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mercoledì 31 marzo 2021

Pd, Boccia: “M5s guidato da Conte è una speranza per il Paese. Insieme dobbiamo guidare un ampio fronte sociale alternativo alle destre”

“Il Movimento 5 stelle guidato da Conte è una speranza per il Paese e per il Pd. Insieme dobbiamo guidare un ampio fronte sociale con al centro la sanità pubblica e la scuola. Un fronte utile per avviare un mondo post Covid. Giuseppe Conte ed Enrico Letta possono riuscirci per poi arginare la destra”. Così il deputato dem, Francesco Boccia, fuori Montecitorio. “Noi stiamo lavorando per creare un centrosinistra ampio, quindi il confronto ci sarà anche con Italia viva. È una cosa coerente e seria che rappresenta un’alternativa alla destra negazionista e che non protegge la vita. Dopo questa parentesi di governo, gli italiani sceglieranno tra il nostro riformismo e il loro sovranismo”, ha concluso.

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M5s, sul limite dei due mandati si gioca la lotta per il potere. E chi cede è perduto

La spinosa questione del limite di due mandati travaglia la ristrutturazione del Movimento 5 Stelle. Beppe Grillo ha sostenuto il limite con forza, definendolo “un pilastro” del progetto M5s; i parlamentari giunti al secondo mandato hanno minacciato Giuseppe Conte di abbandonare il Movimento se seguirà le indicazioni di Grillo. Come sempre in questi casi il detto e il non detto si intrecciano a costituire un problema pressoché impossibile da risolvere ma, se non altro, non impossibile da descrivere.

1) Il limite dei due mandati ha l’obiettivo di impedire l’affermarsi di carrieristi della politica, rotti a qualunque clientela e compromesso.

2) A causa della natura virtuosa del precedente punto 1, il limite dei due mandati ha un grande valore propagandistico. In pratica sostenere il limite dei due mandati porta voti. Beppe Grillo stesso ha affermato: “Se si deroga al limite di due mandati il M5s raggranellerà il 5%” (Beppe Grillo non è nuovo a queste – a mio avviso – sfacciate manifestazioni di opportunismo politico, che finora gli elettori non hanno mostrato di deplorare).

3) Il limite dei due mandati impedisce che si formi una classe politica preparata e competente: i parlamentari e ministri M5s sono condannati ad essere sempre dei novellini alle prime armi. Questo è l’argomento di tutti i parlamentari giunti al secondo mandato.

4) Ovviamente i Parlamentari e ministri M5s arrivati al secondo mandato sono quelli che hanno guadagnato una minima visibilità autonoma e una clientela elettorale, a cui non hanno intenzione di rinunciare, così come a mio parere non vogliono rinunciare alla possibilità di continuare a godere degli stipendi e privilegi della “casta”: evidentemente non si sentono tanto francescani quanto i vari Grillo e Casaleggio (peraltro due francescani alquanto attenti al denaro).

5) Grillo, non essendo parlamentare, è escluso dal limite dei due mandati: ha in mano la visibilità e il potere. I parlamentari M5s, se il limite dei due mandati verrà rispettato, sono condannati a passare come l’acqua del fiume, mentre Grillo resterà fermo come uno scoglio. Se invece il limite dei due mandati verrà abolito, la generazione di Luigi Di Maio e colleghi, rimanendo in Parlamento, aumenterà la propria visibilità e prima o poi prenderà il sopravvento su Grillo. Sul limite dei due mandati si gioca quindi la lotta per il potere all’interno del M5s, e chi cede è perduto.

6) C’è una fila di attivisti che, formati nella regola dei due mandati, attendono il loro turno: questi sono i più fedeli sostenitori di Grillo e di Casaleggio, sebbene i due sembrino sul punto di separarsi. Il primo della lista, secondo me, è Alessandro Di Battista, ritenuto vicino a Casaleggio e al suo nuovo manifesto “ControVento”. Gli attivisti hanno tutto da perdere dall’abolizione del limite dei due mandati: tolto Di Battista, non hanno visibilità propria, quindi non possono competere con i vari Di Maio, Toninelli, Fico, eccetera; inoltre, poiché il limite dei due mandati vale voti, la sua eventuale abolizione li svantaggia ulteriormente, riducendo la loro possibilità di entrare in Parlamento.

7) Giuseppe Conte sul limite dei due mandati è un elemento di destabilizzazione. Come Grillo e Casaleggio, non è membro del M5s, non è mai stato eletto e non è neppure chiaro se sia soggetto al limite dei due mandati: lo si vedrà quando si candiderà alle elezioni politiche. Non è né dalla parte di Di Maio, Fico, Toninelli e degli altri giunti al secondo mandato, né da quella degli attivisti; e probabilmente neppure da quella di Grillo o di Casaleggio. Per ora è ben visto perché ciascuno spera di poterlo tirare dalla sua parte, ma ciascuno ne diffida anche un po’ perché teme che invece vada dalla parte opposta.

Probabilmente il problema non ha nessuna soluzione soddisfacente e porterà ad una spaccatura.

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A casa chi ha fatto due mandati? Il M5s di Conte: la diretta con Peter Gomez

Chi ha esaurito i due mandati da parlamentare non sarà più ricandidato? Cosa deciderà Giuseppe Conte per il futuro degli esponenti del M5s? Ne parlano alle 16, in diretta, il direttore de ilFattoQuotidiano.it, Peter Gomez, e Martina Castigliani.

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M5s in attesa del manifesto di Conte. I nodi da risolvere: i rapporti con Rousseau e la “bomba” di Grillo sul tetto dei due mandati

“Manca poco, è una fase delicatissima, ma ci siamo quasi”. La frase che i 5 stelle ripetono nei corridoi, nelle chat e a mezza voce al telefono è a metà tra una previsione e un augurio. Giuseppe Conte, dopo un mese di lavoro coperto da assoluto riserbo, si prepara a presentare il suo programma per la rifondazione M5s: un vero e proprio manifesto che metterà in chiaro le condizioni per la sua leadership e l’orizzonte su cui intende muoversi. Il primo appuntamento è per giovedì primo aprile: è stata convocata per le 21.30, un’assemblea congiunta su Zoom dei parlamentari con Vito Crimi e appunto Conte. Eccolo il segnale che tutti stavano aspettando: sarà davanti agli eletti che inizierà a svelare i suoi piani. Per molti parlamentari M5s il limbo in cui si sono sentiti precipitare dopo la nascita del governo Draghi è diventato insostenibile e ora si giocano tutto sul progetto di rinascita dell’ex premier. Che però prima deve risolvere due nodi: i rapporti con la piattaforma Rousseau (ovvero Davide Casaleggio) e i malumori creati dalla “bomba” buttata da Beppe Grillo dopo che ha blindato la regola del tetto dei due mandati.

Il manifesto – Dal giorno in cui Conte ha accettato di caricarsi sulle spalle il Movimento 5 stelle è passato poco più di un mese: era il 28 febbraio e Grillo in persona gli ha affidato la sua creatura sotto gli occhi dei principali esponenti M5s. Da allora l’ex premier ha fatto pochissime uscite: qualche post su Facebook, un solo incontro da leader “in prova” con il neosegretario dem Enrico Letta. Per il resto ha lavorato con i suoi fedelissimi per sciogliere le questioni legali, ma soprattutto si è visto e sentito con il garante per disegnare quello che deve essere il Movimento da qui fino al 2050. Questo pacchetto presenterà al M5s nei prossimi giorni: un programma sui contenuti e un piano organico per rinnovare la struttura. Le fasi successive sono ancora tutte da definire: innanzitutto l’ex premier chiederà il sostegno dell’assemblea dei parlamentari e poi, se si risolve la diatriba con Casaleggio, che ci sia il voto degli iscritti su Rousseau. Il manifesto di Conte, spiegano i più vicini al leader, sarà nel segno della “continuità della tradizione M5s”, ma naturalmente secondo la sua visione. Alcuni dei temi chiave saranno: ecologia, trasparenza, giustizia. Da lì inizierà a lavorare Conte. Poi parlerà anche dell’impostazione strutturale del Movimento: saranno previste modifiche per intervenire su tutti quei meccanismi che “hanno dimostrato di non funzionare”. Primo fra tutti il sistema di espulsioni e quindi la sorte degli ex cacciati dopo il no alla fiducia a Draghi. Ci sarà poi da sciogliere il difficile nodo dell’organo collegiale, già votato dagli iscritti e la cui elezione è rimasta in stand-by: l’obiettivo, qualunque sarà la mediazione, non potrà essere quello di “imbrigliare” il nuovo leader che dovrà avere poteri “effettivi” e “libertà di movimento”. Insomma l’ex premier presenterà un pacchetto con tutte le sue condizioni: senza quei presupposti, lo ha già messo in chiaro Conte con i suoi più vicini, l’operazione non potrà andare avanti.

Due mandati – L’avvocato sa che in questa fase ha bisogno di una legittimazione che sia la più ampia possibile proprio dentro il M5s. Serve che i gruppi parlamentari sostengano la rifondazione del Movimento e che lo aiutino da dentro, altrimenti rischia di trovarsi senza il partito ancora prima di iniziare la corsa. Per questo l’annuncio di Beppe Grillo sul “tetto dei due mandati che non si tocca”, fatto a sorpresa all’assemblea dei parlamentari venerdì scorso, è stato percepito come una “bomba”. E una bomba che non andava sganciata proprio in questo momento: il rischio, è il ragionamento delle fonti M5s, è che ora tutti i parlamentari al secondo mandato siano ostili all’operazione di Conte e che i gruppi si spacchino a legislatura ancora in corso. Non che il premier non condivida la linea di Grillo: il tetto dei due mandati è un pilastro fondamentale per il Movimento e presentarsi alle urne avendolo fatto saltare rischia di essere un vero boomerang. “Ma è anche vero che non siamo tutti uguali”, commenta uno dei parlamentari al secondo giro in Parlamento. “E una strada per salvare chi si è distinto in questi anni la si potrebbe trovare”. Una previsione? Piuttosto una speranza. Nelle ultime ore sono circolate tante ipotesi, dalle candidature come capilista all’uso del meccanismo di recall, ma nessuna di queste è uscita dall’entourage dell’ex premier. La verità è che c’è una prima guardia che ha di fatto condizionato il suo appoggio a Conte alla deroga della regola dei due mandati e l’ex premier teme che quella prima guardia ora possa mollarlo sul più bello. Ancora una volta però, l’uscita di Grillo non è stata casuale e solo così il garante sapeva di poter sciogliere ogni ambiguità: non metterà la faccia su un progetto che si rimangia la regola più importante di tutte. Per chi è in scadenza si apriranno carriere nei Comuni e nelle Regioni, ma la strada è sbarrata per il ritorno in Parlamento. Del resto di dubbi sulla posizione del comico ce n’erano già pochi: negli ultimi giorni ha mandato a fare lezione ai parlamentari il professore Marco Morosini, esperto sì di transizione ecologica, ma anche autore nel 2019 del libro “Snaturati” sulla parabola del M5s in Parlamento (“dalla social-ecologia al populismo”). Un modo, neanche troppo sottile, per dire che qualcosa va cambiato proprio tra gli eletti. E il fatto che Grillo scherzando chiami i portavoce “miracolati”, a questo punto è l’ultimo dei problemi.

Rousseau – Quell’uscita sui due mandati secondo alcuni è stato anche, a suo modo, un messaggio del garante a Davide Casaleggio. Fin dall’inizio Grillo ha fatto sapere di non volere la rottura con il figlio di Gianroberto, ma ad un certo punto delle trattative lo strappo è sembrato inevitabile. Il presidente dell’associazione Rousseau, ovvero l’organo che gestisce la piattaforma online, non ha fatto che alzare la posta per giorni e non solo sul fronte economico. Innanzitutto ha chiesto arretrati al Movimento per 450mila euro: sono i soldi che i parlamentari si erano impegnati a versare all’atto della candidatura e che espulsi e dissidenti si sono rifiutati di dare. Soldi che però, è la controffensiva dei contiani, gli eletti si sono impegnati “con il Movimento” a versare e non certo con Rousseau. Ma Casaleggio non si è limitato a chiedere soldi, si è anche mosso autonomamente sui temi: ha lanciato addirittura un suo manifesto ControVento e ha messo la regola dei due mandati come principio indiscutibile, cercando di contrapporsi a chi invece sul punto cercava mediazioni. Ecco, da giorni nel Movimento si chiedono come si può rimediare a una frattura così radicale e senza precedenti. E’ difficile: uno scontro così non si era mai visto prima. Solo una settimana fa, uno noto per i suoi toni pacati come Stefano Patuanelli ha detto che “lo scontro in tribunale” sarebbe stato inevitabile. Chi lavora alle trattative si dice ottimista: Grillo vuole l’accordo e se Grillo vuole una cosa non si è abituati a vederlo perdere. Eppure i segnali che arrivano da Rousseau non sono dei più distensivi: proprio oggi la piattaforma ha lanciato una raccolta fondi per sanare il buco: “Siamo in difficoltà”, si legge. Un messaggio simile a tanti lanciati nei giorni passati, che però ora pesa ancora di più perché arriva alla vigilia della chiusura delle trattative.

Il Pd, la coalizione, le amministrative – Ma Casaleggio o meno, il progetto di Conte ha fretta di nascere anche perché nel mentre gli altri (e in particolare gli alleati) non stanno fermi. Il Pd, dopo aver toccato uno dei suoi minimi, sta cercando anche lui una rifondazione e si è affidato a Enrico Letta. La sterzata c’è stata e il Movimento 5 stelle, se vuole mantenere la leadership della coalizione, non può stare a guardare ancora per molto. La linea dell’ex premier sull’accordo con i dem non ha (finora) avuto ambiguità: la strada dell’alleanza giallorossa è quella che intende portare avanti e strutturare in maniera sempre più solida. Anche di questo, fanno sapere, parlerà nel suo manifesto: il percorso va fatto insieme e Conte punta a essere il leader di quel progetto. Ma non può temporeggiare ancora per molto: è lui il fautore di quell’unione e lasciare il campo libero ad altri sarebbe un vero suicidio politico. Intanto i dossier sul tavolo del futuro leader M5s cominciano a sommarsi uno dopo l’altro. Tra i più urgenti? Le amministrative. I giallorossi riusciranno a trovare un’intesa per le candidature di Roma, Torino, Milano e Napoli? Al momento sembra impossibile, ma sono quelli i banchi di prova a cui tutti guardano. E se a Roma la partita appare chiusa, su Napoli le voci che vorrebbero Roberto Fico candidato unitario del fronte Pd-M5s sono sempre più insistenti. Ma la candidatura del presidente della Camera, con conseguente rinuncia della carica, non può avvenire se non dentro uno schema complessivo, di pesi e contrappesi. Insomma ogni discorso è prematuro: prima di pensare al futuro, bisogna investire il “nuovo leader del nuovo Movimento 5.0“. E farlo prima che sia troppo tardi.

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martedì 30 marzo 2021

Comunali Milano, Sala: “Alleanza coi 5 stelle? Difficile trovare soluzioni se non si schierano in modo definitivo nel centrosinistra” – Video

“L’Italia è l’unico Paese dove non si va a votare e mi sembra più una cosa voluta dai partiti che non dalla situazione visto che si va a votare ovunque”. Così il sindaco di Milano, Giuseppe Sala. “Ci siamo fermati qualche settimana, ora stiamo riprendendo con intensità e nel weekend dopo Pasqua presenteremo la lista Volt e quello dopo la mia lista civica. Se il Movimento 5 stelle non si pone in maniera definitiva nell’alveo del centrosinistra è difficile trovare soluzioni” ha aggiunto il sindaco.

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Movimento 5 Stelle, come diceva l’immenso Enrico Vaime: ‘Coraggio, il meglio è passato!’

“Sono incazzato nero e tutto questo non lo sopporterò più!”. Era il lontano 1976 quando il conduttore televisivo Howard Beale interpretato da Peter Finch incitava i telespettatori ad affacciarsi alla finestra per urlare al mondo la propria frustrazione sociale.

Beppe Grillo aveva visto il film Quinto Potere? Probabilmente sì, visto che Sidney Lumet con quella pellicola vinse ben quattro Oscar (non la regia, tuttavia) e che lo stesso Grillo l’anno seguente avrebbe iniziato una travolgente carriera televisiva. Solo l’interessato in persona potrebbe smentire che sia stato proprio quel personaggio trascinatore, Beale, a covare in lui la passione per l’attacco al potere.

Esattamente dieci anni dopo Quinto Potere Grillo sparava frontalmente su Craxi, quindi a seguire su Biagio Agnes, presidente della Stet, poi sulla Telecom, sulla Parmalat, facendosi paladino dei cittadini schiacciati dai soprusi dei furbi. Infatti venne più o meno cancellato dai palinsesti, finché nel 2005 intravide il nuovo “quinto potere”, Internet. Dal suo blog partì quell’arrembaggio al sistema che nel 2014 si concretizzò nel Movimento 5 Stelle, grazie soprattutto alla complicità delle “visioni” e dei princìpi di Gianroberto Casaleggio, del formidabile sostegno di Dario Fo.

Oggi, dopo la scomparsa di questi due giganti, dopo la vittoria alle politiche (e le debacle spaventose a europee e regionali), il progetto di Grillo sta subendo l’arrembaggio dei “bravi ragazzi”, quei peones sconosciuti che Grillo ha voluto snobisticamente infiltrare nei palazzi del potere. I quali, annusati e sperimentati i privilegi che la vita istituzionale riserva ai suoi eletti, adesso non hanno comprensibilmente la minima voglia di tornare ad essere dei semplici cittadini.
Sembrava che il massimo tradimento agli ideali iniziali di Casaleggio e Grillo si fosse già consumato con l’alleanza inverosimile con i “nemici” di sempre, Forza Italia e Partito Democratico nel Governo Draghi. Una alleanza arrivata con la strategia della rana bollita, passata prima per la indigesta unione “di programma” con la Lega, poi attraverso quella col Pd, infine nella ammucchiata libera.

Cosa sarebbe potuto succedere di più per sbattere in faccia al cittadino quella finestra dalla quale urlava la sua esasperazione? I Grillo boys non ci hanno pensato due volte. O, meglio, ci pensano molto più di due volte. Due volte, infatti, era il limite assoluto e invalicabile designato da Casaleggio (e da Grillo) per rimanere “al servizio” delle Istituzioni. Poi, a casa, di corsa. Ad aiutare altri cittadini a impossessarsi – temporaneamente – del giocattolo.

Oggi anche quest’ultimo bastione della coerenza movimentista è in discussione, guarda caso proprio da parte di coloro che hanno raggiunto il capolinea. C’è addirittura chi, come Roberta Lombardi (neo assessore regionale alla Transizione ecologica) pretende di scrivere che i due mandati non sono un tema che interessa alla gente. Alla gente? Chi è la gente? La gente è chi ha mandato persone come lei prima in Parlamento e poi in Regione come esponente di un Movimento che aveva degli ideali. Tra questi, primario, quello di mollare l’osso dopo dieci anni di bengodi.

Pare che una delle maggiori difficoltà di Giuseppe Conte nel riordinare il caos di primedonne che imperversa oggi nel Movimento sia proprio quello dell’obbligo di tornare a casa al secondo mandato, tanto che lo stesso Grillo, dopo avere giurato sulla inviolabilità della norma statutaria (oltre che morale), ha già dichiarato ai parlamentari miracolati “non vi lasceremo soli”. Senza menzionare il fatto che lo stesso Conte in questo momento sta operando nella più palese violazione di qualsiasi norma dello Statuto del Movimento, ribadito dai patetici Stati Generali. Attendiamo ancora il famoso “Direttorio” a cinque, scaturito da ben un anno di lavori. Per non parlare del riconoscimento dei gruppi territoriali, quelli che hanno creato il Movimento. Quelli in cui facevano gli attivisti gli attuali “portavoce” (mai parola fu più infingarda).

È la fine del Movimento 5 Stelle? È la nascita di un nuovo partito di Conte? Certo, questo farebbe molto comodo ai miracolati per rimanere avvinghiati alle poltrone, loro che volevano aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno.

In questo quadro non mi pare inverosimile neanche un’altra, sottile, tremenda ipotesi. E se Grillo non fosse mai stato l’uomo arrabbiato alla finestra? Se lui fosse invece quello inviato dal Sistema a disinnescare la vera rabbia sociale, a richiudere quella finestra per sempre? Il Movimento che nasceva antiliberista, antieuropeista, antisistema, oggi è il suo opposto totale e forse i suoi artefici (anche al di là di Grillo) potrebbero aver deciso che oramai non c’è più bisogno di una grande massa di consenso popolare per continuare a preservare lo status quo della Casta. Basta un partitello tra il 5 e il 10% (il grande partito di Conte, quello fallito con Monti) fatto di precariato alfabetizzato benestante che non può essere più raccolto dal Pd.

Come diceva l’immenso Enrico Vaime, uomo geniale, mio maestro di vita e modello, “Coraggio, il meglio è passato!” Ora ci resta solo la solita Italietta.

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Il Pd si rinnova ma comandano ancora le correnti. E il M5s rischia di fare la stessa fine

Giuseppe Conte ed Enrico Letta si sono incontrati pochi giorni fa per iniziare concretamente il percorso ampiamente preannunciato tra “interlocutori privilegiati”, come i due professori ed ex-premier – liquidati nel modo che presumibilmente “ancor li offende” – amano definire il rapporto tra M5S e Pd, entrambi in fase alquanto critica e affidati alla loro capacità di ricostruzione in vista di quell’alleanza competitiva che dovrebbe decollare già dalle Amministrative.

In casa Pd il neosegretario, forte di un voto unanime di cui avrebbe volentieri fatto a meno, è riuscito in tempi molto stretti a sostituire i due capigruppo renziani usando in modo a mio parere strumentale l’argomento incontestabile della parità di genere, che sta diventando sempre più un feticcio scollegato al merito: una parità che doveva essere ripristinata anche per bilanciare una compagine ministeriale di capicorrente tutta al maschile.

Così, dopo un braccio di ferro con l’uscente Andrea Marcucci, che ha portato avanti nel Pd tutte le battaglie in concerto con IV, al Senato è stata eletta all’unanimità la già renzianissima Simona Malpezzi: scelta da Lotti e Guerini con il placet in extremis dello stesso Marcucci, la Malpezzi è esponente di punta di Base riformista, la corrente degli amici di Renzi nel Pd.

Per la successione di Graziano Delrio alla Camera sono in pole position: Deborah Serracchiani, gradita sia a Franceschini che allo stesso Delrio e – pare – in buoni rapporti con l’ex alter ego di Renzi, Luca Lotti; e Marianna Madia, già pupilla di Veltroni e a seguire dalemiana, lettiana, bersaniana, renziana e ora of course più lettiana che mai. Ma le ultime aspre polemiche tra quest’ultima e Delrio, accusato di doppiogiochismo, confermano le tensioni, i personalismi e la mancanza di trasparenza.

Al netto delle apparenze e della fin troppo sbandierata ventata di rinnovamento è abbastanza chiaro che a comandare sono sempre le correnti: a rappresentarle non ci sono uomini ma donne, i cui curricula però tendono a confermare una decisa propensione a schierarsi con il segretario di turno e ad assecondare i rapporti di forza all’interno del partito nonostante le dichiarazioni altisonanti e battagliere della neoeletta Malpezzi che ha preannunciato di “voler dare forza e sostanza ad una leadership femminile”.

A margine dell’incontro con Letta che Conte aveva definito “molto proficuo e molto utile”, l’ex premier ha anche confermato di essere impegnato in un progetto che vuole “rilanciare il M5S in tutte le sue componenti”, aggiungendo che non vede perché “si debba decidere di non usare più la piattaforma Rousseau” e auspicando che possa essere composto amichevolmente lo scontro con Davide Casaleggio.

La realtà con cui deve misurarsi Conte nella ricostruzione del M5S è più complessa e difficile di quanto emerge dalle sue parole: la sua indubbia credibilità e autorevolezza – confermate anche nell’era Draghi da un gradimento che lo pone in testa tra i leader politici, con un notevole distacco – non sono da sole sufficienti a garantire il successo dell’operazione.

La realtà odierna del M5S, dopo le espulsioni punitive a tamburo battente anche di chi si è astenuto sulla fiducia a Draghi e gli addii di molti big, è caratterizzata da passaggi quotidiani di parlamentari al Gruppo misto, da un fermento interno in cui è difficile distinguere le iniziative mosse da sacrosante istanze di difesa dell’identità, messa a dura prova dal “governo di tutti” da quelle generate dalla frustrazione per una nomina mancata.

E contemporaneamente spuntano quelle che non è improprio chiamare correnti: dalle più “governative” come Italia più 2050 che non esclude di formare una lista per Conte di appoggio al M5S per includere parlamentari uscenti anche dopo i due mandati e qualche ex, al nuovo nuovo gruppo Innovare che al contrario riafferma il limite dei due mandati in sintonia con la linea di Casaleggio, ribadita da ultimo anche da Beppe Grillo.

Quando aveva accettato il non lieve incarico per il suo “progetto rifondativo”, Conte aveva parlato di “nuovo Movimento aperto, accogliente, intransigente”. Volendo essere rispettosi del significato delle parole, vorrebbe dire circa l’esatto contrario di democristiano, normalizzato, moderato, iper-correntizio e cioè una specie di copia conforme del Pd, come ci viene raccontato senza eccezioni da commentatori ed opinionisti.

Molto opportunamente è intervenuto il garante all’assemblea congiunta dei parlamentari 5S per ribadire due pilastri dell’identità del Movimento: “transizione ecologica” senza la quale non esiste futuro e reddito di cittadinanza da trasformare in “reddito universale”. Accanto a lui il ministro Roberto Cingolani che finora ha parlato molto poco e ha avuto l’onore di essere attaccato in prima pagina dal Giornale solo per aver invitato gli italiani a mangiare meno carne per migliorare la loro salute e quella del pianeta. Quanto al futuro elettorale, Grillo ha blindato il limite dei due mandati per i parlamentari. Così come da tempo con analoga fermezza ha blindato la candidatura di Virginia Raggi nonostante l’ostilità della sinistra più o meno intelligente: “una minaccia” per Zingaretti, derubricata infine da Letta a “pietra di inciampo”.

Il sostegno incondizionato alla Raggi rappresenta un importante tassello identitario per il M5S oltre alla difesa non strumentale di una donna, lei sì, che pur tra errori ed ingenuità ha seguito la sua strada in autonomia e rimane un modello di integrità e coerenza apprezzato da molti dei suoi concittadini almeno secondo i sondaggi, relegati non a caso nelle pagine locali, in cui è sempre davanti ai suoi pochi, tardivi e spesso arroganti sfidanti.

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venerdì 26 marzo 2021

“Uso sobrio e frequentazione prudente dei social. Opportunità ma con grandi rischi”: il decalogo dei magistrati

Fare un “uso sobrio” e una “frequentazione prudente dei social”. Essendo consapevoli “della grande opportunità ma anche dei grandi rischi“. Sono state approvate dal plenum del Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa le prime linee guida “sull’uso dei mezzi di comunicazione elettronica e dei social media da parte dei magistrati amministrativi”.

La delibera – come ha sottolineato il Presidente del Consiglio di Stato Filippo Patroni Griffi nel corso del dibattito in Cpga – vuole fornire “regole di comportamento condivise, frutto del comune sentire della magistratura amministrativa”. “Non si tratta di un orientamento culturale, vogliamo semplicemente sensibilizzare la nostra categoria su un uso sobrio dei social media – ha spiegato Patroni Griffi -, che vanno utilizzati con cautela. Siamo la prima magistratura a riflettere sul tema e ad auto disciplinarsi. Le linee guida non intendono introdurre limiti alla libera manifestazione del pensiero del singolo magistrato – ha aggiunto -, ma sono un richiamo alla consapevolezza all’alto ruolo istituzionale della magistratura che non può essere smarrito in nessun momento della vita quotidiana, in coerenza con i codici etici e con le linee di indirizzo della Rete europea dei Consigli di Giustizia (Encj) sull’uso dei social”.

Il testo invita alla consapevolezza della grande opportunità ma anche dei grandi rischi a cui i magistrati sono esposti quando utilizzano i social, primo fra tutti quello della perdita di controllo delle informazioni che si immettono in rete, per evitare i rischi di condivisione online di informazioni personali e dati sensibili. Le linee guida sono state elaborate dalla III Commissione del Cpga, presieduta dalla togata Silvana Bini che ha ricordato “l’invito del Presidente Mattarella ai giovani magistrati a gestire con prudenza e discrezione i mezzi di comunicazione” e sono state illustrate dai relatori, il consigliere togato Giovanni Ricchiuto, dal vicepresidente dell’organo di governo autonomo della magistratura amministrativa, il laico Salvatore Sica che ha sottolineato l’esigenza “di una frequentazione prudente dei social” e ha segnalato “il pericolo della sottrazione di dati e della perdita di controllo nel mare della Rete di foto e affermazioni”, e dal laico Michele Papa che ha seguito come consigliere delegato del Cpga i lavori dell’Encj recependoli nelle linee guida.

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giovedì 25 marzo 2021

M5s, l’ex sindaco di Assemini Mario Puddu assolto in appello per abuso d’ufficio. Nel 2018 si ritirò dalla corsa per la Regione Sardegna

La Corte d’appello di Cagliari ha assolto dall’accusa di abuso d’ufficio l’ex sindaco di Assemini Mario Puddu, già coordinatore del Movimento 5 stelle in Sardegna, condannato in primo grado ad un anno di reclusione. Per la Corte presieduta dal giudice Massimo Poddighe il fatto non è più previsto dalla legge come reato, per via di una recente riforma dell’abuso d’ufficio: l’intervento risale al decreto Semplificazioni approvato a luglio scorso che ha di fatto “circoscritto” l’abuso d’ufficio che non è più ricondotto alla “violazione di norme di legge o di regolamento”, ma “all’inosservanza di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge”. Il sostituto procuratore generale Sergio De Nicola aveva chiesto la conferma della condanna, assieme all’avvocato di parte civile Francesco Marongiu.

La condanna in primo grado risale al 18 ottobre 2018: subito dopo la sentenza del tribunale di Cagliari, Puddu aveva ritirato la sua candidatura a presidente della Regione Sardegna. La condanna aveva di fatto troncato la carriera politica dell’esponente 5 stelle ed era arrivata in un momento in cui il M5s in Regione era dato al 40 per cento nei sondaggi. Puddu venne poi sostituito da Francesco Desogus che non andò oltre l’11 per cento.

Secondo l’accusa, Puddu avrebbe permesso la promozione di una dipendente comunale perché moglie dell’avvocato Francesco Murtas, ritenuto molto vicino al sindaco, e anche lui assolto oggi dalla Corte con la stessa motivazione. A chiedere di fare cadere le accuse erano stati gli avvocati difensori dell’ex sindaco, Mauro Barberio e Massimiliano Ravenna. I fatti risalgono al 2015 quando tre consigliere del Movimento 5 stelle, poi espulse, presentarono un esposto accusando il sindaco di aver predisposto la pianta organica del Comune di Assemini così da demansionare una dipendente a favore di un’altra, moglie dell’avvocato Murtas. Puddu era presente in aula ma non ha rilasciato nessuna dichiarazione a commento della sentenza di assoluzione. Su Facebook poco dopo ha scritto: “Assolto, gioia infinita dopo due anni e mezzo di buio e tristezza”.

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mercoledì 24 marzo 2021

Il deputato Trizzino lascia il M5s e passa al Misto: “Sono stato ostacolato. Sarei rimasto per Conte, ma per me non c’è più spazio”

Nuovo strappo nel Movimento 5 stelle: il deputato siciliano Giorgio Trizzino ha deciso di lasciare il gruppo e iscriversi al Misto. “E’ stata la scelta più difficile della mia vita”, ha detto il parlamentare all’agenzia Adnkronos. “Era già da tempo che riflettevo su questa decisione, che prendo nell’interesse reciproco: mio e del Movimento”.

Trizzino, medico di Palermo al primo mandato in Parlamento con il M5s, è molto vicino alla famiglia Mattarella. Negli ultimi tempi le sue posizioni erano state più volte in divergenza con la linea ufficiale del M5s e lui stesso aveva parlato dei dubbi sul restare o meno dentro il gruppo. “La mia storia con il Movimento ha raggiunto il suo compimento“, ha scritto in serata in una lettera in cui spiega la sua scelta. E per dirsi addio dopo un’esperienza simile, ha continuato, ci sono vari modi. E tra i tanti Trizzino sceglie “la via di ammettere per sé di avere sbagliato, ma di aver anche subìto gli errori della controparte”. E ancora: “Riconosco di aver dato in quest’avventura ed ho offerto le mie forze, una parte considerevole della mia vita. Ma ho il grande rammarico di non aver dato abbastanza, non già perché non abbia voluto. Piuttosto, credo di non aver potuto dare abbastanza, ostacolato, impedito, non riconosciuto per i meriti personali, grandi o piccoli, utili o no, ma offerti e resi disponibili doverosamente”. Questa è anche colpa del Movimento, continua, che “ha il dovere di accogliere e di valorizzare al meglio le risorse di chi ha chiamato al suo fianco se vuole obbedire al mandato del proprio statuto”. E proprio su questo, “credo che qui abbia ancora molto da fare ed imparare, se ciò che ad oggi ne viene fuori è un’organizzazione che, pur al governo del Paese, va perdendo pezzi per strada, si sfalda, si svuota. È un paradosso perché di solito chi è alla guida trova più consensi di quanti non ne perda; se succede il contrario qualcosa di grave, di molto grave si sta consumando, forse in una inconsapevolezza che sa di incoscienza”. In generale, dice Trizzino, mentre ha avuto “la possibilità di far parte di una squadra e di un gioco che non prevede protagonisti”, ha anche avuto “la possibilità di constatare, invece, che la voglia di protagonismo ha inquinato le migliori intenzioni e che continua a farlo”. Quindi ha concluso: “Nei prossimi tempi si definiranno scelte importanti per il Movimento che vedranno al centro Giuseppe Conte ed io lo avrei accompagnato volentieri lungo questa strada ma poiché sono convinto che per me non ci sia più tempo e spazio, pur avendo fatto di tutto per rimanere, è arrivato il momento di tirare giù la valigia e salutare”.

Una delle ultime riflessioni di Trizzino risalgono al 2 marzo scorso, subito dopo la tornata di espulsioni per chi aveva votato contro il governo Draghi. E già in quell’occasione, il deputato aveva espresso le sue perplessità sulla situazione generale del Movimento. Trizzino, pur avendo votato a favore del nuovo esecutivo, su Facebook aveva scritto: “Mi chiedo e mi rivolgo agli elettori dei quali non voglio tradire la fiducia: è ancora possibile ed utile restare nel Movimento a queste condizioni? O è necessario combattere dall’interno per un radicale cambiamento che premi lealtà, competenza, dibattito ed espella da sé capi e capetti sensibili solo alla conservazione delle poltrone ed insensibili a dar spazio e riconoscimenti a chi quotidianamente si dedica a perseguire gli interessi degli elettori pur lontano dai cerchi magici e dalle mediocri consorterie del circoscritto potere interno?”. In quel post le parole di Trizzino erano già molto dure nei confronti di un Movimento 5 stelle che definiva “acefalo, rinunciatario, privo di identità e punitivo nei confronti dei dissidenti che chiedono coerenza e fedeltà ai valori fondanti”. Negli ultimi giorni Trizzino ha duramente criticato il blitz dell’ex M5s Nicola Morra al centro vaccini di Cosenza: “Nessuno ed ancor meno chi ricopre cariche pubbliche, come il senatore Morra, può permettersi di usare nei loro confronti atteggiamenti intimidatori o arroganti“, aveva scritto. “Né può addossare a medici ed infermieri i ritardi ed incapacità della classe politica in primo luogo”.

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Conte incontra Letta e dice: “Pd interlocutore privilegiato, ora si apre un cantiere. Al lavoro per un progetto che rilanci il M5s”

Circa un’ora di incontro, non al Nazareno ma nella sede della fondazione Arel, Agenzia di ricerche e legislazione fondata da Nino Andreatta. Il primo incontro tra Giuseppe Conte ed Enrico Letta, dunque, non è stato esattamente in terreno neutrale. Ma neanche in casa del Pd. Il nuovo segretario dem ha voluto accogliere l’ex presidente del consiglio nella sede della fondazione che gestisce la sua Scuola di Politiche. Un luogo di studio per i due ex premier che di lavoro fanno i docenti universitari. E che oggi guidano due tra i principali partiti italiani.

Conte, tornato a insegnare all’università di Firenze dopo l’addio a Palazzo Chigi, ha accettato di partecipare al rilancio dei 5 stelle. Letta ha accettato di tornare da Parigi, dove dirigeva la School of International Affairs di Sciences Po, per prendere in mano il Pd dopo le dimissioni di Nicola Zingaretti. Ecco perché l’incontro tra i due era atteso. Per Conte si è trattato “un confronto molto proficuo, molto utile, abbiamo parlato del piano vaccinale della necessità di sostenere famiglie imprese e lavoratori. Si apre un cantiere dobbiamo lavorare per creare la giusta sinergia e nel nuovo M5s il Pd sarà sicuramente un interlocutore privilegiato“. Un’interlocuzione destinata a partire già in vista delle prossime comunali: “Chi va da solo è meno efficace e, a partire dalle prossime amministrative ce la volontà di confrontarci per trovare soluzioni più efficaci”.

Sui contenuti del colloquio, Conte spiega che hanno parlato “delle urgenze attuali, delle emergenze, del Piano vaccinale, della necessità di sostenere famiglie imprese e lavoratori. Siamo entrambi molto preoccupati per le prospettive future rispetto alle difficoltà economiche e sociali. E’ importante completare il Recovery plan”. L’ex premier conferma di stare lavorando al rilancio del Movimento. Quando illustrerà il suo progetto? “Quando lo avrò completato, stiamo lavorando, è un progetto che vuole rilanciare il M5S in tutte le sue componenti”. Sullo scontro in corso con Davide Casaleggio e l’associazione Rousseau, che gestisce la piattaforma online dove i 5 stelle tengono le loro consultazioni interne, Conte ha cercato di buttare acqua sul fuoco: “Rousseau è una piattaforma che sin qui abbiamo utilizzato, non vedo perché si debba decidere oggi di non usarlo più”. Poi però non rinuncia al suo vocabolario da legale: “Ci sono ruoli e pretese da chiarire e spero di comporre amichevolmente”.

Le parole di Conte provocano reazioni, soprattutto dal fronte dei 5 stelle. “Si apre un cantiere per le prossime amministrative. Sarà importante il lavoro comune per comune, partendo dai temi. Si può fare bene. Con Italia Più 2050 vogliamo dare una mano al MoVimento 5 Stelle per mettere radici sui territori”, twitta Giuseppe Brescia presidente della commissione Affari Costituzionali della Camera e deputato dei 5 stelle. “Molto positivo il dialogo tra Conte e Letta. È necessario aprire un cantiere in vista delle amministrative 2021. Ci sono tutte le premesse per fare un buon lavoro sui temi ed ottenere risultati importanti, insieme”scrive sui social il sottosegretario all’Interno Carlo Sibilia, pure lui dei 5 stelle.

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lunedì 22 marzo 2021

Comune di Roma, la compagna dell’assessore Lemmetti lascia l’incarico all’Urbanistica

Silvia Di Manno, compagna dell’assessore al Bilancio del Comune di Roma Gianni Lemmetti, a quanto apprende l’AdnKronos, ha rassegnato le dimissioni dal suo incarico in Campidoglio, con effetto immediato. La decisione arriva all’indomani della richiesta di un passo indietro da parte della sindaca Virginia Raggi che si era infuriata per il suo incarico da 23mila euro nello staff dell’assessore all’Urbanistica Luca Montuori. A sollevare il problema erano state non solo le opposizioni (e in particolare di centrodestra), ma anche esponenti dello stesso M5s. “La sindaca e la giunta facciano immediata chiarezza sulle ultime nomine venendo in Assemblea Capitolina a spiegare come si sono svolti i fatti e di chi sono le responsabilità – avevano scritto in una nota i consiglieri comunali Donatella Iorio, Marco Terranova e Angelo Sturni – Ci aspettiamo qualcosa di più rispetto ad annunci di revoche e giustificazioni legate ad assenze. Il sindaco ha la responsabilità di tutte le decisioni assunte dalla Giunta composta da assessori di sua fiducia pertanto non comprendiamo come le ultime nomine possano essere state deliberate a sua insaputa”.

La nomina era stata approvata dalla giunta mercoledì sera, in una riunione in cui era assente la Raggi. La 44enne, di Pietrasanta in provincia di Lucca, libraia, giovedì scorso era arrivata negli uffici dell’assessorato per conoscere i nuovi colleghi e firmare il contratto. Il Pd ha annunciato che porterà il caso in commissione Trasparenza, la Lega anticipa un esposto alla Corte dei Conti.

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domenica 21 marzo 2021

Beppe Grillo detta le regole per i talk show ma è una propaganda facile da smascherare

Beppe Grillo ha chiesto rispetto per gli esponenti 5 stelle, a suo dire maltrattati dai conduttori televisivi delle trasmissioni alle quali partecipano. La lista delle malefatte dei conduttori compilata da Beppe Grillo è lunga: gli inquadrano i calzini, li interrompono, gli danno la parola per un tempo inferiore a quello dei loro avversari, etc. Per carità, colpe molto gravi; ma stupisce che l’accusatore non possa vantare uno specchiato passato di rispetto dell’avversario: a mio parere Beppe Grillo ha costruito il M5S sull’attacco sistematico e sulla denigrazione di tutti gli avversari, politici e non, al punto di collezionare varie condanne per diffamazione. E non vale dire che alcune di queste precedevano la fondazione del M5S perché Gianroberto Casaleggio scelse Beppe Grillo come frontman proprio per la fama costruita in decenni di spettacoli.

Ricordiamo qualche episodio, a beneficio dei lettori più giovani. Ricordiamo ad esempio gli attacchi a Rita Levi Montalcini, Premio Nobel e Senatore a vita, all’epoca già ultranovantenne, e al Prof. Franco Battaglia: “Beppe Grillo condannato per diffamazione aggravata del professore dell’università di Modena Franco Battaglia. […] Grillo è stato condannato a un anno di reclusione per diffamazione aggravata dalla recidiva per la precedente condanna, sempre per diffamazione, ai danni del premio Nobel Rita Levi-Montalcini, definita -vecchia p…-“, e accusata di essersi fatta comprare il Nobel dalle industrie farmaceutiche. Sarebbe bello poter dimenticare, se soltanto fosse possibile dimenticare per sempre anche Beppe Grillo; ma poiché Grillo è attivo in politica, ricordare è un dovere. Gli episodi di insulti minori sono così numerosi che ricordarli tutti è impossibile: da Veronesi/Cancronesi a Bersani/Gargamella a Napolitano/Morfeo, etc. Qualunque lettore con minimo uso di Google ne può trovare infiniti.

Sarebbe facile affermare che Grilllo e i suoi seguaci il rispetto dovrebbero meritarselo, e per me non lo meritano; ma questa linea di pensiero sarebbe riduttiva rispetto alla reale gravità di quello che succede sotto i nostri occhi. Alla fin fine, il punto non è che Grillo predica bene e razzola malissimo. Il punto è invece che Beppe Grillo, quando sembra predicare bene, adotta una strategia propagandistica da attore consumato che alterna attacchi veementi agli avversari, reali o presunti (attaccare gli scienziati è un modo per attaccare l’impianto costruttivo delle nostre società, che vivono di tecnologia) con le pretese di essere vittime di “poteri forti” che quando ti intervistano ti inquadrano i calzini. Questa propaganda va smascherata per quello che è: un tentativo di guadagnare il favore del pubblico presentando il lupo come se fosse l’agnello.

Di fronte ad una critica come questa è facile prevedere che i sostenitori del M5S opporranno la loro difesa consueta: Beppe Grillo sarà pure un pregiudicato, ma non è un esponente del M5S e comunque gli altri partiti sono peggio. Non c’era forse nella DC chi trescava con la mafia? A parte l’ovvia considerazione che il menopeggismo è un argomento debole, bisogna fare questa riflessione: nella DC c’era chi trescava con la mafia, ma c’erano pure fior di galantuomini (e mi spiace che non ci sia un termine equivalente per le donne): visto che quest’anno ricorre il quarantesimo anniversario della scoperta della loggia P2 mi piace ricordare l’On. Tina Anselmi, DC ed ex partigiana, che guidò a suo tempo la commissione parlamentare d’inchiesta. Nel M5S purtroppo non c’è nessuna Tina Ansemi a bilanciare gli insulti di Beppe Grillo e i misteri dei due Casaleggio; al massimo c’è Giuseppe Conte che non insulta nessuno ma neppure si dissocia da Beppe Grillo e dagli altri suoi colleghi che lo fanno.

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venerdì 19 marzo 2021

Come sarebbe una terapia di gruppo tra Pd, M5s, Lega, Italia viva e Forza Italia? La “prova” del Terzo Segreto di Satira è esilarante

Cosa succede se metti insieme Partito democratico, Italia Viva, Movimento 5 stelle, Lega e Forza Italia in una stanza per fare terapia di gruppo? La “prova” fatta dal Terzo segreto di satira, con un video pubblicato sulla loro pagina Facebook, dal titolo “Domino, Incoerenti Anonimi. Primo tassello…” è esilarante. Così se da una parte il Pd ammette di “dire di essere un partito di sinistra, e poi invece non lo siamo”, dall’altra la Lega sottolinea di avere ancora un po’ di coerenza “odiando ancora i ne***”. E Forza Italia? Forse ha sbagliato stanza.

La clip anticipa Domino, una una serie di storie serie. Online dal 24 marzo.

Video Facebook/Il terzo segreto di satira

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Grillo: “I talk cambino approccio. Gli ospiti M5s in tv devono poter esprimere i concetti senza interruzioni, rispetto per gli spettatori”

No a inquadrature “spezzettate” né interruzioni per non immolare “il rispetto della persona sull’altare dell’audience”. Insomma: “Questa non è informazione, ma intrattenimento di bassa lega che sfocia in propaganda da quattro soldi”. Quindi la richiesta: “Che i nostri portavoce, ospiti in trasmissioni televisive, siano messi in condizione di poter esprimere i propri concetti senza interruzioni di sorta per il tempo che il conduttore vorrà loro concedere, e con uguali regole per il diritto di replica, che dovrà sempre essere accordato”. Con un post sul suo sito, intitolato “L’etica dell’informazione”, Beppe Grillo chiede “poche regole” ma “di buon senso” per le trasmissioni politiche. Una questa, scrive, anche di “rispetto” nei confronti dei telespettatori.

“La transizione MiTe impone un diverso approccio, etico e riguardoso della persona e della sua immagine anche negli spazi televisivi dedicati alla politica ed ai suoi approfondimenti. Il cittadino ha diritto di essere informato sui contenuti”, si apre così il ragionamento del fondatore e garante del Movimento 5 stelle. “Non è più tollerabile che il dibattito sui temi che interessano ai cittadini venga svilito da una sorta di competizione al ribasso dove vince chi urla più forte. Non è più accettabile che le immagini dei servizi e degli ospiti in studio vengano svilite con inquadrature spezzettate e artatamente indirizzate”, scrive ancora. Quindi la sferzata: “Non è più ammissibile che l’ospite in trasmissioni televisive (rappresentante politico, esperto, opinionista, ecc) venga continuamente interrotto quando da altri ospiti, quando dal conduttore, quando dalla pubblicità, che determina il livello del programma fomentando la litigiosità ed immolando il rispetto della persona sull’altare dell’audience”.

Un modo di fare televisione – aggiunge – che “non serve a informare, ma a propinare le posizioni degli editori o dei conduttori di turno e queste non interessano ai cittadini”. In questo modo l’informazione, scrive ancora, diventa “intrattenimento di bassa lega che sfocia in propaganda da quattro soldi”. Fin qui le premesse, poi l’annuncio: “D’ora in poi, per rispetto dell’informazione e dei cittadini che seguono da casa, chiediamo che i nostri portavoce, ospiti in trasmissioni televisive, siano messi in condizione di poter esprimere i propri concetti senza interruzioni di sorta per il tempo che il conduttore vorrà loro concedere, e con uguali regole per il diritto di replica, che dovrà sempre essere accordato”.

Non la sola richiesta per le ospitate: “Chiediamo, inoltre, che i nostri portavoce siano inquadrati in modalità singola, senza stacchi sugli altri ospiti presenti o sulle calzature indossate, affinché l’attenzione possa giustamente focalizzarsi sui concetti da loro espressi. Poche regole, di buon senso oltre che di buona educazione, che se osservate – conclude Grillo – consentiranno ai portavoce del M5S di presenziare a trasmissioni televisive con la giusta considerazione e il dovuto rispetto nei confronti dei telespettatori”.

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giovedì 18 marzo 2021

Cartelle esattoriali, Di Nicola: “Condono? Messaggio devastante. M5s non ceda, ottenuti milioni di voti grazie a lotta all’evasione”

“Lo stralcio delle cartelle esattoriali previsto nelle bozze del Decreto Sostegni? Un condono mascherato, l’ennesimo premio agli evasori.Io voterò contro in Senato. Bisogna dire basta”. A rivendicarlo ai microfoni de IlFattoquotidiano.it è il senatore del M5s Primo Di Nicola, in merito alla misura prevista nelle bozze del decreto (che dovrebbe essere approvato venerdì in Consiglio dei ministri, ndr), che prevede la cancellazione di tutte le cartelle esattoriali fino a 5mila euro risalenti agli anni dal 2000 al 2015. “Il M5s non ceda, sarebbe ingiustificabile“, prosegue.

Sull’intervento la maggioranza eterogenea del governo Draghi non ha ancora trovato una sintesi. Da una parte Lega e centrodestra, con i leghisti in particolare che puntavano ad aumentare la prescrizione fiscale delle cartelle fino a 10 mila euro, dall’altra LeU e sindacati che invece fanno opposizione all’intervento, contrari al ‘condono’, mentre nel Pd non mancano i malumori. E il M5s? Favorevole al provvedimento è la viceministra all’Economia Laura Castelli, mentre tra i gruppi c’è chi si dice contrario, come il senatore Castaldi (che vorrebbe abbassare la soglia a soli 1000 euro, ndr) o lo stesso Di Nicola. “La posizione di Castelli? Non voglio parlare di singole persone, ma ricordo che in campagna elettorale nel 2018 il M5s era stato netto sulla lotta all’evasione fiscale. Abbiamo ottenuto milioni di nostri voti manifestando questa posizione. Ma io sono fiducioso che non ci sia questo cedimento”. E ancora: “Ho fiducia anche nel presidente del Consiglio Mario Draghi: non si leghi all’ennesimo provvedimento in favore degli evasori fiscali, perché senza giustizia fiscale in questo Paese non può esserci autentica democrazia”.

Per Di Nicola serve invece “una svolta nella politica fiscale”: “Dire no al condono, sì alla sospensione delle cartelle, magari in attesa della prossima dichiarazione dei redditi” in modo tale da verificare “chi non ha davvero risorse per pagare il dovuto o chi può fare invece il proprio dovere fiscale”.

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La “missione” degli ex-M5s passati a FdI: “Portare avanti valori importanti come il patriottismo”. Anche la senatrice Drago con Giorgia Meloni

Da “io ho radici di centrosinistra” a “non sono un cambiacasacca“. Ma anche: “Ho riscontrato che qui il patriottismo è fondamentale, un valore che ho sempre portato avanti”. Sono le posizioni dei tre parlamentari ex Movimento 5 stelle passati, ufficialmente, a Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Si tratta di Tiziana Drago, secondo cui ora il ponte sullo Stretto di Messina è fondamentale (“ma non perché sono entrata in FdI”, precisa), Massimiliano De Toma e Rachele Silvestri.

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domenica 14 marzo 2021

Pd-M5s, Gianfranco Pasquino: “Credo che la coalizione non si farà”. E su Conte: “Uomo intelligente ma non è leader adatto al momento”

Il politologo Gianfranco Pasquino, ospite della diretta Millennium Live, con Fabrizio D’Esposito, Peter Gomez e Mario Portanova, ha parlato della situazione politica attuale e, in particolare di Giuseppe Conte. L’ex premier è stato a paradigma della speranza per l’area progressista di avere il leader forte che non ha mai avuto. Un punto di vista con cui Pasquino sembra non essere d’accordo: “Per quello che riguarda Conte non so se abbia già definitivamente accettato (di essere il leader M5S ndr), è probabile. Io vedo dei problemi. Durante la sua attività di governo ha dimostrato di saper imparare, è diventato un uomo più competente, più capace, più equilibrato. Però un conto è essere capo del governo, un conto è essere capo di un movimento politico o di uno schieramento politico. Lì la musica cambia”. E, continua il politologo: “Deve andare a cercare i voti, deve fare campagna elettorale, una sfida per lui, una sfida importante, perché tradurre il consenso che aveva come capo del governo, in un consenso come capo del M5s o come capo di una coalizione non è la stessa cosa”. E sulla possibilità che si formi una coalizione Pd-M5S alle prossime elezioni: “Io dubito che il Pd accetti di avere Conte come capo coalizione. Credo che non faranno una coalizione, perché la legge elettorale gli consente comunque di presentare candidati senza dire chi è il candidato alla presidenza del consiglio… credo che Letta nei suoi sogni stia ancora pensando pensi di poter tornare a fare il presidente del consiglio… Conte è in grado di fare una campagna elettorale che si presenta certamente durissima? Perché Salvini e Meloni non rinunceranno a nulla… poi Conte ha dimostrato di essere uomo intelligente, ma è la struttura del suo argomentare che non ne fanno un capo politico in questa fase”.

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Pd, Letta: “Dobbiamo incontrare il M5s guidato da Conte, fondamentale una nuova coalizione di centrosinistra”

“Dobbiamo pensare che abbiamo vinto e governato quando abbiamo fatto coalizione. Quando siamo andati per conto nostro abbiamo perso. 1996 e 2006, eravamo guidati da Prodi. La coalizione è fondamentale: io ci credo. Ad aprirsi ci si guadagna sempre. Dobbiamo costruire un nuovo centrosinistra, su iniziativa e leadership del Pd. Parlerò nelle prossime settimane parlerò con tutti. L’incontro col M5s guidato da Conte lo dobbiamo fare,sapendo che non sappiamo ancora come sarà quel M5s. Arriveremo con rispetto a ambizione“. Lo ha detto Enrico Letta nel suo intervento in assemblea Pd.

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Enrico Letta da oggi alla guida del Pd – Il rapporto con Conte e il futuro del patto con il M5s: il reddito di cittadinanza, l’ambiente, l’Europa

L’impresa sulla carta è titanica: (ri)prendersi il Partito democratico, sopravvivere alle correnti interne e cercare di rilanciare un progetto politico che rischia di affossarsi definitivamente. Il Pd, tra le vittime della manovra di palazzo dell’ex pupillo Matteo Renzi, paga il debito con il tradito per antonomasia Enrico Letta e gli affida la segreteria del partito. Archiviati i convenevoli, ora si apre la partita più complessa. Il momento storico per l’ex presidente del Consiglio è propizio: è stato lui il primo a sinistra ad aver fatto un governo politico con Silvio Berlusconi (era il 2013) e non può che trovarsi a suo agio in un’esecutivo Draghi nato in nome dell’europeismo. Ma questa è solo una parte del racconto: perché non ne parla più nessuno (o quasi), ma il nodo cruciale sarà definire e strutturare il rapporto con il Movimento 5 stelle. L’ex segretario Nicola Zingaretti ha indicato la strada: “Il Pd sia autonomo in alleanze competitive”. Ovvero, ripartire e non archiviare l’esperienza del governo giallorosso. C’è già chi evoca un ritorno dell’Ulivo, ma il modello regge solo in parte: perché il progetto funzioni, servirà unione sì, ma anche forze radicalmente diverse e capaci di interpretare tempi nuovi.

Decisivo sarà quindi il rapporto di Enrico Letta con Giuseppe Conte e il Movimento 5.0, quel M5s rifondato da Beppe Grillo in nome della transizione ecologica. Ma il Pd è d’accordo? Ci sta? Fa sul serio? La coalizione, al momento, è l’unica strada per sperare di avere un futuro elettorale, ma sono tante le spinte di chi chiede di ripartire prima di tutto dalla propria identità. Il discorso non potrà che andare di pari passo: perché chi o cosa il Partito democratico deciderà di diventare, influenzerà la possibilità che i 5 stelle siano della partita. Letta è stato il primo a scontrarsi in Parlamento con l’opposizione M5s, ma era un’altra epoca politica e negli ultimi mesi, dal suo osservatorio neutrale dall’estero, ha più volte mandato apprezzamenti a Conte. E lo ha fatto prima e con più entusiasmo di tanti suoi colleghi di partito. Da quella stima dovrà ripartire per aprire un dialogo e decidere i contorni del progetto. Intanto un primo successo l’ha già avuto: fare pulizia dei renziani. Si racconta di un ex candidato in pectore alla segreteria Stefano Bonaccini su tutte le furie e l’umore non dev’essere dei migliori per il senatore di Rignano: dopo tutta la fatica per far saltare il Conte 2, si trova di colpo i suoi due nemici giurati alla guida della rigenerazione dei due partiti di cui voleva l’implosione. Basta per unire gli intenti? No, ma almeno è un inizio.

Il passato – L’ultimo libro di Letta è del 2019 e si intitola Ho imparato. In quel testo, dedicato ai suoi studenti, l’ex premier scrive che il tradimento di Renzi è stata quasi una benedizione, una vera “lezione di vita”. Non gli crediamo: o meglio, di essere pugnalato senza che il partito battesse ciglio, ne avrebbe fatto volentieri a meno, ma sicuramente l’esilio ha fatto molto bene alla sua carriera. E ora può tornare in Italia da “nuovo”, ripulito dai rancori e dalle dinamiche stantie dei vecchi giochi politici. Lui che presidente del Consiglio è stato per poco meno di un anno, all’estero ha trovato un’ulteriore legittimazione. In Francia è arrivato nel 2015, dopo essersi dimesso da parlamentare e mai scelta fu strategicamente più azzeccata: l’ex premier è diventato direttore della scuola di Affari internazionali della prestigiosa Sciences Po. Lui che aveva iniziato come capo segreteria alla Farnesina nel 1996 del suo mentore Beniamino Andreatta e che nel 1998 Massimo D’Alema volle come ministro più giovane di sempre alle Politiche comunitarie. Quando Letta è arrivato alla corte dei rampanti studenti parigini, era un ex premier affossato dal suo stesso partito in cerca di una nuova vita. Le slide di quei giorni sono un pezzo di storia politica del nostro Paese: la direzione Pd che si riunisce per sfiduciarlo, le dimissioni, il passaggio della campanella nel clima funereo della peggiore delle manovre di palazzo.

Tutto questo, l’esilio parigino ha permesso di lasciare alle spalle, dando al tempo la possibilità di sanare le ferite. Così mentre i colleghi in Italia si avvitavano su beghe interne di partito, incassando sconfitte elettorali e ingoiando compromessi, lui da lontano inizia a giocare la partita da padre nobile ritrovato. Lui che per anni era stato additato come il politico grigio incapace di scaldare gli animi e raccogliere abbastanza voti, diventa addirittura la star del salotto di Twitter, il luogo del delitto dove nel 2014 venne pugnalato da Renzi con l’hashtag #enricostaisereno. Si ricava uno spazio tutto suo e, libero dalle pressioni, rilancia tutte quelle battaglie che dovrebbe fare la sinistra: la difesa dell’Europa come la liberazione di Patrick Zaki. Fa una cosa, in questo molto simile a Conte: nel momento di più grande delusione, si ritira e sceglie un altro percorso. E nel suo farsi parte, acquista credibilità.

Paradossalmente la lontananza e il tradimento subito, hanno permesso a Letta di riscattarsi anche agli occhi dei 5 stelle. Con i quali i rapporti erano sempre stati tutt’altro che idilliaci. Letta infatti, è nipote di quel Gianni braccio destro di Silvio Berlusconi e nell’anno dello tsunami di Beppe Grillo, lui impersonava le larghe intese e tutto il peggio che ne potesse derivare. Letta è il fondatore di VeDrò, think tank estivo sul Lago di Garda, che quando ancora non andava di moda, riuniva allo stesso tavolo i volti più promettenti dei vari partiti da destra a sinistra. In quella cornice sono passati tanti di quelli che si sono visti dopo (da Lorenzin alla coppia Boccia-De Girolamo alla De Micheli), perfino Renzi quando era solo sindaco di Firenze. Del resto Letta è stato il primo della sinistra a fare un governo politico con l’ex Cavaliere e per il M5s quello era un peccato inaccettabile. In quell’anno di governo, l’opposizione dei 5 stelle non si è risparmiata, con Beppe Grillo ancora in prima fila. “Basta incitare alla violenza e fare maceria della democrazia rappresentativa”, lo sfidò l’ex premier in Aula a dicembre 2013. Il garante rispose su Facebook: “Mente e ci offende”. Erano “solo” otto anni fa, nel frattempo è cambiato il mondo.

Il presente – Nel presente di Enrico Letta, o meglio il passato recente, non cambiano solo gli altri, ma cambia anche lui. Mentre infatti in Italia si susseguono i governi e le stagioni elettorali, lui si concentra sull’insegnamento. E non solo nella cornice dorata di Sciences po. Sulla scia delle vecchie esperienze, crea la Scuola di Politiche che ogni anno, dal 2015, prepara 100 “talenti” tra i 18-26 anni. E che culmina in una Summer school estiva con ministri, leader e politici di ogni tipo. Un’iniziativa tutt’altro che di nicchia e che permette a Letta di coltivare quella che è sempre stata una delle sue armi: la rete. Nel frattempo, mantiene un piede nei dem, diventando uno dei primi sostenitori di Zingaretti. A marzo 2019, mentre il Pd affrontava le primarie, riprende la tessera dopo cinque anni di pausa. E’ l’inizio del disgelo. Così mentre i suoi colleghi entrano nell’esperienza giallorossa, lui da lontano lancia segnali di sostegno.

“Non ci sono alternative a un’alleanza permanente con i 5 stelle”, scandisce a maggio scorso su Radio Capital. Quattro mesi dopo si schiera per il taglio dei parlamentari: “Voterò sì convintamente”, dice e nel Movimento non passa inosservato. Senza dimenticare le varie aperture sul reddito di cittadinanza: “E’ importante avere interventi per dare una base di dignità a tutti i cittadini”, dice a gennaio 2019. “Spero che venga migliorato, ma in una democrazia moderna è bene che ci siano misure così”. Concetto poi ribadito al Fatto quotidiano neanche un mese dopo: “E’ un primo passo per affrontare un grave problema di marginalità”. E se il Pd lo ha rinnegato all’inizio è perché “era senza guida e comandava ancora Matteo Renzi“. Ma al di là dei temi, Letta è anche tra i più strenui difensori del governo giallorosso e in particolare di Giuseppe Conte. Nelle sue ultime e mirate interviste sui quotidiani italiani, si schiera con l’esecutivo e il presidente del Consiglio: “Tutti buoni a criticare ora, ma ha lavorato in una condizione difficilissima e da far tremare i polsi”, dice a luglio. Mentre a dicembre rilancia: “Il governo giallorosso era l’unico possibile e per questo occorre continuare a rafforzarlo nell’interesse del Paese”. E mentre Renzi sferra il colpo di grazia, l’ex premier al Corriere dichiara che Conte “ha fatto molto bene a sfidare Renzi“. Una delle ultime frasi che, lette oggi, suonano premonitrici è del 4 febbraio: Conte fa l’ultimo discorso davanti a Palazzo Chigi e dà la disponibilità a continuare il suo impegno con M5s e Pd, Letta su Twitter scrive: “I miei complimenti a Conte per le parole chiare e dignitose di oggi”. Più che un attestato di stima, uno schieramento di campo.

Il futuro – Quello però era prima, ora inizia la fase più difficile: disegnare e inventarsi il dopo. Il rapporto tra Conte e Letta non parte da zero. E questo, se non altro nella predisposizione reciproca al dialogo, non sarà indifferente nelle tappe dei prossimi mesi. Il Pd in crisi nera nei sondaggi (e non solo), complice molto probabilmente la situazione di stallo dopo le dimissioni di Zingaretti, dovrà fare i conti con il balzo in avanti del Movimento sotto la guida dell’ex premier. Su molti punti i due leader possono intendersi: la carriera universitaria, la formazione cattolica, lo stile moderato nei modi e nei toni. E non da ultimo, la ritrovata centralità dell’Europa, senza escludere interventi di riforma per avvicinarla sempre di più ai cittadini (lo dice da sempre Letta, lo ha detto Conte nel suo discorso all’università di Firenze). E’ una fase cruciale, ma anche prematura. Entrambi prendono in mano due partiti in piena “rigenerazione”, ma a condizioni diverse: il primo gode del massimo della popolarità e dovrà cercare di capitalizzarla, il secondo arriva sull’orlo del burrone e dovrà dare la sterzata giusta per evitare che frani tutto. Entrambi sanno però, che il tema del dialogo tra Pd e M5s dovrà essere al centro di ogni nuovo progetto: l’intergruppo nato in Senato alla vigilia della fiducia a Draghi è stato un assaggio (senza troppo entusiasmo), ma su quella base dovrà innestarsi il lavoro.

Prima di sedersi al tavolo e trattare gli equilibri di una coalizione, ogni forza dovrà aver ben chiaro chi è e chi rappresenta. Il problema per Letta sarà capire dove intende portare il suo partito. Perché se la strada è quella del dialogo con altre forze, probabilmente questo comprenderà gli ex amici alla sua sinistra (il primo Pierluigi Bersani, poi Elly Schlein e Vasco Errani) e dall’altra parte, Azione di Carlo Calenda o +Europa di Emma Bonino. E allora però, il Pd di Enrico Letta dovrà scegliere se guardare più a sinistra o tenere un dialogo aperto anche con le forze neoliberali. E quanta importanza dare alle politiche sociali, quel pilastro che ha più volte invocato per l’Ue, e che in tutto e per tutto può creare un ponte con i 5 stelle. Una scelta identitaria che influenzerà anche il modo in cui decideranno di stare dentro al governo Draghi: se subiranno le scelte in nome della responsabilità nazionale o se decideranno di incidere senza accettare tutto a qualsiasi costo.

L’altro tema cruciale sarà l’ambiente. Roberto Cingolani alla guida del ministero della Transizione ecologica chiesto dai 5 stelle, tra le prime apparizioni vanta quella sul palco di VeDrò, quindi già osservato speciale di Enrico Letta. E questo non può che avvicinare il neosegretario al mondo 5 stelle. La domanda è sempre la stessa: quando il Partito democratico si deciderà a puntare sull’ecologia e l’ambiente? O si farà mangiare quel campo dal Movimento 5 stelle? Pochi giorni fa il sindaco di Milano Beppe Sala ha annunciato l’adesione ai Verdi Europei, lanciando un segnale che a sinistra dovrebbe allarmare: il Pd si è fatto sottrarre, finora, tutte le battaglie ambientaliste e chi vuole sfruttare la bandiera ecologista deve cercare altre case. Ecco, se i democratici vogliono sopravvivere alla più difficile delle crisi, la transizione ecologica sarà uno degli appigli fondamentali ai quali aggrapparsi: un punto su cui dialogare con il Movimento e su cui rilanciare la propria immagine. Infine resta un altro nodo e per niente secondario: la partecipazione femminile. La rivolta interna, dopo che la gestione Zingaretti non ha portato al governo neanche una ministra donna, è stata trattata con sufficienza da troppi e rischia di avere effetti soprattutto sulla credibilità del partito. Letta, abituato al clima europeo (che sul tema è avanti anni luce rispetto all’Italia), sa bene che se il Pd vuole rinnovarsi deve garantire una rappresentanza plurale e che agli annunci seguano fatti concreti.

L’impresa è impossibile? Forse. Certo, messa giù così sembra quantomeno un’utopia e probabilmente solo un ex leader con un attaccamento emotivo (o un conto in sospeso) poteva sobbarcarsi il viaggio. Il segretario Letta come prima cosa ha chiesto “la verità nei rapporti”. Che detto alla platea che ti ha cacciato e ha poi ottenuto la testa di Zingaretti con i stessi modi oscuri, suona un po’ illusorio. Ma una cosa è chiara a tutti: o così o niente, per la vita del Partito democratico è l’ultima chance.

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giovedì 11 marzo 2021

Alla Camera il convegno su equità e riforma fiscale con Peter Gomez: la diretta

La diretta del convegno alla Camera dei deputati “L’equità nell’Italia del futuro. Proposte per un fisco intelligente”, organizzato dal gruppo del Movimento 5 stelle. Tra i partecipanti il sociologo Domenico De Masi, l’economista della Scuola Superiore Sant’Anna, Andrea Roventini, il direttore de ilFattoQuotidiano.it Peter Gomez e il capogruppo della commissione Finanze, Vita Martinciglio.

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mercoledì 10 marzo 2021

Pd, Orfini: “Serve un segretario che ci porti al Congresso per archiviare l’alleanza col M5s”

Eleggere un segretario per giungere appena si potrà al congresso con le primarie che archivi l’alleanza con il M5s. Questa è la posizione di Matteo Orfini in vista dell’Assemblea nazionale del Partito democratico, fissata per domenica, indetta dopo le dimissioni del segretario dem Nicola Zingaretti. L’ipotesi di un congresso a breve, anche a causa della pandemia sembra escluso, anche se Lorenzo Guerini, ministro della Difesa e leader di ‘Base riformista’, uscendo dal Senato dribbla le domande dei giornalisti, limitandosi a un ovvio “sarà l’assemblea a decidere”. Mentre l’ex presidente del Partito democratico articola la sua riflessione, partendo dalle parole dette in tv da Rocco Casalino e che hanno scatenato un putiferio all’interno del Pd. “Anche se poco dopo si è scusato per l’orribile scelta lessicale, ma confermando la sostanza delle sue affermazioni – afferma Orfini – dimostra quanto noi siamo distanti e alternativi a questa idea di fare politica. Abbiamo perso un anno coltivando questa subalternità al M5s e annullandoci nel ‘contismo’ e oggi si vedono gli effetti con i sondaggi che ci danno al 16%”.

Per Orfini, che non risparmia critiche alla segretaria uscente “ora serve eleggere un segretario unitario, che ci porti al congresso il prima possibile e che ci faccia discutere, archiviando le forzature fatte da Zingaretti. Per me l’alleanza col M5s va archiviata anche conseguentemente alla legge elettorale” perché – spiega – se si propone al Paese il proporzionale non servono alleanza, segnalo che nei territori alle Regionali dove abbiamo sperimentato l’alleanza col M5s abbiamo perso, dove l’alleanza non c’è stata abbiamo vinto”.

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Sondaggi, con Conte il M5s continua a salire: a un punto dalla Lega. Il Pd ancora in calo dopo l’addio di Zingaretti

Dai sondaggi arriva un’altra conferma: la leadership di Giuseppe Conte sta facendo risalire il Movimento 5 stelle, mentre il Partito democratico dopo le dimissioni di Nicola Zingaretti continua a perdere consenso. Secondo la rilevazione di Emg per Cartabianca (Rai3), il M5s guadagna altri 0,2 punti percentuali e arriva al 21,4%: significa che se si votasse oggi sarebbe a solo un punto di distanza dalla Lega. Il partito di Matteo Salvini resta infatti primo, ma rispetto a una settimana fa vede sparire un altro 0,4% e si ferma al 22,5 per cento. Anche il Pd, come detto, è in calo costante e si conferma come il quarto partito, al 14%. Lo stesso trend fotografato lunedì dall’istituto Swg per il TgLa7, che (seppure con valori diversi) confermava il M5s come secondo partito e Fratelli d’Italia davanti ai democratici.

Il partito di Giorgia Meloni, l’unico all’opposizione del governo Draghi, è quello che ha guadagnato di più nell’ultima settimana secondo Emg: ora viene stimato al 16,4% (+0,6). FdI ha superato il Pd, ma a sua volta è stato scavalcato dal M5s, che dopo l’incontro tra Beppe Grillo e l’ex premier Conte del 28 febbraio scorso ha cominciato a recuperare consenso fino ad arrivare a insidiare la leadership della Lega: evidente il travaso di voti dal Pd, che invece ha cominciato una parabola inversa, accentuata poi dall’addio del segretario Zingaretti.

Dopo il Pd seguono a distanza i partiti più piccoli. Forza Italia viene stimata al 6,8% (+0,2), Italia Viva di Matteo Renzi scende al 4,3%, Azione di Carlo Calenda rallenta al 3,2%, così come Europa Verde e PiùEuropa sono ferme all’1,8%. Sinistra Italiana risale all’1,7%, davanti ad Articolo 1-Mdp e a Cambiamo di Giovanni Toti. Significativa però resta la percentuale di persone che si dichiarano indecise o in questo momento non voterebbero: sono il 41,3 per cento degli intervistati.

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martedì 9 marzo 2021

M5s, Toninelli: “Rottura nel Movimento? Assolutamente no. Basta braccio di ferro al nostro interno, fa male a noi e al Paese”

Non c’è nessun rischio di rottura. Nel M5s la democrazia diretta vive grazie a Rousseau e quindi se c’è chi crede che non si può vivere senza di questa deve lasciare. Rousseau non esiste senza il Movimento. Basta con questo braccio di ferro insopportabile al nostro interno, ci indeboliamo noi e si indebolisce il Paese”. Così il senatore M5s, Danilo Toninelli, parlando del manifesto ControVento che verrà lanciato domani. “Beppe è una figura che ha rivoluzionato la politica italiana. Ora speriamo che il Pd risolva i suoi problemi e noi i nostri. Conte potrà aiutarci a far risollevare la testa al Movimento”.

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Zingaretti lascia, Grillo provoca: per me dietro c’è qualcosa che non si ha la forza di dire

Nicola Zingaretti si dimette da segretario del Pd e Beppe Grillo si candida a suo sostituto. Una provocazione, certo, quella dell’ex comico, ma che (come tutte le provocazioni) nasconde qualcosa che non si ha la forza o la voglia di palesare.

Grillo ha accettato e (di conseguenza) fatto accettare alla gran parte degli esponenti del Movimento 5 stelle il governo Draghi, facendo digerire dei rospi oggettivamente indigeribili, su tutti il governo con Forza Italia. Anche Zingaretti si è rimangiato (o è stato costretto a farlo) il motto “o Conte o voto”, aderendo al governo Draghi, dove sono rappresentate tutte le correnti del PD tranne la sua. Ecco, secondo me, Zingaretti che lascia e Grillo che provoca, autocandidandosi a ricoprire il posto libero, sono la manifestazione di una mutazione politico-genetica.

Prima di Draghi c’era l’alleanza Movimento 5 stelle-Pd, un’alleanza di governo che, con Conte premier, aveva tutto quello che serviva per affrontare con una qualche speranza di successo le prossime elezioni politiche e cercare, così, di arginare lo strapotere delle destre tutte. Con il governo Draghi e con tutti i compromessi che quel governo ha imposto alle forze politiche che ne fanno parte, eccezion fatta per Forza Italia, si è generato una mutazione anomala e forzata verso posizioni che non erano proprie di queste forze politiche, ma che lo sono diventate per contingenze sanitarie e sociali, dunque di salvezza nazionale. Adesso non resta ad alcune di quelle forze (PD e M5S) che fare di necessità virtù, creando (se non sulla carta) nei fatti una sorta di mostro politico bicefalo, che dovrebbe raccogliere quella che con un certo ottimismo e con altrettanta fantasia potremmo definire la nuova sinistra moderna, rassicurante, moderata ed europeista.

Prima del governo Draghi c’era il Pd di Zingaretti e il Movimento 5 stelle governativo e istituzionalizzato che, pur lontano dai tempi eroici di Di Battista & co., non era, però, un partito come gli altri. Adesso che il Movimento 5 stelle è un partito di sistema, tant’è che strizza l’occhio a Conte come suo leader, il Pd cambia pelle e accetta in toto questa nuova alleanza, che diventa qualcosa di più, diventa una vera simbiosi nel nome di Draghi e della salvezza politica ed economica del nostro paese.

Insomma, a dispetto di chi canta alla sconfitta della politica, è tornata in campo la balena, che non è più bianca come la Democrazia Cristiana di un tempo, ma è giallo-rossa, dove sia il giallo sia il rosso sono molto stinti, a tratti indistinguibili. Zingaretti se ne è andato perché (io credo) non ha accettato tutto questo, non ha voluto traghettare il “suo” Pd, un partito che era comunque riuscito minimamente a risollevare dopo il disastro renziano, e pur lontanamente di sinistra, verso la fondazione di un mostro politico attraverso la presunta rifondazione draghiana (mi si passi il termine), alla quale le forze politiche che più hanno dovuto giustificare la partecipazione al governo Draghi, sono state costrette a subire.

Il blog Sostenitore ospita i post scritti dai lettori che hanno deciso di contribuire alla crescita de ilfattoquotidiano.it, sottoscrivendo l’offerta Sostenitore e diventando membri del Fatto social club. Tra i post inviati Peter Gomez e la redazione selezioneranno quelli ritenuti più interessanti. Questo blog nasce da un’idea dei lettori, continuate a renderlo il vostro spazio. Se vuoi partecipare sottoscrivi un’offerta volontaria. Potrai così anche seguire in diretta streaming la riunione di redazione, mandandoci in tempo reale suggerimenti, notizie e idee, sceglierai le inchieste che verranno realizzate dai nostri giornalisti e avrai accesso all’intero archivio cartaceo.

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sabato 6 marzo 2021

M5s, ok Conte come capo politico ma attenzione alla troppa rigidità

Appena l’altroieri eravamo rimasti al Movimento 5 Stelle che si spaccava in due a causa di quelli che non ci avevano capito nulla di quello che stava succedendo, ma tanto, cosa cambia? Il quesito su Rousseau era “lapalissiano”, sostanzialmente chiedeva questo: “preferisci accodarti al – verde – Draghi, scelto dal capo per pilotare il Movimento nella rivoluzione verde, o ribellarti ed essere sbattuto fuori?”. Il risultato è stato sorprendente, poiché il vertice politico M5S si aspettava un risultato “bulgaro” a favore del sì, invece ha vinto bene, sì, ma il 40% circa ha detto no e includeva anche alcuni eletti nel Parlamento che poi sono stati coerenti e hanno votato no anche nel voto di fiducia al governo Draghi, in Parlamento.

Se il 5Stelle fosse stato guidato da politici capaci di guidare la nave anche nella burrasca avrebbero capito subito la situazione, nata dallo sgambetto al premier orchestrato da Matteo Renzi, vero specialista in queste cose, intelligente e furbo, sì, ma inadatto a ruoli istituzionali in una seria democrazia. Si fa beccare andando in Arabia Saudita per intascare pochi euro sporchi di sangue quando con quelle sue capacità potrebbe diventare ricchissimo in poco tempo se facesse il Trader invece che il politico spacca-cabbasisi.

Io però queste domande me le facevo già a inizio gennaio e concludevo sospettando che l’ansia distruttiva di Renzi, allo scopo di dimostrare quanto è bravo, avrebbe potuto non fermarsi a Conte, ma allargarsi all’Italia intera perché la sua “bravura” ha un potere di contagio (porta sfiga) superiore a quello del virus versione inglese. Adesso tocca a Nicola Zingaretti subire le sue stimmate demoniache.

Il Pd infatti è stato per lungo tempo sotto il “controllo” di Renzi (capo del Partito, capo del governo e capo della maggioranza politica nel Parlamento, un insieme di poteri che prima di lui, in Italia, hanno avuto solo Berlusconi e Mussolini). Un potere che gli ha procurato tanti amici e collaboratori “riconoscenti” ma che, forse, gli ha anche dato un po’ alla testa. Difficilmente però potrà ora estendere a Draghi quel suo vizietto “deraglia-premier” iniziato con Enrico Letta e (per colpa dei freni inibitori che lui non conosce) continuato anche contro se stesso; troppo ampia la maggioranza che sostiene Draghi, e comunque si sa che lui non vuole elezioni anticipate.

Conte però è tornato a fare l’avvocato solo un giorno, poi è stato subito ripescato da Grillo che gli ha offerto nel Movimento (per adesso) il ruolo di capo politico e poi… si vedrà. In effetti è vero che, per essere un premier “cascato dal cielo”, senza nessuna precedente esperienza politica (e forse nemmeno amministrativa, essendo un legale puro) se l’è cavata molto bene, soprattutto perché ha fatto vedere che un politico, se vuole, riesce a fare persino quello che a Renzi è impossibile: mettere gli interessi delle gente davanti ai suoi personali.

Sembrerebbe che il prossimo 5 Stelle, sotto la guida di Conte, potrebbe somigliare molto alla vecchia Italia dei Valori, che io conosco bene essendone stato il suo primo dirigente all’estero (vedasi la foto del libro e della dedica che Di Pietro in persona mi ha dato a Milano).

Infatti io, proprio sul piano organizzativo, avevo iniziato negli Usa a fare un grande lavoro di apertura di contatti e ufficializzazione di Italia dei Valori presso tutte le sedi diplomatiche italiane in Usa e Canada, ma poi, per colpa del Responsabile Estero in Italia, in occasione delle prime elezioni per candidati italiani all’estero, mi sono ritrovato scavalcato nelle mie competenze e ho litigato forte con lui, finendo col mio abbandono immediatamente del partito (che comunque non ha ottenuto seggi né negli Usa né in Canada).

Volete sapere di chi parlo? Antonio Razzi! Di Pietro si è subito accorto che Razzi non aveva i requisiti per un compito così importante e difficile e lo ha presto “segato”, ma ha mantenuto la sua amicizia al “conterraneo” candidandolo in Svizzera, ma pagando poi salato in termini di immagine i suoi tradimenti, non essendo stato, tra l’altro, l’unico del suo “giro” a comportarsi a quel modo. L’ansia di crescere troppo in fretta è stato il principale motivo del crollo di IdV insieme, naturalmente, al tradimento di molti, più interessati ai fasti che alla vera gloria.

Il numero della scorsa settimana de L’Espresso conteneva un interessante articolo su questo poco noto esordio comune tra IdV e M5S. Forse Grillo e Gianroberto Casaleggio hanno potuto fare tesoro, all’inizio, di quell’esperienza, ma adesso, per la troppa rigidità applicata in certe regole, rischiano di buttare nel fiume anche il bambino, insieme all’acqua sporca. Grillo può essere un’ottima guida “ideologica”, è un vero intellettuale nonostante faccia il comico, ma non idoneo (salvo le piazzate coi “vaffa”) a guidare e parlare attraverso i media.

Le regole rigide possono fare molto bene in certi momenti e molto male in altri. Non possono essere scritte su una tavola di pietra, devono essere interpretate da un saggio capo (come re Salomone) ma potrebbe essere Conte. Rousseau è già molto utile ma è ancora ben lontano dalla realtà di poterlo chiamare strumento di Democrazia Diretta. Il Movimento 5 Stelle ha ottime idee e alcune ottime persone. Le altre devono essere guidate e organizzate, non espulse (salvo, se ci sono, i veri traditori dell’idea).

Ho finito lo spazio. Se avrò l’occasione spiegherò meglio le tante cose che vorrei poter dire a chi ha orecchie per ascoltare e traguardi da raggiungere, non solo ambizioni da soddisfare.

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