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lunedì 31 maggio 2021

Andrea Scanzi dedica L’affondo al Movimento 5 stelle: “Perché continuate a stare dentro a questo governo?”

Dopo l’ultima puntata dedicata al segretario della Lega Matteo Salvini, Andrea Scanzi dedica L’affondo – la rubrica in modalità video-selfie, disponibile tutti i martedì su TvLoft a partire dalle otto – al Movimento cinque stelle, che qualche mese fa decise di entrare dentro al governo Draghi, il cosiddetto “governo dei migliori”, su garanzia di Beppe Grillo il quale era convinto che Draghi fosse più grillino di lui. Il garante e Vito Crimi esultarono per il ministero della Transizione ecologica che però va al non tanto grillino Roberto Cingolani. Risultato: fuori dalle nomine importanti, ininfluenti dentro un esecutivo di cui dovrebbero tenere le redini, perché i Cinque stelle continuano a tenere in piedi questo governo?

‘L’affondo’ è un format realizzato da Loft Produzioni per il sito e la app di TvLoft nonché per la smart tv, disponibile online tutti i martedì dalle otto.

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domenica 30 maggio 2021

Uggetti, Conte: “M5s sta maturando ma resterà sempre intransigente su trasparenza e legalità. Durigon ancora al suo posto intollerabile”

Un lungo post su facebook per prendere posizione sul caso di Simone Uggetti dopo le scuse pubblice di Luigi Di Maio e spiegare quale è la posizione del Movimento 5 stelle. Ma anche per tornare a chiedere le dimissioni del leghista Claudio Durigon da sottosegretario alle Finanze. Giuseppe Conte torna a parlare da capo politico e lo fa nei giorni in cui il M5s è coinvolto dalle polemiche legate all’ex sindaco di Lodi, assolto in Appello per turbativa d’asta dopo la condanna a 10 mesi in primo grado. Polemiche legate anche alla lettera di scuse del ministro degli Esteri al Foglio. “Il Movimento 5 Stelle sta completando un processo di profonda maturazione collettiva al fine di presentare al Paese una proposta politica fortemente innovatrice, mirata a realizzare una società più equa e solidale, che consenta il pieno sviluppo della personalità di ognuno e garantisca migliori opportunità di vita a tutti. Una società ‘a misura d’uomo’, integralmente ecologica, in grado di garantire condizioni effettive di benessere equo e sostenibile a tutti i suoi membri”, è l’incipit dell’ex presidente del consiglio. Che poi torna sulle scuse pubbliche del ministro degli Esteri: “In questo nuovo corso, riconoscere come errori alcuni toni e alcuni metodi usati in passato – come ha fatto Luigi Di Maio – vuol dire segnalare, anche all’esterno, alcuni fondamentali passaggi di questo importante processo di maturazione collettiva, che avrà al suo centro, sempre e comunque, il rispetto della persona, nella sua dimensione individuale e sociale, perché non ammettiamo una ‘ragione’ superiore alla quale sacrificare la dignità dell’essere umano e la tutela effettiva dei suoi diritti e libertà fondamentali”, prosegue Conte.

Il capo politico in pectore nel suo post spiega come le scuse a Uggetti non modificheranno le posizioni dei 5 stelle in tema di giustizia. “È fondamentale ricordare che il rispetto della persona e della sua dignità va coniugato con i principi della trasparenza, della lealtà, del rigore etico, da sempre fondamentali per il M5S. Perché il Movimento sta maturando, certo, ma non archivierà la forza e il coraggio delle sue storiche battaglie per cambiare il Paese. Saremo una forza aperta, accogliente. Ma anche intransigente nella misura in cui non ci renderemo disponibili a negoziare i nostri principi e a scolorire i nostri valori. Il principio di legalità e il valore dell’etica pubblica per la nostra comunità politica sono valori inossidabili“. Per questo motivo l’ex premier rivendica le riforme varate dai suoi governi, anche quelle ancora da approvare: “Lo dimostrano i provvedimenti approvati al Governo, come lo Spazzacorrotti e le riforme sulla giustizia che oggi sono all’esame del Parlamento, le posizioni assunte in tema di legalità e di contrasto alla criminalità, come in occasione dell’ultimo decreto Semplificazioni”. Per spiegare meglio quale è oggi la posizione dei 5 stelle, Conte torna e esprimersi sul caso Durigon, il sottosegretario della Lega che ripreso da una telecamera nascosta di Fanpage.it dice: “Quello che indaga della guardia di finanza“sul caso dei fondi della Lega, “lo abbiamo messo noi“. “Continuiamo a considerare non tollerabile – scrive Conte – quanto detto da un esponente di governo come Claudio Durigon, ancora al suo posto nonostante le gravi affermazioni divulgate. Riteniamo vada fatta chiarezza: anche fosse solo millanteria, saremmo comunque di fronte a esternazioni che restituiscono un’idea marcia delle istituzioni, lontana anni luce dai concetti di ‘disciplina e onore‘ che l’articolo 54 della nostra Costituzione richiama nell’esercizio delle funzioni pubbliche”.
Conte prosegue spiegando che la “responsabilità politica va tenuta distinta dalla responsabilità giuridica, penale in particolare”. E a questo proposito ricorda che “l’etica pubblica è uno di quei valori che il M5S non ha solo portato nelle piazze e scritto nei programmi, ma reso tangibile con scelte forti e di rottura, per arginare condotte errate e operare secondo il più alto senso dello Stato”. Quindi ecco la posizione dei 5 stelle a trazione Conte: “La linea del Movimento su questo non può generare alcuna confusione: garantiremo il massimo rispetto della dignità di ogni persona, ma tenendo sempre fermo il massimo rigore nel pretendere il rispetto dei più alti principi di etica pubblica, del più alto senso civico e delle Istituzioni. Per questo oggi chi pensa che il nuovo Movimento possa venire meno a queste convinzioni o pensa di strumentalizzare questo percorso di maturazione, rimarrà deluso”. Alla fine del suo intervento l’ex capo del governo interviene anche su uno dei temi più delicati ancora non definiti dell’attuale maggioranza: la riforma della giustizia. “Sul tema più ampio della giustizia, il Movimento ha le competenze e le capacità per esprimere una cultura giuridica solida e matura. Continueremo ad assicurare il nostro massimo impegno per realizzare le riforme già avviate, nel segno di un ‘sistema giustizia‘ più celere, più efficiente, ma anche più equo e giusto. Ci faremo scrupolo di applicare tutti i principi costituzionali che coinvolgono i cittadini sottoposti a indagini e agli accertamenti giudiziali, a partire dalla presunzione di innocenza e dal principio della durata ragionevole dei processi. Ma sia chiaro: la via maestra è realizzare un sistema che offra risposte chiare e certe alla domanda di giustizia, non scorciatoie nel segno della denegata giustizia”.

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venerdì 28 maggio 2021

Di Maio dice che M5s ha sbagliato su Uggetti, Toninelli dopo l’assoluzione dell’ex sindaco aveva detto: “Non c’è da chiedere scusa”

“Chiedere scusa a Uggetti? Non c’è da chiedere scusa, prima bisogna guardare tutte le motivazioni della sentenza”. Così solo due giorni fa, Danilo Toninelli intercettato per strada da alcuni giornalisti rispondeva alla domanda se ora, dopo l’assoluzione dell’ex sindaco di Lodi per il “caso piscine”, fosse giusto chiedere scusa per gli attacchi mossi dal Movimento 5 stelle all’epoca dei fatti. “Ricordiamoci che, in generale, prima di un comportamento rilevante a livello penale, c’è la moralità che dovrebbe essere la base della politica“, ha continuato Toninelli che ha insistito dicendo di dover prima “leggere le motivazioni della sentenza”. “Le sentenze vanno rispettate, ma io devo chiedere che debba essere rispettata anche la moralità nella politica”, ha specificato, citando poi anche il caso di Durigon.

Appena due giorni dopo la sua dichiarazione, il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha inviato una lettera al Foglio, riconoscendo che su quanto accaduto a Simone Uggetti, lui e il Movimento 5 stelle alimentarono “la gogna mediatica” per motivi elettorali, con modalità che furono “grottesche e disdicevoli”. Una presa di posizione netta appoggiata anche dall’ex premier Giuseppe Conte.

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Virginia Raggi è stata assolta in via definitiva, con buona pace di chi già la condannava

Dopo le due assoluzioni in primo grado ed in appello per il caso nomine che l’ha accompagnata con un accanimento mediatico senza precedenti durante l’intero mandato, per Virginia Raggi è arrivata l’assoluzione definitiva con la rinuncia da parte della Procura generale presso la corte d’Appello al ricorso in Cassazione ed il relativo passaggio in giudicato della sentenza di secondo grado. Il mancato interesse dell’accusa ad impugnare la sentenza di assoluzione dal reato di falso per la nomina, poi ritirata, di Renato Marra, fratello dell’allora capo del personale al Campidoglio Raffaele, era già implicito ed annunciato dalle motivazioni dei giudici di appello dove veniva esplicitato come “dalle risultanze processuali risulti senz’altro dimostrato che la sindaca sia stata sostanzialmente raggirata dai fratelli Marra”.

Virginia Raggi ha commentato sobriamente sulla sua pagina Facebook rinnovando la sua fiducia nella Giustizia, che vale la pena di sottolineare ha dimostrato nei fatti con un comportamento conseguente dal 2016 ad oggi, ed ha aggiunto: “Questa notizia è la conferma che ho agito con la massima trasparenza e con l’amore che provo nei confronti della città e dei cittadini. Sono sempre andata avanti a testa alta”. Nel dicembre del 2020, subito dopo l’assoluzione, e quando aveva già da mesi manifestato la volontà di ricandidarsi, aveva commentato l’assoluzione con parole molto nette ed inequivocabili: “È un vittoria mia, del mio staff, delle persone che mi sono state vicino in questi lunghi anni di solitudine politica ma non umana. Credo che debbano riflettere in tanti anche all’interno del M5s. Ora è troppo facile provare a salire sul carro del vincitore con parole di circostanza dopo anni di silenzio”.

E dunque oggi tra i molti personaggi politici, oltre i tantissimi organi di informazione (quasi tutti), che “dovrebbero chiedere scusa a Virginia Raggi che lo merita per aver lavorato duramente sempre alla luce del sole” come ha commentato Francesco Silvestri, deputato romano del Movimento 5 Stelle vanno inclusi tanti, a vario titolo “vicini” o comunque non schierati su fronti contrapposti: dai nemici all’interno del M5s a quelli infiniti nel Partito Democratico, a cominciare dai dirigenti.

Infatti, basta tornare indietro alla vigilia della sentenza di assoluzione in appello per calarsi nel clima diffuso attorno a Virginia Raggi. Sul Fatto del 19 gennaio 2020 Marco Travaglio riportava le parole di Carlo Calenda ad 8 e mezzo dopo un incontro con vertici del Pd: “il Pd mi ha detto che aspetta la condanna della Raggi per fare l’accordo con i 5S”. E “naturalmente” Calenda non è stato mai smentito nonostante la dichiarazione fosse di particolare gravità perché sconfessava brutalmente la sensibilità “garantista” ostentata fin troppo per giustificare la presenza nella vita politica di condannati per reati ben più rilevanti di quello contestato alla Raggi. Ed inoltre dimostrava l’adozione di una doppia morale sommamente ipocrita: a Roma la Raggi fuori dalla vita pubblica per una condanna comminata in via preventiva e contro ogni evidenza giuridica per un tornaconto politico, mentre a Milano si tenevano tranquillamente Giuseppe Sala sindaco dopo la condanna per falso in atto pubblico, la stessa per cui la Raggi era già stata assolta in primo grado.

Insomma, in quei giorni data per scontata una condanna per togliersi di torno il rischio della “seconda ondata”, secondo la graziosa definizione di Calenda, e lasciando diffondere la notizia come se avesse un qualche fondamento, il Pd si apprestava finalmente a sedersi ad un tavolo con il M5s per trattare allegramente sul “candidato comune” che non c’ era e non c’è mai stato. E quanto la determinazione di negare l’esistenza della Raggi abbia mal consigliato il Pd si è visto fino all’ultimo, con il tentativo in extremis di imporre fuori tempo massimo e quasi con un blitz a un M5s senza bussola una convergenza su Nicola Zingaretti, scongiurata dalla reazione della Raggi e da un sussulto di dignità e coerenza last minute da parte di Giuseppe Conte.

Per Virginia Raggi poter correre in una competizione che doveva esserle preclusa è già una vittoria politica e poterlo fare libera da ogni pendenza giudiziaria è un risarcimento morale. Ma naturalmente la partita da giocare è difficile per lei come per la città, che viene spesso descritta come apatica, rassegnata e progressivamente disinteressata alla vita politica sia per le annose delusioni sia per gli effetti del Covid.

Difficile stabilire, come fanno i giornali non particolarmente benevoli con la sindaca, per usare un eufemismo, che ora con “Due ex ministri ed un prof, per Virginia Raggi si fa dura” (Il Tempo). I due ex ministri sono Roberto Gualtieri, scongelato da Enrico Letta dopo l’impossibilità di candidare Zingaretti, e Carlo Calenda che non ha bisogno di presentazioni, comunque la si pensi.

Quanto al mitico candidato di un centrodestra, che non sa ancora bene a che santo votarsi e dopo Bertolaso e Gasparri si starebbe buttando sui “civici”, sembra possa corrispondere ad Enrico Michetti, sconosciuto a livello nazionale, ma “riconoscibilissimo dai tassisti, conosce meglio di chiunque altro gli ingranaggi della res publica” sempre secondo Il Tempo. È una star di Radio Radio e un fan del saluto romano che “era più igienico”. Secondo una recentissima rilevazione di Tecné/Adnkronos Michetti sarebbe già al 35% con grande possibilità di aumentare; Gualtieri in una forbice tra il 32%-37%; la Raggi tra il 18%-20%; Calenda, che a sua volta ha diffuso risultati molto differenti, sarebbe tra il 14-15%.

Al primissimo posto c’è sempre, in tutte le rilevazioni, il dato degli incerti e dell’astensione mai inferiore al 44% e nell’arco di quattro mesi possono succedere e cambiare molte cose.

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giovedì 27 maggio 2021

Vitalizi, siamo alla farsa. Ecco il prezzo dell’onore perduto della classe politica italiana

Qual è il prezzo dell’onore perduto della classe politica italiana? Giusto qualche migliaio di euro al mese pro-capite, il prezzo di un vitalizio restituito a condannati per reati gravi, o di una doppia pensione generosamente calcolata con contributi figurativi inaccessibili a qualsiasi lavoratore. È una delle possibili conseguenze dell’attribuzione alle Camere del Parlamento di un potere dal norme arcano, autodichia. Uno strumento pensato come garanzia dell’indipendenza degli organi costituzionali che incarnano la sovranità popolare, ma che in cattive mani può trasformarsi in un canale di giustificazione posticcia di abusi e privilegi.

Come un micro-stato autonomo, ciascuna Camera è investita dell’autorità di dotarsi di proprie regole di funzionamento, deliberare sullo status e sul trattamento economico dei propri componenti, e soprattutto giudicare in merito ai ricorsi in caso di controversie giuridiche che investono componenti dell’organo – sia dipendenti che parlamentari. Si tratta di un’applicazione estensiva (e pertanto assai discutibile) del principio di separazione dei poteri dello Stato, con il quale si vorrebbero tutelare le Camere dal rischio di indebite interferenze e condizionamenti esterni, come quelli del potere giudiziario.

Purtroppo i nostri parlamentari non sembrano dotati di un grado di saggezza paragonabile a quella espressa da Spiderman col noto ammonimento: “Da un grande potere derivano grandi responsabilità”. Questa “legge dell’uomo-ragno” ha un corollario: da grande potere male esercitato scaturisce una grande senso di irresponsabilità. Con una ricaduta ulteriore: il grande discredito di chiunque abbia abusato di quel potere.

Di certo, l’uno-due della commissione Contenziosa e del consiglio di Garanzia del Senato che hanno restituito l’assegno vitalizio al pregiudicato ex-presidente lombardo Roberto Formigoni sembra aver messo a tappeto le aspirazioni di quei soggetti politici – soprattutto il Movimento 5 Stelle, che della battaglia contro i “privilegi della casta” ha fatto un suo tratto identitario – che in questi ultimi anni hanno tentato di ripristinare alcuni criteri minimi di buon senso e di “giustizia sociale” in quello che rimane un nervo scoperto della classe politica italiana.

Dissipando così quel poco di credibilità che nell’ultimo quinquennio quest’ultima aveva faticosamente tentato di riconquistare su quel fronte, dal taglio al finanziamento pubblico dei partiti – per inciso, una misura che attuata indiscriminatamente sta mostrando pericolosi effetti collaterali – ai nuovi meccanismi di ricalcolo dei vitalizi per ex-Parlamentari e consiglieri regionali, fino al taglio dei parlamentari. Non aiuta a riconquistare un briciolo di credibilità neppure la farisaica decisione dell’Aula del Senato di approvare tutte e tre le mozioni dei diversi schieramenti politici, che si limitano in buona sostanza a chiedere agli uffici competenti del Senato di rivalutare o disciplinare casi come quello di Formigoni.

Allora partiamo da qui, dall’orientamento dei cittadini nei confronti della propria classe politica, che oscilla tra il disincanto e l’ostilità aperta. Secondo il sondaggio Demos-Libera del 2020 i politici nazionali sono i soggetti che più di ogni altro hanno favorito l’espansione della mafia in Italia (83%), seguiti dai politici locali (81%) e dai partiti (81%). Ben l’88 % degli intervistati – un vero plebiscito – ritiene che la corruzione sia diffusa quanto o più degli anni di tangentopoli.

Un sondaggio Eurobarometro del 2017 conferma che il pagamento di tangenti e gli abusi di potere sono ritenuti una prassi abituale nei partiti per il 66% e tra politici nazionali e locali per il 60% degli italiani, percentuali tra le più elevate in Europa. Un legame oggi più che mai sfilacciato, corroso dal discredito, dovrebbe collegare i politici eletti nelle istituzioni ai cittadini rappresentati. Questo espone le loro deliberazioni al sospetto – non sempre infondato – di essere solo soprattutto risposta a richieste particolaristiche, favoritismi, collusione d’affari. Alimentando così un meccanismo perverso di selezione dei peggiori, che spinge a impegnarsi nella carriera politica solo chi vi cerca canali di facile ascesa personale.

In una democrazia inquinata i nuovi “politici d’affari”, simili agli antenati portati agli onori delle cronache di “mani pulite”, badano al sodo, ossia ai guadagni – in termini monetari, sia quelli in busta paga che le prebende sottobanco, ma anche di relazioni, contatti, entrature, informazioni – cui possono puntare nella loro traiettoria professionale nelle istituzioni pubbliche.

Resta da chiedersi perché proprio adesso arrivino questi colpi di mano parlamentari, quale sia il senso di questa “restaurazione” di una versione parodistica dell’Ancien Régime partitocratico, che però – seguendo la legge di ripetizione della storia enunciato da Karl Marx – dalla versione tragica emersa con “mani pulite” oggi vira inesorabilmente verso la farsa. Sicuramente pesa l’eclissarsi delle impalpabili strutture di partito, ormai assimilabili ad assemblaggi precari di cordate e potentati locali, incapaci – ma in fondo anche disinteressati – a recuperare qualche briciola della credibilità perduta agli occhi dei cittadini.

Del resto il tema sembra appassionare sempre di meno l’opinione pubblica, investita di ben altre preoccupazione nell’emergenza economica-sanitaria in corso. Almeno, questo parrebbe il calcolo degli esponenti di centro-destra che marciano compatti alla riconquista dei privilegi perduti, sotto l’ombrello di un governo delle larghissime intese nel quale il capiente ombrello della guida “tecnica” sembra assumere una valenza soporifera e deresponsabilizzante, anche rispetto a decisioni politiche di piccolo cabotaggio, come quelle sui vitalizi. In fondo, il vessillo della lotta agli sprechi della politica ha già un portabandiera indiscusso, per l’appunto un Movimento 5 Stelle in crisi nei sondaggi, dunque a nessun altro soggetto politico conviene cavalcare un tema altrui per conquistare consensi.

Di certo, non vi è nulla di illegittimo nelle decisioni “sovrane” prese dagli organi interni alle Camere, per quanto schizofreniche esse risultino – e di qui l’appello de Il Fatto alla Presidente del Senato per tentare la strada dell’attribuzione di un conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato e rimediare al danno. Decisioni formalmente legittime, eppure profondamente delegittimanti, i cui costi reali – le tossine della sfiducia verso la classe politica e i governanti – rischiano di incidere a lungo sulla qualità dei nostri processi democratici.

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Giuseppe Conte lavora alla rete sui territori: convoca (online) i consiglieri regionali M5s in Lombardia e spinge sui temi da cui ripartire

Mentre continua il braccio di ferro con Davide Casaleggio sugli iscritti M5s, Giuseppe Conte lavora per strutturare la sua leadership sul territorio. E proprio in quest’ottica, in mattinata, l’ex presidente del Consiglio ha incontrato i consiglieri regionali M5s della Lombardia. A rivelarlo è stato il capogruppo in Regione, nonché ex deputato, Massimo De Rosa: “È stato un incontro costruttivo in cui il Movimento si è confermato unito e collaborativo”, ha scritto in un post su Facebook rilanciando uno screenshot dell’incontro online. Tra i presenti spicca, oltre all’ex premier naturalmente, anche il capo politico reggente Vito Crimi.

“Conte ha dimostrato che la Lombardia è importante e ha ascoltato le nostre richieste”, ha scritto De Rosa. “Da questa riunione usciamo con la convinzione che attraverso i temi lavoro, salute, ambiente e antimafia sia possibile strutturare una proposta concreta per la Lombardia. Una proposta attraverso la quale superare la visione tipica del centrodestra, che manca di una proiezione al futuro, e permetta alla Lombardia di crescere. La loro incapacità ha fatto tanto male, e continua a farne, alla nostra regione”. E ancora: “Conte ha ascoltato le nostre proposte, riconoscendo di aver trovato un gruppo coeso, operativo e pronto a proseguire il percorso già avviato nel nuovo progetto. Dal canto nostro abbiamo rafforzato la volontà a lavorare insieme per il futuro del Movimento, anche attraverso una maggiore attenzione proprio alla Lombardia, che tanto ha sofferto nell’ultimo anno. Conte ha terminato l’incontro ribadendo che sarà al nostro fianco per il bene del Movimento e della Lombardia”.


L’ex premier Conte, ormai la strategia delle ultime settimane è chiara, capisce che attendere i passaggi formali prima di muoversi come leader è un rischio troppo alto. E ha iniziato a costruire la sua rete locale anche senza l’investitura ufficiale della piattaforma. Dopo parlamentari ed eurodeputati, ora l’attenzione si concentra sui consiglieri regionali. Se in Lombardia però, c’è tutto il tempo per costruire un’alternativa ad Attilio Fontana e alla coalizione di centrodestra, magari assieme all’asse giallorosso con Pd e Leu, diversa invece la situazione per altre competizione chiave come Torino e Roma. Ma per Conte e i suoi ci sono anche altri problemi da risolvere prima. L’orecchio è rivolto sempre verso la Sardegna, in attesa della decisione del giudice del Tribunale civile di Cagliari, Enzo Luchi, che si è riservato di decidere sulla richiesta di revoca del curatore (nei giorni scorsi è stato nominato l’avvocato Gian Luigi Perra al posto di Silvio Demurtas), avanzata dal capo politico reggente, Vito Crimi. L’ex vice ministro dell’Interno, infatti, attraverso il suo legale, Andrea Ciannavei, ha chiesto di riconoscere la piena legittimazione della sua funzione di legale rappresentante del Movimento. Se la risposta del magistrato fosse positiva, anche la partita con Casaleggio potrebbe sbloccarsi.

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Inappellabilità per i pm, prescrizione e azione penale decisa dal Parlamento: i tre no del M5s a Cartabia. La ministra: aperta a correttivi

Incontro interlocutorio tra i 5 stelle e Marta Cartabia, anche se le distanze tra i primi e la seconda rimangono. Soprattutto in relazione alle proposte avanzate dalla commissione creata dalla guardasigilli per studiare ipotesi di riforma del processo penale. Sono almeno tre i punti della relazione del gruppo di studio, guidato da Giorgio Lattanzi, sui quali i 5 stelle hanno confermato la loro contrarietà: la possibilità che il Parlamento “determini periodicamente, anche sulla base di una relazione presentata dal Consiglio Superiore della Magistratura, i criteri generali necessari a garantire efficacia e uniformità nell’esercizio dell’azione penale e nella trattazione dei processi”. E poi la riforma dell’appello, che sbarra la strada dei ricorsi per i pm sia quando l’imputato è condannato che anche quando è stato assolto: una riforma che sembra una versione riveduta e corretta della legge Pecorella, approvata durante il governo Berlusconi. Infine la prescrizione: anche secondo la commissione Lattanzi non è urgente toccare la legge Bonafede, ma nella sua lunga relazione ha comunque avanzato ben due proposte di riforma.

Dal suo punto di vista la ministra ha fatto sapere di essere disposta a mediare. Soprattutto in tema di prescrizione e inappellabilità delle sentenze per il pm, dalla guardasigilli è arrivato l’invito ai 5 stelle a indicare correttivi tecnici alternativi. Che ovviamente devono rappresentare una soluzione politicamente accettabile per tutta la maggioranza: ed è questo il vero nodo che appare insolubile. Per il resto durante l’incontro i 5 stelle hanno chiesto di procedere con urgenza con la riforma del Csm: su questo punto la ministra terrà una riunione con i capigruppo della maggioranza, venerdì 4 giugno. Sulla riforma della giustizia penale, hanno ovviamente condiviso il principio della velocizzazione dei processi, “ma questo non deve mai tradursi in denegata giustizia”. La delegazione era composta dal capogruppo alla Camera Davide Crippa, l’ex guardasigilli Alfonso Bonafede, il capogruppo in commissione Giustizia di Montecitorio Eugenio Saitta, e i senatori Andrea Cioffi, Felicia Guadiano e Arnaldo Lomuti.

Oggi intanto il presidente della commissione giustizia della Camera, Mario Perantoni, ha dichiarato inammissibili in via definitiva gli emendamenti del centrodestra che volevano riformare l’abuso d’ufficio e di altri reati contro la pubblica amministrazione, come il peculato o la malversazione. Il berlusconiano Pierantonio Zanettin e il leghista Roberto Turri hanno preannunciato ricorso al presidente della Camera Roberto Fico. Perantoni già mercoledì scorso aveva dichiarato inammissibili tali emendamenti per estraneità della materia: infatti la delega riguarda la riforma della procedura penale, mentre gli emendamenti propongono interventi sul codice sostanziale. in ogni caso erano stati presentati dei ricorsi da parte dei deputati che si erano visti esclusi le proprie proposte di modifica, ed oggi il presidente della Commissione si è pronunciato definitivamente. Il termine per presentare gli emendamenti al ddl che riforma il Csm, invece, è stato fissato a giovedì 3 giugno alle 17.

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Ddl Zan, lettera di Pd-M5s-Leu alla Casellati: “Se continua l’ostruzionismo della Lega, chiederemo di andare subito al voto in Aula”

A queste condizioni è “impossibile proseguire l’esame del ddl sull’omotransfobia in commissione giustizia del Senato”. E’ quanto scrivono i capigruppo Pd, M5S, Leu, Autonomie alla presidente di Palazzo Madama Elisabetta Casellati. I senatori chiedono uno stop all’ostruzionismo del presidente del Carroccio Andrea Ostellari che, denunciano, sta “violando il suo ruolo di garanzia”. E chiedono di andare in Aula entro la prima settimana di luglio “o – scrivono – chiediamo una capigruppo per la calendarizzazione”.

Nel testo della lettera rivolta alla presidente del Senato e che è stato firmato da tutte le forze del governo Conte 2 (tranne Italia viva). “Qualora il Presidente Ostellari – si legge nella lettera dei capigruppo M5s, Pd, Leu e Autonomie alla presidente Casellati – continuasse ad adottare comportamenti palesemente ostruzionistici e pretestuosi, impedendo alla Commissione l’esame del disegno di legge in oggetto e non riducendo a una settimana la durata delle audizioni, nonché la conclusione dello stesso affinché il provvedimento possa essere esaminato dall’Assemblea nella prima settimana di luglio, Le preannunciamo che ci troveremo costretti a chiedere la convocazione di una Conferenza dei Capigruppo che abbia ad oggetto la calendarizzazione del disegno di legge“.

L’accusa è al leghista che guida la commissione Giustizia. “Il Presidente della Commissione, senatore Ostellari, fin dall’inizio dell’esame del disegno di legge de quo, ha adottato comportamenti palesemente ostruzionistici in aperta violazione del suo ruolo e delle sue funzioni di garanzia, impedendo il funzionamento della Commissione e l’inizio dell’esame del provvedimento per ben quattro mesi rendendo, a tal fine, necessaria una votazione a maggioranza sul testo già approvato dalla Camera dei deputati”, scrivono Simona Malpezzi, Ettore Licheri, Loredana De Petris e Julia Unterberger. “In primis, – proseguono – il Presidente Ostellari ha nominato se stesso Relatore del provvedimento pur avendo esternato pubblicamente la sua forte contrarietà al disegno di legge in esame, in modo assolutamente improvvido e inopportuno, forzando le buone prassi istituzionali nel rapporto tra il Presidente e i componenti della Commissione”. “Confidiamo – concludono i parlamentari – che adotterà tutte le iniziative necessarie a consentire il corretto svolgimento dei lavori della Commissione, nel rispetto del Regolamento del Senato, delle prerogative dei parlamentari e della correttezza istituzionale”.

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mercoledì 26 maggio 2021

Vitalizi, Paragone al M5s: “Vostra battaglia è giusta, ma allora perché non togliete la fiducia anche ad Alessandro Profumo?”

” Voglio riconoscere al M5s un lavoro fatto da tempo, ma proprio per questo chiedo nel nome dell’etica e della morale: se ai condannati è giusto non dare il vitalizio, perché il precedente governo, con il vostro voto, ha dato fiducia e sostegno a un condannato in primo grado per gravi reati finanziari come Alessandro Profumo?“. Lo ha detto il senatore di Italexit, Gianluigi Paragone, nel suo intervento in Senato in cui ha annunciato il voto favorevole alla mozione del Movimento 5 stelle per la revoca dell’assegno ai condannati. E proprio al suo ex partito si rivolge Paragone. “È giusto che io dia il pieno sostegno alla mozione del Movimento 5 stelle. Ho fatto la campagna elettorale con loro su questi temi che sono moralmente importanti. Ma perché non togliete la fiducia a Profumo?”

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Vitalizi, Taverna (M5s): “Revocarli è battaglia di civiltà. Questo posto non è una scatoletta di tonno ma un bunker antiatomico”

“Il Senato non è una scatoletta di tonno è un bunker antiatomico che resiste a tutto, e non bastano 8 anni per cambiare le cose, ma forse 20 anni”. Lo ha detto Paola Taverna (M5s) in Aula al Senato durante la discussione sulle mozioni sui vitalizi, a proposito della sentenza del Consiglio di garanzia che ha restituito il vitalizio a Roberto Formigoni e ai condannati. Taverna alzando i toni ha poi parlato dell’ex presidente della Lombardia: “Dove sta la disciplina e l’onore nell’aver rubato i soldi della sanità pubblica per pagarsi vacanze in luoghi da sogno? Facciamo che noi gli restituiamo il vitalizio e lui ci restituisce i 47 milioni? Mi sembra la soluzione migliore”. “L’unico intento della mozione – ha quindi aggiunto – è far capire a cittadini cosa pensate dei vitalizi ai condannati, se hanno diritto o meno a un privilegio. Perché le posizioni nei talk show in televisione vengono ribaltate nelle sedi chiuse, il Consiglio di presidenza, la Commissione contenziosa o il Consiglio di garanzia. Vogliamo che si sappia se volete che i vitalizi ai condannati vanno lasciati o no”

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Vitalizi a condannati, il Senato sceglie la farsa: invece di ripristinare lo stop approva tutte le mozioni. Anche quelle di Lega e Forza Italia, che l’hanno restituito a Formigoni

Il Senato discute per la priva volta in una seduta pubblica di vitalizi ma nei fatti si tratta di una farsa. Invece di riunire il consiglio di presidenza per decidere come neutralizzare gli effetti della doppia sentenza – della commissione Contenziosa e del consiglio di Garanzia – che ha restituito l’assegno a Roberto Formigoni (aprendo le porte al ripristino anche per tutti gli altri ex senatori condannati), Palazzo Madama sceglie di approvare tutte e tre le mozioni sui vitalizi. Pure quelle di Lega e Forza Italia che con i voti dei loro esponenti nominati nella commissione Contenziosa e nel consiglio di Garanzia sono stati fondamentali per restituire l’assegno all’ex governatore della Lombardia.

Palazzo Madama ha approvato anche le mozioni di M5s, Pd e Leu, e quella di Italia Viva. Ciascun gruppo ha votato la propria mozione astenendosi sulle altre, o facendole votare a qualcuno dei propri senatori, così da farle approvare tutte. Ma qual è la differenza tra le tre mozioni, presentate da tre schieramenti diverse e approvate dall’Aula di Palazzo Madama? Il testo firmato dall’ex maggioranza giallorossa chiede che gli uffici competenti del Senato studino le soluzioni in modo da applicare la Legge Severino in modo da revocare il vitalizio ai condannati. La mozione del centrodestra chiede invece di “rivalutare” la direttiva del Senato del 2015 che toglieva i vitalizi agli ex senatori condannati. Infine la mozione di Italia Viva impegna gli organi del Senato “ad adottare tutte le opportune determinazioni, volte a disciplinare i casi di revisione o revoca del vitalizio dei Senatori, cessati dal mandato, che siano stati condannati in via definitiva per delitti di particolare gravità”, alla luce dell’annullamento della direttiva del 2015.

Di Nicola: “Mozioni non colgono sostanza del problema”- A spiegare che quello delle mozioni sia alla fine solo un escamotage è Primo Di Nicola, senatore dei 5 stelle che si è astenuto anche quando da votare c’era il documento presentato dal suo partito. “Le mozioni presentate contro il ripristino dei vitalizi per i parlamentari condannati – ha detto – non colgono la sostanza del problema. E cioè che con la decisione presa è come se al Senato si fosse consumato una specie di golpe. Anzi un autogolpe. Con un conflitto di poteri tra organi interni che non ha precedenti nella storia della Repubblica. In materia di autodichia, la Commissione Contenziosa vale come è noto come un tribunale. Ebbene – osserva il parlamentare pentastellato – la sentenza con la quale ha deciso di restituire il vitalizio al senatore Formigoni non si è limitata a giudicare su un caso specifico, ma ha addirittura proceduto ad annullare una delibera del Consiglio di presidenza. È come se un tribunale avesse cancellato una legge ordinaria. Un pasticcio da Repubblica delle banane”. Secondo Di Nicola dunque le mozioni sono inutili, e invece il Senato dovrebbe sollevare “di fronte alla Corte Costituzionale un conflitto di attribuzione: l’invasione di campo di un organo giurisdizionale ha inflitto un vulnus al principio della separazione dei poteri. E penso che il Consiglio di presidenza abbia il dovere di promuovere questa iniziativa, altrimenti, lo dico a tutti i componenti che contestano la decisione, meglio uscire dal Consiglio di presidenza, per non condannarsi all’irrilevanza e farsi complice di un disegno di restaurazione di tutti i privilegi della Casta. Questo è il modo giusto per denunciare di fronte al Paese la gravità delle decisioni prese dagli organi presieduti dal senatore Caliendo e Vitali”.

Grasso: “Ora l’assegno anche ai mafiosi” – Come raccontato più volte in questi giorni da ilfattoquotidiano.it, nel 2018 il Consiglio di presidenza di Palazzo Chigi aveva deciso di applicare a Roberto Formigoni la direttiva presa nella precedente legislatura, nel 2015, di togliere il vitalizio agli ex senatori condannati per una serie di reati contro la Pubblica amministrazione. Formigoni ha fatto ricorso all’organo interno del Senato, la Commissione contenziosa, che gli ha dato ragione, restituendogli l’assegno. L’amministrazione del Senato ha fatto ricorso all’organo interno di secondo grado, il Consiglio di garanzia, che ha tuttavia confermato la decisione della Commissione contenziosa. La decisione dei due organismi giurisdizionali interni hanno assimilato il vitalizio a un trattamento pensionistico che quindi non può essere tolto in caso di condanna per certi reati. Un orientamento contestato di nuovo oggi in Aula dall’ex presidente del Senato Pietro Grasso che aveva firmato la direttiva del 2015: “Il mandato parlamentare, essendo di natura elettiva, non è affatto assimilabile a un rapporto di lavoro, l’indennità parlamentare non può essere qualificata come retribuzione, tanto che viene percepita per il solo fatto di ricoprire la carica, anche se il parlamentare si astenga del tutto da qualsiasi attività parlamentare e serve ad assicurare l’indipendenza della funzione. Pertanto, il vitalizio come proiezione dell’indennità non può avere natura previdenziale di retribuzione differita”. Grasso ha ripetuto che vanno considerate “anche le conseguenze: abolendo del tutto la delibera del 2015 si spalancano nuovamente le porte del vitalizio non solo ai senatori condannati per corruzione ma anche per mafia o terrorismo. Spero proprio che non sia un effetto voluto, ma solo una distrazione”.

La protesta dei 5 stelle, Caliendo non vota – Durante le dichiarazioni di voto il M5s ha alzato cartelli con la scritta “Stop vitalizi” gridando “Vergogna, vergogna“. Aveva appena finito di parlare la senatrice Paola Taverna: “Il Senato non è una scatoletta di tonno è un bunker antiatomico che resiste a tutto, e non bastano 8 anni per cambiare le cose, ma forse 20 anni” ha detto tra l’altro. Più nel merito si è soffermata sul caso su cui hanno deciso gli organi interni del Senato, quello dell’ex presidente della Regione Lombardia, condannato a oltre 5 anni di reclusione per corruzione nell’ambito di un processo sulla sanità lombarda: “Dove sta la disciplina e l’onore nell’aver rubato i soldi della sanità pubblica per pagarsi vacanze in luoghi da sogno? – ha detto Taverna – Facciamo che noi gli restituiamo il vitalizio e lui ci restituisce i 47 milioni? Mi sembra la soluzione migliore”. Nel pomeriggio dovrebbe riunirsi anche l’ufficio di Presidenza per iniziare a discutere della questione. Giacomo Caliendo, senatore di Forza Italia e presidente della Commissione, da parte sua non ha votato nessuna delle mozioni: “Siamo davvero fuori dalla realtà se qualcuno ritenesse che una decisione giurisdizionale debba essere presa sulla spinta di pulsioni popolari“. Per motivare la restituzione del vitalizio a Formigoni, Caliendo si è fatto scudo della legge sul reddito di cittadinanza

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Vitalizi, protesta M5s in Aula al Senato: i portavoce mostrano cartelli “stop vitalizi” e urlano “vergogna”

Protesta del Movimento 5 Stelle questa mattina in aula al Senato. I portavoce M5S, infatti, durante la seduta hanno esposto dei cartelli con la scritta “Stop vitalizi“, urlando anche “vergogna“.

L’oggetto del contendere è sempre la delibera che ha confermato l’assegno di mantenimento all’ex parlamentare e governatore della Lombardia, Roberto Formigoni. I Cinquestelle, assieme a PD e Leu, ieri hanno depositato una mozione per chiedere la revisione del provvedimento.

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lunedì 24 maggio 2021

Semplificazioni, M5s e Pd fanno linea comune: “Velocizzare appalti ma rispettando legalità”. E pure Confindustria boccia il massimo ribasso

Il Pd, che sabato con Paola De Micheli aveva lanciato l’allarme sul rischio di aprire la strada alle mafie, ora abbassa i toni. E il Movimento 5 Stelle, da cui non erano ancora arrivate reazioni sui contenuti delle bozze del decreto Semplificazioni in materia di appalti, si allinea. La posizione comune è che velocizzare le opere per rispettare i tempi previsti nel Recovery plan è indispensabile, ma senza rinunciare a garanzie sul fronte della legalità. Nel post su Facebook del ministro M5s Luigi Di Maio e nelle dichiarazioni di fonti del Nazareno dopo un incontro tra Enrico Letta, i vertici del partito ed esponenti del governo e della segreteria non c’è però nessun riferimento esplicito ai punti incriminati. Quelli che hanno portato i sindacati a minacciare lo sciopero generale, Libera a parlare di “norma criminogena” e Stefano Fassina di Leu a ipotizzare “obiettivi inconfessabili e inconfessati” ovvero “ridurre i costi e in particolare i costi e le condizioni del lavoro”. Si tratta della liberalizzazione totale dei subappalti ma soprattutto del ritorno dell‘appalto integrato, che era stato riportato in vita già con il decreto Sblocca cantieri del Conte 1 ma stavolta va a braccetto con la possibilità di aggiudicare i lavori al massimo ribasso.

Una scelta che non piace nemmeno alle imprese: Confindustria Servizi Hcfs, federazione che raccoglie imprese di pulizie e sanificazione, lavanderie industriali, dispositivi di protezione individuale e ristorazione collettiva, fa sapere che “il massimo ribasso andrebbe ad incidere sul costo del lavoro e sulla qualità dei servizi, determinando – nell’immediato – un crollo del mercato ed il rischio di infiltrazioni criminali. Per tutto questi motivi, chiediamo di rispettare quanto prevede l’Ue in tal senso”. E le direttive Ue non prevedono più il ricorso al criterio del minor prezzo. “Non si può ancora parlare di gare al massimo ribasso”, prosegue quindi la nota “ed il legislatore non può, ancora una volta, cambiare le regole negli appalti senza tenere conto dei servizi”.

Su questo, appunto, nessun commento da Di Maio e Letta. In casa 5 Stelle entra nel merito solo Enrica Segneri, componente della commissione Lavoro alla Camera, secondo cui “è incredibile anche solo pensare di proporre una deregolamentazione o parlare di subappalti senza soglia e massimo ribasso, un criterio notoriamente favorevole a chi svolge un’attività illecita, in un momento in cui si certifica un aumento di quasi il 12% di infortuni mortali sul lavoro”. Di Maio invece mette un unico paletto, più vago: “è necessario semplificare le procedure”, scrive, ma “rispettando sempre il tracciato della legalità”. Al tempo stesso comunque conferma che “in settimana il Consiglio dei Ministri sarà chiamato a dare l’ok al decreto Semplificazioni. Siamo in una fase emergenziale che ci obbliga a procedere con celerità, sburocratizzando tutte le procedure superflue che rallentano la macchina dello Stato. Il Paese deve ripartire, c’è la necessità di creare nuove opere, far partire nuovi cantieri, dare nuove opportunità di lavoro”. Segue l’auspicio che siano “ascoltati gli amministratori locali” perché “loro più di tutti, sanno cosa serve alle nostre comunità locali per poter procedere spediti verso una ripartenza che metta al centro le riforme necessarie al Paese. Per questo mi rivolgo anche alla mia forza politica. Nelle ultime ore nel MoVimento 5 Stelle sul tema c’è un positivo confronto: allarghiamolo anche ai nostri sindaci, coinvolgiamo gli enti locali. Credo nell’idea di un forum dove confrontarci a tutti i livelli e stilare insieme una linea unitaria“.

E anche dal Partito democratico, in cui il coordinamento dei sindaci guidato da Matto Ricci aveva definito “molto positive” le anticipazioni del decreto, arriva il via libera a velocizzare tutti i procedimenti che hanno a che vedere con le opere pubbliche in particolare legate al Pnrr. Certo, fonti del Nazareno aggiungono che “al contempo c’è la necessità di muoversi nel rispetto delle norme Ue e non scardinare il sistema di regole che in Italia preserva gli appalti pubblici da infiltrazioni mafiose e atti di corruzione e garantisce la sicurezza del lavoro”.

Sulle barricate rimane Leu. Per il deputato Luca Pastorino, segretario di presidenza alla Camera, “se la strada è quella degli appalti al massimo ribasso, c’è la certezza di peggiorare la situazione. Penso alla sicurezza sui luoghi di lavoro, che deve essere una priorità assoluta sempre, non solo quando ci sono delle tragedie. Il massimo ribasso, in questo senso, è una scorciatoia pericolosa e inaccettabile“. “La riflessione – aggiunge Pastorino – è frutto anche di esperienza personale come amministratore locale. Nei Comuni, soprattutto quelli piccoli, le aggiudicazioni al massimo ribasso in passato hanno sempre provocato disastri. L’obiettivo è quello di realizzare una riforma equilibrata. In nome della velocizzazione non si deve sacrificare il resto, a cominciare dalla retribuzione dei lavoratori”.

Quindi? Durante la cabina di regia a Chigi, lunedì mattina, di decreto Semplificazioni non si è parlato. Ma è inevitabile che le bozze in circolazione nei giorni scorsi andranno riviste.

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sabato 22 maggio 2021

Rousseau e il M5s? La democrazia diretta non può avere “custodi”. Serve un nuovo modello per evitare grumi di potere

Se è vero, come prevede la ricerca Cultura 2030, che “il modello culturale dominante nel 2030 sarà capitalistico”, se è vero che “il modello dominante nel 2030 promuoverà la solidarietà e la rete attraverso il controllo delle nostre vite, dei movimenti, degli acquisti. […] fondato sulla dittatura del denaro e del profitto”, se è vero che “un modello sarà elaborato e perfezionato dalle multinazionali delle intelligenze artificiali” dove “i governi saranno spettatori, da esso dipendenti e ricattati”. Appare chiaro che la necessità di un risveglio e di un nuovo corso diventi sempre di più una necessità vitale di libertà e di sopravvivenza.

Le nuove generazioni non stanno a guardare: sperimentano, provano, falliscono e alla fine dimostreranno che la rete sarà la base di un nuovo modello politico. La democrazia diretta, dal basso, che riesce a saltare la mediazione del politico di professione non sarà un’esperienza confinata nell’intuizione e nella pratica che ne ha fatto il Movimento 5 Stelle, con tutti i suoi limiti e distorsioni, ma diventerà un bene comune e non ci saranno argini che la fermeranno.

L’idea lanciata da Beppe Grillo il 16 luglio 2005, e cioè di dar vita a dei nuclei operativi di azione politica e sociale chiamati Meetup e radicati nelle singole città, è stata una grande intuizione e il più grande esperimento reale di democrazia diretta e dal basso mai realizzato nella storia della democrazia moderna. Un esperimento nato da uno strumento digitale che permetteva incontri e raduni fisici molto popolati, insieme a discussioni digitali tramite forum. Un successo popolare confermato dai risultati elettorali nazionali nel 2013 con il 25% dei consensi degli italiani e nel 2018 con 11 milioni di cittadini che votarono il M5s.

I limiti e le distorsioni di questo percorso sono diventati altrettanto evidenti. Mentre l’azione comunicativa, sociale e politica del M5s prendeva sempre più forza non c’è stata una evoluzione del pensiero, del modello della democrazia diretta, che è restato nelle sue forme primordiali di “assemblearismo” del 2005, svuotandosi di veri processi decisionali e generando liturgie digitali o istituzionali prive dei valori e della genuina energia democratica degli albori, quell’energia capace di dare uno scossone clamoroso all’establishment politico dal 2013 in poi, élite che certo non è stata a guardare e ha continuato a reagire e riprendere spazi colpo su colpo.

L’effetto di tutto questo dentro al M5s è stata il consolidarsi di grumi di potere che nessuno vuole cedere con l’associazione di Rousseau da una parte e il M5s di governo dall’altra. Come se ne esce? Studiando e sperimentando nuovi modelli. La democrazia diretta non può avere custodi, siano essi associazioni come Rousseau o movimenti politici, ma custodi ne sono i cittadini stessi perché hanno tutto da perdere nell’arrendersi allo status quo.

Un nuovo modello ideale e culturale della società, in grado di produrre periodici tornado sociali utili al maggior numero di cittadini e al maggior numero di ecosistemi, non può e non deve essere alimentato solo dalla democrazia diretta, ma da “una coscienza collettiva che terrà unite le persone, le cose, gli oggetti intelligenti, gli elettrodomestici e i luoghi naturali e artificiali” per sviluppare “un modello culturale che preserverà l’ambiente, promuoverà la connessione, la rete tra il mondo naturale e quello artificiale”.

Ci vuole un modello di società vivo, interattivo, come un organismo vivente, un modello che parta dal rapporto Meadows nel libro The Limits to Growth e i successivi 33 studi e affinamenti del modello e che includa nuove variabili: il punto di vista femminile, le diversità, i Sud, i migranti, gli invisibili, il dialogo inter-religioso, i movimenti di massa per i diritti sociali, civili ed ecologici, le comunità ecologiche, una rete di pratiche rivoluzionarie e di transizione in grado di incidere nella trasformazione di ecosistemi più grandi e della rappresentanza politica.

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venerdì 21 maggio 2021

Rousseau, Casaleggio e 5stelle si siedano attorno a un tavolo e trovino una soluzione

di Massimo Giunco

Un fatto è certo. Non sentiamo il bisogno di tutto ciò. Inutile entrare nel merito della questione, chi ha ragione o chi ha torto, non è importante. Vedere che la dialettica tra Davide Casaleggio ed il Movimento 5 Stelle è diventata una battaglia legale è una cosa che fa male. Fa male alla reputazione del Movimento, fa male ai sentimenti degli utilizzatori di questa piattaforma, fa male – in ultima analisi – soprattutto al destino di una idea che ci aveva regalato una speranza di cambiamento.

La piattaforma Rousseau era (ed è) la differenza tra un normale partito ed il M5s. È la spinta propulsiva dal basso, è la condivisione permanente e la costruzione della sintesi del pensiero politico del movimento, è la ragione vera di diversità rispetto al passato e al presente del resto della politica italiana. A chi partecipa alla piattaforma non interessa chi sia il proprietario legale o gestionale di Rousseau. Interessa costruire l’idea del M5s in modo collettivo e democratico, magari non perfetto, ma unico nello scellerato panorama politico di questo paese.

Chi vi si è iscritto lo ha fatto per partecipare alla vita ed alle idee del Movimento, per contribuire al cambiamento. Non per aderire ad un social network dal nome intellettuale. Questo lo dovrebbero tenere a mente tutti, Beppe Grillo, Casaleggio, Crimi, Conte. Tutti i deputati e senatori che sono stati legittimati a rappresentare il Movimento dal consenso ottenuto dai partecipanti alla piattaforma. Tutti i ministri e sottosegretari M5s dell’attuale governo, che sono in carica dopo l’approvazione dei partecipanti alla piattaforma. Tutti i reggenti politici del M5s, che devono nutrirsi dei responsi della piattaforma per essere gli ambasciatori di una idea diffusa di cambiamento, di onestà, di legalità, di modernità e per diventare funzionari di un partito qualunque.

Ora è venuto il momento della responsabilità. I partecipanti alla piattaforma sono un patrimonio da salvare e – soprattutto – da rispettare. Casaleggio deve capire che tutti i membri di Rousseau non gli appartengono, perché se si sono imbarcati in questa magnifica avventura è stato solo per essere il motore decisionale del Movimento, e non per amore verso la Casaleggio & Associati. Crimi, Grillo e Conte devono accettare la realtà legale della situazione (ci sono contratti e costi di gestione che sono stati decisi insieme ed implementati – sempre insieme – negli anni e l’esproprio non rientra nella cultura del Movimento).

Sedetevi intorno ad un tavolo, chiudete la porta che vi collega al mondo esterno, e trovate una soluzione. È il vostro dovere. Non avete alternativa se volete essere credibili e all’altezza della fiducia che vi è stata concessa – politicamente ed elettoralmente – in questi anni. La posta in gioco è enorme. È il momento di vedere se avete un senso di responsabilità. Perché questo è ciò che si aspettano gli aderenti a Rousseau e tutto il M5s.

Il blog Sostenitore ospita i post scritti dai lettori che hanno deciso di contribuire alla crescita de ilfattoquotidiano.it, sottoscrivendo l’offerta Sostenitore e diventando così parte attiva della nostra community. Tra i post inviati, Peter Gomez e la redazione selezioneranno e pubblicheranno quelli più interessanti. Questo blog nasce da un’idea dei lettori, continuate a renderlo il vostro spazio. Diventare Sostenitore significa anche metterci la faccia, la firma o l’impegno: aderisci alle nostre campagne, pensate perché tu abbia un ruolo attivo! Se vuoi partecipare, al prezzo di “un cappuccino alla settimana” potrai anche seguire in diretta streaming la riunione di redazione del giovedì – mandandoci in tempo reale suggerimenti, notizie e idee – e accedere al Forum riservato dove discutere e interagire con la redazione. Scopri tutti i vantaggi!

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giovedì 20 maggio 2021

Sondaggi, com’è cambiato l’elettorato M5s? E’ più di sinistra ma con le stesse parole d’ordine: voglia di politica diversa e lotta alla corruzione

Com’è cambiata la base elettorale del M5s negli ultimi dieci anni? Ora che il boom è passato e il 33 per cento è un ricordo un po’ sbiadito, è vero che l’elettorato Cinquestelle sembra un po’ diverso e si sente un po’ meno di centrodestra, ma dall’altra riconferma – 12 anni dopo la fondazione, 3 dopo la vittoria elettorale – tutte le sue ragioni sociali. Lo dice un sondaggio Demopolis secondo il quale le prime due motivazioni a votare i Cinquestelle restano ancora la voglia di cambiamento della politica (risponde così il 76 per cento degli intervistati) e l’impegno contro la corruzione (opzione scelta dal 68 per cento). Per questo quesito, com’è evidente dalle percentuali, era possibile la risposta multipla. Tra le altre motivazioni indicate ci sono anche il taglio dei costi della politica, l’insoddisfazione per la situazione economica, l’impegno contro disuguaglianze e privilegi e l’attenzione per l’ambiente (che come si sa è una delle cinque stelle del simbolo).

Secondo Demopolis ad oggi il M5s – se Giuseppe Conte fosse ufficialmente il leader – potrebbe ambire al 19 per cento, che potrebbe estendersi fino a un massimo del 25 per cento. L’istituto diretto da Pietro Vento ha messo in fila lo “storico” delle performance elettorali dei Cinquestelle che mette in evidenza l’andamento oscillante negli ultimi 10 anni col picco del 2018 e il dimezzamento progressivo dei consensi negli ultimi tre anni in cui il Movimento è stato forza di governo.

I numeri di Demopolis dicono che lo smottamento è avvenuto all’ala destra del suo elettorato. Se gli elettori che si definiscono “non collocati” restano in una quota analoga (45 per cento nel 2018, 48 oggi), aumentano i votanti M5s che si collocano a sinistra o nel centrosinistra, mentre diminuiscono quelli che scelgono i Cinquestelle perché si ritengono di destra o centrodestra.

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M5s, il tribunale di Cagliari revoca il curatore speciale: “Ha chiesto a Rousseau l’elenco degli iscritti ma non può farlo”

Il legale nominato per fare il curatore speciale dell’associazione Movimento 5 stelle aveva chiesto a Rousseau l’elenco degli iscritti. Ma non aveva alcun titolo per farlo. Per questo motivo il tribunale di Cagliari ha deciso di revocare il mandato all’avvocato Silvio Demurtas per sostituirlo con un altro legale, sempre cagliaritano, Gianluigi Perra. “L’attività demandata all’avvocato Silvio Demurtas con la nomina a curatore speciale dell’Associazione Movimento Cinque Stelle è limitata alla rappresentanza della predetta Associazione nel procedimento di impugnazione della delibera di esclusione dell’associata Carla Cuccu da costei intrapreso”, si legge nel documento dei giudici sardi, diffuso dall’Adnkronos- “Esula, quindi, dallo spettro dei poteri esercitabili dal curatore speciale quello in concreto esercitato con la richiesta alla Associazione Rousseau” volto alla consegna degli elenchi degli iscritti “o, addirittura, ad indire le elezioni in seno all’associazione“. Insomma Demurtas pare essersi mosso più da capo politico che da curatore speciale. “Al riguardo – continua il tribunale – si rileva che l’accertato travisamento dei principi che regolano l’istituto e l’esercizio di poteri che vanno ben oltre quelli previsti dalla norma e dal decreto di nomina costituiscono altrettanti significativi elementi di un esercizio non corretto delle funzioni di curatore speciale processuale con un evidente pregiudizio per l’interesse del rappresentato”.

La nomina del tribunale risale al febbraio scorso. Secondo il tribunale di Cagliari, infatti, il Movimento 5 selle è “rimasto privo di rappresentanza legale” da quando gli iscritti alla piattaforma Rousseau avevano votato per la modifica dello statuto del M5s, introducendo un Comitato direttivo di cinque membri al posto del Capo politico, con tutte le funzioni di rappresentanza legale. Il Comitato direttivo non è stato ancora eletto, e per questo motivo quel giorno era intervenuto Beppe Grillo, con un post su facebook in cui in pratica confermava Vito Crimi come capo politico ad interim. Il tribunale però non la pensa così: per questo aveva nominato un curatore speciale. La prima sezione civile aveva deciso su istanza dalla consigliera regionale della Sardegna Carla Cuccu che il 27 gennaio scorso era stata espulsa dal Movimento con provvedimento firmato dallo stesso Crim. Nell’istanza per la nomina del curatore, firmata dagli avvocati Patrizio Rovelli e Lorenzo Borrè, si faceva presente che “fino al 16 febbraio la rappresentanza legale del Movimento competeva all’organo Capo politico, senonché con delibera del 17 febbraio l’assemblea degli iscritti ha modificato lo statuto abolendo tale organo e sostituendolo con il Comitato direttivo”. Ma, “senza che si sia proceduto contestualmente alla nomina dei cinque componenti, né prevista una norma transitoria che prevedesse a quale organo affidare la rappresentanza legale”. Insomma, secondo gli avvocati si è verificata una vacatio dei poteri di legale rappresentanza, ha spiegato Carla Cuccu, che ha chiesto la nomina di un curatore speciale proprio per poter “correttamente instaurare il contenzioso giudiziario“.

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Letta: “Pd e M5s sono diversi, ma il rapporto è positivo, non è messo in discussione. Lo porterò avanti”

Ill Pd nella maggioranza che sostiene il governo di Mario Draghi è il “guardiano”, il “pilastro” delle “riforme” che devono essere fatte per rilanciare l’Italia e sfruttare le risorse messe a disposizione di Next Generation Eu, che arriveranno solo a patto che il Paese si riformi, anche per dare una prospettiva ai giovani. A sottolinearlo è il segretario del Pd Enrico Letta, che oggi e domani è a Bruxelles per un giro di incontri istituzionali, a partire dalla presidente della Commissione e dal presidente del Parlamento Europeo. “Ho raccontato alla presidente Ursula von der Leyen – dice Letta, a margine di un pranzo con David Sassoli – come il nostro sostegno al governo Draghi è un sostegno pieno, convinto e nel segno dell’Europa. Vogliamo che questo governo continui nella strada che ha intrapreso: lo sosteniamo convintamente, perché l’Europa e l’europeismo sono nel Dna del Pd”. “Crediamo che il nostro compito dentro questa coalizione – aggiunge Letta – debba essere quello di essere i guardiani dello spirito originario, che è quello che farà le riforme e farà avere all’Italia i soldi. Che altrimenti, se non faremo le riforme, non arriveranno”. La vicenda del possibile ingresso del M5s nel gruppo parlamentare dei socialisti e democratici (S&D), ha aggiunto, “è una vicenda che sta gestendo il nostro gruppo parlamentare e la gestirà con la massima autonomia. La seguiamo, ha bisogno di tempi. Ma il rapporto con il M5s è un rapporto che continua, è un rapporto che non è messo in discussione. Siamo diversi, ma esiste questo rapporto positivo che ho intenzione di continuare portare avanti”

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mercoledì 19 maggio 2021

Vitalizi, Taverna (M5s): “Chiesto dibattito in Senato, ma non ne vogliono parlare. Salvini dica perché la Lega li ha ridati ai condannati”

“Abbiamo finito da poco la capigruppo. Per la prossima settimana non è previsto nulla, abbiamo chiesto mezza giornata per parlare di vitalizi. Ma non c’è stato verso. Questi di vitalizi non ne vogliono parlare”. Così Paola Taverna, al termine della riunione dei capigruppo del Senato, durata circa un’ora e trenta, in un video pubblicato su Twitter dalla pagina del Movimento 5 stelle. La senatrice, insieme ad altri colleghi, ha chiesto chiarimenti alla Lega di Matteo Salvini, sul perché, dopo essersi dichiarati contro, abbia votato “sì” alla “restituzione del vitalizio ai condannati?”.

Taverna uscendo dalla capigruppo si era sfogata con i cronisti presenti: “Abbiamo detto che forse era dignitoso per il Senato informare i cittadini italiani che è stata stracciata una delibera del 2015 ed è stato restituito il vitalizio ai condannati – ha spiegato – Ma ci è stato detto di no, che non era possibile fare un dibattito sui vitalizi. Non se ne può parlare, mezza giornata abbiamo chiesto, e non ci è stata concessa nemmeno quella”. La Lega, ha continuato, “ha detto ‘parliamone dando dieci minuti a gruppo’. Ma vi rendete conto? Questo è il massimo che loro ritengono di poter concedere negando il rilievo dello scandaloso privilegio che è stato restituito ai condannati del Parlamento”. “Gli unici che hanno detto sì sono stati Leu e Fdi. Gli altri hanno detto che se ne poteva parlare nell’ufficio di presidenza, o che non era un argomento che interessa. Il senatore Davide Faraone ha detto ‘certo a me i cittadini che incontro al bar mi chiederanno sicuramente dei vitalizi'”, ha concluso Taverna nello sfogo.

Insieme alla vicepresidente di Palazzo Madama, a chiedere spiegazioni nei video pubblicati sull’account social del Movimento alla Lega anche i colleghi Mariolina Castellone, Agostino Santillo, Andrea Cioffi, Gabriele Lanzi, Maurizio Santangeli ed Emma Pavanelli.

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Vaccini Covid, Beghin (M5s) al Parlamento europeo: “Liberate i brevetti, lo chiede il mondo intero. Stiamo proteggendo azionisti e dividendi”

“Voglio dirlo senza giri di parole: liberate i brevetti. Non è solo il Movimento 5 stelle che lo chiede, ma il mondo intero. Il vicepresidente della Commissione europea Dombrovkis dice che è complicato, ma la complessità si affronta, non si evita, ancora di più quando in gioco ci sono delle vite“. Sono le parole dell’europarlamentare del M5s, Tiziana Beghin, intervenuta a Strasburgo per la sessione plenaria. “Se il mondo non ne esce, non ne usciremo nemmeno noi. E quindi basta fingere di proteggere l’innovazione, quando in realtà si stanno solo proteggendo azionisti e dividendi. Big Pharma ha ricevuto decine di miliardi pubblici per la ricerca e questi vaccini li abbiamo pagati due volte, prima per svilupparli e poi per comprarli ancor prima di sapere se funzionassero. Perciò io dico che i vaccini sono un bene pubblico, appartengono al genere umano, sono di tutti noi. E se vogliamo uscire da questo incubo bisogna vaccinare il mondo e obbligare i produttori a smettere di guadagnare sulla pandemia”.

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Rousseau, ecco perché i miei dati appartengono al Movimento o a nessuno

di Giuliano Checchi

Sarò breve e conciso. Mi ero iscritto alla piattaforma Rousseau, perché sono un 5stelle. Se non fossi stato un 5s, non mi sarei certo iscritto alla piattaforma Rousseau. D’altra parte, il Movimento 5 Stelle è nato sette anni prima della piattaforma Rousseau.

All’indomani della spaccatura dei gruppi parlamentari sulla fiducia al governo Draghi, mi sono cancellato dalla piattaforma. Se i gruppi parlamentari non rispettavano più il responso dello strumento di democrazia partecipativa, dov’era l’utilità dello strumento? Oggi posso dire che ho fatto benissimo a cancellarmi, anche alla luce di quanto sta accadendo. Perché non avrei mai accettato che i miei dati di iscritto fossero tenuti in ostaggio.

Mi rendo conto che magari è solo un mio punto di vista, ma ho le idee molto chiare in merito. Ero su Rousseau, in quanto appartenente al M5s. La maggioranza degli appartenenti al M5s ha chiesto, tramite Rousseau, che il M5s restasse in maggioranza. Davide Casaleggio e la piattaforma Rousseau vanno a sostenere chi avrebbe fatto la scelta opposta? Le strade si dividono. E io, vado con il Movimento. E poiché ero del M5s, e resto del M5s, intendo che i miei dati di iscritto siano del Movimento 5 Stelle. O del Movimento 5 Stelle, o di nessuno.

E mi chiedo come facciano certuni a parlare di “democrazia partecipativa” e al contempo chiamare “tradimento” la partecipazione al Governo Draghi. Tradimento di cosa? Non della democrazia partecipativa! Visto che la fiducia a Draghi è stata votata su Rousseau. La democrazia partecipativa va bene solo quando si gradisce il risultato?

Il M5s al governo ha fatto e costruito cose che l’establishment ha avversato e continuerà ad avversare. Pensate che dall’opposizione avremmo potuto lottare per difenderle? Come stiamo cercando di fare con le riforme sulla giustizia? Qualcuno dice che non abbiamo fatto valere il 33% delle politiche. Cosa si aspettavano? Il pieno e totale controllo su tutto? Per avere quello non sarebbe bastato neanche il 51%. Se fossimo stati all’opposizione avrebbero azzerato in questi tre mesi tutto il lavoro di tre anni. Non capisco come mai sia così difficile da capire.

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M5s: ‘Oggi i nostri legali sono stati nella sede di Rousseau, ma l’associazione ha negato i dati. Un privato non può bloccare una forza politica’

Scaduto l’ultimatum di Vito Crimi che solo cinque giorni fa aveva inviato una diffida all’associazione Rousseau perché consegnasse i dati degli iscritti M5s, oggi i legali del Movimento si sono presentati nella sede di Milano dell’associazione per chiedere la consegna dell’elenco ufficiale. Una richiesta che, come era stato annunciato da Davide Casaleggio, è stata respinta. Nei giorni scorsi il M5s ha fatto sapere di essersi rivolto anche al Garante della privacy per dirimere la questione che però non si è ancora espresso sul tema. La lista degli iscritti è fondamentale per completare il processo di rifondazione del Movimento, affidato dallo stesso Beppe Grillo all’ex premier Giuseppe Conte: come ha lui stesso dichiarato più volte, la sua investitura sarà ufficiale solo dopo che la base avrà votato online. Il neo leader negli ultimi giorni ha iniziato a essere più presente nella vita del Movimento e a prendere decisioni operative (una su tutte: le candidature per le amministrative), ma ha bisogno dell’ultimo passaggio formale per poter chiudere il capitolo.

M5s ha mandato “esperti informatici e periti forensi nella sede di Rousseau” – “Oggi è successo un fatto gravissimo”, si legge in un post pubblicato in serata su Facebook. “Il Movimento 5 stelle la scorsa settimana ha ordinato, in conformità alla legge, all’associazione Rousseau, responsabile del trattamento dei dati, di restituire al M5s i dati relativi agli iscritti del Movimento, diffidandola dal continuare ad utilizzarli, indicando il termine di 5 giorni per organizzarsi e provvedere alla restituzione”. Una richiesta alla quale non è mai corrisposta alcuna apertura o disponibilità alla mediazione. Per questo, scrivono ancora i 5 stelle, “oggi, decorso tale termine e previa ulteriore comunicazione di conferma, i nostri esperti informatici e periti forensi si sono recati presso gli uffici dell’associazione Rousseau per ricevere i dati in consegna. Purtroppo, l’Associazione Rousseau, non ha provveduto alla consegna e ciò è oggettivamente grave e palesemente illegittimo”.

Secondo i 5 stelle, le richieste di Casaleggio non hanno fondamento legale: “In tale modo l’associazione Rousseau cerca di ostacolare e di rinviare, come già da tempo, la possibilità per gli iscritti del movimento di esercitare i propri diritti associativi e di esprimersi sul nuovo progetto politico”, scrivono ancora. “Non comprendiamo come un compagno di viaggio con cui si è fatto un percorso insieme stia macchiando una così nobile storia con atti che la legge non ammette. È inaccettabile che un soggetto privato possa tentare di ostacolare l’attività di una forza politica del Parlamento e di governo, accampando pretestuose e incomprensibili motivazioni, anche di natura economica”. Quindi il post del M5s si conclude promettendo che la situazione sarà sanata: “I dati degli iscritti, nei prossimi giorni, torneranno nella disponibilità del Movimento 5 stelle, questo è certo”, scrivono. “Sono essenziali per consentire l’esercizio della partecipazione e della democrazia diretta, che oggi è impedito da questo grave ostruzionismo. Chi ha rallentato questo processo si assumerà tutte le responsabilità nelle sedi giudiziali penali, civili e amministrative per il danno che sta causando al Movimento 5 stelle”.

La (nuova) provocazione di Rousseau: “Ecco come cambiare il titolare dei dati” – Proprio oggi dal fronte dell’associazione Rousseau era arrivata la nuova mossa: in un post pubblicato sul Blog delle stelle, la socia Enrica Sabatini ha spiegato come cambiare la titolarità dei dati: “Ogni iscritto”, si legge, “può esercitare il diritto alla portabilità dei dati (ex art. 20 Gdpr) e richiedere il trasferimento ad altro Titolare, tra cui ad esempio Associazione Rousseau”. E ha continuato indicando l’esatta procedura, previa autorizzazione comunicava via mail. Ma non solo, secondo Sabatini, negli ultimi giorni è diventato sempre più “la preoccupazione di vedere violati i propri diritti, ha spinto tantissimi a rivolgersi a noi per essere tutelati: ci hanno chiesto di non consentire il trasferimento dei propri dati a persone non legittimate e, dall’altra, in meno di 20 giorni oltre mille persone hanno deciso di disiscriversi dal M5s e di impedire che i propri dati vengano consegnati, contro la loro volontà, a soggetti terzi”. Non è chiaro però se la scelta sia legata alla tutela dei propri dati o allo scontro legale in atto tra Rousseau e il Movimento 5 stelle. “L’elenco degli iscritti non è un tesoretto, né un pacco postale, né una proprietà per sentirsi i padroni”, conclude Sabatini. “Gli iscritti sono cittadini attivi che hanno deciso di essere protagonisti della vita politica e verso i quali sentiamo, da sempre, una profonda responsabilità”.

Il fronte di Cagliari – Uno dei motivi dello scontro parte dal tribunale di Cagliari che non ha riconosciuto il ruolo di Vito Crimi come capo politico reggente e che, nell’ambito di un procedimento sull’espulsione di una consigliera M5s, ha nominato un altro legale rappresentante. Oggi gli avvocati M5s Francesco Cardarelli, Andrea Ciannavei e Maurizio Barrella hanno depositato l’istanza di revoca del curatore Demurtas ed il ripristino di Crimi come legale rappresentante sostenendo, tra l’altro, che la nomina del curatore speciale “ha determinato una strumentale reazione sui media, nel senso che il Movimento 5 stelle sarebbe attualmente privo di rappresentante legale e istituzionale, con evidenti gravissime ripercussioni” sull’attività della forza politica. Senza contare che “emerge da dichiarazioni di stampa” rese da Demurtas “che egli avrebbe curato il ricorso proposto da Carla Cuccu, in ciò annidandosi un evidente conflitto di interessi”. Non solo, “il M5s è venuto a conoscenza di una richiesta indirizzata all’Associazione Rousseau dal curatore speciale nella quale quest’ultimo chiede in via urgente la consegna degli elenchi degli iscritti del M5s”. Per il Movimento “l’assoluta illegittimità, illiceità ed esorbitanza della richiesta avanzata dal Curatore, soggetto titolare di mera rappresentanza processuale limitata ad una specifica controversia, ha indotto il M5s a diffidare immediatamente l’istante e, per quanto di competenza, l’Associazione Rousseau a dare seguito ad ogni istanza, richiesta o conseguente trattamento dei dati personali”.

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martedì 18 maggio 2021

Napoli, l’ex ministro Manfredi: “Non mi candido, buco da cinque miliardi”. Conte: “Lavoriamo con il Pd per riequilibrio”

Gaetano Manfredi non correrà per la poltrona di sindaco di Napoli. In serata l’ex ministro dell’Università e rettore della Federico II ha fatto sapere con una lettera di aver declinato l’invito, dopo giorni in cui era sembrato a un passo dal diventare il candidato sostenuto da Pd e Movimento 5 Stelle. A scoraggiarlo, ha detto, è stato il quadro disastrato delle casse di palazzo San Giacomo: “Il Comune presenta una situazione economica e organizzativa drammatica”, scrive Manfredi. “Le passività superano abbondantemente i cinque miliardi di euro tra debiti e crediti inesigibili. Le partecipate sono in piena crisi e si prospettano difficoltà a erogare i servizi. La macchina amministrativa è povera di personale e competenze indispensabili. La capacità di spesa corrente è azzerata”.

“Siamo, di fatto, in dissesto – spiega -, un dissesto che dovrà essere dichiarato o dal sindaco Luigi de Magistris entro qualche giorno o dal nuovo sindaco a fine anno. Sarei felicissimo se venissi smentito su questi dati drammatici, ma temo che saranno confermati. La conseguenza è che, in queste condizioni della città, il sindaco diventa un commissario liquidatore. I napoletani, legittimamente, hanno aspettative altissime: ambiscono ad avere trasporti efficienti, strade riparate e pulite, asili nido, centri per gli anziani, impianti sportivi, parchi pubblici e condizioni di vita quotidiana adeguate ai migliori standard nazionali e internazionali. E questa è soltanto l’ordinaria amministrazione. Ma chiedono anche altro, vogliono evolvere verso la trasformazione digitale, il turismo sostenibile, l’economia circolare, i diritti di cittadinanza. Ambiscono a fare di Napoli, seppur mantenendo tutte le sue formidabili tipicità, una città europea a pieno titolo come è stata sempre nella sua storia”.

“Chi mi conosce – prosegue il testo – sa bene che preferisco la concretezza alle parole vuote. Il dissesto e i conseguenti vincoli di bilancio, in questa fase di grande sofferenza sociale a valle della crisi pandemica, creerebbero ferite profonde e azzopperebbero immediatamente il desiderio di ripartenza che tutti noi abbiamo. Alle aspettative si sostituirebbe la frustrazione. I più deboli pagherebbero il prezzo più alto. Sarebbe una fase lontana dalla mia visione di società e dai miei valori“. Sull’alleanza politica giallorosa, però, specifica che “il campo largo delle forze progressiste che si è costituito a Napoli e ha animato il governo a cui ho partecipato, ha tutte le energie per guidare, su queste basi, lo sviluppo della città, anche con il sostegno della Regione Campania”.

A commentare la scelta di Manfredi, con una nota, il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte. “È un’eccellente espressione della società civile”, scrive l’ex premier. “Mi ha anticipato la sua posizione, che condivido pienamente. La sua denuncia sul dissesto, sui vincoli di bilancio e sulla prospettiva di mera liquidazione che compromettono il futuro del Comune di Napoli, merita una chiara assunzione di responsabilità, da parte di tutte le forze politiche. Il suo richiamo al principio di realtà nasconde amore per la città e un senso nobile della politica, che non illude i cittadini e prospetta soluzioni concrete”. Conte assicura però che “il Movimento Cinque Stelle sarà in prima fila per realizzare questo intervento legislativo di riequilibrio, che anzi intendiamo estendere anche alle altre città metropolitane. Ci batteremo fino in fondo per perseguire questo obiettivo ed evitare che i più deboli paghino le più alte conseguenze della crisi pandemica. Lavoreremo da subito, dialogando con tutte le forze politiche parlamentari, ma sapendo di avere al fianco, in particolare, le forze progressiste a partire dal Pd con le quali costituiremo un fronte ampio, che permetterà a persone di valore, come nel caso di Manfredi, di restituire a Napoli i doni ricevuti”.

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