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martedì 29 dicembre 2020

Sicilia, il nuovo capogruppo del M5s in Regione è (di nuovo) un uomo: “È il terzo di seguito, donne discriminate”

Anno nuovo. Scelte vecchie. O almeno così pare in Sicilia, dove mentre un imminente rimpasto promette una giunta di soli uomini, regalando all’isola il primato di governo più maschio d’Italia, scoppia la polemica di genere anche all’interno del M5s. È stato, infatti, appena eletto il terzo uomo di seguito come capogruppo all’Assemblea regionale siciliana: sarà Giovanni Di Caro che da gennaio prenderà il posto di Giorgio Pasqua. Immediata arriva la reazione: “L’elezione di un nuovo capogruppo uomo umilia, ruolo e dignità delle donne in seno al gruppo del Movimento”, dice Josè Marano in un post sul suo profilo Facebook, dando fuoco alle polveri. E per Marano c’è una precisa volontà di non dare spazio alle donne: “Se ci fosse una volontà diversa dovrebbero parlare i fatti, e i fatti dicono che gli ultimi tre sono stati uomini, eppure in seno al M5s sono stati eletti 12 uomini e 8 donne”. E dire che la legislatura era iniziata proprio con una donna, Valentina Zafarana, che ha guidato il Movimento all’Ars per tutto il 2018, poi sostituita da Francesco Cappello, e nell’ultimo anno da Giorgio Pasqua: “L’anno scorso, fatta la nomina di Pasqua era stato deciso che quella successiva sarebbe stata una donna: invece ecco arrivare l’ennesimo uomo”, tuona Marano.

Giovanni Di Caro sarà, dunque, alla guida per il 2021 di un gruppo che nel 2020 ha perso 5 membri che hanno creato un nuovo gruppo, Attiva Sicilia, guidato, questo sì, da una donna. Così che l’esordio di Di Caro pare tutto in salita: “La questione di genere non c’entra. Semplicemente in sede di elezione del nuovo capogruppo i consiglieri e le consigliere hanno votato me e non Marano: mi pare si sia scatenata una polemica solo sul fatto che lei ci sia rimasta male sul fatto”. E sulla promessa che sarebbe stata una donna, Di Caro chiarisce: “Non era una decisione perentoria ma solo un auspicio. Sono stato eletto alla quasi unanimità, è stata solo una questione di scelta”.

“Mettere donne in ruoli chiave è, infatti, una scelta politica precisa. E il Movimento ha sempre dato un segnale chiaro in tal senso”, ribatte Marano. Certo è che in Sicilia la rappresentanza femminile non attraversa un bel momento, considerando che l’imminente rimpasto di giunta promette di sostituire l’unica assessora della giunta Musumeci, Bernadette Grasso, con un uomo, raggiungendo il primato italiano di unica giunta con 12 assessori tutti maschi (il Molise ha solo uomini ma sono in 5). Questo mentre in Europa le posizioni apicali delle istituzioni comunitarie sono guidate da Ursula Von Der Leyen e Christine Lagarde, con Angela Merkel leader del principale Paese dell’Unione. Al di qua dello Stretto, invece, i numeri di genere addirittura arretrano. E questo nonostante una norma approvata dall’Assemblea regionale soltanto lo scorso giugno che obbliga dalla prossima giunta alla presenza di almeno un terzo di rappresentanti dell’altro sesso. “Non va bene, assolutamente”, scuote la testa Marano. Che continua: “Siamo arretrati perché non si sceglie di avanzare. E se non siamo noi donne a sollevare la questione, allora chi?”.

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martedì 22 dicembre 2020

Regione Puglia, Pd e M5s votano insieme anche la manovra. I dem: “Accordo nato da dialogo costante e fruttuoso con i 5 stelle”

In Puglia prosegue la collaborazione tra il centrosinistra e il M5s. Dopo la prima stretta di mano che aveva portato alla scelta condivisa di presidente e vice-presidenti del Consiglio regionale, la manovra finanziaria da 1,15 miliardi di euro è stata votata in maniera compatta dalla maggioranza che sostiene Michele Emiliano e anche dal gruppo dei pentastellati, ad eccezione della consigliera Antonella Laricchia, assente perché il voto ha coinciso con la sua cerimonia di matrimonio.

Il dialogo sui programmi di governo entra quindi nel vivo. Perché se la convergenza sull’elezione delle figure di garanziache aveva portato il Pd a votare il consigliere M5s Cristian Casili – può considerarsi una collaborazione istituzionale, la scelta di esprimere parere favorevole al bilancio impostato dal governo regionale è un passo avanti deciso, letto da molti come un ulteriore avvicinamento in attesa di un possibile ingresso in giunta caldeggiato non solo da Emiliano, ma anche dai diversi esponenti del mondo M5s. Secondo il capogruppo del Pd in Consiglio regionale Filippo Caracciolo, il voto insieme sulla manovra segna il consolidamento dell’alleanza con il M5s: “Con l’approvazione del bilancio il dialogo costante e fruttuoso con il Movimento 5 stelle” è “culminato in un accordo politico che vede il contributo fattivo dei colleghi pentastellati alle azioni della maggioranza. Trova così compimento un rapporto caratterizzato dalla volontà di trovare convergenze utili alla crescita della nostra Regione”.

Durante tutta la sessione, iniziata lunedì mattina, il gruppo dei pentastellati ha votato con la maggioranza, salvo qualche astensione. Tra i provvedimenti approvati, i 10 milioni ai Consorzi di bonifica per garantirne la sopravvivenza; la quota di cofinanziamento di 250 milioni di euro della spesa comunitaria; 35 milioni per la sanità ad integrazione del Fondo sanitario nazionale; 21 milioni alla Protezione civile per l’emergenza Covid, di cui un milione servirà per l’acquisto di nuove ambulanze; quattro milioni di euro a titolo di ristoro per i commercianti ambulanti. E così via fino al via libera finale arrivato nella notte dopo un passaggio delicato su alcune norme (una sul tartufo e l’altra sul Piano casa) chieste da M5s e Pd sulle quali alla fine è arrivata una stretta di mano.

L’accordo politico sulla presidenza del Consiglio regionale era stato bollato come “tradimento” da parte di Laricchia, sfidante di Emiliano nella corsa alla guida della Puglia e tra le ultime pasdaran a non volere un dialogo con il Pd anche dopo il voto. Se prima delle urne l’appello all’unità del presidente del Consiglio Giuseppe Conte era caduto nel vuoto, infatti, dopo le elezioni la sua sfidante – sostenuta da Barbara Lezzi e Alessandro Di Battista – si è ritrovata isolata nel gruppo degli eletti. Casili, Rosa Barone, Marco Galante e Grazia Di Bari hanno infatti avviato un dialogo con il presidente della Regione su punti programmatici e hanno concordato le figure di garanzie con l’ok di Vito Crimi. Il capo politico aveva confermato tutto, sottolineando che questi mesi sono “un momento importante per superare i retaggi del passato e iniziare a parlare di futuro”. Ma allo stesso tempo aveva raffreddato la pista di un ingresso nel governo regionale.

Emiliano ha lasciato anche la porta aperta, tenendo per se l’assessorato al Welfare, ruolo per il quale la candidata numero uno resta proprio Barone. La consigliera, intervistata dal Fatto Quotidiano, aveva detto che il dialogo era solo “solo temi e cronoprogramma”. Per il resto si vedrà, nonostante lei si senta “pronta” per quella che definisce “una bellissima sfida”. Il voto favorevole al bilancio sembra un altro passo in avanti, in attesa che si pronuncino gli attivisti attraverso la piattaforma Rousseau.

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Coronavirus, la crisi è la chiave per la spinta al cambiamento: ora via all’#Italiacheverrà

Stiamo per uscire da un anno che ci ha messo, e ci sta mettendo, a dura prova, come individui e come comunità. Il 2020 è ormai già entrato nella Storia come l’anno della pandemia globale Covid-19, come il periodo che il nostro presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha definito come la crisi più difficile per l’Italia dalla seconda guerra mondiale. Anche lo stesso capo dello Stato, Sergio Mattarella, durante il suo discorso per la commemorazione delle vittime delle Fosse Ardeatine lo scorso marzo, durante i momenti più bui del lockdown nazionale, ha paragonato l’emergenza sanitaria al conflitto mondiale, affermando che per rinascere saremmo dovuti essere capaci come Nazione di quella stessa unità di cui siamo stati capaci negli anni dolorosi del secondo dopoguerra.

Un termine di paragone che ci dà l’idea della portata epocale della crisi che stiamo attraversando. Bisogna però dire che un conto è l’uso, più che legittimo, del dato storico, altra cosa è l’abuso dell’evocazione del tòpos della guerra nella vita quotidiana.

E in effetti è proprio una terminologia bellica che ha segnato il racconto di questa pandemia: “la guerra contro il nemico invisibile” con medici e infermieri a “combattere in trincea” nell’attesa di trovare “l’arma efficace” contro il virus, e così via. Riflettendoci ora, non è stato un linguaggio efficace e benefico per descrivere (e far percepire) a noi stessi e agli altri una realtà già di per sé fortemente drammatica, proprio mentre metteva a dura prova la nostra tenuta emotiva.

Non possiamo cambiare i fatti, ma possiamo scegliere come rispondere ad essi. Allora intanto accogliamo la realtà, anche nei suoi tratti più duri, parliamoci bene senza esacerbarla ulteriormente e poi diamo una risposta in grado di valutare i margini di miglioramento e in base a questi formulare, realisticamente appunto, delle proposte concrete. Questo credo sia il miglior modo per reagire alla crisi, anche esistenziale, di questi tempi difficili: accettare le difficoltà e formulare soluzioni con tenacia e gentilezza, anziché contrapporsi e combattere con maggiore dolore e dispendio di energie.

Alla luce di quanto vissuto, una delle riflessioni immediate, fatta a caldo nei mesi più duri della pandemia, tra l’altro proprio dalle colonne de Il Fatto Quotidiano in una lettera aperta al Governo Conte, ha riguardato ovviamente la sanità pubblica e la necessità di ridarle il giusto valore, toglierne la gestione alle Regioni e riportarla in capo allo Stato nazionale, perché è inaccettabile che ci siano territori di serie A e di serie B nella tutela dei diritto alla salute.

Poi la crisi economica e sociale ha richiesto un ulteriore tipo di riflessione, dalla necessità di potenziare il Reddito di Cittadinanza a quella di istituire un Reddito Universale. E così proseguendo con il ripensamento di tutti i settori strategici, la gestione dei Beni Comuni e dei servizi pubblici essenziali del nostro Paese: dalla Sanità all’Ambiente, dai Trasporti alle Infrastrutture strategiche fino alle Politiche Abitative.

Sin dall’inizio ho parlato di come il termine “crisi” (dal greco krisis che significa “scelta”) racchiuda in sé la chiave della spinta al cambiamento, perché è proprio grazie ai momenti di crisi che siamo costretti a pensare in modo diverso dagli schemi abituali e dai soliti automatismi e quindi a fare una scelta. Questo è il momento adatto per chiederci, e conseguentemente scegliere, qual è il tipo di Paese in cui vogliamo vivere, per co-creare insieme la società che abbiamo scelto.

Nei prossimi giorni proverò a ridisegnare l’#ItaliaCheVerrà. Seguitemi sui miei canali social per rimanere aggiornati e partecipare!

FB: @RobertaLombardiPortavoce

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venerdì 18 dicembre 2020

Dl Sicurezza, scoppia la rissa al Senato: ferito un questore durante bagarre per lo striscione contro i Cinque Stelle esposto dalla Lega

Un grande striscione con la scritta “Immigrazione, obiettivo sbarchi zero” è stato esposto dai senatori della Lega nell’aula in riferimento al programma elettorale del Movimento 5 Stelle sui flussi migratori. Da lì è partita la protesta nell’aula del Senato, che aveva appena concluso le dichiarazioni di voto sulla fiducia al decreto Sicurezza. Una bagarre tra i senatori del Carroccio e chi cercava di far rispettare le regole dell’Aula che ha coinvolto anche il senatore-questore Antonio De Poli, che ha riportato la sub-lussazione di una spalla. Ferito a un ginocchio, inoltre, un commesso parlamentare intervenuto per sedare la rissa. De Poli è stato strattonato durante il parapiglia scoppiato tra Lega e M5s ed è stato trasportato in infermeria per essere visitato e curato.

Vibrante la protesta della maggioranza, ad iniziare dal Pd: “Da due giorni, i senatori della Lega sono scatenati. Ora spintoni ai commessi, ed al questore. È un clima inaccettabile per il Senato”, scrive su Twitter il presidente dei senatori dem Andrea Marcucci. Le rimostranze dei democratici arrivano da più fronti: “Salvini ovviamente non c’è: lascia i suoi a fare il lavoro sporco. E loro, privi di dignità, lo fanno a dovere. Non mi sono mai vergognata tanto”, dice Caterina Bini.

“Senatori della Lega hanno lanciato volantini ed esposto uno striscione, quindi sono intervenuti i commessi ma a quel punto ci sono stati spintoni, hanno usato insistentemente fischietti, c’è stato un pandemonio”, ha raccontato il ministro per i rapporti con il Parlamento Federico D’Incà, uscendo dall’aula. “Sono gesti di profonda maleducazione ed è una situazione molto simile a ieri. Una pagina vergognosa per le istituzioni e per il Paese”, ha aggiunto. Il Pd ha chiesto alla presidente Maria Elisabetta Casellati di “salvaguardare la propria credibilità” emanando “immediatamente severissime sanzioni disciplinari” a carico dei parlamentari leghisti.

Oggi a Palazzo Madama è previsto il voto sulla fiducia, ma i lavori sono stati sospesi dopo lo scontro il Aula. La chiama per il voto è iniziata solo alle 18. Quella del pomeriggio è stata la seconda sospensione dei lavori. Già in mattinata c’era stata una mini-bagarre alla ripresa della discussione generale: alcuni senatori della Lega avevano contestato le modalità dei tempi di votazione del verbale della seduta di ieri (in particolare, nel passaggio in cui il governo ha posto la questione di fiducia sul decreto, secondo le opposizioni troppo presto rispetto alla prassi) sono partiti cori invocando: ‘Onestà onestà!’ e l’Aula è stata sospesa. “Alcuni senatori, soprattutto leghisti, si sono avvicinati ai seggi della maggioranza urlando con fare minaccioso – ha raccontato all’Ansa il senatore del Pd, Dario Parrini – Insomma continua l’atteggiamento squadrista di ieri, come se fossimo nel ventennio”.

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giovedì 17 dicembre 2020

Regeni, Castaldo (M5s) legge al Parlamento Ue le parole del testimone oculare sulle torture: “Quanto a lungo volete restare in silenzio?”

Ho visto Regeni in quell’ufficio 13 e c’erano anche due ufficiali e altri agenti. Entrando nell’ufficio ho notato delle catene di ferro con cui legavano le persone. Lui era mezzo nudo nella parte superiore, portava dei segni di tortura e stava blaterando nella sua lingua, delirava. Era steso per terra, con il viso riverso. L’ho visto ammanettato con delle manette che lo costringevano a terra”. Fabio Massimo Castaldo, europarlamentare del M5s, ha letto di fronte alla plenaria del Parlamento europeo le parole di uno dei principali testimoni che hanno assistito agli ultimi istanti di vita di Giulio Regeni.

“Questi sono i trattamenti subiti ogni giorno da migliaia di attivisti, in un Paese in cui negli ultimi anni sono state condannate a morte 3mila persone, più di 60mila arrestate e incarcerate sulla base di prove inconsistenti e processi di massa tra cui Patrick Zaki e gli altri operatori di EIPR – ha continuato Castaldo – Quanto a lungo volete restare silenti mentre un Paese con il quale abbiamo legami politici e commerciali si trasforma in un regime del terrore? È in gioco la nostra credibilità. Al Sisi deve rispettare i nostri principi, non esibire le nostre medaglie. Abbiamo un regime sanzionatorio da innescare in caso di severe violazioni dei diritti umani, non possiamo permettere doppi standard nel suo uso. Se non ora, quando? Vogliamo verità e giustizia per Giulio Regeni”.

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mercoledì 16 dicembre 2020

Di Pietro: “Meglio Di Battista a capo del M5s che questa Dc di approfittatori. Covid? Non amo questo governo, ma no alla critica a tutti i costi”

“La situazione attuale in Italia? Mi pare non ci sia niente di nuovo sotto al sole: si litiga e si tira a campare. Poi ci sono quelli che hanno tanto e altri che hanno sempre meno. Questa è un po’ la vera Italia. E’ un’Italia fatta di sofferenze e di furbizie“. Sono le parole pronunciate ai microfoni de “L’Italia s’è desta”, su Radio Cusano Campus, dall’ex magistrato Antonio Di Pietro, che stila un’analisi del grave momento attuale del Paese.

E aggiunge: “Guardate il caso del covid: ce la prendiamo tutti i giorni con qualcuno che dice una cosa e poi dice un’altra. Per l’amor di Dio, possiamo avere anche ragione, però a cominciare da noi vogliamo che gli altri stiano attenti ma siamo i primi a non stare attenti. Il governo non dà informazioni univoche su cosa dobbiamo fare? E quindi? C’è bisogno che ti dica il governo cosa devi fare? Il giorno dopo siamo tutti bravi a dire come andavano fatte le cose. Io non sono amante di questo governo, che avrà fatto sicuramente degli errori – continua – ma alla critica a tutti i costi non ci sto. Certo, se fai il cashback e poi mi dici che non devo uscire a spendere, sei contradditorio e ambiguo. Ma abbiamo tutti colpa, a cominciare da chi ci guida per finire a ognuno di noi. In questo senso, mi è molto piaciuto il discorso di Angela Merkel che non ha puntato il dito contro i cittadini, ma ha affermato: ‘Finora quello che abbiamo fatto non è stato sufficiente. Quindi, guardiamo al domani, è inutile stare a discutere sul passato'”.

Sul governo e sulle forze di maggioranza, Di Pietro osserva: “M5s? Ho sempre detto che li considero miei figli. Hanno convogliato nelle urne la rabbia di tanti cittadini e quindi bisogna ringraziare Grillo per questa operazione importantissima. Dopodiché per governare bisogna imparare, ma adesso non è più il tempo di imparare: è il tempo di vedere cosa hai imparato. Nel Paese c’è bisogno di una forza di opposizione seria, leale e credibile. In questo senso, non condivido diverse cose che dice Di Battista – puntualizza – ma preferisco un Di Battista a capo del M5s piuttosto che quella massa di approfittatori che utilizzano il Movimento per farsi gli affari loro. Poi questi litigano di giorno e di notte fanno ammuina. Preferisco la coerenza: meglio un Movimento granitico come quello che aveva ideato Beppe Grillo, con a capo Di Battista, piuttosto che questa Dc che va a fare le verifiche di governo”.

E’ poi il turno di Matteo Renzi e di Matteo Salvini, che l’ex leader dell’Italia dei Valori menziona per esprimere alcune critiche caustiche a Giuseppe Conte: “Io e Renzi sappiamo di esserci antipatici a vicenda, ma questo non vuol dire che non bisogna ascoltarlo. Renzi ha posto questioni serie e vere: non potete sostituire il Parlamento e il governo nella gestione dei fondi europei e non potete mettere in una fondazione i servizi segreti. Quando Renzi dice queste cose, anziché dire ‘Mamma mia, quanto mi sta antipatico Renzi’, bisognerebbe pensare che forse c’ha ragione. Salvini e il processo Gregoretti? – continua – Lui sicuramente sul piano politico ha fatto una cosa immorale, antidemocratica, tutto quello che volete. Ma delle due l’una: o è un atto politico o è un atto giudiziario. Ma in quest’ultimo caso sono tutti responsabili, non solo lui. Ogni membro del governo, a cominciare dal presidente del Consiglio, è un pubblico ufficiale, che ha anche l’obbligo di impedire che venga fatto qualcosa di male. Se sei un carabiniere o un pubblico ufficiale, vedi che uno commette un sequestro di persona e stai lì a guardare senza fare niente, sei colpevole come lui. Questa idea dello scaricabarile nel caso Gregoretti sa molto di Ponzio Pilato“.

E sempre sul presidente del Consiglio aggiunge: “Non fatelo scemo e debole, lui ci sguazza. Conte è un bel prete che sa predicare bene. Sono passati oltre due anni e ancora parla al futuro: ‘faremo, diremo’. Parla sempre come se dovesse spiegare a qualcuno cosa deve fare. Ma fallo. I soldi del Recovery Fund? Invece di lamentarci sul fatto che ce li fregheranno, organizziamoci per fare in modo che non lo facciano. Ma questo non vuol dire che dobbiamo mettere mille lacci e lacciuoli per poi non spendere i soldi che la Ue ci dà, come è successo spesso in passato – conclude – Bisogna mettere questi soldi in circolo il più possibile attraverso progetti credibili. E poi chi sbaglia paga. Il problema di fondo del nostro Paese è tutto qui: chi sbaglia non paga, anche perché tante volte la magistratura parte per creare una montagna, ma alla fine se ne esce con un topolino. Io sinceramente sento la responsabilità di aver creato dei ‘dipietrini’ nella magistratura“.

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martedì 15 dicembre 2020

Milano, la gaffe del consigliere comunale Corrado (M5s): si collega dal bagno a torso nudo durante la diretta della commissione

Gaffe del consigliere comunale di Milano, Gianluca Corrado (M5s), durante la diretta streaming della commissione consiliare ambiente svoltasi lunedì pomeriggio in videoconferenza. L’esponente del Movimento è comparso, per pochi secondi, a torso nudo e con lo sfondo di uno scaldabagno, senza accorgersi del fatto che il dispositivo fosse acceso. Il tutto è accaduto mentre l’assessore alla Mobilità Marco Granelli e altri due consiglieri, imperturbabili, dibattevano sul piano “Aria Clima”.

“Ero appena tornato dal tribunale, ma volevo seguire l’assessore Granelli e il dibattito tra i miei colleghi. Mi sono collegato per ascoltare, ma dovevo cambiarmi con una certa urgenza perché da lì a poco avevo altri appuntamenti in agenda”, ha spiegato Corrado al Corriere. “Pensavo di aver spento il video e invece…sono stato tradito dalla tecnologia”, ha concluso. La clip originale, intanto, è sparita dal web, ma alcuni utenti più attenti hanno condiviso sui loro canali alcuni spezzoni.

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lunedì 14 dicembre 2020

Verifica di governo, alle 16.30 Conte vede la delegazione M5s. Poi tocca al Pd: alla riunione ci sarà pure Zingaretti

Inizia la resa dei conti a Palazzo Chigi dopo che per giorni Matteo Renzi ha minacciato apertamente il governo: per il leader di Iv o ci sarà una retromarcia sulla governance del Recovery plan o sarà crisi. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha fissato il calendario delle convocazioni in base al peso parlamentare dei partiti che sostengono l’esecutivo: i primi a varcare la soglia del palazzo, alle 16.30, saranno i rappresentanti del Movimento 5 stelle. Alle 19 toccherà alla delegazione del Pd, la cui composizione sarà “rinforzata” rispetto al solito: oltre a Dario Franceschini e ai capigruppo alle Camere Graziano Delrio e Andrea Marcucci, sono attesi il segretario Nicola Zingaretti e Andrea Orlando e Cecilia D’Elia che hanno partecipato al tavolo di maggioranza sul programma di legislatura. L’appuntamento decisivo è fissato però per domani alle 13, quando il premier si troverà faccia a faccia con la delegazione di Italia Viva. La girandola di incontri si chiuderà alle 19 con i capidelegazione di Leu.

Sul tavolo c’è innanzitutto la task force per la gestione delle risorse Ue. Conte nelle scorse ore ha ribadito che l’impianto generale non può essere messo in discussione, anche se ovviamente potrà subire modifiche in Parlamento. Poi ha chiarito che la struttura non sarà sovrapposta ai doverosi passaggi istituzionali”. Un messaggio rivolto direttamente ai renziani, secondo cui la governance pensata da Palazzo Chigi (composta da 6 manager e dalla cabina di regia di cui farebbero parte lo stesso Conte, il ministro dell’Economia Gualtieri e il collega dello Sviluppo economico Patuanelli) rischia invece di esautorare ministeri e Parlamento. L’obiettivo degli incontri previsti in settimana è quindi quello di trovare un’intesa per evitare il baratro della crisi, ma non è escluso che le discussioni sul Recovery plan non portino a un vero e proprio rimpasto di governo.

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domenica 13 dicembre 2020

Meloni: “Stupita da Salvini, vuole le elezioni o tornare col M5s?”. Zingaretti: “Governo? No crisi al buio ma serve rilancio”

A due giorni dal discorso di Matteo Renzi al Senato, continuano le discussioni tra i leader della maggioranza su un “rilancio” dell’azione di governo. Tra ipotesi di verifica, rimpasto e la parola “crisi” evocata, con sfumature diverse, da più parti, le forze che sostengono l’esecutivo guidato da Giuseppe Conte si posizionano. E se sabato Renzi è tornano a parlare di “numeri che ci sono” per un nuovo governo, ‘spalleggiato’ da Matteo Salvini che si è detto “felice” nel caso spuntasse una “squadra più seria” prima di andare alle elezioni “dopo il Covid”, oggi tocca a Nicola Zingaretti e Vito Crimi, oltre a Giorgia Meloni.

La più netta è la leader di Fratelli d’Italia che respinge un governo di “larghe intese”, sul quale la Lega è parsa aprire. “Sono abbastanza stupita. È un momento troppo grave per potersi permettere tatticismi esasperati o fughe in avanti”, ha avvisato sul Corriere della sera riferendosi alle parole di Salvini. “Mi interessa capire se davvero Salvini considera possibile in questa legislatura tornare con i Cinque Stelle o fare un governo con il Pd o se, come me, ha un unico orizzonte possibile: andare al voto con il centrodestra. Questa è l’unica cosa che importa – ha aggiunto – e sulla quale conto che spazzeremo via gli equivoci“. Poi l’avvertimento: “Se nasce un nuovo governo oggi dura tre anni, altro che ponte. Trovo un po’ anomalo che – nello stesso giorno in cui noi leader del centrodestra ci sediamo a un tavolo per coordinare le posizioni – senza avvertirci, prima si facciano aperture a un governo nel quale si prende in considerazione l’ipotesi di siglare un nuovo patto con Pd o M5s con l’obiettivo di far fuori Conte e, contemporaneamente, si annunci un colloquio con lo stesso Conte”. L’iniziativa di Salvini per allargare il centrodestra anche ai piccoli e l’ipotesi che d’ora in poi si decida a maggioranza, “certamente è un fatto positivo, ma ribadisco – ha detto Meloni – non mi è piaciuto che alcuni di loro, pur dopo l’intesa, non abbiano votato la nostra mozione unitaria sul Mes. Il tavolo è una buona cosa – ha concluso – ma bisogna dimostrare di voler stare assieme nei fatti. Poi sul voto a maggioranza non so cosa si intenda, ma è chiaro che non tutti hanno lo stesso peso”.

L’idea di un rimpasto o di un allargamento viene respinto anche Zingaretti. Il governo ha bisogno di un “rilancio”, spiega in un’intervista a Il Corriere della Sera in cui dice no a una crisi al buio. La fine di questo esecutivo, avverte, sarebbe “un’avventura pericolosa”. “Oggi siamo in una nuova fase: dall’emergenza occorre passare alla ricostruzione. Per fare questo occorre un rilancio, una ripartenza. Non bisogna nasconderlo, questa esigenza è avvertita da tutti. Dal Pd, dai 5 Stelle, da Italia Viva, da Leu e, sono convinto, anche dal presidente Conte”, dichiara Zingaretti. “Cercare di migliorare l’azione del governo Conte, al quale abbiamo creduto e continuiamo a credere, non è una mina posta sotto la stabilità del quadro politico, ma è la condizione stessa per andare avanti”. Quanto a Italia Viva, attacca: “Non accetteremo qualsiasi uso strumentale dei problemi che ci sono per perseguire progetti distruttivi”.

In merito a un rimpasto, “in piena emergenza e con ancora le code avvelenate del contagio del Covid-19, non è prioritario il tema degli assetti, degli organigrammi, degli equilibri di potere. Non ci interessa tutto questo. Ci interessa solo che la coalizione sia all’altezza delle sfide che oggi diventano via via più difficili”, sottolinea Zingaretti. Si tratta, spiega il capo politico del M5s Vito Crimi, dello “stesso che intendiamo noi”. In altri termini: “Zingaretti non parla di rimpasto né di nomi, ma di cose da fare. Zingaretti afferma cose che condividiamo. Occorre far percepire che il governo sta lavorando e quindi, anziché concentrarsi sulle beghe della governance del Recovery fund, chiudiamo al più presto possibile il piano e diciamo quante sono le risorse e come le spenderemo”, ha detto a Sky Tg24.

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giovedì 10 dicembre 2020

Sondaggi, la Lega guadagna un punto e sale al 23,2%. Si assottigliano le distanze tra Fratelli d’Italia e M5s, cresce La Sinistra

Si allargano le distanze in termini di consenso tra la Lega, che resta primo partito in Italia, e il Partito Democratico. Il Carroccio, secondo gli ultimi sondaggi realizzati dall’Istituto Ixè, guadagna lo 0,9% rispetto al 21 novembre e sale 23,2%. Anche i dem crescono leggermente (+0,2%), ma restano ancorati in seconda posizione con il 21,9%. Numeri ormai non così lontani dal 22,7% incassato alle Europee 2019. Sul terzo gradino del podio, invece, c’è ancora Fratelli d’Italia: il partito guidato da Giorgia Meloni cala leggermente al 16%, assottigliando le distanze con il sorpasso sul Movimento 5 stelle dopo il sorpasso avvenuto ormai più di un mese fa. Nessuna novità per i pentastellati: se si andasse oggi alle urne racimolerebbero il 15,6% dei voti.

Stando alla rilevazione di Ixè, datata 10 dicembre, ci sono novità pure fra i partiti più piccoli. Fa eccezione Forza Italia, ferma all’8,3% (+0,2% rispetto al sondaggio precedente) e ben lontana dai fasti di un tempo. La Sinistra, invece, cioè l’alleanza che riunisce diversi partiti a sinistra del Pd, guadagna lo 0,7% e arriva al 3,2, superando nelle intenzioni di voto Italia Viva. La nuova creatura di Matteo Renzi perde infatti lo 0,2% e non va oltre il 2,5%. Ancora più giù (2,1) Azione di Carlo Calenda, mentre restano sostanzialmente invariati i consensi per +Europa (1,9%) ed Europa Verde (1,5). Diminuisce il bacino di astenuti/indecisi, passando dal 39% di fine novembre al 38,1%.

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M5s, dopo il voto sul Mes 4 deputati lasciano il Movimento e passano al Misto: ecco chi sono

Lo scontro interno al Movimento 5 stelle sulla riforma del Mes non ha messo in difficoltà la maggioranza, ma è destinato ad avere strascichi dentro il gruppo parlamentare M5s (e non solo). Il primo atto concreto è arrivato neanche 24 ore dopo il voto in Aula: quattro deputati M5s hanno deciso di abbandonare il gruppo e iscriversi al Misto. Si tratta di Antonio Lombardo, Maria Lapia, Fabio Berardini e Carlo Ugo De Girolamo. I quattro, tutti eletti alla prima legislatura, erano tra i 58 firmatari della lettera dei dissidenti M5s che chiedevano di rinviare i punti critici della riforma del Mes e ieri, a Montecitorio, si sono espressi contro la linea ufficiale della maggioranza (insieme ad altri 9 deputati): Lombardo non ha partecipato al voto, Berardini e Lapia hanno votato contro, mentre De Girolamo si è astenuto. Una scelta che, come annunciato dal capo politico Vito Crimi, avrebbe comportato quasi sicuramente l’espulsione. “Noi 13 deputati che abbiamo votato coerentemente con il nostro programma elettorale”, ha scritto oggi in un messaggio Berardini, “siamo stati minacciati di espulsione ed emarginati. Il clima è diventato talmente tossico che non mi riconosco più in questa forza politica”.

L’addio al Movimento dei quattro è arrivato in un momento molto delicato e, non è un caso, pochi giorni dopo l’adesione di quattro eurodeputati M5s Ignazio Corrao, Piernicola Pedicini, Eleonora Evi e Rosa D’Amato al gruppo dei Verdi a Bruxelles. Secondo alcune fonti interne, tra i delusi del Movimento c’è l’intenzione di lavorare a una nuova formazione ambientalista. Ad esempio Lombardo, il deputato siciliano che oggi ha lasciato i grillini alla Camera, è considerato molto vicino all’eurodeputato Corrao. “Il progetto è solo agli inizi”, raccontano fonti interne. “Ma ci si aspettano altre adesioni a cascata tra i parlamentari M5s”.

Lapia, deputata eletta in Sardegna e alla prima legislatura, il 25 novembre scorso è stata sospesa dal Movimento 5 stelle insieme al collega Andrea Colletti per aver votato contro la riforma del taglio dei Parlamentari. Ieri è stata tra le prime deputate ad annunciare il suo dissenso rispetto alla risoluzione di maggioranza sulla riforma del Mes. Perché, ha spiegato oggi, “come molto altro, non apparteneva al nostro programma: ci siamo sempre battuti per il contrario. Di qui ieri il mio voto contrario sulla risoluzione contente la proposta di riforma in sede europea. Un voto di responsabilità verso di voi. Un voto di coerenza. La stessa coerenza che da questo momento in poi mi porta a scegliere di abbandonare il Movimento 5 stelle per rispetto di tutti coloro che si sentono traditi e della mia dignità”. E ha continuato: “Il nostro programma elettorale, che avrebbe messo una pietra tombale su un modo di fare politica oramai obsoleto e che ha avuto in un primo momento la straordinaria capacità di riavvicinare i cittadini alla gestione della cosa pubblica, era chiarissimo. Tra i punti qualificanti c’era lo smantellamento del Mes, impegno che come tanti altri è stato completamente disatteso. Ora, che il patto con gli elettori è stato nuovamente tradito, io non posso più restare in un Movimento che tratta come carta straccia l’impegno solenne preso con la sottoscrizione di un programma elettorale”.

Il deputato Antonio Lombardo, eletto in Sicilia, ha inviato un messaggio ai colleghi in mattinata: “Ragazzi”, si legge nel testo riportato dall’agenzia Adnkronos, “per una questione di correttezza e rispetto nei vostri confronti, prima che lo apprendiate dalle agenzie, vi comunico che sto per lasciare il gruppo parlamentare del M5s. Con stima, un abbraccio a tutti”.

Fabio Berardini, eletto in Abruzzo, ieri era tra i sei deputati intervenuti in Aula per annunciare il voto in dissenso: “Oggi, purtroppo, rimangono le macerie di un movimento che era partito con le migliori intenzioni ma che ha annientato qualsiasi contatto con il mondo reale grazie all’assenza di una minima organizzazione sui territori”, ha scritto oggi su Facebook. “Ieri si è consumato il colpo di grazia: dopo aver scritto nero su bianco sul programma elettorale ‘Smantellamento del Mes’ viene approvata una riforma (peggiorativa) di questo istituto. È ovvio che i vertici del M5s si sono calati completamente le braghe pur di mantenere la propria poltrona. Noi 13 deputati che abbiamo votato coerentemente con il nostro programma elettorale siamo stati minacciati di espulsione ed emarginati. Il clima – lamenta Berardini – è diventato talmente tossico che non mi riconosco più in questa forza politica”.

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mercoledì 9 dicembre 2020

Mes, Borghi attacca il M5s: “Da oggi rimangono patrioti e traditori”. La replica: “Non si vota per attivarlo, noi sempre critici”

Scambi di accuse alla Camera dei deputati dopo il discorso di Giuseppe Conte sulla riforma del Trattato europeo originario che diede vita al Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Claudio Borghi si appella ai deputati del M5s: “Non votate questo scempio. Da oggi rimangono i patrioti e i traditori“. Parole a cui replica Filippo Scerra a nome del Movimento: “Oggi non si vota in Parlamento per attivare il Mes – afferma – trattato su cui il M5s continua ed esprimere le sue critiche e che fin quando saremo noi al governo non verrà mai attivato dall’Italia. Oggi si vota per dare mandato al presidente Conte per riformare il trattato”. Altro passaggio delicato la differenza di opinioni sul Mes sanitario. Italia viva, con Matteo Colaninno, si dichiara a favore dell’attivazione del prestito da 37 miliardi. Anche a questo nel suo intervento Scerra, per conto dei 5 stelle si oppone con nettezza: “La verità è che il dibattito sul Mes sanitario è solo un pretesto per provare a mettere in difficoltà la maggioranza, magari chi lo sa – conclude Scerra – per gestire i 209 miliardi del Recovery Fund ottenuti grazie alla serietà di questo esecutivo”.

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Parlamento Ue, via libera dei Verdi all’ingresso dei 4 eurodeputati che hanno lasciato il M5s

Piernicola Pedicini, Rosa D’Amato, Ignazio Corrao e Eleonora Evi entrano nei Verdi al Parlamento europeo. Lo ha deciso il gruppo ambientalista per acclamazione dopo che i quattro eurodeputati del Movimento 5 stelle hanno lasciato la delegazione pentastellata a Strasburgo. “Oggi il nostro Gruppo si sta allargando! Abbiamo 4 nuovi eurodeputati italiani che entrano a far parte del gruppo dei Verdi”, si legge in un tweet dello schieramento. “Non vediamo l’ora di lavorare con voi sulla giustizia sociale, diritti umani e politica climatica!”. Il passaggio dei 4, considerati vicini ad Alessandro Di Battista (che però definisce il loro addio “un errore”), non sposta gli equilibri politici dell’Eurocamera, ma certifica la frattura che “va avanti da diversi mesi” all’interno dei 5 stelle in Europa.

Corrao, Pedicini, Evi e D’Amato, infatti, hanno già votato tante volte in linea con i Verdi su dossier come la Politica Agricola Comune. E da mesi, a partire dall’elezione di Ursula von der Leyen, fino alla sospensione di tre di loro a giugno da parte dei provibiri, le acque erano agitate. “Con l’addio al M5S – si legge in una nota di Pedicini – i quattro eurodeputati rinnovano il proprio impegno a favore delle battaglie di cui sono stati portavoce in questi anni, mettendo al primo posto la difesa del pianeta e la tutela della salute dei cittadini”. La decisione, aggiungono, “è stata resa necessaria dall’impossibilità di portare avanti con coerenza la difesa di questi temi, all’interno della delegazione del M5S, il cui operato oggi diverge irrimediabilmente sia dall’impegno preso con gli elettori che dalle aspirazioni originarie del Movimento”.

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martedì 8 dicembre 2020

Voto su riforma Mes, il M5s trova un punto di caduta. Il gruppo al Senato firma risoluzione condivisa: “Superati sterili distinguo”

Dopo giorni di tensione e lunghi confronti notturni in videoconferenza, i senatori del Movimento 5 Stelle hanno trovato una mediazione interna sul testo della risoluzione relativa alla riforma del Mes attesa in Aula mercoledì dopo le comunicazioni del presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Il “punto di caduta“, annunciato via facebook dalla senatrice M5s Barbara Lezzi dopo “due intere giornate insieme ad altri 60 parlamentari per mediare le posizioni”, è un testo che “non è ideale ma, almeno, rivendica il ruolo del Parlamento in sede di ratifica e avverte che non sarà disposto al voto finale se non ci sarà l’avanzamento significativo del resto del pacchetto di riforme, Edis (assicurazione comune dei depositi bancari, ndr) prima di tutto”. La nuova formulazione andrà ora discussa con il resto della maggioranza, a partire dal Pd che – stando a quanto ha detto il ministro Roberto Gualtieri in audizione – è convinto che quella condizione sia già rispettata. Il capogruppo dem Andrea Marcucci, a Un Giorno da Pecora, ha detto che “si sta lavorando ad una risoluzione che vada bene a tutti i partiti di maggioranza”.

“È un bene che si stia andando verso un punto di caduta nel Movimento”, ha commentato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio in una nota. “Era ciò che avevo fortemente auspicato e per cui ho lavorato insieme a tutti gli altri. Come ho ribadito più volte, il no all’utilizzo del Mes resta fermo, ma il voto di domani sarà un voto sul governo, su una risoluzione, sul presidente del Consiglio. Prevalga la responsabilità”. La luce in fondo al tunnel arriva nel giorno in cui il presidente della Camera Roberto Fico, intervistato dal Corriere della Sera, ricorda che “Il voto di domani riguarda il mandato da dare al presidente Conte per il Consiglio europeo dove dovrà tutelare le posizioni e gli interessi del nostro Paese” per cui “il Movimento e la maggioranza tutta hanno il dovere di sostenerlo: serve grande responsabilità in una fase delicatissima per l’Italia. Occorre lavorare per il bene dei cittadini, per uscire dalla crisi il prima possibile. Per raggiungere questi risultati servono sintesi, coesione, capacità di mediazione“, appunto.

La Lezzi spiega le evoluzioni delle ultime ore in un post in cui si rivolge al direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio, che nell’editoriale di oggi ha evidenziato le possibili conseguenze nefaste di atteggiamenti “puri e intransigenti” da parte di frange della maggioranza, evocando la caduta di Romano Prodi nel 1998 a causa della sfiducia di “un leader che si credeva il più puro e intransigente”, Fausto Bertinotti. Ne seguì la nascita del governo D’Alema che “si distinse per quattro scelte sciagurate: i bombardamenti sulla Serbia nella guerra del Kosovo, ordinati da Usa e Nato ma senza l’Onu; l’abolizione dell’ergastolo per le stragi; le privatizzazioni di due galline dalle uova d’oro come Autostrade e Telecom, praticamente regalate ai Benetton e ai “capitani coraggiosi””. I risultati furono “crollo dei consensi del centrosinistra, caduta di D’Alema dopo un anno e mezzo, nascita del secondo governo Amato e resurrezione di B. Che nel 2001 rivinse le elezioni e tornò al governo come nuovo”.

Un copione che il Movimento non vuol ripetere. Sul Mes “ho trascorso due intere giornate insieme ad altri 60 parlamentari per mediare le posizioni, per trovare un punto di caduta e per fare in modo di non essere ricordati come coloro che hanno peggiorato uno strumento già pessimo senza aver avuto nulla in cambio a tutela dei cittadini”, scrive Lezzi. “Grazie a questo lavoro è venuta fuori una risoluzione che non è quella ideale ma, almeno, rivendica il ruolo del Parlamento in sede di ratifica e avverte che non sarà disposto al voto finale se non ci sarà l’avanzamento significativo del resto del pacchetto di riforme. A tal proposito, superando sterili distinguo, posizioni tese solo a provocare o azioni esterne di chi esalta Conte in pubblico ma mira ad affossarlo, ringrazio tutti i colleghi per questo impegno sentito e aperto di questi due giorni. Tutto a posto? No. Il testo dovrà essere ulteriormente mediato con il resto delle forze di maggioranza”, chiarisce infine la senatrice. “La mia linea rossa è questa e non posso cambiarla. È questione di coscienza tanto gli articoli si costruiscono secondo le esigenze da soddisfare ed è così che si passa dall’esser poltronari e incoerenti o scappati di casa a frondisti irresponsabili. Meglio fare la cosa giusta”.

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Scanzi a La7: “La crisi di governo non conviene a nessuno. I fuoriusciti del M5s? Scappati di casa politici e rosiconi”

La crisi di governo? Non conviene a nessuno, anche se il problema esiste. E si chiama renziani e 5 stelle”. È l’analisi di Andrea Scanzi, ospite di Lilli Gruber a Otto e mezzo, su La7, sull’ipotesi di una crisi dell’esecutivo guidato da Giuseppe Conte. “Che cosa vuole Matteo Renzi? Può essere che voglia più potere nella gestione dei soldi del Recovery Fund e più nomine. Sicuramente vuole indebolire Conte. Poi ci sono i fenomeni. E mi riferisco ai fuoriusciti del M5s. Ci sono scappati di casa politici, ma anche i rosiconi di professione, tipo qualche ex ministro. Poi ci sono quelli che odiano Luigi Di Maio o quelli che non sanno fare tattica. E infine ci sono i più pericolosi, i ‘duri e puri’, che alla fine finiscono sempre per favorire il nemico. Purtroppo tra di loro ci sono anche persone che reputo intelligenti, come Nicola Morra e Alessandro Di Battista”.

Video La7

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venerdì 4 dicembre 2020

Assemblea M5s, Crimi: “Mes non ci piace, ma non bloccheremo la riforma”. Bonafede ai dissidenti: “Grave indebolire Conte”

Il Movimento 5 stelle si opporrà in tutti i modi all’attivazione del Mes, ma non farà ostruzionismo sul pacchetto di riforma. A ribadire la linea è stato il capo politico reggente Vito Crimi aprendo l’assemblea congiunta dei parlamentari M5s: un appuntamento atteso anche perché arriva in un momento di tensione per il Movimento. Il 9 dicembre il premier Giuseppe Conte farà le sue comunicazioni all’Aula in vista del prossimo consiglio Ue e un gruppo di parlamentari M5s potrebbe non votare in sostegno del governo proprio in segno di protesta per la riforma del Mes: approvata dall’Eurogruppo a inizio settimana con il via libera dell’Italia, è finita nel mirino di alcuni dissidenti M5s che hanno inviato una lettera di protesta (circa 58 parlamentari). A dare man forte ai critici oggi è arrivato anche Beppe Grillo che sul suo blog ha ribadito il no al Mes “inutile” e “inadatto” e ha invece rilanciato al proposta de ilfattoquotidiano.it per chiedere un contributo ai super ricchi. Vito Crimi (e tutta l’ala governista) però, ha ribadito ai suoi come una cosa non escluda l’altra: non fare ostruzionismo sulla riforma del Mes, non significa chiederne l’attivazione. Ipotesi che al momento non è nei progetti del premier e del governo. In sostegno di Crimi è intervenuto anche il capodelegazione e ministro della Giustizia Alfonso Bonafede: “La lettera degli anti-Mes ha indebolito Conte”, ha detto durante l’assemblea. Poco dopo ha parlato anche Luigi Di Maio chiedendo “responsabilità”: “Non si porti Conte al patibolo”, ha detto.

Non sono mancate le proteste durante l’incontro sulla piattaforma Zoom. Secondo quanto riferito dall’agenzia Adnkronos, la deputata Manuela Corda, tra i firmatari della lettera anti-Mes, ha criticato la gestione del confronto usando parole forti: “Questo è fascismo. Una conduzione che non ci permette di esprimerci. Solo due minuti e mezzo. Apprezzavo Luigi (Di Maio, ndr). Ora volete un mandato e vi volete imporre“. Critico anche il collega Francesco Forciniti, altro firmatario della missiva della discordia: “A Bonafede e Di Maio avete dato mezz’ora senza contraddittorio per fare comizi, senza dato ma esprimendo solo la loro opinione. A noi non ci fate nemmeno parlare. Allora non ve la voto (la risoluzione, ndr)! Ciao”.

Crimi: “Il Mes non ci piace, ma non faremo ostruzionismo sulla riforma”
“Lo abbiamo detto in tutte le salse”, ha esordito Crimi parlando ai suoi. “Il Mes è uno strumento che non ci piace, obsoleto e potenzialmente dannoso e neanche la riforma è all’altezza di affrontare una situazione come quella del Covid”. E, nelle specifico, ha ribadito che “la riforma del Mes non ci piace, certo, ma ho detto che non faremo ostruzionismo se tutti gli altri Paesi europei stanno andando in quella direzione e sono quegli stessi Paesi europei con cui ci troviamo a giocare una partita molto più complessa per il futuro dell’Ue, una partita per arrivare a una visione più ampia”. Quindi ha garantito: “Con noi al governo il Mes non sarà mai attivato e domani saremo sempre in prima linea per non farlo attivare. Anche nel Pd, nei più autorevoli pensatoi europei e tra gli economisti , stanno dicendo a chiare lettere che il Mes, anche con questa riforma, non potrà essere all’altezza dell’Ue del futuro. Anche per questo noi non lo useremo”.

Per quanto riguarda i rapporti con l’Europa, Crimi ha detto: “Il M5s ha scelto di essere critico su alcuni assetti dell’Europa ma non antieuropeista. Ha deciso cioè di provare a cambiare l’Ue dal di dentro. Questo non lo si può certo fare da soli, né lo si può fare nel giro di poco tempo”. Secondo Crimi è necessario rendersi conto quali passi avanti sono stati fatti in Europa negli ultimi mesi: “Mettiamo a fuoco questa visione di insieme sull’Europa di oggi, che ci restituisce un’Ue in cui tanti cambiamenti epocali sono già in corso. Però in premessa, per dare un senso a questi cambiamenti, ripercorriamo un po’ di passaggi”. Quindi è partito da febbraiuo, quando “autorevoli esponenti della commissione Ue si limitavano a dire che nel Patto di stabilità era già presente tutta la flessibilità necessaria”. E, “a fine marzo l’unico pacchetto di risposte messo in campo dall’Ue si basava solo sui prestiti Mes, Sure e Bei“. Pur partendo da questo panorama, ha detto Crimi, abbiamo ottenuto “la sospensione del patto di stabilità”. Poi, “la Bce ha annunciato il piano pandemico di acquisto di titoli di Stato (Pepp) da 750 miliardi, ma l’ha successivamente esteso a 1.350 miliardi, facendo allo stesso tempo capire che potrà andare oltre”. E “sono state sospese le rigide regole sugli aiuti di Stato”. Infine, “è stato messo in campo il Recovery fund, vero risultato ottenuto in Ue dopo che sul piatto a fine marzo non c’era praticamente nulla”. Quindi Crimi ha fatto un parallelismo con i Paesi che stanno bloccando proprio il Recovery fund: “In Europa abbiamo criticato l’atteggiamento di Polonia, Ungheria e Slovenia, che stanno bloccando i lavori sul recovery plan, strumento per noi fondamentale, per non dire imprescindibile, per garantire un futuro sostenibile al nostro Paese. Ecco, sulla riforma del Mes l’Italia rischia di fare esattamente come loro. Posto che noi il Mes non lo attiveremo”.

Per questo, ha aggiunto Crimi, Conte ha bisogno del sostegno pieno del Movimento: “Tutti siamo consapevoli dell’importanza di supportare l’azione del governo in un momento storico così difficile per il Paese. E tutti siamo convinti che sia necessario dare il massimo sostegno al presidente Conte, che deve poter andare in Europa con un mandato chiaro, forte dell’appoggio del Parlamento e del Paese, come già avvenuto in occasione del Recovery Fund”. In Conte “abbiamo la massima fiducia perché ha dimostrato di aver sempre saputo difendere e curare al meglio gli interessi del nostro Paese di aver portato dall’Europa più risultati di chiunque prima di lui”.

Bonafede: “La lettera degli anti-Mes ha indebolito Conte”
Anche il capodelegazione Bonafede è intervenuto per cercare di ricompattare il gruppo. La lettera dei parlamentari grillini anti-Mes “è stata interpretata all’esterno come se avessimo nel mirino Conte…questo lo indebolisce agli occhi di tutti e dell’Europa”, ha detto secondo l’agenzia Adnkronos. “Conte questo non lo merita perché è una persona coerente e capace. Il confronto si fa in un altro modo e con altri mezzi. Vi chiedo di rappresentare le vostre istanze confrontandovi all’interno”. Insomma è stata “divisiva”. “Con questo metodo diventa impossibile lavorare e diventa complicato governare. È stata un grave errore, ha indebolito il Movimento davanti agli altri partiti alleati. Rispetto la motivazione, ma non il metodo”. E ha concluso: “Bisogna essere compatti e sostenere il nostro Presidente del Consiglio”.

Di Maio: “Non potete portare Conte sul patibolo”
In difesa del governo anche l’ex capo politico Luigi Di Maio: “L’Italia ha bisogno di stabilità. Noi dobbiamo dargliela. Non potete portare Conte sul patibolo. Chi non voterà quella risoluzione, voterà contro il Presidente del Consiglio dei Ministri e il suo Governo che viene in aula a chiedere la fiducia del Parlamento per andare in Europa anche a trattare lo sblocco dei fondi del Recovery fund. Lo trovo francamente folle e irresponsabile”. Quindi ha aggiunto: “In Aula non si voterà per accedere al Mes. È una bugia. Il presidente del Consiglio all’Eurosummit si dovrà esprimere sulla riforma. Una riforma che io stesso ho definito peggiorativa e che andava fermata anni fa. Ma i numeri per essere approvato in parlamento non ci sono. Siamo al governo della settima potenza mondiale, in una fase come quella che stiamo vivendo serve grande senso di responsabilità. Non cadiamo nelle trappole di chi ci vuole deboli, di chi lavora solo per colpirci”.

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giovedì 3 dicembre 2020

Legge di bilancio, tornano in pista gli emendamenti su patrimoniale e dote per la vendita di Mps

Uscita dalla porta, la proposta di patrimoniale rientra dalla finestra della commissione Bilancio della Camera. L’emendamento firmato da deputati di Leu e Pd, a cui si sono aggiunti oggi due cinque stelle, unito, prevede la soppressione di Imu seconda casa e bolli su conti correnti e dossier titoli, in cambio l’introduzione di un prelievo progressivo sulle ricchezze dai 500mila euro in su. La prima aliquota è dello 0,2%, quindi, secondo gli estensori, considerando le tasse eliminate, la misura si tradurrebbe in un risparmio fino a un milione di euro (prima casa al netto del mutuo incluso). Alla luce di queste “compensazioni” e della conseguente incertezza sulle coperture, ieri la Commissione aveva ritenuto inammissibile l’emendamento. Oggi è stato però riammesso ai voti come risultato del ricorso presentato dai firmatari. La proposta dell’istituzione “di una imposta sostitutiva sui grandi patrimoni” si legge, è stata riammessa “in considerazione della difficoltà di effettuare una puntuale quantificazione riguardo alla stima degli effetti di gettito derivanti dalla proposta emendativa, fermo restando che più puntuali informazioni potranno essere acquisite in proposito dal Governo nel corso dell’esame dell’emendamento stesso”.

“Quando abbiamo presentato l’emendamento si è messa in moto una gigantesca macchina della disinformazione: hanno detto che vogliamo mettere le mani nelle tasche degli italiani, colpire il ceto medio; ieri sera persino Luigi DI Maio è intervenuto. A Luigi dico: ‘facciamo un confronto e soprattutto leggiamo i testi che ciascuno di noi proponè. Dire che basta avere una casa per essere colpiti è un imbroglio: si può essere in disaccordo ma occorre dire a verità”. Così Nicola Fratoianni in una conferenza stampa alla Camera per spiegare le ragioni dell’emendamento alla manovra sulla patrimoniale.

Senza dubbio la proposta sta accendendo animi e dibattito. ” Dalla sinistra una misura insensata, che colpisce la classe media senza incidere sui veri grandi patrimoni, tutti custoditi in paradisi fiscali. La Lega farà le barricate in commissione e in aula affinché questa vergogna non vada in porto”, scrive Alberto Bagnai. “Con la riammissione dell’emendamento sulla patrimoniale torna a pendere la spada di Damocle sulla testa degli italiani. Questa proposta è una mina sul futuro del Paese: va bocciata senza se e senza ma“, dichiara il deputato e capogruppo di Forza Italia in Commissione Bilancio Andrea Mandelli. Merita attenzione anche quanto dichiarato in mattinata dal numero uno di Intesa Sanpaolo Carlo Messina. Se il Pil “non crescerà almeno del 2% ci troveremo con un debito difficilmente gestibile nel confronto con gli altri paesi”. Bisogna investire in infrastrutture, green, digitale e formazione e combinare tutte queste cose insieme per far crescere l’economia, “altrimenti bisognerà fare delle manovre strategiche sul debito o sul patrimonio degli italiani e non credo che sia assolutamente auspicabile”. Una lettura della situazione che riecheggia quella del sottosegretario all’Economia Pierluigi Baretta che nei giorni scorsi ha affermato che la patrimoniale potrà essere evitata se si riuscirà a rimettere in circolo almeno una parte dei soldi oggi parcheggiati sui conti corrente.

La dote per Monte dei Paschi – La commissione Bilancio ha riammesso al voto l’emendamento del M5s alla manovra per ridurre a un massimo di 500 milioni i crediti fiscali per le banche che si aggregano nel 2021. La richiesta di modifica riguarderebbe anche una eventuale acquisizione di Mps da parte di un altro istituto di credito, riducendo i benefici dell’operazione per l’acquirente. Difficile però che con una dote così striminzita qualche banca sia disposta ad impegnarsi in un matrimonio con la non ambitissima senese. In tal caso il Tesoro, oggi azionista con il 68%, resterebbe con il cerino in mano, anche perché, in base agli accordi con Bruxelles, lo Stato dovrebbe uscire dalla banca entro la fine del 2021. La questione Mps è stata anche il punto su cui si è consumata la rottura all’interno di Unicredit che ha portato all’addio dell’a.d. Jean Pierre Mustier. Secondo il manager francese, una dote di 3 miliardi di euro sarebbe stata comunque insufficiente per rendere economicamente interessante l’operazione.

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M5s, scissione a Bruxelles: lasciano D’Amato, Corrao, Evi e Pedicini. “Questo Movimento è parente lontano di quello per cui messo cuore”

Quattro europarlamentari del Movimento Cinque Stelle lasciano il gruppo ed escono dal Movimento. Una scissione. L’ala ‘ambientalista’ composta da Ignazio Corrao, Piernicola Pedicini, Eleonora Evi e Rosa D’Amato ha annunciato l’uscita parlando di una decisione figlia di un “malumore” che “va avanti da diversi mesi”. Il gruppo dei Verdi/Ale del Parlamento Europeo terrà una riunione venerdì mattina per discutere dell’adesione dei quattro eurodeputati fuoriusciti dal Movimento, considerati vicini ad Alessandro Di Battista. Corrao, Pedicini, Evi e D’Amato, negli scorsi mesi, si sono distinti votando spesso in linea con i Verdi su dossier qualificanti come la Politica Agricola Comune. Da mesi, a partire dall’elezione di Ursula von der Leyen, fino alla sospensione di tre di loro a giugno da parte dei provibiri, le acque erano agitate. “Con l’addio al M5S – si legge in una nota di Pedicini – i quattro eurodeputati rinnovano il proprio impegno a favore delle battaglie di cui sono stati portavoce in questi anni, mettendo al primo posto la difesa del pianeta e la tutela della salute dei cittadini”. La decisione, aggiungono, “è stata resa necessaria dall’impossibilità di portare avanti con coerenza la difesa di questi temi, all’interno della delegazione del M5S, il cui operato oggi diverge irrimediabilmente sia dall’impegno preso con gli elettori che dalle aspirazioni originarie del Movimento”.

“Mesi e mesi di enorme sofferenza interiore”, scrive Corrao in un lungo post su Facebook nel quale ripercorre la sua storia nei Cinque Stelle e quanto accaduto nel corso degli anni, parlando della scomparsa di Gianroberto Casaleggio come del momento in cui “se ne va una sorta di filtro e di garanzia” e dell’inizio di “un lento ma inesorabile percorso di snaturamento”. Acuito dal governo con la Lega di Matteo Salvini, quando qualcosa si è “rotto irreparabilmente”. Corrao descrive le elezioni europee come quelle in cui il M5s diventa un “partito iperverticistico”, parla di mancanza di “confronto interno” e “cerchio magico”. Fino alla “storia recente”, cioè “mesi e mesi di tentativi di cambiare dall’interno andati a vuoto”, scrive Corrao parlando di un “distacco crescente” da un movimento che “ormai è parente lontano di quello per cui ho messo anima e cuore per 10 anni”.

“Lentamente e sotto traccia, in modo insidioso e subdolo, il Movimento ha iniziato a cambiare pelle”, scrive Evi annunciando la sua uscita dal gruppo. “La trasformazione è, purtroppo, molto più profonda e tocca il cuore e l’anima di questo progetto politico”, aggiunge richiamando le questioni Tav, Tap e Ilva e ricordando di non aver votato a favore dell’elezione di Ursula von der Leyen a capo della commissione europea. “Come siamo arrivati a questo punto?”, si chiede. “È accaduto perché i cosiddetti “vertici” hanno deciso deliberatamente di calpestare la democrazia interna nel M5S – spiega – Attraverso la piattaforma Rousseau abbiamo sempre scelto i nostri candidati. Ma nel caso delle elezioni europee, con un’operazione “alla Renzi”, l’ex capo politico Di Maio ha deciso di nominare 5 capolista donne, scelte tra le “eccellenze italiane”, ma che nulla avevano a che fare con il M5S. Il trasformismo di altri completa il quadro”.

“Agli attivisti, agli iscritti e a tutti coloro che hanno riposto fiducia in me, e in noi, dico che insieme ad alcuni colleghi abbiamo provato fino all’ultimo a riportare il Movimento sul giusto binario, senza riuscirci purtroppo”, scrive ancora Pedicini in un lungo post in cui annuncia di aver ricevuto una nuova notifica di procedura sanzionatoria da parte dei probiviri del M5S. “È ormai evidente sono una persona scomoda per coloro i quali si sono autoproclamati vertice del M5s..Con questo mio post proverò a toglierlo dall’imbarazzo perché non sono il tipo che si fa cacciare, piuttosto vado via da solo”, conclude.

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Riforma del Mes, lettera di 58 parlamentari M5s perché si “rinviino gli aspetti critici”. Ma c’è già chi nel gruppo si dissocia dal testo

La riforma del Mes continua ad agitare il Movimento 5 stelle. Nonostante il via libera dell’Eurogruppo, con il benestare dell’Italia (e dello stesso capo politico M5s Vito Crimi), per i parlamentari grillini la questione non è ancora da considerarsi chiusa. Per questo oggi 42 deputati e 16 senatori M5s hanno scritto una lettera indirizzata al capo politico reggente, al capodelegazione al governo Alfonso Bonafede e ai capigruppo di Camera e Senato. L’Aula sarà chiamata a esprimersi sull’argomento il prossimo 9 dicembre, quando il premier Giuseppe Conte farà le sue comunicazioni alla vigilia del Consiglio Ue. Tra i 5 stelle i malumori vanno avanti da alcuni giorni e, anche se i firmatari della lettera hanno assicurato di non voler “mettere in difficoltà la maggioranza”, il nodo è da affrontare soprattutto alla luce delle tensioni interne: per venerdì è stata convocata un’assemblea congiunta dei gruppi parlamentari M5s di Camera e Senato e, tra le varie cose, si parlerà anche della riforma del Mes.

Il caso dei parlamentari che ritirano la firma – Poche ore dopo la diffusione del testo, alcuni eletti 5 stelle hanno iniziato a prendere le distanze dalla lettera che la fronda grillina ha inviato ai vertici del M5s per dire no alla riforma del Mes. “Vorrei che la mia firma alla lettera sulla risoluzione venisse tolta in quanto erroneamente inserita”, è la richiesta, secondo quanto apprende l’Adnkronos, avanzata via mail dal deputato M5s Mattia Fantinati, il cui nome compariva nell’elenco dei 42 deputati e 17 senatori. Anche la deputata Iolanda Di Stasio si è sfilata: “Ho più volte ribadito la mia contrarietà all’attivazione del Mes per il nostro Paese, ma mai firmato la lettera”. Poco dopo è intervenuta anche Loredana Russo: “Smentisco di aver firmato la lettera, indirizzata ai vertici pentastellati, con determinate richieste sulla riforma del Mes, il cui voto è previsto in aula per il prossimo 9 dicembre, di cui non avevo nemmeno letto il testo. Resto fermamente contraria al ricorso al Mes, ma ogni mia scelta anche sulla riforma di tale strumento avverrà all’esito di un confronto interno al gruppo e nel pieno rispetto delle decisioni che assumeremo collegialmente come sempre fin qui avvenuto”. Stesso discorso anche per Sabrina De Carlo: “Ho revocato la mia adesione alla lettera inviata onde evitare sterili strumentalizzazioni politiche”. Il deputato Luca Carabetta ha fatto sapere che “si dissocia” pur essendo contrario alla riforma del Mes.

La lettera: “L’unico ulteriore passaggio per bloccare la rifroma sarebbe durante il voto di ratifica” – “Consci delle diverse posizioni nella maggioranza”, si legge nel testo, “che non vogliamo in nessun modo mettere a rischio, chiediamo che nella prossima risoluzione parlamentare venga richiesto che la riforma sia subordinata alla chiusura di tutti gli altri elementi (EDIS e NGEU) delle riforme economico-finanziarie europee in ossequio alla logica di pacchetto, o in subordine, a rinviare quantomeno gli aspetti più critici della riforma del Mes”. A questo proposito viene ricordato come la risoluzione D’Uva-Molinari del 16 settembre 2019 chiedeva l’impegno del governo a rispettare la cosiddetta “logica del pacchetto” nella riforma del Mes. Punto che, “a prescindere dal cambio di maggioranza”, è stato ripreso nella risoluzione Silvestri-Delrio dell’11 dicembre 2019, si sottolinea. E ancora, si continua: “Il nuovo contesto dovrebbe portarci a riaffermare, con maggiore forza e maggiori argomenti, quanto già ottenuto negli ultimi mesi: NO alla riforma del MES“.

“Gli atti parlamentari sono stati suffragati da numerose prese di posizione contrarie alla riforma sui canali ufficiali del MoVimento e la proroga ottenuta lo scorso anno è stata salutata come una vittoria politica in linea con il programma del MoVimento che ne prevede lo ‘smantellamento’. Ciò premesso, ricordiamo quindi che, se non per l’anticipo del cosiddetto backstop all’SRF (condizionato preliminarmente al bail-in bancario di azionisti e obbligazionisti), l’ipotesi di riforma non è cambiata rispetto allo scorso anno, in particolare per quanto riguarda: 1) il ruolo rafforzato del MES nella procedura di valutazione di accesso alle linee di credito 2) la nuova suddivisione tra paesi ‘virtuosi’ e ‘viziosi’, secondo le stesse logiche e parametri che diciamo di voler cambiare, a linee di credito differenziate (aiutando i virtuosi e penalizzando i viziosi) e 3) l’introduzione delle clausole CACs-single limb che semplificherebbero la ristrutturazione del debito pubblico”.

“Inoltre, nella cosiddetta logica di pacchetto, non si registra alcun avanzamento sul completamento dell’Unione Bancaria, che dovrebbe prevedere, nel suo terzo ed ultimo pilastro l’istituzione di uno schema europeo di tutela dei depositi, e volendo prendere il progetto di Next Generation EU (temporaneo) per il BIIC (permanente) dobbiamo riconoscere che, nonostante i numerosi e positivi passi in avanti, questo risulti ad oggi ancora sostanzialmente bloccato”, si legge nella lettera.

“Anche lo scorso anno si dava tutto per chiuso ma siamo riusciti nel nostro intento, ora è il momento di non arretrare su posizioni che non sono nostre. Ciò è ancora più vero in un momento storico in cui serve reale integrazione europea e spirito di solidarietà fra i Paesi dell’Eurozona, piuttosto che il potenziamento di istituzioni intergovernative esterne alle istituzioni comunitarie. In difetto, l’unico ulteriore passaggio che i parlamentari del MoVimento 5 Stelle avrebbero per bloccare la riforma del MES sarebbe durante il voto di ratifica nelle due Camere“.

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Mes, Bonafede: “Fronda M5s rischia di far cadere il governo? Nessun problema per la maggioranza, massima fiducia in Conte”

“C’è il pericolo che cada il governo? Basta leggere la lettera dei parlamentari del M5s per constatare che non c’è questo rischio. Gli stessi deputati e senatori che l’hanno scritta precisano che non c’è un problema di maggioranza”.Lo ha detto il ministro della Giustizia e capo delegazione del M5s al governo, Alfonso Bonafede, a Radio24, rispondendo alla domanda se ci sia il rischio che salti il governo dopo la lettera sul Mes di alcuni parlamentari del M5s. Bonafede ha anche espresso “massimo sostegno” al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. “Ricordiamo che non si vota sull’utilizzo del Mes ma sulla riforma – ha aggiunto – Nella maggioranza c’è una differenza, il M5s su questo è chiaro, non voterà mai su utilizzo Mes”.

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mercoledì 2 dicembre 2020

Regolare le lobby in Parlamento: coalizione della società civile spinge per la legge. “Se non si riesce in questa legislatura è un fallimento”

Lobby, dopo 40 anni e 76 proposte di legge qualcuno ci riprova, e chi sta sui banchi della maggioranza si spinge a dire: “Se non ce la facciamo in questa legislatura, avrà fallito”. Oggi alla Camera l’associazione TheGoodLobby ha presentato una vera e propria “coalizione della società civile” che si muova perché le tre proposte in Parlamento in materia confluiscano in un unico testo che possa vedere la luce nell’arco di pochi mesi, soprattutto alla luce dei 200 miliardi del Recovery Fund che pioveranno sull’Italia e richiedono una forma “partecipativa e trasparente” di scelta e distribuzione delle risorse. Sarà infatti “la più grossa iniezione di fondi pubblici nel sistema economico italiano dai tempo della Seconda guerra mondiale”.

Aderiscono 14 associazioni trasversali a diversi settori (ambiente, salute, cibo, diritti civili) che si sono strette attorno al progetto Lobbying4Change perché accomunate dallo stesso bisogno conoscere e incidere sulle scelte del decisore pubblico, ma vengono sistematicamente escluse dal dibattito politico perché non organizzate in lobby. “Se non ora, quando?” dice Federico Anghelé direttore di TheGoodLobby, associazione promotrice dell’iniziativa.

Presenti Silvia Fregolent che ha presentato la proposta di Italia Viva e il deputato Francesco Silvestri che ha firmato quella dei Cinque Stelle. Assente Marianna Madia che è stata estensore di una terza proposta mirata soprattutto alla pubblica amministrazione. Non si è parlato delle recenti polemiche sulle multinazionali del tabacco in casa Cinque Stelle, dei commercialisti della Lega o delle indagini sul finanziamento di Open che, tuttavia, dimostrano quanto sia urgente regolare la materia in modo da prevenire conflitti di interessi e vigilare sui finanziamento ai partiti.

Il tema aleggia nell’aria a Montecitorio ma lo sguardo al problema antico ha una diversa angolatura e prospettiva. Lo ha spiegato Ivo Tarantino di Altroconsumo, parlando di 350mila cittadini associati ma non rappresentati quando si fanno scelte sulla loro salute, sui loro bisogni. “Si è visto che nella pandemia – ha spiegato – quando noi consumatori chiedevamo di partecipare ai tavoli dove si decidevano misure di aiuto come i bonus vacanze, mobilità o banda larga. Avevamo chiesto di essere coinvolti per garantire il maggior accesso possibile, ci siamo ritrovati con il problema del clic day. Ma un altro esempio è la mancata convocazione agli Stati Generali di intere categorie di cittadini”.

È la Fregolent a dare una dimensione storica al problema, che vede le lobby ingigantirsi e procedere come falangi da che i “corpi intermedi sono spariti, i sindacati si sono moltiplicati, il finanziamento ai partiti è diventato solo privato. Basta vedere questa sessione di bilancio. Tutti noi riceviamo sollecitazioni da ogni fronte”. E non è detto che trovino ascolto quelle che riflettono realmente un interesse generale.

Perché questo è il senso della legge che si vuole. Da una parte cancellare con la trasparenza lo spettro corruttivo e l’interferenza illegittima, dall’altra garantire l’accesso delle informazioni a tutti i soggetti “fino all’ultimo cittadino o ente” ha scandito il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, che pur non essendo in Parlamento si è riproposto di vigilare affinché la legge vada in porto. Lui stesso ha messo online l’agenda degli incontri con anche il resoconto “ma questo non può essere rimesso alla volontà del singolo che domani può cambiare, deve essere previsto per legge”.

Come arrivare da tre proposte a una? “Non inseguiamo la chimera della legge perfetta, non arrovelliamoci sui dettagli marginali. Facciamo un testo buono, lasciamo impattare e poi miglioriamo le cose che non andranno. Ma facciamolo subito“, ha incalzato Silvestri ipotizzando un passaggio alla Camera già entro gennaio-febbraio ma auspicando al Senato un passaggio che non impieghi i due anni possibili ma pochi mesi. “In questo momento c’è la congiuntura astrale perfetta. Ci sono tre proposte della maggioranza e il Covid non è una scusa perché semmai ne ha dimostrato una volta di più l’urgenza, ne è il motore”, ha rimarcato Silvestri sottolineando che “se in questa legislatura non ce la facciamo, la maggioranza avrà fallito”.

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martedì 1 dicembre 2020

Lombardia, sull’odontoiatria torna lo spettro di Lady Sorriso. Cortocircuito in maggioranza: interpellanza a Gallera dai consiglieri leghisti

Migliaia di pazienti senza cure odontoiatriche (prenotate, pagate, ma mai ricevute). Interi reparti ospedalieri sbarrati dal 27 ottobre. Oltre 250 lavoratori disperati perché senza stipendio da settembre. Un piano che potrebbe far ripartire tutto, bocciato dal Pirellone. Misteriose telefonate a consiglieri regionali da associazioni che “caldeggiano” soluzioni. Esposti contro Regione Lombardia e interpellanze in consiglio regionale che dividono la maggioranza di Attilio Fontana. Su tutto, il fantasma di Maria Paola Canegrati, Lady Sorriso, la donna che prima della condanna in primo grado a 12 anni, aveva edificato sulle tangenti l’impero dei centri odontoiatrici privati negli ospedali pubblici.

«A me nessuno si è degnato di rispondere, magari risponderanno ai loro colleghi di maggioranza». Il consigliere lombardo del Movimento 5 stelle, Marco Fumagalli, commenta così la presentazione di un’interpellanza della Lega sul fallimento della Odos Service Srl. È il secondo tempo della vicenda Odos, società che gestiva tra gli altri il Centro Odontostomatologico dell’ospedale Niguarda di Milano, ultimo ramo dell’impero Canegrati, titolare di appalti milionari. Il 27 ottobre Odos è fallita e oggi ogni attività di cura è stata sospesa.

Da allora, la curatrice fallimentare Elisabetta Brugnoni ha lavorato su un piano che assicurasse ai pazienti le visite e ai lavoratori lo stipendio. E c’era anche riuscita a trovare una società “sicura e solida”, la Gherò di Bolzano, pronta ad affittare il ramo d’azienda della decotta Odos. «Appena insediata ho contattato le aziende che mi consentissero di riaprire i presidi, pagare gli stipendi, accedere alla Cig per chi non lavorava. E una l’ho trovata». Per la curatrice Brugnoni è la quadratura del cerchio. Eppure tutto s’inceppa, tanto da sollecitare prima l’interpellanza di Fumagalli dei cinquestelle e oggi quella del consigliere della Lega, Alessandro Corbetta. Quali sono «le cause ostative che ancora impediscono la ratifica della proposta?», scrive Corbetta nell’interpellanza, rivolgendosi direttamente all’assessore alla Sanità di Fontana, Giulio Gallera.

Le cause ostative le spiega la curatrice. Per procedere con la soluzione individuata, Brugnoni aveva infatti bisogno dell’ok da parte delle aziende ospedaliere della Regione. «Ho scritto loro, certa che ci sarebbe stato un proforma, e invece…». Invece no. A bloccare il piano Brugnoni è proprio il Pirellone, che «ha sollevato una serie di problematiche incomprensibili e nonostante l’urgenza sul piano sociale non si è mai degnato di dare una risposta», si sfoga la curatrice. «Non c’è la volontà politica di agire. Ma io li porto in tribunale e intendo far partire contro la Regione un’azione di danno». E mentre il Pirellone perdeva tempo, ogni ospedale, Niguarda in testa, ha avviato singoli bandi per appaltare il servizio. Una procedura lunghissima, paradossalmente motivata dalla necessità di “tranquillizzare i pazienti”. Intanto i centri restano serrati. Marco Trivelli, da giungo nuovo dg della sanità lombarda, aveva spiegato al Fatto che c’erano «delle perplessità sull’iter proposto dal curatore. Di carattere giuridico e sostanziale», aggiungendo che «le aziende vorrebbero di massima fare una gara nuova subito, trovando modalità di gestione provvisoria nel frattempo».

A candidarsi alla gestione del solo polo di Niguarda – il più ricco, la manifestazione di interesse appena pubblicata vale 5 milioni di euro per 12 mesi – erano stati anche alcuni ex dipendenti Odos, giudati dal dottor Vincenzo Nicotra, già responsabile dell’ambulatorio. Lo stesso medico scelto da Lady Sorriso, che fu anche accusato di incompetenza professionale dall’ex primario dell’ospedale. Ma, soprattutto, un nome noto alla curatrice, essendo stata lei consulente del pm nel processo Canegrati. Per Brugnoni Nicotra non era un’opzione. Così il medico ha scritto a tutte le direzioni sanitarie, adombrando una “mala gestio” della curatrice. La quale ha reagito con un esposto alla magistratura («e spero che indagheranno», dice).

Ma non è finita qui. L’ultimo capitolo lo racconta direttamente il consigliere regionale M5s Fumagalli, che ha presentato la sua interpellanza su Odos già il 28 ottobre all’indomani del fallimento: «Dopo che ho depositato l’interpellanza, ho ricevuto una telefonata da una strana persona, mai vista né sentita prima, che faceva pressioni a favore della soluzione “proposta da Nicotra”. E francamente, se da una parte c’è Nicotra, e dall’altra un piano approvato dal tribunale, la mia scelta è chiara». All’altro capo del telefono, Marghereta Florea (nella foto con Gallera), berlusconiana di lungo corso, titolare dell’azienda Sano Life Medical e presidente dell’associazione “Il bello che avanza siamo noi”. Tra i soci-fondatori, numerosi nomi apicali di Niguarda, compreso quello dello stesso Trivelli. Tutto materiale finito in un altro esposto presentato da Fumagalli.

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