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domenica 28 febbraio 2021

Il ritorno di Giuseppe Conte: perché Grillo gli ha affidato il progetto di rifondare il M5s

Li aveva lasciati con un discorso notturno in diretta Zoom per convincerli alla responsabilità e all’appoggio del governo Draghi, si ripresenta nel momento più difficile, quando espulsioni e guerre interne rischiano di frantumare tutto. Il Sì di Giuseppe Conte a Beppe Grillo è il primo atto di un cambiamento radicale dentro i 5 stelle. Intanto perché quello dell’ex premier è un ritorno sulla scena politica, un mese dopo la crisi provocata da Matteo Renzi con l’obiettivo di farlo sparire (Conte, l’alleanza M5s-Pd e il governo) e neanche tre giorni dopo che il professore ha pronunciato il suo discorso per una nuova Europa dalla cattedra dell’università di Firenze. Ma è soprattutto è un “arrivo” per il M5s, l’adesione al progetto nel momento in cui la sua popolarità tocca uno dei picchi più alti. C’è un dettaglio non da poco da considerare: l’avvocato non è mai stato iscritto al M5s (non lo è tuttora) e fino a quando è stato a Palazzo Chigi ha evitato il più possibile di essere trascinato nelle dinamiche del gruppo. Non era il momento e non sarebbe stato opportuno di fronte agli alleati. Ma ora la scena è completamente diversa: l’ingresso del M5s nell’esecutivo con Forza Italia ha creato uno spartiacque nella storia del Movimento. C’è una parte consistente, in molti casi parliamo di fondatori dei 5 stelle (non solo Alessandro Di Battista o Nicola Morra, ma anche interi gruppi di attivisti storici), che ha abbandonato il progetto parlando di tradimento. Grillo, mai come in questa fase unico regista, sa che la ferita è dolorosa e senza precedenti, ma è anche convinto della linea scelta in nome della “transizione ecologica”. E ora vuole mettere in atto la seconda fase del processo: rifondare completamente un Movimento che sembra sempre più stanco e sul punto di implodere. Possibile o è solo un sogno? E’ presto per dirlo, certo è che per avere una chance deve per forza ricorrere alla sua carta più forte: la leadership di Giuseppe Conte. Strappato il Sì, l’imperativo è fare in fretta: più il tempo passa, più i dissidi si sedimentano e più l’ascendente dell’ex premier rischia di calare.

Perché Grillo ha bisogno di Conte – C’è stato un bivio che ha segnato la storia dell’ex presidente del Consiglio. Poco dopo le dimissioni, fallito il progetto della ricerca dei responsabili in Parlamento, si è presentato davanti a Palazzo Chigi. E in quel discorso, quello che ora ricordiamo tutti per l’immagine del banchetto in mezzo alla strada con sopra i microfoni, ha fatto una scelta: non ha polemizzato con il pugnalatore Matteo Renzi e non ha cavalcato le richieste di ritorno alle urne. Anzi, pochi giorni dopo, si è presentato su Zoom, assemblea dei parlamentari M5s, e ha chiesto di “non voltare le spalle al Paese”. Un’uscita di scena che lo ha consacrato agli occhi degli italiani come la vittima di una manovra di palazzo e che ha contribuito a farne accrescere ancora di più i consensi. Da lì sono seguiti: il video degli applausi dei dipendenti di Chigi e il post di addio con oltre un milione di like. Una popolarità che ora, il Movimento 5 stelle, non può permettersi di sprecare. Perché se c’è qualcuno che può risollevare le sorti del progetto politico di Beppe Grillo, al momento è solo l’ex premier. Lo sa bene il fondatore che assiste alle espulsioni e fuoriuscite dei suoi, con la nascita di sempre nuove correnti interne, e a fatica riesce a tenere in piedi la sua creatura. Grillo si era fatto di lato da tempo dalla scena politica, ma non ha mai interrotto i rapporti con Conte. Senza dimenticare che c’è stato un momento che ha legato l’ex premier indissolubilmente al fondatore del Movimento: quando, in piena crisi del Conte 1 e mentre Di Maio era già pronto a chiedere la testa del premier, Grillo lo ha blindato pubblicamente con un post che si è rivelato decisivo. Il resto è la storia del governo giallorosso.

Gli effetti del rientro di Conte sul governo e sugli espulsi. E sul progetto da federatore – Di sicuro il ritorno politico di Conte avrà un contraccolpo. Perché per il Movimento si apre una nuova prospettiva e, soprattutto, un orizzonte di crescita che fino a questo momento sembrava impensabile. Anche in questo senso va letto il riferimento, nella nota arrivata da fonti vicine a Conte, a quella che viene definita una necessaria apertura sempre “maggiore alla società civile“. La figura dell’ex premier, per ora, gode di una forza attrattiva e quella forza può essere funzionale per il M5s. Ma in che campo? Al momento sono tante le domande e poche le risposte. I pilastri elencati in queste ore sono quelli delle origini del Movimento: sicuramente la transizione ecologica voluta da Grillo, poi legalità (e lotta alla corruzione) e battaglie contro casta e diseguaglianze. Ma nessuno ha dimenticato l’intervista di Luigi Di Maio a Repubblica di pochi giorni fa quando ha definito il Movimento una “forza liberale e democratica”, quindi nel riposizionamento tanto può succedere.

La forza d’attrazione di Conte vale per nuovi elementi, ma anche per chi ha deciso di lasciare il Movimento. E’ sicuramente un processo molto complicato. Fare la strada a ritroso, non è così facile per chi come Di Battista o Morra, ma anche Barbara Lezzi e Alessio Villarosa, ha parlato di tradimento. Però resta un tema centrale: si tratta di parlamentari che hanno fatto la storia del Movimento 5 stelle, figure di riferimento senza le quali il M5s non sarebbe dove si trova ora, e in una fase di rifondazione potrebbero essere molto utili. Se però questo è il capitolo più complesso, resta il fatto che la presenza di Conte avrà sicuramente un effetto sulla tenuta dei gruppi parlamentari. E gruppi parlamentari più compatti, soprattutto perché vedono un’idea di progetto futuro, significa anche più peso negli equilibri del governo Draghi. Le 36 espulsioni alla vigilia delle nomine dei sottosegretari non hanno aiutato nessuno e mai come in quella fase è stato chiaro che serve la voce forte di un leader per contare al tavolo dell’esecutivo.

L’ultima domanda, che al momento non può avere risposta, riguarda il futuro del progetto da federatore della coalizione Pd-M5s-Leu. Quella che sembrava la soluzione più invocata dagli ex alleati, al momento si è molto raffreddata. E Conte, questo è stato il ragionamento delle ultime ore, rischia di bruciare il momento di popolarità dietro un progetto federatore che potrebbe anche non vedere mai la luce. Certo resta un punto saldo: nel suo discorso all’università di Firenze venerdì scorso, l’ex premier ha parlato del suo manifesto europeista e ha posto obiettivi molto ambiziosi alla politica. O meglio a se stesso. Obiettivi che vanno sicuramente oltre la guida del M5s.

Che fine farà il comitato a 5 – Per il Movimento poi, resta un nodo da sciogliere. Che molto probabilmente si risolverà con un passaggio lampo sulla piattaforma Rousseau, ma che lascerà traccia nella storia della partecipazione interna. Neanche due settimane fa, si è votato online per cambiare lo statuto: quel cambiamento ha eliminato la figura del capo politico e approvato la nascita di un comitato di 5 membri in carica per tre anni. Ecco a quel cambiamento non si è arrivati con facilità: c’è voluto più di un anno di discussioni interne, tra assemblee e incontri, e soprattutto una lunga reggenza in mano a Vito Crimi. Ora di quel comitato si dovrà decidere cosa farne: potrebbe restare come segreteria politica affiancata a Conte, ad esempio. Ma l’ex premier, lo ha già detto, sulla composizione vorrà avere voce in capitolo. Certo far saltare o indebolire il comitato, non è solo una questione di dibattito interno o un semplice tecnicismo. Per il Movimento che non voleva essere un partito, la discussione sulla struttura è molto delicata e rischia aprire altri scontri (il deputato Luigi Gallo su ilfattoquotidiano.it si è scagliato contro il ritorno dell’uomo solo al comando).

Ecco, proprio nei rapporti con l’eventuale segreteria politica o comunque con lo stato maggiore del Movimento, dovrà ora cimentarsi l’ex premier. Lo farà per la prima volta non da presidente del Consiglio che tiene in piedi un governo, ma da esponente politico che deve fare i conti con correnti e dinamiche che si trascinano ormai da anni. Nel suo ultimo intervento a Italia 5 stelle a Napoli, la kermesse M5s del 2019, dal palco pronunciò una frase che riguardava il governo giallorosso, ma che si sposa bene anche per la nuova fase: “La credibilità di questo governo dipende dal nostro impegno, ma anche dal vostro sostegno“. Insomma Conte ha ben chiaro che non si può entrare nel M5s senza considerare quella base che c’era prima di tutto e di tutti. E anche questo dovrà valutare nel progetto di rifondazione del Movimento.

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Roma, Grillo all’Hotel Forum per il vertice con il Movimento 5 stelle: il fondatore esce con un finto casco in testa

Si è concluso dopo oltre tre ore il vertice tra Beppe Grillo e lo stato maggiore del Movimento cinque stelle chiamato a decidere l’assetto futuro del M5s. I primi ad andare via sono stati l’ex premier Giuseppe Conte e lo stesso Grillo (uscito dall’hotel con un finto casco da astronauta sulla testa). A seguire hanno lasciato l’Hotel Forum la maggior parte dei partecipanti al summit: Roberto Fico, Vito Crimi, Stefano Patuanelli e Paola Taverna. Nessuno ha rilasciato dichiarazioni. Presenti anche il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, Alfonso Bonafede, Riccardo Fraccaro ed Ettore Licheri, gli ultimi ad andare via dall’incontro

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sabato 27 febbraio 2021

Governo Draghi, Gasparri: “Forza Italia è alleata col M5s? Io no. Non ho mai parlato con un grillino e mai lo farò”

Forza Italia è alleata col M5s nel governo Draghi? Io no. Non ho mai rivolto e mai rivolgerò la parola a un grillino. Li ignoro e continuerò a ignorarli. Sono contento che stanno sparendo un po’ alla volta. La loro incapacità e il loro fallimento li sta facendo piano piano scomparire”. Così, ai microfoni di Radio Crc, il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri si pronuncia sui 5 Stelle, aggiungendo una ulteriore ‘profezia’: “Sono andati via Toninelli e la Lezzi, poi Conte, Casalino, Bonafede, la Azzolina, Spadafora, Fraccaro. Sono rimasti in circolazione alcuni sottosegretari minori, Di Maio, la Raggi e la Appendino. Spariranno democraticamente anche loro. Vivo questa fase come un ulteriore regresso ulteriore e positivo di un Movimento nefasto composto da personaggi irrilevanti”

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venerdì 26 febbraio 2021

Bersani a La7: “Bisogna fare subito un campo progressista con M5s e Pd altrimenti possiamo pure riposarci, così arriva la destra”

Io coi 5 Stelle, anche con quelli che sono andati via, farei un campo progressista. Dobbiamo avere la generosità e l’apertura mentale per capire che bisogna fare questa operazione, che non è di vertice. Deve essere una chiamata larga e una discussione aperta su un progetto radicalmente nuovo”. Sono le parole del deputato di LeU, Pier Luigi Bersani, intervistato a “L’aria che tira”, su La7.
Alla domanda della giornalista Myrta Merlino sulla possibilità che il federatore di questo campo progressista sia l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, Bersani risponde affermativamente e aggiunge: “Conte deve anche cercare di dare una mano al M5s e aiutarlo verso una fase definitiva e compiuta di maturazione sul piano dell’identità e della organizzazione, naturalmente in un’ottica aperta alla costruzione di un campo con altri. Questo, secondo me, è il contributo può dare Conte”.

Bersani torna sulle linee del programma condiviso da realizzare: “Non sarebbe così complicato declinare su un progetto nuovo temi essenziali e di valore, come il lavoro, le diseguaglianze, il green che va imparentato col tema sociale, purché i partiti maggiori, come il Pd e il M5s, non pensino di risolvere la loro crisi solo in casa propria e capiscano che bisogna lavare i panni in un’acqua larga. Io credo che rapidamente potremo fare un passo avanti. Bisogna mettersi in gioco, c’è tanta roba fuori. Non è affatto vero che il campo progressista è minoranza in questo Paese. E’ l’offerta politica a essere insufficiente”. Alla conduttrice che cita “gli Stati Generali” del campo progressista, Bersani replica: “Ma sì, lo chiameremo Ugo, dai. Chiamiamolo come vogliamo, l’importante è che si facciano. Ci vuole iniziativa. Non si può star fermi sulle gambe e guardarsi solo in casa. Attenzione. Se passa questa occasione qui, possiamo pure riposarci: arriva la destra. Io la penso così, quindi è un dovere muoversi”.

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M5s, il modello dell’uomo solo al comando ha fatto enormi danni al Movimento. Conte non accetti incarichi se non viene rivisto

E così, mentre i cittadini erano sicuri che con la presenza di Giuseppe Conte al governo non venissero perseguiti interessi personali o di parte, fossero messi a tacere i conflitti di interessi e che tutte le persone avessero le mani pulite, il Movimento 5 Stelle si trovava sotto il fuoco incrociato dei grandi poteri del Paese, che quotidianamente esercitavano attacchi scomposti anche al Presidente del Consiglio.

Che il M5s abbia dato inizio a una stagione di cambiamento è un dato di fatto. Costringere alle dimissioni i sottosegretari della Lega indagati è un fatto unico nella storia del centrodestra al governo e costruire un asse social-democratico-ecologico insieme a forze come Pd e LeU è uno dei risultati più importanti del Conte II, che Matteo Renzi e i poteri dietro di lui vorrebbero far scomparire. Ora il nostro compito, di uomini e donne nelle istituzioni, è evitare che tutto ritorni come prima.

Il più grande errore finora commesso è non aver scalfito il quarto potere durante l’esperienza di governo di questi primi 3 anni. Un potere che è riuscito a far tornare in auge i vecchi volti della politica e tutti quei poteri economici che aspettavano un’occasione per riconquistare spazio dopo la stagione dei “grillini”: ed è per questo che bisogna bloccare i loro appetiti e non fare sconti sui temi della giustizia, della corruzione, della difesa dei più deboli, dell’ambiente, dei poteri forti e dei conflitti di interessi, delle risorse al sud, dell’informazione, degli investimenti in istruzione e cultura.

Poi c’è la seconda parte della storia che racconta il fallimento dell’uomo solo al comando, che estromette tutta la comunità del M5s dalle scelte importanti ed espone tutti noi a clamorosi errori, e che, con grossa miopia, non solo è stato programmato ed inseguito negli anni ma oggi qualcuno ripropone. Il modello dell’uomo solo al comando ha prodotto enormi danni ad una forza politica come la nostra al governo del Paese che non ha figure intermedie, non ha organizzazione territoriale in contatto diretto con i cittadini, che non ha direzioni nazionali democraticamente elette. È da queste ferite che oggi abbiamo la sola possibilità di ripartire, dal lavoro di partecipazione degli Stati Generali di 8000 persone tra attivisti e portavoce e che ha disegnato la chiara volontà di restituire centralità ai territori, per recuperare quel filo diretto.

A Giuseppe Conte do il suggerimento di non raccogliere alcun incarico nel M5s senza che venga abbandonato l’infantile modello democratico che ci ha condotti fin qui. Al contrario, bisogna far crescere velocemente una rete di responsabilità e impegno sul territorio, democraticamente eletta, così che i cittadini liberi, con voglia e forza di cambiare questo paese, possano sentirsi parte di uno stesso corpo. È ora di compiere un balzo in avanti, e allo stesso tempo in alto nella selezione dei rappresentanti del M5s, con espressa volontà di voltare pagina per disegnare un nuovo inizio: un totale cambio di statuto che contenga tutti i temi posti dagli Stati Generali, con nuove facce e nuove idee per porre rimedio agli errori del vecchio sistema dirigenziale.

Siamo risorti tante volte dalle ceneri come un’Araba Fenice e lo faremo anche oggi, magari riformando il M5s con un nuovo simbolo e con un nuovo statuto che ci doti di un’organizzazione seria, da manuale, e non ci leghi mani e piedi a una piattaforma e a un’associazione privata, che pur di mantenere il proprio predominio non ha consentito al M5s di rafforzarsi e dar vita ad una sana e robusta costituzione che protegga il Paese.

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Carelli (ex M5s): “Rientrare nel Movimento moderato e liberale di Di Maio? Tutto è possibile in futuro, solo gli stupidi non cambiano idea”

Mi ha fatto molto piacere l’intervista rilasciata a Repubblica da Di Maio, che ha ricollocato il M5S tra le forze politiche moderate e liberali. Tornare indietro e rientrare nel M5s? La politica è la scienza del possibile e solo gli stupidi non cambiano idea, quindi diciamo che tutto è possibile in futuro. Ma in questo momento sto ancora pensando alla mia componente del Gruppo Misto alla Camera”. Sono le parole di Emilio Carelli, deputato eletto col M5s ma uscito poche settimana fa per creare una componente di centrodestra alla Camera.
Ospite di “24 Mattino”, su Radio25, l’ex pentastellato spiega: “Con l’intervista a Repubblica Di Maio ha riconosciuto quelle che erano le mie posizioni nel Movimento. Devo dire la verità: non mi hanno stupito le sue dichiarazioni, perché conosco le posizioni di Di Di Maio, che in questi 3 anni è molto cresciuto politicamente”.

E aggiunge: “Il mio obiettivo è quello di formare una componente del Gruppo Misto alla Camera che raccolga un po’ tutti quei deputati che sono scontenti e che non si riconoscono più nel M5s, ma anche in altri partiti. Ci sono molti colleghi che mi hanno contattato e che ho incontrato anche personalmente. Certo, il passaggio a un altro gruppo non è mai semplice e automatico, ma comporta sempre sofferenze, come è successo a me quando ho lasciato il M5s. Completato il governo Draghi, a questo punto – continua – per queste persone sarà forse più facile decidere e fare questo passaggio magari in tempi rapidi. Molti sono delusi per non aver avuto un posto come sottosegretario, ma spero che la motivazione dell’adesione alla mia componente sia più il riconoscimento di un progetto politico rispetto alla delusione di non aver avuto una poltrona. Però capisco l’amarezza di chi sperava di mettere a disposizione le proprie competenze per un posto da sottosegretario. Quante persone mi aspetto che arrivino nella mia componente? Se partissimo già da 5 o 6 persone, sarei già contento”.

Carelli smentisce che l’ex ministro Spadafora abbia dato la sua adesione alla nuova componente: “Con lui l’altro ieri, dopo molto tempo che non ci vedevamo, ho preso solo un caffè al bar della Camera, ma tutti i giornali hanno titolato diversamente”.
E conclude: “Gli ultimi eventi politici hanno fatto emergere in tutta la loro verità il fatto che il M5s era veramente formato da tante anime di cultura e sensibilità diversa. Quello che sta avvenendo ora è un po’ la metafora di questa situazione. Nel M5s ci sono quelli che si sono arroccati sui dogmi di inizio Movimento e che vogliono puntare su un Movimento più piccolo di duri e puri che non pensa a come risolvere i problemi del Paese ma che porta avanti solo istanze ideologiche. Li rispetto naturalmente però sono su posizioni molto diverse dalle nostre”.

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Il Movimento 5 Stelle si sta disintegrando rapidamente, ma forse era prevedibile

Il Movimento 5 Stelle si sta disintegrando rapidamente: tra espulsi e fuoriusciti ha perso un terzo della sua consistenza parlamentare, e nei sondaggi ben più di metà dei consensi ottenuti nel 2018. Questo esito era ampiamente prevedibile e di fatto molti osservatori lo avevano previsto, anche se l’accelerazione recente del tracollo è sorprendente.

Sia Beppe Grillo che Luigi Di Maio ormai sono moderati e liberali e i tempi dei “Vaffa Days” sembrano remoti. Qualunque analisi politica dei fatti recenti, però, sarebbe insufficiente: il Movimento era nato con difetti strutturali evidenti e il tracollo attuale non può essere ricondotto a Tizio che ha fatto questo e Caio che non ha votato la fiducia a Mario Draghi. Analisi molto approfondite di questi difetti sono state pubblicate da Nicola Biondo e Marco Canestrari (contro i quali Davide Casaleggio ha intentato un processo per diffamazione), da Jacopo Iacoboni e da altri ancora.

Gianroberto Casaleggio in una lettera inviata al Corriere della Sera nel 2012 rivelò per la prima volta il suo ruolo nel Movimento. Per riassumere: il blog di Beppe Grillo fu costruito da Casaleggio nel 2005, i due “Vaffa days” furono tenuti nel 2007 e nel 2008, il Movimento fu fondato nel 2009, Federico Pizzarotti divenne sindaco di Parma nel 2012. Già questa minima cronologia rivela un aspetto inquietante che chiunque, nel 2012, poteva già vedere: dietro il nascente Movimento c’era un “guru” che era rimasto ignoto al pubblico per sette anni.

Forse per perseguire i suoi obiettivi politici (che costituiscono la vera incognita della storia del Movimento) Gianroberto Casaleggio scelse Beppe Grillo come frontman, ne rilanciò gli spettacoli di satira politica attraverso il blog e fece rimbalzare le citazioni al blog tramite vari siti civetta di proprietà della sua ditta informatica.

Casaleggio fu così bravo a pompare il blog di Beppe Grillo da farlo finire in due anni nella lista dei dieci blog più seguiti al mondo. Perché Beppe Grillo? Anche questo era ovvio a qualunque osservatore: la satira teatrale di Beppe Grillo era adatta ad un uso politico. La trama, noiosamente ripetitiva, del messaggio di Beppe Grillo era questa: esiste un problema sentito da molti (ad esempio il costo della benzina). Il problema ha una soluzione perfetta, priva di difetti (il motore a idrogeno), che però è avversata da organizzazioni potenti (le multinazionali del petrolio), capaci di corrompere i politici. Lungi dal riconoscere le vere cause del disagio sociale, la satira di Beppe Grillo lo creava, illudendo gli spettatori di essere vittime di un complotto. Casaleggio vide il possibile uso politico di questo messaggio e ne fece propaganda: un Movimento di politici onesti che resistono alla corruzione da parte delle organizzazioni malvagie.

La propaganda di Beppe Grillo, sfruttata da Gianroberto Casaleggio, non era fatta delle solite bugie raccontate dai politici: la bugia è un racconto possibile ma falso, una promessa possibile ma non realizzata. Beppe Grillo raccontava favole, completamente impossibili e credibili soltanto ad un elettorato ingenuo; ma Casaleggio sapeva bene che, anche escludendo l’elettorato critico e tenendosi solo gli ingenui, è possibile ottenere maggioranze o almeno larghe minoranze: lo aveva già dimostrato Silvio Berlusconi, di cui Casaleggio per molti versi era emulo e successore.

Era assolutamente ovvio e ampiamente previsto che le favole di Beppe Grillo si sarebbero squagliate come neve al sole appena il Movimento fosse giunto al governo. Infatti, era implicito nelle favole il rifiuto di qualunque forma di compromesso politico: alleanze, governi tecnici, eccetera. I compromessi politici servono a risolvere problemi reali, non dipendenti dalla disonestà del leader politico di turno: appena il problema reale si fosse presentato, la propaganda di Beppe Grillo avrebbe dovuto essere platealmente smentita, come è ripetutamente avvenuto.

Ogni smentita è stata vissuta come un tradimento da elettori e parlamentari che non hanno realizzato l’imbroglio iniziale: i sostenitori del Movimento si sono ogni volta divisi tra quelli che credevano alle favole originali e ne pretendevano la realizzazione, e quelli che piano piano le abbandonavano, diventando però simili ai politici degli altri partiti, prima disprezzati, e restando comunque di molto “inferiori” a loro per competenza e capacità.

La stessa sbandierata e autocertificata onestà era una favola, perché il contrasto alla disonestà richiede di incidere sulle sue cause reali e profonde e non può essere ottenuto con una presunta diversità genetica dei ragazzi meravigliosi di Beppe Grillo. Dopo il successo elettorale delle politiche 2018 c’era stato il crollo alle europee 2019, relativamente facile da analizzare perché molti tra gli elettori delusi erano stati espliciti nelle loro critiche: ad esempio il popolo no-Vax aveva lanciato la campagna #duemilionidivotiinmeno, accusando il M5s di aver tradito la precedente propaganda teatrale no-Vax di Beppe Grillo.

Casaleggio aveva scelto Beppe Grillo come frontman per la sua notorietà precedente e questa era entrata di diritto nell’interpretazione popolare degli obiettivi del Movimento. Era servita per avere voti nel 2018 ma si era rivelata una favola e fece perdere voti nel 2019.

Il disastro politico nazionale causato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio non sarà facilmente recuperabile perché molti elettori, anziché capire di aver creduto a delle favole, le ritengono tuttora possibili e le vorrebbero realizzate: sono pronti a seguire chiunque ne prometterà la realizzazione e criticherà il M5s per non averle realizzate. Inoltre, a mio avviso, le facili misure populiste come il Reddito di cittadinanza sono più accattivanti di quelle solide, come una valida politica del lavoro che contrasti la disoccupazione e lo sfruttamento.

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Dessì lascia il M5s e aderisce a ‘L’Alternativa c’è’: “Movimento liberale e moderato? Giustifica la mia scelta di andarmene” – Video

“Di Maio ha parlato di Movimento liberale e moderato? Io faccio parte dell’ala rivoluzionaria e socialista. Questo giustifica la mia scelta di lasciare il Movimento”. Sono le parole di Emanuele Dessì, che ha lasciato il M5s per aderire al gruppo parlamentare composto da dissidenti, chiamato “L’Alternativa c’è”. “Conte? Spero torni a dare una mano. Secondo me dovrebbe federare un’area progressista e ambientalista in cui deve stare il Movimento 5 stelle insieme a tante altre forze”.

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Che cosa ha portato alla luce quel 13 febbraio

Ci voleva così tanto per capire da che parte stavano realmente queste quinte colonne che ci hanno rintronato pontificando di “democrazia normale”, di “competenza” o di “ritorno alla responsabilità”, mentre allestivano le trappole in cui far cadere i timidi tentativi di frenare l’eterno dominio degli amici degli amici; mentre scavavano la fossa in cui precipitare e seppellire l’intollerabile critica – ovviamente criminalizzata come “populistica” – del privilegio spudorato e cinico?

I Massimo Giannini e le Concita De Gregorio, così indignati per “i troppi errori” del premier alla guida del governo giallorosa. E se gli chiedi quali sono in concreto questi errori ribaditi apoditticamente, farfugliano di mancato rispetto di timing previsti per le conferenze stampa serali o altre risibile quisquilie provocatoriamente strumentali.

Si capisce perché Lilli Gruber ci propina sistematicamente la presenza buonistica del Gandhi all’amatriciana Walter Veltroni, quello che ha disarmato unilateralmente ogni forma di resistenza alla tracotanza del berlusconismo (edulcorandone l’artefice nella contorta perifrasi “leader del principale schieramento avversario”) in una sorta di francescanesimo dolciastro: offrire l’altra guancia agli sganassoni dell’avversario. Quella Destra che ne ha approfittato subito per massacrare la nostra Costituzione democratica di matrice antifascista e dilagare nel Paese. Era tanto difficile smascherare i reali intenti di penne al lavoro nelle testate reazionarie; le imbarazzate acrobazie di un Alessandro Sallusti per accreditarsi come commentatore distaccato, mentre vellica le pulsioni revansciste del proprio audience forcaiolo?

Ormai dovremmo aver capito che tutti questi personaggi non chiedono altro che la propria cooptazione, magari solo uno strapuntino, nel sistema di potere bipartisan che è venuto consolidandosi alla fine della stagione welfariana; e sorgeva l’alba dei più biechi regolamenti di conti da parte di chi “non aveva imparato niente, non aveva dimenticato niente”. Un sistema che non tollera il benché minimo uso critico della ragione, in quanto sovversivo.

Sicché sembrerebbe palese il motivo per cui, accompagnato da cori gregoriani che ne tessono le lodi celesti, il silente Mario Draghi è stato tratto dall’urna umbra in cui era conservato; in attesa del momento in cui ascendere alla carica di presidente della Repubblica. Per riportare indietro di quattro decenni le lancette della storia a favore di ben precisi interessi. Come risulta dal bestiario imbarazzante del governo dei “migliori”, arricchito dalla seconda ondata di sottosegretari misurati sul metro Cencelli. Come si evince dai consigliori che accompagnano il mellifluo banchiere, in perenne grisaglia scura, da cerimonia nunziale.

In primis il Brambilla che ha sciacquato i panni nel Potomac. L’iperliberista Franco Giavazzi, propugnatore della messa in salamoia dell’intervento pubblico in economia per favorire il più sfrenato privatismo. Quell’interesse privato, fisiologicamente orientato alla speculazione, oggi in stato di totale fibrillazione per l’arrivo di una montagna di euro da Bruxelles.

Infine, nel breve periodo in cui durerà l’effetto demistificazione (attraverso la finestra aperta il 13 febbraio scorso sui reali intenti del golpe bianco), potremmo liberarci finalmente dell’equivoco Beppe Grillo; il pifferaio che ha giocato a fare il capopopolo virando l’indignazione a gag e allestendo un carro di Tespi chiamato Movimento. Mentre nessuno pareva accorgersi della sua intrinseca natura di borghese piccolo, piccolo; affascinato dalla frequentazione dei potenti. Magari le telefonate con Draghi. L’estasi da parvenu che gli ha fatto scambiare Roberto Cingolani per lo zar dell’ambiente. Il tipo che pretendeva di “tirare il pacco” chiamato ministero della Transizione ecologica riempiendolo di renziani e confindustriali.

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Di Maio: “Cosa non farei se potessi tornare indietro? L’annuncio dal balcone, un uomo delle istituzioni non si comporta così” – Video

Cosa cambierei se potessi tornare indietro? L’annuncio dal balcone dopo aver ottenuto il reddito di cittadinanza. È vero, era una battaglia a cui tenevamo moltissimo, ma un uomo delle istituzioni non si comporta così”. Sono le parole del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, intervistato da Andrea Scanzi. “Che cosa resterà di me se dovessi smettere di fare politica domani? Ci sono tre milioni di persone che stanno mangiando, in questo momento, grazie al reddito di cittadinanza. Quella è una cosa che ti rende grato per il lavoro che hai fatto”.

L’intervista integrale a Luigi Di Maio (qui).

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giovedì 25 febbraio 2021

M5s, Di Maio: “Non siamo più quelli dell’inizio. Governo Draghi? Giusto starci per difendere i nostri risultati” – Video

“Liberale? Qualcuno quando ha letto la mia intervista ha pensato che volessi spostare il Movimento verso il liberismo più sfrenato. Invece sono quello che combatte sempre le concessioni ai Benetton. E lo faccio perché i temi fondanti del M5s sono la transizione ecologica e i temi legati al sociale. Certo, siamo cambiato, non siamo più quelli dell’inizio. Ma questo è normale”. A dirlo, intervistato da Andrea Scanzi, il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, spiegando il significato delle parole (moderato e liberale, ndr) rilanciate da Repubblica. “Io penso che in questo governo si debba stare – ha aggiunto – perché dobbiamo difendere i risultati ottenuti e portare a termine il nostro programma”.

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Conte per me non dovrebbe accettare la guida del M5s

di Lorenzo Giannotti

Abbandoni, scissioni, espulsioni e molti malumori. Dopo la crisi del Conte II e la conseguente nascita del Governo Draghi, il Movimento 5 Stelle appare la forza politica più scossa e disorientata del panorama politico. Cacciati coloro i quali non volevano governare insieme a Matteo Salvini, Matteo Renzi e Silvio Berlusconi in un sol colpo, si va delineando il nuovo organigramma dei vertici dirigenziali. Dopo il voto su Rousseau in favore della leadership condivisa, viene congelato tutto e resta in capo il sempiterno reggente Vito Crimi, con la rivoltella in mano ancora fumante per le recenti estromissioni multiple perpetrate con la naturalezza del boia.

Cioè: quando c’è da graziare Salvini dai processi si fanno mille distinguo, ma quando bisogna giustiziare parlamentari con una stilla di senso del pudore ancora in corpo si seguono zelantemente tutti i regolamenti interni. Per farla breve: l’unica possibilità di sopravvivenza per i grillini è affidare la guida a Giuseppe Conte, che gli restituirebbe un alone di credibilità e farebbe dimenticare a tanti elettori le ultime clamorose giravolte.

Per chi scrive, però, l’ex Presidente del Consiglio dovrebbe gentilmente declinare l’offerta e andare avanti per la propria strada. Ricordandosi di quando il Movimento era “o Conte o morte”, salvo poi scoprire che Mario Draghi è meglio della pace eterna. In più, prendere le redini di un partito al collasso, in caduta libera da tempo, e condividere l’indirizzo politico con un garante (alla fine, quando c’è da decidere è Beppe Grillo che fa la voce grossa) le cui ultime scelte paiono prive di lucidità – pur di stare al governo, si inventa Draghi grillino e tira fuori dal cilindro fantomatici ministeri – mi pare una mossa azzardata per un personaggio politico che conserva per ora ancora un’alta popolarità, ma che è trasversale e non unicamente pentastellato.

Non so quali siano le reali prospettive di un partito di Conte: di sicuro non lo vorrebbero né il Pd né i 5Stelle, dal cui bacino elettorale l’ex premier “ruberebbe” sicuramente in maniera cospicua, così come da quello degli astensionisti. L’unico a non rischiare nulla sarebbe Matteo Renzi: in quanto, secondo un’elementare logica, per rubare qualcosa a qualcuno bisogna necessariamente che la vittima del ladrocinio possieda l’oggetto del desiderio del rapinatore.

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Di Maio: “Sarei molto felice di un passo avanti di Conte nel M5s. Ora siamo una forza moderata e liberale all’interno dell’Ue”

Beppe Grillo, Alessandro Di Battista, Virginia Raggi, ma soprattutto Giuseppe Conte e il Movimento 5 stelle. O, meglio, il futuro di Conte dentro il M5s. Un tema su cui Luigi Di Maio non ha dubbi: per il ministro degli Esteri l’ingresso ufficiale dell’ex premier all’interno del movimento sarebbe un’opportunità, la chiusura di un processo di crescita. In poche parole: una svolta. “Sarei veramente felice di un passo avanti di Conte dentro il M5S – ha detto Di Maio in un’intervista a Repubblica – Quando sono stato eletto capo politico nel 2017 avevo un obiettivo: portare i 5 stelle fuori dalle ambiguità. Sono stato il primo a dire che non dovevamo più parlare di uscita dall’euro, che bisognava smettere di fare leggi che burocratizzavano il Paese – ha spiegato – Ho detto al Financial Times che la Nato non andava abolita e che non dovevamo uscirne. Il Movimento è ora su una linea moderata, atlantista, saldamente all’interno dell’Ue. Questa evoluzione si può completare con l’ingresso di Conte – è il messaggio del ministro – L’ex premier, che ha rappresentato questi valori, metta la parola fine alle nostre ambiguità e ai nostri bizantinismi. Io rispetto tutto – ha continuato – ma l’assemblearismo estremo finisce solo per dare un’immagine di caos. Se si sta parlando di far entrare Conte, significa che a un anno da quando ne ho lasciato la guida il Movimento ha realizzato che senza una leadership forte non si va da nessuna parte”.

Comunque la si veda, Di Maio è convinto che si tratti di un processo di perfezionamento del M5s, che “è cresciuto, maturato. Questo governo rappresenta il punto di arrivo di un’evoluzione in cui i 5 stelle mantengono i propri valori, ma scelgono di essere finalmente e completamente una forza moderata, liberale, attenta alle imprese, ai diritti, e che incentra la sua missione sull’ecologia. Tutta la trattativa con il premier Draghi è stata fatta sul ministero per la Transizione. Questo per noi è un nuovo inizio”. Molti pensavano “che la nostra base non avrebbe capito, ma il 60% ha votato sì a un esecutivo che nessuno si aspettava. Penso che l’esperienza di governo abbia portato a un’evoluzione dei 5 stelle, oggi completa – aggiunge – Lo dico con profondo rammarico e con grande tristezza, ma credo che le defezioni che abbiamo vissuto in questi giorni non potessero che andare così”. Per l’ex capo politico questa Non deve considerarsi una scissione, ma è evidente che lo spazio “per i nostalgici dell’Italexit è scomparso da tempo. Puntiamo agli Stati Uniti d’Europa, a un progetto ancorato a determinati valori in cui gran parte del M5s e degli italiani si riconoscono”. Di Maio non crede “sia in pericolo il patto con Pd e Leu. Abbiamo davanti le amministrative. Mettiamo tra parentesi Roma, perché il mio e nostro sostegno a Virginia Raggi non è negoziabile. Ho proposto l’idea di un tavolo comune sei mesi fa, facciamolo”.

Tornando alla politica nazionale, Di Maio spiega di aver “lavorato affinché il Conte due potesse andare avanti, sia nella mediazione con Italia Viva, e in alcuni momenti abbiamo peccato di ingenuità, sia con gli appelli parlamentari ai cosiddetti costruttori, sui quali avevo messo in guardia: sapevo che non sarebbe stato facile, ma nessuno si è speso più di me per riuscirci. Il Conte due è nato intorno a un Pd a trazione renziana. Ho lavorato benissimo con tutti, Zingaretti, Gualtieri, Franceschini, Guerini, Bettini, e sono stati una scoperta. Nessuno però poteva illudersi che Renzi sarebbe rimasto fermo sui banchi del Senato a premere il pulsante”. C’erano possibilità di andaer avanti col Conte ter? “Se qualcuno aveva dubbi – risponde Di Maio – non dovrebbe averli ora che di Mes e prescrizione non si parla più”. Sul tema della giustizia, “sto apprezzando l’equilibrio della ministra Cartabia nel cercare di gestire una maggioranza che ha idee diverse sul tema e ho fiducia nel lavoro che farà, così come sono orgoglioso del lavoro fatto da Alfonso Bonafede. Ora stiamo seguendo la scrittura del decreto per il ministero della Transizione ecologica. Nelle prossime ore andrà in Consiglio dei ministri. Grillo è un visionario, guarda avanti di dieci anni. Una parte di noi non capisce cosa stia accadendo, ma dobbiamo completare la nostra missione, fare ancora di più sull’ecologia”. Si riferisce a Di Battista? “Con Di Battista ci continuiamo a parlare – dice – È stato un dolore vederlo lasciare di nuovo il Movimento, ma ho imparato in questi anni a dividere l’amicizia dalla politica. Con Alessandro ho un legame indissolubile, abbiamo subìto gli stessi attacchi, diviso gli stessi palchi. Doveva andare così, anche se fino alla fine ho sperato il contrario”.

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mercoledì 24 febbraio 2021

Governo Draghi, i sottosegretari scelti col Cencelli e il bilancino (più dei ministri). I berlusconiani si prendono Editoria e Giustizia. Ai Servizi va Gabrielli

Peggio dei ministri, almeno di quelli politici. E d’altra parte questa volta le scelte erano tutte in mano ai partiti. Se esistesse qualcosa di più partitocratico dell’ormai mitologico manuale Cencelli di sicuro sarebbe stato utilizzato per nominare i sottosegretari di Mario Draghi. Già quando aveva letto la lista dei suoi ministri le scelte dell’ex presidente della Bce avevano deluso chi da settimane parlava del “governo dei migliori“. Niente da dire, fino alla prova dei fatti, sugli otto tecnici piazzati nei dicasteri chiave. Musica molto diversa sulle 15 poltrone divise col bilancino tra la maggioranza a larghe intese che appoggia il governo. Stesso spartito per le lista dei 39 sottosegretari, arrivata a dieci giorni dal giuramento: 11 poltrone vanno ai 5 stelle, primo gruppo in Parlamento, 9 alla Lega, 6 per il Pd e 6 per Forza Italia, due per Italia viva. Un incarico a testa per i partiti piccoli e quindi Leu, +Europa (con Benedetto Della Vedova), Centro democratico (Bruno Tabacci) e perfino Noi con l’Italia, quella che alle politiche del 2018 doveva essere “la quarta gamba” del centrodestra e poi è sparita dai radar. Ricompare con la nomina di Andrea Costa, consigliere regionale, alla Salute. Non ha un seggio in Parlamento anche Alessandra Sartore, assessore al Bilancio in Regione Lazio che Nicola Zingaretti ha promosso al governo per sopperire alla contestatissima mancanza di donne del Pd al governo. Alla fine su sei posti per i dem, questa volta solo uno va ad un uomo.

Una lista composta col bilancino dell’orafo – Anche sul fronte delle quote genere la lista dei sottosegretari del governo Draghi è stata stilata mixando il Cencelli e il bilancino di precisione dell’orafo. Alla fine su 39 incarichi (sei da viceministro) le donne sono una leggerissima maggioranza: 20 contro 19 uomini. Tra questi ultimi rientra anche l’unico tecnico della partita: Franco Gabrielli lascia l’incarico di capo della Polizia per prendere la delega ai servizi segreti. Lo stesso cursus honorum seguito a suo tempo da Gianni De Gennaro che però tra il vertice della Polizia e l’incarico di governo guidò il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza. Gabrielli, invece, cambia veste in 24 ore e prende la delega contestata da Matteo Renzi quando a reggerla era Giuseppe Conte. Precisione finissima è stata poi utilizzata per quanto riguarda gli schierementi: per ogni delega ci sono sempre almeno due componenti, uno della ex maggioranza del governo Conte 2 e uno della vecchia opposizione. Resta da capire come faranno a lavorare insieme persone che fino a due settimane fa non se le mandavano a dire. E anche ultimamente non si sono trattenute. Bilancino e sostanziale pareggio anche per le provenienze geografiche (anche se tra i ministri c’era un’ampia maggioranza di “nordisti”): i sottosegretari provenienti dal Sud e dalle isole sono in totale 16 (6 solo dalla Puglia). In sette sono originari dalle Regioni del Centro Italia, mentre altri 16 provengono dalle Regioni settentrionali (7 sono lombardi).

Ai berlusconiani Editoria e Giustizia – Per il resto fa rumore lo scippo dei berlusconiani che riescono a mettere le mani sulla delega all’Editoria, fondamentale per i destini dell’impero di Arcore. Forza Italia avrebbe voluto piazzare lì addirittura Giorgio Mulè, berlusconianissimo ex direttore di Panorama: i 5 stelle e il Pd hanno fatto muro, provocando a un certo punto la sospensione del Consiglio dei ministri. Alla fine la quadra è stata trovata spostando Mulè alla Difesa, ma mantenendo la preziosissima delega a giornali e informazione: finisce a Giuseppe Moles, non un pretoriano ma comunque berlusconiano della prima ora. Ex assistente di Antonio Martino all’università e poi nel primo governo Berlusconi, è alla seconda legislatura in Parlamento. È al quinto giro, invece Francesco Paolo Sisto, una sorta uomo-immagine della giustizia made in Arcore: l’avvocato pugliese fu uno degli scudi umani del capo durante la legislatura delle leggi ad personam e delle nipoti di Mubarak. Negli ultimi tempi non è cambiato. Quando per esempio il leghista Armando Siri dovette dimettersi perché era indagato per corruzione, Sisto tuonò in Parlamento: “Il Paese è nelle mani della magistratura. Le Procure decidono la composizioni del governo, questo è un attacco alle istituzioni. Ce ne rendiamo conto? Sveglia, sveglia”. Dove poteva finire oggi? Ovviamente alla giustizia. Tenterà, con ogni probabilità, di bombardare in ogni modo le riforme anticorruzione e sulla prescrizione del Movimento 5 stelle.

I 5 stelle tra new entry e uscenti blindati. Ma non ci sono Fraccaro e Buffagni – Toccherà alla grillina Anna Macina provare a neutralizzare Sisto. Pure lei legale originaria della Puglia, è firmataria della legge sul conflitto di interessi (uno dei provvedimenti più importanti per il M5s), siede in commissione Affari costituzionali e nella Giunta per il regolamento. A ottobre 2019 era in corsa per diventare capogruppo, ma finì nel tritacarne dei veti incrociati (era un nome gradito a Di Maio) e decise di ritirarsi. Macina è una delle deputate alla prima legislatura su cui i 5 stelle cercano di puntare per ricomporre un gruppo massacrato da polemiche e guerre interne. È lo stesso caso di Rossella Accoto, fino a oggi capogruppo in commissione bilancio del Senato (molto attiva sul fronte Ristori) e da domani sottosegretaria al Lavoro: cercherà di preservare l’influenza 5 stelle in un dicastero in cui sono passati prima Di Maio e poi Nunzia Catalfo. Tra i nuovi ingressi: Barbara Floridia all’Istruzione, senatrice che già l’ex capo politico aveva scelto per il suo “team del futuro” come facilitatrice per l’area “formazione e personale”; Ilaria Fontana, deputata laziale conosciuta nel Movimento per le sue battaglie su ambiente ed economia circolare: sarà sottosegretaria del nuovo superministero alla Transizione ecologica. Primo incarico al governo, ma seconda legislatura, per Dalila Nesci: calabrese, neo sottosegretaria al Sud. E’ considerata vicina a Roberto Fico, ma soprattutto è la principale esponente della corrente Parole guerriere (come Gallo e Brescia) e tra le prime a spingere per il sostegno al governo Draghi. Confermata dal precedente esecutivo la presenza di Giancarlo Cancelleri ai Trasporti (il siciliano era viceministro, ora sarà sottosegretario), Giampaolo Sileri alla Salute e Alessandra Todde allo Sviluppo Economico. Sono al terzo incarico (facevano parte anche del Conte 1) Laura Castelli all’Economia, Carlo Sibilia agli Interni e Manlio Di Stefano agli Esteri. In particolare su Castelli, Di Stefano e Cancelleri sarebbe arrivata la blindatura di Di Maio, ma in generale i registi delle trattative sono stati il capo politico reggente e i due capigruppo (tutti e tre per scelta esclusi dalle nomine). Fuori dal governo, invece, resta Riccardo Fraccaro, sottosegretario alla presidente con Conte, considerato molto vicino all’ex premier. E pure Stefano Buffagni: rumors raccontano che sull’ex sottosegretario lombardo sia calato il veto di Vito Crimi, ma anche la Lega rivendica la sua esclusione come un successo del Carroccio.

Il ritorno dei leghisti e dei renziani – Dopo l’esperienza gialloverde il partito di Matteo Salvini riporta al governo Claudio Durigon al Lavoro, Vannia Gava alla Transizione ecologica e Lucia Borgonzoni ai Beni culturali: nel 2018, quando venne nominata per la prima volta, disse di non leggere un libro da tre anni. Chissà se nel frattempo ha migliorato la sua media. L’anno scorso fu protagonista della campagna elettorale per le Regionali in Emilia-Romagna: dopo aver giurato che anche in caso di sconfitta sarebbe rimasta in Regione, perse le elezioni contro Stefano Bonaccini ritornò in Senato. Ma non è il tasto più dolente: è ancora consigliera comunale a Bologna e nel 2020 ha disertato tutte le sedute (anche se erano da remoto). Rientra all’ultimo agli Interni Nicola Molteni, co -firmatario dei decreti Sicurezza di Salvini, sul quale era stato posto un veto del Pd: senza successo a quanto pare. Inascoltata pare sia stata la richiesta di Stefano Patuanelli che non voleva come sottosegretario all’Agricoltura Gian Marco Centinaio. Tra i leghisti sarà il primo giuramento invece per Alessandro Morelli, ex presidente della commissione Trasporti, ex direttore di Radio Padania e attuale numero uno del giornale online Il Populista: è considerato molto vicino all’uomo del Carroccio a Mosca, Gianluca Savoini. Esordio al governo pure per Stefania Pucciarelli, piazzata alla Difesa: una volta mentre viaggiava in treno ci tenne a sottolineare di essere “l’unica italiana in un vagone pieno di stranieri, tutti di colore. Tutti sprovvisti di biglietto”. Aneddoto simile per Rossano Sasso, all’Istruzione: anni fa organizzò un flash mob per una violenza sessuale in spiaggia chiamando “bastardo irregolare” il presunto violentatore, che però si è poi rivelato innocente. Squadra completamente confermata, invece, per Italia viva: dopo la ministra Elena Bonetti, tornano al governo Teresa Bellanova e Ivan Scalfarotto, che questa volta si occuperanno – rispettivamente da viceministra e sottosegretario – di Trasporti e Interni. Sono praticamente le stesse persone che facevano parte del governo Conte e che lo fecero cadere dimettendosi. Per settimane Matteo Renzi si è vantato urbi et orbi che per lui “non era una questione di posti”, che il suo partito era l’unico ad aver “fatto dimettere i propri ministri”. Quaranta giorni dopo le dimissioni sono di nuovo lì.

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Andrea Biancoli, morto di Covid a 48 anni consigliere M5s del Bolognese. Il sindaco: “Un uomo sempre al servizio della città”

Andrea Biancoli, consigliere comunale M5s a Calderara di Reno a Bologna, è morto per Covid-19 a soli 48 anni. Lascia la moglie e due figli. “Tutto il Movimento 5 stelle dell’Emilia-Romagna esprime profondo dolore. Si tratta di una perdita dolorosa sia dal punto di vista umano che politico per le tante battaglie che Andrea ha portato avanti con grande e infinita attenzione in Comune”, così dicono Silvia Piccinini e Leo Veronesi, rispettivamente capogruppo regionale M5s e consigliere comunale a Calderara di Reno. “In questo momento di grande tristezza vogliamo stringerci attorno ai suoi familiari, a quanti gli volevano bene e che con lui hanno condiviso un pezzo di vita. Andrea ci mancherà tantissimo”.

A esprimere il suo cordoglio per la morte di Biancoli, che domani 25 febbraio verrà ricordato in consiglio comunale, è stato anche il sindaco Pd di Calderara, Giampiero Falzone: “Anche oggi è un triste giorno per tutti noi, questo periodo buio, questo maledetto virus, ci stanno veramente mettendo alla prova”. Falzone su Facebook racconta di averlo sentito durante la malattia “gli avevo detto che sarebbe passato tutto in pochi giorni, ma anche questa volta non è stato così”, scrive. “Perdiamo un cittadino attivo nella politica e sensibile al mondo della scuola, cui tanto ha dato. Un membro del nostro consiglio comunale, un uomo che ha sempre caratterizzato la sua azione politica con garbo ed eleganza, sempre al servizio della città, esattamente con la stessa determinazione e passione con cui ha portato sempre avanti con coerenza le proprie idee”. A nome dell’amministrazione e del consiglio comunale di Calderara, il primo cittadino esprime profondo cordoglio “alla famiglia di Andrea, ai suoi cari e tutto il gruppo consiliare del Movimento 5 stelle Calderara Di Reno“.

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M5s, Bonafede: “Il futuro del Movimento si intreccia con quello di Giuseppe Conte”

“Conte? Non aveva bisogno di sponsor. Secondo me il futuro del Movimento, che deve rifondarsi, è un futuro che deve intrecciarsi con il futuro di Conte. Dobbiamo guardare avanti e nel futuro deve esserci Conte“. Sono le parole dell’ex ministro alla Giustizia, Alfonso Bonafede, in merito al ruolo di Giuseppe Conte. “È un momento da cui dobbiamo uscire rinnovandoci. In questo frangente abbiamo due temi: legalità e transizione green”.

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martedì 23 febbraio 2021

Elezioni Roma, Raggi: “Ringrazio Beppe Grillo per il sostegno, ma il voto su Rousseau per il candidato sindaco del M5s va fatto”

“Le parole di Beppe Grillo sono un attestato di stima e lo ringrazio. Credo che, però, una votazione su Rousseau vada fatta. Io la chiedevo fin da febbraio 2020, poi per la gestione della pandemia e degli stati generali, questo voto non è mai stato fatto”. Così la sindaca di Roma, Virginia Raggi, a margine dell’inaugurazione della Fondazione SS Lazio tenutasi presso piazza della Libertà. “Ad agosto ho sciolto le riserve e ho dichiarato la mia intenzione di ricandidarmi, ma c’è bisogno di un percorso di trasparenza per correttezza nei confronti di tutti“.

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Gori: “Conte federatore alleanza Pd-M5s-LeU? Sarebbe segno di debolezza. È la posizione di Draghi che dobbiamo sposare” – Video

Giuseppe Conte federatore dell’alleanza Pd-M5s-LeU? Mi sembra una manifestazione di debolezza. Conte va ringraziato per il suo servizio ma bisogna ricordare la sua storia politica, che l’ha visto passare dall’alleanza con la Lega quando si definiva orgogliosamente populista e sovranista e brandiva il cartello dei decreti sicurezza fatti insieme a Salvini, a una alleanza di diverso segno”. Così, ai microfoni di “24 Mattino”, su Radio24, il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, esprime la sua contrarietà a una futura alleanza elettorale con LeU e M5s e a Giuseppe Conte nel ruolo di leader della coalizione.
E aggiunge: “Credo che Conte sia correttamente identificabile come esponente dei 5 Stelle, che oggi sono il primo partito in Parlamento in virtù delle elezioni del 2018, ma non lo saranno di sicuro nel 2023, avendo perso 2 voti su 3. Quindi, attribuire fin da ora a Conte, esponente del M5s, un ruolo dem francamente mi sembra un segno di subalternità. I leader nel Pd li scelgono gli elettori con le primarie e il Pd dovrà essere il primo partito di qualsiasi alleanza si componga”.

Gori spiega dettagliatamente il suo dissenso nei confronti di un’alleanza tra i tre partiti: “Un partito si deve definire a partire da se stesso, dalla sua identità, dai suoi valori e dagli interessi che vuole rappresentare. E solo dopo, eventualmente, deve occuparsi delle alleanze. Qua invece mi sembra che il processo si sia invertito. Un’alleanza con M5s e Pd potrebbe anche definirci, ma ci metterebbe in un angolo. L’idea che questa alleanza, da sola, possa essere vincente è ben lontana da qualsiasi previsione o sondaggio. E invece io credo che il Pd debba puntare a rappresentare al maggioranza degli italiani. Per farlo deve partire da se stesso – continua – In più, questa alleanza è una semplice somma di partiti e nasce come una alleanza contro i sovranisti. Quella del 2019 è stata una collaborazione tattica che è servita, ma trarre da questa una prospettiva politica, peraltro con quello che resta dei mutevoli 5 Stelle, non rappresenterebbe il cuore dell’identità riformista del Pd. Penso alla diversità tra noi e il M5s rispetto a temi come la giustizia o al ruolo dello Stato. E, inoltre, questa alleanza non sarebbe un cartello elettorale vincente contro il centrodestra“.

E chiosa: “Noi abbiamo un’occasione col governo Draghi, che è un governo riformista. Io ho letto due volte la relazione del rpesidente Draghi: la sua è una posizione democratica e riformista, che il Pd deve sposare e fare sua. Mi riferisco a quell’agenda che parla di europeismo, di scuola, di giovani, di lotta alla povertà, di crescita attraverso la transizione ecologica e digitale, di tutela del lavoro precario, di modernizzazione dello Stato. Questa è anche l’agenda del Pd e noi dobbiamo sostenerla con molta convinzione, non preoccuparci dell’asse con il M5s e LeU. Dobbiamo intestarcela per provare a costruire da qui al 2023 una offerta politica coerente con questa agenda”.

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lunedì 22 febbraio 2021

M5s, Fico: “Alleanza con il Pd deve proseguire, è stata una buona esperienza. Futuro del Movimento? Sono molto tranquillo”

“Io credo che al di là dei nomi Napoli abbia bisogno di un grande progetto. È una città che merita ed ha bisogno di un grande progetto di respiro nazionale. Non mi fossilizzerei sui nomi perché serve una visione della città. Penso ci siano già state delle buone esperienze di alleanze, sia sul piano nazionale che su quello locale e credo che si debba continuare. Dobbiamo ripartire dalle tante cose fatte fino ad oggi, il futuro del movimento va costruito”. Così Roberto Fico a margine della sua visita alla “Casa di Matteo” una struttura napoletana che accoglie bambini nati con gravi disabilità.

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M5s, la seduta alla Camera si apre con la lista degli espulsi: “Passeranno automaticamente al gruppo Misto”

La seduta dell’Aula della Camera si apre con la comunicazione formale, da parte del vicepresidente di turno Fabio Rampelli, dell’espulsione dal gruppo del Movimento 5 stelle dei 21 deputati che non hanno votato a favore della fiducia al governo Draghi e che sono dunque passati automaticamente al gruppo misto. Il tutto mentre nel M5s c’è chi chiede, come il senatore Nicola Morra, che la ratifica dell’espulsione passi attraverso un voto online su Rousseau.

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M5s, Di Maio: “Conte? È un arrivederci, spero che il Movimento lo possa accogliere a braccia aperte il prima possibile” – Video

“Quello di Conte è un arrivederci. Spero che il Movimento lo possa accogliere a braccia aperte il prima possibile. È una risorsa, incarna i nostri valori”. Sono le parole di Luigi Di Maio, che al termine di un videomessaggio ha ringraziato Giuseppe Conte per il lavoro svolto nell’ultimo anno e mezzo.

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domenica 21 febbraio 2021

M5s, le nuove espulsioni devono passare da un voto online della base? Ecco cosa prevedono lo Statuto e i regolamenti del Movimento

“Ratificare l’espulsione dal Movimento 5 stelle con un voto online degli iscritti”. Il primo a chiederlo è stato il presidente della Commissione antimafia Nicola Morra, tra i parlamentari M5s che non hanno votato la fiducia al governo Draghi e che per questo sono stati cacciati dai rispettivi gruppi in Parlamento. L’idea piace anche a Raffaella Andreola, una dei membri del collegio dei probiviri. Ieri i suoi colleghi hanno fatto partire l’iter disciplinare contro i dissidenti, ma lei ha votato No. Alessandro Di Battista è certo che gran parte della base sarebbe contraria, mentre Barbara Lezzi ha spiegato a In mezz’ora in più su Rai3 che ha intenzione di resistere “in tutti i luoghi e in tutte le sedi” pur di rimanere nel Movimento. “Cercherò la mediazione fino all’ultimo”, ha spiegato, “non voglio creare altri gruppi parlamentari, come altri, e voglio rispondere secondo lo Statuto a tutte le eccezioni che mi verranno poste”. Per arrivare a una votazione su Rousseau, però, ci sono diversi ostacoli formali.

Il nodo dei regolamenti e del capo politico – Il primo riguarda i regolamenti di cui si è dotato il Movimento alla Camera e al Senato. L’articolo sui procedimenti disciplinari è il numero 21, in cui si legge che ogni espulsione dal gruppo parlamentare “dovrà essere ratificata da una votazione on line sul portale del MoVimento 5 Stelle tra tutti gli iscritti, a maggioranza dei votanti”. È proprio questa la regola a cui si appellano Nicola Morra e altri dissidenti. Ci sono però due circostanze in cui non bisogna passare dagli attivisti: sono la cacciata dal gruppo di chi cambia casacca, passando ad un altro partito, e i casi eccezionali indicati “dal Capo Politico del ‘MoVimento 5 Stelle'”. È quello che è accaduto nei giorni scorsi: il reggente Vito Crimi – capo politico dei pentastellati dopo le dimissioni di Luigi Di Maio del gennaio 2020 – ha chiesto ai capigruppo di Montecitorio e Palazzo Madama di espellere i 21 deputati e 15 i senatori che hanno votato No al governo Draghi. Ma in tanti, da Morra a Barbara Lezzi, contestano la sua autorità: il 17 febbraio gli iscritti su Rousseau hanno abolito il ruolo di capo politico in favore di un comitato a 5 e la piattaforma ha annunciato che “da oggi termina la reggenza di Vito Crimi”. Un annuncio però che l’associazione, presieduta da Davide Casaleggio, non era titolata a fare. Tanto che in serata è poi arrivata la replica di Beppe Grillo che ha confermato il ruolo del capo politico fino all’elezione dei cinque membri. Carica a cui Lezzi ha ribadito di volersi candidare.

Cosa dice lo Statuto – I 36 parlamentari dissidenti, quindi, in teoria sono fuori dai gruppi. Il dossier ora però deve passare dal collegio dei probiviri, l’organo autonomo M5s formato dalla ministra Fabiana Dadone, dal consigliere regionale del Veneto Jacopo Berti e da Raffaella Andreola, per ratificare l’espulsione anche dal Movimento. E qui entrano in gioco le regole previste dallo Statuto ufficiale. All’articolo 11 si legge che gli eletti in Parlamento sono sanzionabili con “richiamo, sospensione o espulsione” se vengono accertate violazioni dei doveri, tra cui il “mancato rispetto delle decisioni assunte dall’assemblea degli iscritti con le votazioni in rete“. Proprio come in questo caso: la base ha detto Sì a larga maggioranza al governo Draghi, ma in 36 non hanno votato la fiducia. Avviato formalmente l’iter disciplinare, i dissidenti hanno 10 giorni di tempo per inviare “memorie scritte ed eventuale documentazione a sostegno delle proprie ragioni”. Entro tre mesi, poi, i probiviri possono chiedere ulteriori chiarimenti, archiviare il procedimento o disporre la sanzione. A quel punto, è possibile fare ricorso al Comitato di garanzia, “il quale si deve esprimere, con provvedimento non impugnabile, entro 10 giorni dalla ricezione del reclamo”. L’ultima parola spetta però al Garante, cioè a Beppe Grillo. È solo lui che “può indire una consultazione in Rete per sottoporre agli iscritti la proposta di annullamento o riforma” di eventuali sanzioni. In caso contrario, i dissidenti rischiano di dover dire definitivamente addio al Movimento.

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Governo, Bettini (Pd) blinda il ruolo di Conte “Una carta decisiva del fronte democratico. Chi pensa di toglierlo dal campo s’illude”

“Per l’esecutivo i primi problemi saranno sui provvedimenti concreti L’ex presidente del Consiglio ha grande popolarità, chi pensa di toglierlo dal campo si illude”. Perché anzi, Conte è “Carta decisiva del fronte democratico”. Parole di Goffredo Bettini, cofondatore del Pd e membro della direzione nazionale, che in un’intervista a La Stampa parla del futuro del governo Draghi, dell’intergruppo che lo dovrà sorreggere e del ruolo di Conte che anche per buona parte del Pd non esce di scena del tutto, ma funge da collante di quell’area che ai democratici piace definire un campo progressista. “I problemi potranno venire quando si dovrà decidere sui provvedimenti concreti. E a quel punto ognuno tesserà la sua tela: in un confronto aperto e, per quanto ci riguarda, non distruttivo. Di sicuro la politica non va in vacanza. Dopo questa fase eccezionale si confronteranno nuovamente il campo democratico-progressista e la destra italiana, mi auguro civilizzata da questa esperienza di governo di responsabilità nazionale”.

L’orizzonte di cui parla Bettini non si limita al 2023, perché il programma di riforme annunciato dall’ex capo della Bce è ambizioso e potrà richiedere più tempo. E a questo tempo che deve venire occorre quello passato, Giuseppe Conte, dunque. “Conte continua ad avere una grandissima popolarità. È caduto non per il fallimento del suo governo che ha ottenuto risultati importanti, ma per una manovra politica. Spetta a lui decidere cosa fare, ma credo che i suoi avversari si illudono se pensano di poterlo togliere dal campo. Rimane una carta decisiva del fronte democratico. Riferimento di tanti cittadini semplici, dei giovani attenti alle tematiche ambientali, di dinamici ceti moderati e produttivi”. Parole che ricordano quanto dichiarato dallo stesso Conte al Fattoquotidiano.it, insieme all’annuncio del ritorno in cattedra: “il mio futuro immediato è il rientro a Firenze da professore all’università. Ci sono tanti modi per partecipare alla vita politica: lo vedremo insieme agli amici con cui abbiamo lavorato e ai compagni di viaggio”.

Bettini non lo dice apertamente, ma Conte sarebbe una figura chiave nel cementare l’alleanza che rischia di diventare instabile per il caos dentro i Cinque Stelle. “Hanno contribuito nel governo Conte II alla salvezza dell’Italia. Per continuare ad esercitare un ruolo positivo nel governo del Paese stanno pagando con generosità prezzi molto alti. Non so quale sarà il loro approdo. So, comunque, che il sistema politico italiano sta attraversando mutazioni, ristrutturazioni e possibili ricomposizioni rapide e imprevedibili. In questo quadro anche la stucchevole discussione nel Pd “con i 5Stelle sì, con i 5Stelle no” è in molti casi una pura esigenza di posizionamento interno. Occorre leggere le dinamiche in atto e guardare al futuro; capire, per quanto riguarda il mio partito, che funzione vuole svolgere in Italia e in Europa”.

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Di Battista: “M5s aveva detto mai più con Renzi, non sono stato io a cambiare idea. Non farò scissioni o correnti” – Video

“Un mese fa sono stato contattato dal Movimento, quando si è aperta la crisi di governo. Il piano era sì a Conte e no a un esecutivo con Renzi. Non sono stato io a cambiare idea“. Così Alessandro Di Battista, in una lunga diretta su Instagram, per chiarire la sua posizione sul M5s. “Non farò né scissioni né correnti – ha aggiunto – un mese fa ho ristretto i rapporti con tutti e sono uscito senza sbattere la porta. Non è vero che ho pronto, come dice qualcuno, il simbolo dell’Italia dei valori”.

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sabato 20 febbraio 2021

M5s, Morra: “Espulsione va ratificata col voto online. Se venisse respinta continuerò a essere un iscritto”

“Questa misura per diventare l’espulsione dal movimento deve essere istruita e accolta dai probiviri ed essere ratificata con un voto on line. Se si perfeziona sono un espulso, ma se non dovesse essere continuerò a essere un iscritto e un attivista”. Lo ha detto il senatore M5s, Nicola Morra, a ‘L’ospite’ di Massimo Leoni su Sky Tg24, che ha votato contro la fiducia a Mario Draghi in dissenso rispetto al proprio gruppo parlamentare.

Video Sky Tg24

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M5s, i probiviri avviano l’iter disciplinare (con il No di Andreola). Morra: “Le espulsioni vanno ratificate con un voto online”

Giornata ad alta tensione nel Movimento 5 stelle dopo che nei giorni scorsi i deputati e i senatori che non hanno votato la fiducia al governo Draghi sono stati espulsi dai rispettivi gruppi parlamentari. Il dossier è arrivato sul tavolo del collegio dei probiviri e, fa sapere Raffaella Andreola (una dei tre membri), è stata decisa con il suo voto contrario “l’apertura dei provvedimenti disciplinari” per i dissidenti. A Montecitorio sono in 21, 15 a Palazzo Madama. Tra loro c’è il presidente della Commissione antimafia Nicola Morra. “Spero che prevalga la ragionevolezza in tutte le parti”, ha detto il senatore nel corso della trasmissione ‘L’Ospite’ di SkyTg24. “Faccio questa domanda: a chi conviene cacciarci? Forse al sistema? Se il Movimento è nato per cambiarlo, ora gli stiamo rendendo un servizio“. Morra nelle scorse ore si è detto molto “scosso” dalla decisione del capo politico reggente Vito Crimi, accusato da tanti dissidenti di non avere più alcun potere dopo che gli iscritti su Rousseau hanno dato il via libera alla nascita del nuovo direttorio a 5. La cacciata dai gruppi parlamentari, però, ha chiarito il presidente dell’Antimafia, “per diventare un’espulsione a tutti gli effetti dal Movimento, deve essere istruita e accolta dai probiviri ed essere ratificata con un voto online“. Solo se l’iter arriverà a compimento, quindi, “sarò un espulso, ma se non dovesse essere continuerò ad essere un iscritto e un attivista“.

L’organo autonomo del M5s, preposto alle pratiche disciplinari, è formato dalla ministra Fabiana Dadone, dal consigliere regionale del Veneto Jacopo Berti e da Raffaella Andreola. Proprio lei ieri aveva ventilato l’ipotesi di sospendere le espulsioni “in attesa che vengano ricostituiti tutti gli organi del M5S”. Ma ora fa sapere che il collegio ha appena deciso “a maggioranza l’apertura dei provvedimenti disciplinari”. Lei però ha votato No, perché “gli atti posti in essere dall’onorevole Crippa e dal senatore Licheri (i due capigruppo, ndr), potrebbero avere dei possibili rilievi di illegittimità“, perché richiesti “dall’ex capo politico senatore Crimi, attualmente a mio avviso non titolato a tali indicazioni“. Poi l’appello: “Esorto vivamente i miei colleghi – aggiunge Andreola – a desistere da azioni che potrebbero essere oggetto di ricorsi. Rimetto agli iscritti la decisione chiedendo l’apertura immediata della votazione” su Rousseau. Un passaggio “permesso dal regolamento dato che é stata disposta dal capogruppo l’espulsione dal Gruppo parlamentare”.

Nel frattempo tra i dissidenti c’è chi si mobilita per la nascita di un possibile nuovo gruppo in Senato. Lo conferma il segretario dell’Italia dei Valori Ignazio Messina a Repubblica: “Le interlocuzioni ci sono state, sì, se c’è un progetto politico da costruire allora massima disponibilità. Se è prestare il simbolo tanto per, allora non è il caso, non ci interessa. Questa è la situazione”. Il suo partito è stato tirato in ballo perché il regolamento di Palazzo Madama permette la nascita di nuovi schieramenti solo se rappresentati da un simbolo presente alle ultime elezioni politiche. E Idv ha partecipato con la lista Civica popolare. Alessandro Di Battista – che nel pomeriggio parlerà in live su Instagram – ha già fatto sapere che lui non c’entra niente con l’operazione, anche perché ormai si è chiamato fuori dal Movimento. Tanti dissidenti, però, guardano a lui come un punto di riferimento per la sua ostilità al governo Draghi. Non Nicola Morra, che a SkyTg24 spiega: “Ho un buon rapporto con Di Battista, di lealtà ma non di fedeltà. Io non voglio un capo che indichi per me, voglio poter decidere da me assumendomi le mie responsabilità“. Nel corso dell’intervista il presidente dell’Antimafia si smarca anche dall’ipotesi di affrancarsi all’ex partito di Antonio Di Pietro: “Io mi sento M5S“, ribadisce. Però “non posso mettermi nei panni degli altri colleghi”.

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Travaglio a La7: “I 5 stelle non contano più niente e sono esplosi al loro interno per la scelta di appoggiare Draghi”

I 5 stelle non contano più niente pur essendo il partito di maggioranza relativa e sono esplosi per la scelta che hanno fatto di sostenere il governo Draghi”. A dirlo, il direttore de Il Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, ospite di Lilli Gruber a Otto e mezzo, su La7. “Il discorso di Mario Draghi? Per metà era sostanzialmente un elogio nei confronti del Conte 2 e di continuità, e per l’altra metà era praticamente uguale al discorso che fece Conte nel settembre del 2019 presentando alle Camere il suo secondo esecutivo”.

Video La7

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venerdì 19 febbraio 2021

M5s, Di Battista: “Non faccio scissioni né fondo partiti”. E sulle espulsioni: “Scelta più da burocrati che da politici”

“Io mi sono fatto da parte, queste sono responsabilità dei dirigenti del M5s“. Così Alessandro Di Battista, intervistato sul difficile momento che sta attraversando il Movimento 5 stelle: “Anzi – continua lui – invito anche alcuni esponenti del Movimento che stanno dando veline di nascosto false sul mio conto mettendomi in mezzo a cose che non c’entra di evitare. Insomma patti chiari amicizia lunga. E’ un atteggiamento sciocco da parte di qualcuno. Io non sto facendo scissioni non c’entro nulla con i voti dei parlamentari che sono responsabili appunto del loro voto. Gianroberto diceva che le correnti appartengono ai partiti, no al Movimento. Penso che il Movimento 5 Stelle abbia condotto le trattative in modo pessimo. E’ passato fondamentalmente dal sì a Conte e no a Renzi al no a Conte e sì a Renzi, Calenda, sì Berlusconi sì Salvini sì Pd sì Draghi. Le espulsioni? Penso che siano più scelte da burocrati da politici, ma sono affari loro”.

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M5s, Morra: “Confermo la mia candidatura all’organo collegiale. Voglio ridare senso e valore alla mia azione politica”

“Mi candiderò all’organo collegiale del Movimento 5 stelle, se sarà possibile”. Lo dice il senatore Nicola Morra, uno dei volti storici del M5s e oggi sotto accusa dal suo stesso gruppo per aver votato no alla fiducia al governo Draghi. “Io nel dna mi sento ancora nel Movimento. E quindi voglio provare a recuperare senso e valore alla mia azione politica. Scissione? Se ne parla sempre ma non ci sarà”

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M5s, Crippa: “I dissidenti sapevano che andavano verso espulsione. Avevamo avvisato”

“Chi ha votato il dissenso dal gruppo ovviamente sapeva che sarebbe andato verso una conseguenza diretta. Avevamo avvisato”. Lo ha detto il capogruppo alla Camera del Movimento 5 stelle, Davide Crippa, commentando con i cronisti fuori da Montecitorio la decisione annunciata da Crimi di espellere i deputati M5s che hanno votato no alla fiducia

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Prescrizione, Cartabia alla maggioranza: nessuna fretta di toccare la legge Bonafede. Stop ai tentativi di contro riforma di renziani e berlusconiani (per ora)

Non c’è nessuna fretta di intervenire sulla riforma di Alfonso Bonafede, che blocca la prescrizione dopo il primo grado di giudizio. Il motivo? La legge, in vigore dal gennaio del 2020, provocherà i suoi primi effetti soltanto tra alcuni anni. C’è dunque tutto il tempo per intervenire prima sull’intera riforma del processo penale. È questa la posizione di Marta Cartabia, la ministra della Giustizia del governo di Mario Draghi. La nuova guardasigilli ieri ha esordito tra i corridoi del Parlamento, incontrando i capigruppo della maggioranza nelle commissioni Giustizia di Camera e Senato. Una riunione facilitata da Federico D’Incà, ministro per i Rapporti col Parlamento del Movimento 5 stelle.

Per la ministra doveva essere l’occasione per presentarsi agli esponenti dei partiti di maggioranza che seguono le vicende della giustizia: si è trasformata nella prima vera mossa politica del nuovo esecutivo. Cartabia infatti ha firmato un ordine del giorno, concordato con deputati e senatori, che impegna il governo ad affrontare il nodo della prescrizione solo all’interno delle riforme del processo penale. E dunque un’eventuale modifica della riforma Bonafede sarà apportata solo nel quadro di un disegno più organico che ha l’obiettivo di bilanciare i vari principi costituzionali in ballo: i diritti degli imputati, la ragionevole durata del processo, la necessità di un processo giusto, i diritti delle vittime. Lo strumento che sarà usato, spiegano da via Arenula, sarà quello della delega al governo, in modo da operare con gradualità. Anche perché, è qui viene la considerazione fondamentale fatta dalla ministra, sulla questione della prescrizione gli effetti della riforma Bonafede si vedranno in tempi non brevi (almeno quattro o cinque anni): c’è quindi tutto il tempo per mettere in piedi una ampia riforma del processo penale.

Niente di rivoluzionario, visto che anche il precedente governo stava discutendo le modifiche della Bonafede – il cosiddetto lodo Conte che inseriva due meccanismi diversi della prescrizione a seconda che gli imputati siano stati condannati o assolti in primo grado. – all’interno del disegno di legge di riforma del processo penale. Un disegno di legge in discussione dal settembre scorso sui tavoli della commissione Giustizia, che ha già tenuto decine di audizioni. Dunque nell’ordine del giorno firmato ieri dalla ministra non c’è nessuna gigantesca novità. La mossa di Cartabia, però, ha il merito di “sminare” il terreno dai vari tentativi di controriforma messi in piedi da Lega, Forza Italia e Italia viva. Veri e propri trabocchetti che rischiavano di fare saltare subito in aria la larga maggioranza di Draghi. Oggi, infatti, le commissioni Affari costituzionali e Bilancio avrebbero dovuto cominciare a votare gli emendamenti al decreto Milleproroghe. Dentro c’erano anche quelli di renziani e berlusconiani (più Enrico Costa di Azione, nemico giurato di Bonafede) che puntavano a cancellare la riforma sulla prescrizione. Già nei giorni scorsi, però, sia Costa che Italia viva – grande sponsor di questo governo – aveva evitato di “segnalare” i loro emendamenti. che dunque erano stati accantonati. Stessa cosa è accaduta per quelli di Forza Italia. Gli esponenti della ex opposizione non commentano l’incontro con la ministra, ma dai ranghi di renziani e berlusconiani filtra comunque una certa soddisfazione per “il cambio di passo improntato al dialogo“.

Pure Pd, Leu e Movimento 5 stelle, cioè i partiti che sostenevano il precedente governo, hanno apprezzato la mossa della guardasigilli seppure con sfumature diverse. Entusiasta Alfredo Bazoli, capogruppo dem in commissione Giustizia alla Camera, che manifesta “apprezzamento per l’approccio e il metodo, volti alla più larga condivisione dei percorsi su cui fare incamminare le riforme”. Bazoli spiega di aver suggerito “alla ministra di non sprecare il lavoro fatto in commissione sul disegno di legge di riforma del processo penale già incardinato da mesi, ed anzi di partire da lì per individuare le soluzioni tecniche sulle quali lavorare”. Dello stesso tenore la dichiarazione del capogruppo di Leu, Federico Conte, autore dell’omonimo che aveva fatto trovare l’accordo tra Pd, M5s e Italia viva nel febbraio 2020: “Quella è una norma con uno spazio di migliorabilità. In questa legislatura ci sono stati tre governi anche per la prescrizione. Nella prima si è formata la tesi, nella seconda l’antitesi che non è come si sa opposta alla tesi, ora speriamo di trovare la sintesi”.

Più guardinghi i 5 stelle che in queste ore sono divisi sull’appoggio al governo Draghi e si aspettano qualche altro tiro mancino da renziani e berlusconiani. Riconoscono, però, che il fatto di far parte della maggioranza garantisce una posizione privilegiata per vigilare sulle riforme di Bonafede. Per Mario Perantoni, presidente della commissione Giustizia, “il nuovo quadro politico e l’autorevolezza della professoressa Cartabia hanno avuto quantomeno un risvolto positivo: aver calmato gli animi sulla materia. Questo clima ci permetterà di lavorare con un approccio meno emozionale e più costruttivo, tenendo conto delle diverse posizioni politiche”. Pure la capogruppo Carla Giuliano dice di aver “apprezzato l’approccio della ministra Cartabia. Sulla necessità di approvare una riforma del processo penale che tuteli le garanzie e acceleri i tempi dei processi non solo l’abbiamo sempre sostenuto ma in commissione è già depositato un disegno di legge del ministro Bonafede. Mettiamoci al lavoro”.

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