confusionali del M5S, Conte in ginocchio da Grillo: la mente migliore, lo sento spesso” (Secolo d’Italia); “Il giorno dell’agonia grillina” (Il Tempo); “Le 5 stelle perdenti o fetenti?” (Libero); “Mollati pure da Travaglio. La marea grillina ora è una palude” (Il Giornale).

E forse, stando alla qualità dell’attenzione giornalistica che è stata riservata a quello che sarebbe dovuto essere un passaggio fondamentale nel percorso del M5S, si può ricavare che ancora non sono diventati un partito come gli altri o comunque non sono trattati come gli altri nonostante la “normalizzazione” e il “trasformismo” di cui vengono accusati dal 2018 ad oggi dagli stessi che li hanno messi all’indice per oltre un decennio come populisti, sfascisti e crociati dell’antipolitica.

Inoltre per quello che contano, data la volubilità delle intenzioni di voto, secondo la rilevazione di Swg per il Tg La7 del 16 novembre, all’indomani degli Stati generali il M5S è cresciuto lievemente dello 0,4%: unica forza a segnalare un incremento insieme a FdI.

Che i 5S non siano come gli altri e non intendano diventarlo pur di “rimanere attaccati alla poltrona”, devono dimostrarlo con una sola voce e soprattutto con comportamenti conseguenti: rompere il silenzio, come hanno iniziato a fare, sui voti azzurri – peraltro non indispensabili e tutt’altro disinteressati di B., accolti con giubilo da mezzo Pd e da Renzi tutti felicemente incamminati sulla via di un nuovo Nazareno.

Quale possa essere il tenore del dialogo con i rappresentanti nazionali e locali di Fi, implicati troppo spesso in inchieste che vanno oltre la corruzione – come è emerso in queste ore con l’arresto del presidente del consiglio regionale calabrese, già assessore regionale di Fi fino al 2014 per concorso esterno e voto di scambio con la ‘ndrangheta – lo lasciamo architettare a Goffredo Bettini.

Quanto a Zingaretti, che a SkyTg24 ha detto che “Non esiste un’ipotesi di cambio di maggioranza, né di un coinvolgimento di Fi nel governo” con la precisazione che “i primi a dirlo sono quelli di Fi”, gli andrebbe solo ricordato che i primi a dirlo chiaro e tondo dovevano essere quelli del Pd; e che fidarsi delle dichiarazioni di B. & co. più che patetico è ridicolo.

Va registrato positivamente che almeno su una questione dirimente come l’incredibile, ennesima riabilitazione di B. quale interlocutore necessario nell’emergenza, se non compagno di maggioranza o di governo da parte del Pd, Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista si sono espressi pur con toni differenti in modo univoco: il ministro degli Esteri: “Oggi come allora non risponderei al telefono”, e il cittadino ‘pasionario’ su Facebook: “Stare lontano dall’immoralità è un dovere morale, perché l’immoralità è come il letame”.

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Caso Morra, Cattaneo (Fi) applaude Rai ma conduttore di La7 obietta: “Lei è un liberale. Non è mai bello togliere microfono a un politico”

La Rai ha fatto benissimo a evitare che Morra comparisse in video. Un plauso al senatore Barachini (Forza Italia, ndr), presidente della Commissione Vigilanza Rai, che ha evitato questo ulteriore scempio“. Così, a “Omnibus” (La7), Alessandro Cattaneo, deputato e membro dell’ufficio di presidenza di Forza Italia, commenta la decisione di annullare all’ultimo minuto la partecipazione del presidente della Commissione Antimafia, Nicola Morra, alla trasmissione di Rai Tre, “Titolo V”.

Cattaneo loda la figura di Jole Santelli e si rivolge a Morra: “Quello che lei ha fatto è qualcosa di indegno, ha “immondato” le istituzioni che è chiamato a rappresentare. Si deve solo vergognare e, se ha ancora un briciolo di dignità, si dovrebbe solo dimettere”.
Non ci sta il conduttore della trasmissione, Andrea Pennacchioli, che prima di congedare i suoi ospiti e dare la parola a Morra, obietta a Cattaneo: “Lei è un liberale. E’ una mia opinione strettamente personale, ma da giornalista a un esperto del mondo della politica e anche dell’informazione dico che non è mai bello, soprattutto quando si tratta di servizio pubblico, togliere il microfono a un esponente politico“.

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Caso Santelli, Morra su La7 dopo la cancellazione della sua presenza a ‘Titolo V’: “Rai intervista figlio di Riina e Buzzi ma non me”

Questo è il Paese dell’ipocrisia e dei sepolcri imbiancati in cui forse qualcuno, facendo servizio pubblico, reputa che il presidente di commissione Antimafia, piuttosto che essere severamente esaminato dai giornalisti, come è doveroso fare, debba essere semplicemente escluso dalla partecipazione ad una trasmissione. Il servizio pubblico può tranquillamente intervistare il figlio di Totò Riina e Salvatore Buzzi, però il presidente della commissione Antimafia non può essere scartavetrato dai giornalisti“. Così il presidente della commissione Antimafia, Nicola Morra, ospite di ‘Omnibus’ su La7, commenta la bufera in cui è stato protagonista ieri per le parole su Jole Santelli e per l’annullamento all’ultimo minuto della sua partecipazione alla trasmissione ‘Titolo V’, su Rai Tre.

Morra spiega che ha ricevuto la notizia sulla cancellazione della sua ospitata alla trasmissione di Rai Tre negli studi Rai di Napoli, mentre veniva microfonato nel camerino: “Ci sono testimoni che possono provarlo. Io accetto di essere scartavetrato dai giornalisti, perché questo è il compito del giornalismo. Credo che ci sia una riflessione da fare sullo stato della democrazia in alcune aziende che un tempo erano le prime aziende culturali del Paese e lo dico sapendo che la mia forza politica è stata in qualche modo chiamata a governare l’amministrazione della Rai, facendo delle scelte, perché il Consiglio di amministrazione è figlio dell’esperienza di governo in cui il M5s è stato forza di governo”.

E rincara: “Fare un passo indietro e dimettermi da presidente della Commissione Antimafia? Piacerebbe a tanti. Io invece penso che anche quello che è avvenuto ieri sia un episodio di una certa strategia, perché quando dai fastidio, Cosa nostra, la ‘ndranghetra ci hanno insegnato che bisogna poco alla volta sporcare, infangare, delegittimare. Le parole scritte da Alessandro Di Battista sul non dialogare con il letame (Forza Italia, ndr)? A me sembra il minimo sindacale

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Nicola Morra ‘non gradito’ in Rai: per me un caso di censura a cui tutti dovremmo ribellarci

Quello che è accaduto ieri sera è un fatto gravissimo per una democrazia come quella italiana. Beh, se non sapete ancora cosa è accaduto meglio che provi a riepilogarlo in poche righe, sicuramente non se ne sentirà parlare in tv, e con molta probabilità i mainstream media minimizzeranno. Una catena di eventi che ha dell’incredibile.

Venerdì sera 20 novembre è stato impedito l’accesso a uno studio della televisione pubblica Rai a un senatore della Repubblica invitato già da giorni a partecipare alla trasmissione giornalistica Titolo V. Alla fine di una giornata in cui era stato massacrato sui social e i mezzi di informazione per un’infelice frase sugli elettori calabresi e la recentemente scomparsa presidente di regione Jole Santelli, il presidente della commissione Antimafia Nicola Morra arriva agli studi Rai di Napoli dove apprende dalla vicedirettrice di Rai 3 della decisione della direzione di Rete di annullare la sua partecipazione. Lo racconta lo stesso senatore Morra sui suoi canali social quando è ancora in onda “Un posto al sole”.

Circa 45 minuti dopo e a 30 minuti dall’inizio di Titolo V, l’annuncio della conduttrice che spiega: “Stasera avrebbe dovuto esserci il senatore del Movimento 5 Stelle Nicola Morra presidente della commissione antimafia, lo abbiamo invitato 3 giorni fa perché per noi era interessante averlo qui in questo lungo viaggio-inchiesta che stiamo facendo nei disastri della sanità calabrese, che è una terra che il senatore conosce molto bene. Poi però qualcosa è cambiato, le sue parole di ieri hanno sicuramente sconvolto lo scenario, parole molto dure, politicamente scorrette, come ha detto lui, che sono offensive nei confronti della memoria della presidente della Regione Jole Santelli – che è scomparsa, lo sapete, qualche settimana fa – offensive nei confronti dei calabresi, che secondo lui si meritano la classe dirigente che hanno votato, perché non si può dire che la Calabria è una regione irrecuperabile. Allora la direzione Rai ha deciso che il senatore Morra questa sera non doveva essere qui. Io come donna, come conduttrice di Titolo V, a nome della Rete del servizio pubblico sono molto in imbarazzo per questa situazione. Probabilmente questa è la scelta giusta e crediamo in quello che abbiamo deciso di fare, in quello che la direzione ha deciso di fare”.

Per quelle parole il senatore Morra era stato al centro di una bufera mediatica per tutto il giorno, con tra i detrattori personaggi come Salvini, non certo estraneo a simili gaffe, al quale però non mi risulta sia mai stato riservato un simile trattamento.

Per quelle parole Morra si era tra l’altro già scusato in una diretta Facebook. Scuse che avrebbe avuto l’occasione di ribadire anche in diretta tv, se gli fosse stato concesso. In fondo aveva detto una cosa che molti cittadini calabresi e italiani pensano, un pensiero ad alta voce – siamo d’accordo, formulato male – un pensiero di quelli che ti vengono in un attimo di debolezza, di sconforto, di rabbia.

Poche le voci “amiche” che si sono sollevate in difesa di Morra: i parlamentari e suoi colleghi di partito Carla Ruocco, Barbara Lezzi e Stefano Buffagni su tutti. Poi però nel pomeriggio, per questa abitudine tutta italiana di andare dove soffia il vento, il Movimento 5 Stelle prendeva le “distanze”, prestando così il fianco alla propaganda dei partiti all’opposizione. A poche ore dall’arresto del presidente del Consiglio calabrese Domenico Tallini (Forza Italia) si è compiuto il ribaltamento del frame: lo sporco e cattivo ora è Nicola Morra, il presidente dell’Antimafia. L’arresto di un esponente politico accusato di concorso esterno con la ‘ndrangheta e scambio politico-mafioso completamente oscurato da quelle parole, sì fuori luogo, ma non da meritare prima la gogna mediatica e poi la censura.

Il metro di giudizio che ha impedito a Nicola Morra di andare legittimamente in tv a spiegarsi meglio è troppo severo, se solo pensiamo che in Rai si è data voce a esponenti del clan Casamonica, al figlio di Riina – e anche se non è un criminale cosa dovremmo dire delle ospitate di Bruno Vespa all’uscita di ogni suo libro in tutte le trasmissioni tv? -, a politici pluricondannati e pregiudicati che voi lettori de ilfattoquotidiano.it ben conoscete.

Ognuno di noi dovrebbe ribellarsi per questo grave episodio di censura e i primi a farlo dovrebbero essere proprio i politici se davvero hanno a cuore la libertà.

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venerdì 20 novembre 2020

Caso Santelli, Nicola Morra: “Rai ha annullato la mia partecipazione a Titolo Quinto”. Lo aveva chiesto Forza Italia

La Rai ha cancellato la presenza di Nicola Morra al programma Titolo Quinto. Lo annuncia lo stesso presidente della commissione Antimafia con un post su facebook: “Essendo arrivato a Napoli presso gli studi Rai per partecipare alla puntata odierna di Titolo Quinto ho appreso dalla vicedirettrice di Rai3 che per decisione della Direzione di Rete viene annullata la mia partecipazione al programma. Questo dovevo dirvi, questo vi dico. Credo non si debba aggiungere altro. Loro non si arrenderanno mai, io neppure!”, è il post condiviso su facebook dal senatore del Movimento 5 stelle.

Oggi Morra era finito nella bufera per le sue frasi sulla governatrice della Calabria, Jole Santelli. E ad attaccare viale Mazzini per la decisione di ospitarlo in trasmissione era stato Antonio Tajani. “E’ incredibile che proprio oggi Nicola Morra partecipi ad una trasmissione su Raitre quando tutti hanno condannato le sue parole su Jole Santelli”, ha scritto su twitter l’ex presidente del Parlamento europeo. Che appresa la decisione della Rai di cancellare la presenza di Morra, esulta: “Annullata dalla Rai la partecipazione di Nicola Morra alla trasmissione Titolo Quinto. Saggia decisione dopo le nostre proteste“. A chiedere di “bloccare” la partecipazione di Morra era una serie di parlamentari di Forza Italia come Giorgio Mulé, Patrizia Marrocco e Maurizio Gasparri.

Le frasi che hanno fatto imbufalire il centrodestra sono quelle pronunciate dal presidente della commissione Antimafia Commentando a Radio Capital l’arresto del presidente del consiglio regionale calabrese, Domenico Tallini, aveva detto: “È la dimostrazione che ogni popolo ha la classe politica che si merita. Il mio è un rimprovero, sarò politicamente scorretto, era noto a tutti che la presidente della Calabria Santelli fosse una grave malata oncologica. Umanamente ho sempre rispettato la defunta Jole Santelli, politicamente c’era un abisso. Se però ai calabresi questo è piaciuto, è la democrazia, ognuno dev’essere responsabile delle proprie scelte: hai sbagliato, nessuno ti deve aiutare, perché sei grande e grosso. La Calabria è irrecuperabile lo è fin quando lo Stato non affronterà la situazione con piena consapevolezza”.

Parole che hanno scatenato la polemica. Anche il Movimento 5 stelle ha chiesto al suo esponente di ritirare quella frase. Morra ha quindi formulato le sue scuse, ma ribadendo il concetto che gli elettori: “Chiedo scusa alle persone che si sono sentite offese o colpite da parole che sono state volutamente tagliate e cucite per far intendere ciò che il sottoscritto non ha mai pensato”. Poi ha confermato: “L’elettorato debba essere pienamente responsabile delle scelte che effettua e perché questo avvenga c’è necessità di essere informato su tutto”. A quel punto il presidente della commissione Antimafia era già finito sotto il fuoco incrociato di attacchi provenienti soprattutto dal centrodestra. Anche la presidente del Senato, Elisabetta Casellati, ha definito la frase di Morra come “grave che disonora le istituzioni. Perché infanga la memoria di Jole Santelli ritenuta colpevole di essere stata malata; perché discrimina senza umanità i malati specie quelli oncologici; perché delegittima la libera scelta degli elettori, perché offende i calabresi come fossero tutti delinquenti”.

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Milano, indagini al San Carlo e al San Paolo dopo la lettera-denuncia di 50 medici. La direzione si difende, i dottori temono rappresaglie. E il caso diventa politico

“La Direzione sanitaria degli Ospedali San Carlo e San Paolo di Milano ha immediatamente avviato indagini interne ed esterne all’Asst, al fine di effettuare tutte le verifiche necessarie nella più totale trasparenza nei confronti dei pazienti assistiti e dei loro familiari”. In tre righe, i vertici dei due ospedali promettono chiarezza su come è stata gestita l’emergenza nella seconda ondata. Il caso è emerso ieri, dopo che il fattoquotidiano.it ha rivelato i contenuti di una lettera pesantissima che 50 medici, tra anestesisti e rianimatori, hanno scritto alla propria direzione per rappresentare le estreme difficoltà in cui si sono trovati ad operare, con 350 posti letto già occupati, il Pronto Soccorso preso d’assalto, le barelle che si trasformano in letti e le sale di attesa in reparti, coi medici costretti “a fare scelte né clinicamente né eticamente tollerabili” e di essere “stati forzati a dilazionare l’accesso a terapie e tecniche“.

Il resto della nota (scarica il testo integrale) è una difesa d’ufficio che enumera i “rinforzi” reclutati dalla struttura da gennaio, nella misura di 97 medici e 94 infermieri, mentre il direttore generale Matteo Stocco assicura (a verifica appena annunciata) che “tutti i pazienti assistiti presso gli Ospedali San Carlo e San Paolo hanno avuto accesso alle cure intensive se bisognosi di tali cure e mai è stata negata ai pazienti le migliori cure possibili”. Proprio oggi è partita la richiesta di acquisire tutte le cartelle cliniche.

Diramata per raffreddare il caso, la nota non placa però le polemiche politiche, con diverse forze di opposizione che chiedono alla Regione e all’Asst di concentrarsi sul merito della denuncia e non dar corso a una “caccia alle streghe”. I Cinque Stelle chiedono che il caso sia tra i primi sulla scrivania della Commissione d’inchiesta Covid. Sul fronte Regione Lombardia non si registrano ancora reazioni alla vicenda, non ne parla l’assessore alla salute Giulio Gallera. Il rischio è che l’ente alla fine controlli se stesso. Il Pd chiede allora “a Fontana e Gallera di fare subito le dovute verifiche e di intervenire”.

Negli ospedali intanto succede altro. Da ieri i medici che hanno testimoniato quella situazione temono rappresaglie e hanno paura di parlare. Se lo fanno, è dietro assoluta garanzia di anonimato. “Non ci possono licenziare – ragiona uno di loro – ma da ieri qui si respira un’aria di terrore, mi è giunta voce della richiesta di verificare tutte le firme per identificare i medici uno per uno”. Qualcuno, teme la cacciata. “Se non succede, è perché abbiamo 350 ricoverati Covid e altrettanti non Covid da salvare”, è l’unica sicurezza, che non cancella però la paura di future iniziative sul fronte disciplinare. Nessuno parla coi giornali, anche perché su questo l’Asst dei due ospedali era già intervenuta nella prima ondata, su richiesta di Regione Lombardia, intimando i propri medici a non rilasciare interviste o interventi “in relazione all’emergenza Coronavirus”, se non preventivamente autorizzati.

Le lettera infatti nasceva come comunicazione interna per fornire alla direzione un circostanziato resoconto delle difficoltà in cui i medici si trovano a operare per le carenze di organico. Ma ai piani alti dell’Asst non è stata presa come una legittima richiesta di aiuto e confronto con la direzione, ma come un gesto sconsiderato e irresponsabile che mette in cattiva luce gli ospedali e la loro direzione perché insinua nei pazienti e nei loro congiunti il dubbio sulle cure ricevute. Foriero dunque di possibili conseguenze per chi l’ha firmata. Il documento non era destinato ai giornali. Finché era in un cassetto non disturbava nessuno. Il direttore Stocco, prima della pubblicazione, era stato intervistato proprio per parlare dei problemi dell’area critica. Pur ammettendo le difficoltà, non ha fatto alcun cenno alla lettera che era stata trasmessa e protocollata proprio il giorno prima.

Solo quando è diventata di pubblico dominio, la temperatura nei corridoi del San Paolo e San Carlo si è fatta rovente. I primari dei reparti emergenza e rianimazione Francesca Cortellaro e Stefano Muttini sono stati convocati d’urgenza per chiarimenti e in serata hanno preso posizione dissociandosi pubblicamente dai colleghi. Su Repubblica, la Cortellaro ha poi parlato di “lettera vergognosa”, bollando come “falso quello che hanno scritto, al Pronto soccorso non sono mai state negate cure necessarie a salvare pazienti Covid”. Insomma, i colleghi avrebbero mentito. Ma non erano uno o cinque: erano cinquanta. E tutti operativi nell’area critica.

Se la lettera che scotta internamente viene trattata con piglio quasi militare, all’esterno è diventata un caso politico, sia per il clamore della denuncia che per il particolare momento che vede Fontana e la maggioranza in Regione impegnati da tempo a rivendicare la zona arancione per la Lombardia, anche sulla base della diminuzione della pressione negli ospedali negli ultimi giorni. La lettera racconta però cosa succedeva al loro interno. L’opposizione attacca. “Mentre Fontana si lamenta e parla di zona arancione, i suoi medici dagli Ospedali San Carlo e San Paolo scrivono una lettera che è un pugno nello stomaco”, dichiara il consigliere regionale Pietro Bussolati (Pd). “Fatti gravissimi che in questi mesi abbiamo denunciato con interrogazioni ed evidenziando la situazione, con forza e senza sosta, ricevendo risposte elusive e arroganti (anche dalla dirigenza sanitaria)”. L’auspicio è che “la direzione dell’ospedale prenda coscienza costruttivamente di queste grida per cercare di risolvere i problemi, e non intraprenda invece l’ennesima caccia alle streghe nei confronti di chi lotta giorno e notte in prima linea”. Rincara la dose il vicepresidente del Consiglio regionale Carlo Borghetti: “E’ comunque certo che quei medici hanno bisogno d’aiuto, così come tutti quelli in trincea negli altri ospedali dell’area metropolitana, e non vorremmo proprio che la Regione pensasse solo al reparto in Fiera”

Si muovono anche i Cinque Stelle. “Ho letto gli estratti della lettera, denuncia cose gravissime. Stavo giusto scrivendo una lettera al presidente della Commissione Covid perché su questa vicenda, gravissima, deve fare luce fino in fondo e senza condizionamenti”, dice il consigliere M5S Gregorio Mammì. “Una notizia del genere deve essere approfondita in quella sede, che è anche un modo per confrontare le diverse versioni dando ai medici che ha ritenuto di segnalare le inefficienze una sede e la copertura per farlo senza condizionamenti o rappresaglie. Ma posso dire che anche solo un richiamo scritto sarebbe inaccettabile”.

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M5s, non è il momento per una raccolta fondi per Rousseau. Solo Casaleggio ha un mandato a vita?

La tecnologia non deve governarci, siamo noi che dobbiamo governarla con una nuova etica.

Undici anni fa guardavamo agli strumenti digitali come ad elementi di libertà e di autodeterminazione nelle mani dei cittadini, oggi si sono trasformati in strumento di potere nelle mani di una sola persona che rivendicano sempre più risorse, sempre più controllo e influenza.

Da cittadino nelle istituzioni, ho aderito a un Movimento che pretende un ricambio ciclico della classe politica con la definizione di due soli mandati in Parlamento, perché è fondamentale evitare posizioni dominanti e nuove caste. Ed è questo principio che difendo.

Mi chiedo solo perché tale principio non debba valere per l’intera comunità del M5s. E quindi, ad esempio, il Presidente dell’Associazione Rousseau a capo della piattaforma digitale del M5s quanti mandati ha? Ha un incarico a vita? Sono domande che tutta la comunità del M5S deve porsi in un momento in cui ci stiamo scegliendo di rifondarci.

I cittadini ci chiedono un’organizzazione territoriale democraticamente eletta, capillare in tutti i comuni. I cittadini devono percepire e vedere il M5s per strada, al loro fianco nelle battaglie di vita di tutti i giorni. I cittadini devono poter incontrare il M5s in una sede fisica e non affidarsi solamente a uno schermo di un PC. È questa l’esigenza di una forza politica innovativa che deve saper coniugare etica, tecnologia e socialità.

Personalmente ogni mese, dal 2013, ho l’abitudine di tagliarmi lo stipendio. E lo faccio perché abbiamo fatto della sobrietà e dell’importanza degli esempi, veri e propri valori da diffondere nel Paese.

L’associazione Rousseau riceve parte del taglio dei nostri stipendi e trovo veramente poco sobrio in un momento come questo, in cui siamo stati travolti da una pandemia che ha messo in ginocchio il Paese, che lunedì si organizzi una raccolta fondi per l’Associazione Rousseau.

Poco sobrio perché in queste ore tutti noi parlamentari siamo impegnati a dare risposte e risorse a famiglie, partite Iva e alle imprese in difficoltà con le misure quotidiane che votiamo in Parlamento dai Ristori alla Manovra Economica per il 2021. In più i parlamentari del M5S in questi giorni stanno donando parte del proprio stipendio alle associazioni che si stanno occupando degli ultimi e delle persone più in difficoltà nei comuni più gravemente colpiti dalla contagio da Covid-19.

Davide Casaleggio ha già dichiarato di voler proporre i propri servizi ad altri movimenti civici e ad altri Stati ed è spiacevole sfruttare in modo parassitario un momento in cui il M5S è impegnato a rigenerarsi, chiamando a raccolta gli iscritti di un M5S e di cui sta disprezzando quotidianamente l’operato.

Bisognerebbe avere rispetto delle ore di confronto tra attivisti, consiglieri comunali e regionali, parlamentari che partendo da punti di vista differenti hanno lavorato in queste settimane di Stati Generali a trovare punti di incontro che hanno soddisfatto tutti perché sono le migliori soluzioni per il Paese.

Non è da esempio invece chi vuole chiudere il confronto in una bolla digitale dove tutti la pensano allo stesso modo, non è da esempio chi vuole imporre con forza solo la propria visione del mondo senza rispetto per tutti gli altri. E’ con il rispetto, l’ascolto e la condivisione che si torna a camminare di nuovo insieme come una comunità.

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Quando Salvini diceva: “Fuori dalle palle chi cambia partito, basta con gli Scilipoti e i Verdini”

“Se vieni eletto in Parlamento con quel partito e poi cambi partito, te ne vai a casa e ti togli dalle palle. Basta con questa cosa del vincolo di mandato. Sennò poi ti trovi gli Scilipoti e i Verdini“. È il 2 agosto del 2016 e Matteo Salvini, insieme a Daniela Santanchè, Raffaele Fitto e Ignazio La Russa, sta chiudendo la festa della Lega Nord in Romagna, a Cervia. Il segretario del Carroccio, in un passaggio del suo discorso, se la prende coi cosiddetti “cambia casacca”, i parlamentari che escono da un gruppo per aderire a un altro.

Lo scorso anno, però, ci fu la fuoriuscita dal M5s dei senatore Ugo Grassi, Francesco Urraro e Stefano Lucidi, accolti a braccia aperte da Salvini. A fine novembre l’ex ministro dell’Interno aveva detto, rivolto agli esponenti del Movimento: “Di Maio e Grillo hanno svenduto il cambiamento. La Lega è aperta ai loro eletti”. E ieri è stato il turno di tre deputati di Forza Italia, che hanno aderito al Carroccio: si tratta di Federica Zanella, Maurizio Carrara e Laura Ravetto, ex sottosegretaria del governo Berlusconi e azzurra dal 2006.

Video Facebook/Lega-Salvini premier

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giovedì 19 novembre 2020

Grandi eroi siciliani

Grandi eroi che la Sicilia non scorderà

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Puglia, Emiliano ha nominato la giunta: nella squadra un’imputata per corruzione e uno nel processo Ilva. Casella vuota in attesa del M5s

Michele Emiliano ha nominato la nuova giunta della Regione Puglia. Il governatore rieletto alle ultime regionali, in attesa della decisione del Movimento 5stelle, che attraverso la piattaforma Rousseau dovrà scegliere se accettare o meno l’offerta di entrare nella squadra di governo, ha chiuso la restante formazione. I nomi sono ormai definiti, ma sulle deleghe sono ancora in corso gli ultimi confronti. “La nuova giunta – ha commentato Emiliano – tiene conto in maniera equilibrata delle varie componenti della maggioranza in Consiglio regionale, puntando a valorizzare competenza ed esperienza in relazione alle deleghe assegnate. La composizione del Consiglio, all’esito dei ricorsi al Tar, oggi è diversa rispetto a quella che avevamo davanti all’indomani delle elezioni, sulla base della quale avevamo fatto determinate previsioni”. La presenza di donne in giunta, aggiunge, “è garantita nella misura di 3 a 7 e siamo impegnati con le forze politiche per far sì che l’Assemblea legislativa sia guidata per la prima volta da una donna”. Sulla porta lasciata aperta al M5s, Emiliano ha confermato che “intendo aspettare l’esito del dibattito interno” per “capire se sarà possibile avviare un percorso comune con questa forza politica a cominciare dal Welfare, che rappresenta un terreno con molte convergenze di programma. In ogni caso, questa delega sarà attribuita a una consigliera regionale”.

Confermato il nome di Massimo Bray, ex ministro della Cultura e direttore dell’Istituto enciclopedia Treccani, che nonostante le voci di un cortese rifiuto diffuso nelle settimane scorse ha accettato la delega alla cultura: un impegno che, fanno sapere fonti regionali, sarà la vera scommessa ai tempi del Covid. Un settore da reinventare attraverso forme nuove nella speranza di un ritorno alla normalità. E proprio il nome di Bray ha un po’ scompaginato la possibilità di equilibrare il numero di donne e uomini. Emiliano, infatti, può nominare come assessori solo due esterni: per queste due ultime posizioni il nome di Bray ha stoppato l’idea iniziale del governatore di individuare due donne. Il secondo nome esterno, comunque, è quello di Anna Grazia Maraschio, vicina all’ex presidente Nichi Vendola a cui sarà affidata la delega all’Ambiente.

Al lavoro da tempo nell’assessorato alla Sanità c’è l’epidemiologo Pier Luigi Lopalco, mentre verso la riconferma alla Formazione e lavoro per il leccese Sebastiano Leo. Per Raffaele Piemontese del Pd delega al Bilancio, Programmazione, e Infrastrutture e vice presidenza, mentre Alessandro Delli Noci sarà allo Sviluppo economico. Al Contenzioso e al Personale, infine, ci sarebbe Gianni Stea. Due sono invece i nomi, entrambi del Partito Democratico, particolarmente discussi: quello di Donato Pentassuglia all’Agricoltura e Anita Maurodinoia ai Trasporti. Il primo è imputato nel processo Ambiente Svenduto contro i vertici dell’ex Ilva di Taranto con l’accusa di favoreggiamento a Girolamo Archinà, ex potentissimo dirigente della fabbrica nella gestione Riva. Su Maurodinoia, ex vicepresidente del Consiglio provinciale di Bari e consigliera regionale rieletta con decine di migliaia di preferenze, pende una richiesta di rinvio a giudizio: la donna, con il marito Alessandro Cataldo e altri imputati, secondo il pm baresi avrebbe intascato mazzette tra il 2006 e il 2014 da alcuni imprenditori. Generi alimentari, lavori di manutenzione a casa e anche denaro per offrire in cambio appalti.

La casella mancante è quella del Welfare a cui potrebbero accedere i grillini pugliesi. Il nome in pole position sembra quello di Rosa Barone, foggiana con una laurea in Farmacia, già presidente della commissione regionale Antimafia e rieletta lo scorso 21 settembre. Barone è una delle voci che spinge all’apertura verso Emiliano contrapposta a quella di Antonella Laricchia, per due volte candidata sconfitta dei pentastellati in Puglia. Nei giorni scorsi, a ilfattoquotidiano.it Barone aveva detto di comprendere la posizione di Laricchia, ma aveva evidenziato che entrare in giunta “potrebbe servire a incidere sulla linea di governo in Regione” e “se dovessimo accorgerci di non avere margini di manovra, potremmo serenamente tornare all’opposizione”. Emiliano, infine, spinge perché il Consiglio regionale elegga come presidente una donna: una casella che, seppure esterna alla giunta, potrebbe in qualche maniera riequilibrare la parità di genere.

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martedì 17 novembre 2020

Donazioni da lobbisti, l’autodifesa di Giarrusso: “Contributo ricevuto dalle stesse persone che hanno finanziato il M5s nel 2018”

Bufera sull’eurodeputato 5 Stelle Dino Giarrusso, all’indomani del servizio di ‘Report’ in cui si fa riferimento ad alcune donazioni ricevute dall’ex ‘Iena ai tempi della campagna elettorale per le europee del 2019: nel dettaglio si parla di 4.800 euro donati dalla lobbista Ezia Ferrucci, socia della Bdl lobbying srl, e di una cifra analoga erogata da Carmela Vitter, moglie di Piero di Lorenzo, titolare, amministratore delegato e presidente della Irbn di Pomezia. In un lungo video postato su Facebook l’europarlamentare si è difeso dagli attacchi ribadendo la correttezza del suo operato: “Il finanziamento è assolutamente regolare. L’ho accettato solo dopo aver saputo che nel 2018 la stessa Ferrucci ha finanziato allo stesso modo la campagna elettorale di tutto il M5S” donando 4mila euro al Comitato elettorale per le politiche, sostiene l’eurodeputato mostrando alcuni documenti. Che aggiunge: “Io odio il fumo, non ho nulla a che fare con la lobby del tabacco. Ho pensato solo: se questa persona ha finanziato tutti gli eletti alle politiche del 2018, potrà finanziare anche me”.

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