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martedì 30 novembre 2021

Conte: “Quirinale? Berlusconi non è il nostro candidato. Il presidente della Repubblica deve rappresentare l’unità nazionale”

Non ho aperto al dialogo con la destra per il Quirinale. Ho sempre detto che andremo a scegliere una persona che rappresenti e garantisca l’unità nazionale. Sarebbe sbagliato pensare di non dialogare con tutti i gruppi in parlamento. Rispetto Silvio Berlusconi, ma non è il nostro candidato“. A dirlo il leader del M5s, Giuseppe Conte, entrando nell’assemblea di Confartigianato, sulla possibile corsa del fondatore di Forza Italia alla presidenza della Repubblica.

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Ex M5s Villarosa: “Sì a un nuovo partito, Di Battista sarà il leader. Conte? Se portasse il Movimento a quello di prima, lo voterei”

Col progetto “Su la testa”, assieme ad Alessandro Di Battista, abbiamo intenzione di strutturare le idee originarie del M5s in un partito. Di Battista leader? Lui è un leader di natura. Sarà sicuramente lui il front-man”. Lo annuncia ai microfoni de “L’Italia s’è desta”, su Radio Cusano Campus, il deputato Alessio Villarosa, ex M5s.

“Per ora il nostro è un tour in giro per l’Italia – spiega Villarosa – Allo stato attuale c’è un pensiero unico e una comunicazione unica, sembrano ormai tutti dalla stessa parte. Con Alessandro abbiamo deciso di girare per l’Italia con questo tour che è soprattutto di informazione. Io, in realtà, sono ancora legato al M5s, tanto che proprio ieri ho votato, visto che mi hanno escluso dal gruppo parlamentare, ma non riescono a espellermi dal Movimento nazionale. Ieri ho votato contro il 2 per mille, riguardo al quale ricordo che Di Maio nel 2015 diceva che il M5s non avrebbe mai preso un finanziamento pubblico. Oggi stanno raccontando a tutti che il 2 per mille non è un finanziamento pubblico, ma al contrario lo è”.

L’ex M5s, infine, esprime stima per Giuseppe Conte: “È una grande persona, con lui ho lavorato bene. Spero che faccia ritornare il M5s al Movimento iniziale. Se con Conte il M5s tornasse quello dei vecchi tempi, lo voterei, ma dovrebbe uscire da questo governo il prima possibile. Un po’ dello spirito iniziale dei 5 Stelle ce l’ha anche Conte, io lo conosco bene. Il problema è che nel tempo il M5s è cambiato e Giuseppe si è adattato. Cambiare è corretto, ma passare dal nero al bianco – chiosa – senza riflettere sul grigio non è coerente. Questo è accaduto perché si è accettata la sconfitta. Noi siamo entrati in Parlamento dicendo determinate cose, ma alla prima difficoltà molti hanno mollato e hanno cambiato idea. Questo è successo sin dal 2013 e io, da presidente del gruppo parlamentare, l’ho vissuto proprio in prima persona”.

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lunedì 29 novembre 2021

Manovra, l’M5s vede Draghi. Le proposte: Superbonus senza limiti Isee, cashback fiscale e incentivi per auto a zero emissioni

Sono iniziati lunedì sera gli incontri del premier Mario Draghi con i gruppi di maggioranza sulla legge di bilancio. La prima delegazione ricevuta è stata quella del Movimento 5 stelle composta dal capo delegazione al governo Stefano Patuanelli e dai capigruppo alla Camera e al Senato, Davide Crippa e Mariolina Castellone. Martedì sarà la volta di Lega, Pd e Fi. Intanto al Senato stanno arrivando gli emendamenti alla manovra e sono circa 950 quelli presentati dai pentastellati. Le principali proposte riguardano l’estensione del Superbonus a tutto il 2022 sulle villette unifamiliari senza limiti di Isee (ora il testo prevede al contrario un tetto di 25mila euro) e il rimborso immediato delle spese detraibili, il cosiddetto cashback fiscale. A Palazzo Madama i partiti di maggioranza – che nella notte si misureranno nel primo voto sul decreto fiscale – si presentano tutti con pacchetti assai corposi: un migliaio gli emendamenti di Fi, circa 800 quelli del Pd.

“Abbiamo chiesto anche di dare una risposta al settore dell’automotive, dove, di fatto, non ci sono nemmeno gli incentivi per gli zero emissioni”, ha detto Crippa. “Questo è un problema, legato anche alla capacità produttiva, come a Torino con la 500 elettrica, che è stata la più venduta in Italia per diverso tempo nei mesi scorsi. Dobbiamo trovare le risorse per consentire le immatricolazioni delle zero emissioni immatricolate anche l’anno prossimo”. Si è discusso anche dei rincari dell’energia: “Siamo stati i primi a portare in Parlamento la necessità di prevedere un fondo che aiutasse famiglie e imprese nel trimestre in corso. E ci stiamo già preoccupando di quali sarà il rischio del prossimo trimestre, con l’anno nuovo: le previsioni non sono rosee, quindi abbiamo chiesto che quei 2 miliardi che oggi ci sono nella manovra siano implementati, con misure immediate e anche strutturali, cioè spostando una parte dei costi sulla fiscalità generale“.

Castellone ha aggiunto che il Movimento ha presentato al ministro Franco e al presidente Draghi altre modifiche per un “migliore accesso ai servizi da parte dei cittadini, e per servizi intendo una sanità sempre più vicina al domicilio del paziente, sempre più territoriale, rafforzando ad esempio tutti i meccanismi di diagnosi dei malati oncologici, per recuperare i ritardi cronici che abbiamo accumulato quest’anno”.

Patuanelli dopo l’incontro ha rivendicato che “Draghi è d’accordo con noi, il Reddito non si tocca”. Il Movimento “è stato protagonista” delle correzioni introdotte in legge di Bilancio – ritenute pessime dagli addetti ai lavoro – e ora “il reddito di cittadinanza non deve subire ulteriori modifiche nel percorso parlamentare né nel merito né nella dotazione economica”. E ancora: “Giusto prevedere più controlli ma giusto dire che dal punto di vista sociale è una misura che ha fatto reggere meglio l’urto della pandemia a quelle fasce più povere, giusto prevedere che si intervenga stimolando la ricerca di lavoro e aumentando il concetto di offerta congrua, ma questo è il limite, non si può andare oltre, a quelle forze politiche che pensano di ritoccarlo ulteriormente diciamo compattamente un forte no”.

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Immagino l’elettore grillino che sbianca alla vista di Draghi, Macron, Mattarella e dietro Di Maio

La politica italiana regala spesso scene surreali, ma da quando sono nati i 5 Stelle il surreale ha lasciato il posto alla farsa. L’elettore medio ha poco tempo per approfondire e analizzare le notizie che accadono di giorno in giorno ed è per questo che, grazie alle vicende e alle frenetiche contraddizioni dei grillini, possono avvenire episodi di grande ilarità.

Un elettore grillino distratto ma duro e puro era rimasto al duetto comico di Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio, quelli che subito dopo le elezioni politiche avevano chiesto lo stato di accusa contro il Presidente Mattarella, che avevano fatto la diretta Facebook durante il loro viaggio a Parigi per incontrare i leader dei Gilet Gialli, che avevano messo a ferro e fuoco la Francia per protestare contro Macron. Quelli che volevano uscire dall’Euro e dall’Europa; quelli che avevano fatto il governo con la Lega sovranista e di ultra destra.

Insomma, questo vecchio elettore grillino era da un po’ che non guardava la televisione: votava 5 Stelle perché amava il vaffanculo ai partiti, alla casta, al Pd e perché urlavano niente soldi pubblici ai partiti, niente terzo mandato in politica, niente alleanze, niente trasmissioni tv. Amava gli insulti contro il partito di Bibbiano, contro le cooperative rosse, contro Berlusconi e amava lo slogan “niente politica nella Rai”, niente lottizzazioni, niente indagati nelle liste. Impazziva quando il duetto comico diceva mai più non eletti come Presidente del Consiglio e andava in estasi quando partecipava al fango quotidiano e all’odio social contro il nemico di turno.

Questo elettore grillino si riconosceva nel suo modo di essere duro e puro.

Fatto sta che l’altro giorno ha avuto il brutto pensiero di guardare il Tg1: era felice ogni tanto di guardarlo, diretto da un uomo scelto da Grillo, che elogiava la magnificenza del Movimento 5 Stelle. L’elettore stava cenando e a un certo punto parte il servizio sull’accordo tra Italia e Francia, chiamato del Quirinale. L’elettore grillino a un certo punto sbianca e impallidisce: sulla tv vede Draghi insieme a Macron e a Mattarella e, dietro ad applaudire, Di Maio.

A un certo punto rischia l’infarto quando sente Di Maio dire: “Voterei per Macron se fossi in Francia”. La ragazza dell’elettore grillino chiama l’ambulanza: “Correte, il mio compagno è svenuto”. Dopo qualche giorno il ragazzo si riprende e crede di aver avuto allucinazioni. A questo punto decide di approfondire e studiare un pochino. Inizia a guardare a ritroso gli eventi trascorsi e vede che oggi sono in corso le votazioni sulla nuova piattaforma grillina per accedere al due per mille ai partiti.

Si lascia andare a un insulto secco: “Ma caz… non eravamo contro il finanziamento pubblico ai partiti?”. Si chiede. “Va beh, sarà successo qualcosa”, pensa. Continua a guardare a ritroso e legge: “Il Movimento 5 Stelle alleato strutturale del Pd”. A questo punto esplode il vaffanculo. Non è possibile. Inizia velocemente a ricercare tutto sul web e si aprono una serie di notizie che lo rendono cianotico: 5 Stelle con Draghi, 5 Stelle insieme a Berlusconi nel governo Draghi, i gillini nel partito socialista europeo. Dichiarazioni di Zingaretti del tenore: “Conte il punto di riferimento dei progressisti”.

Poi vede le notizie su Giuseppe Conte e non capisce chi cavolo è. Cerca ovunque e vede che non è eletto da nessuna parte: vede che Conte è stato premier con Salvini, con Berlusconi, Letta e i sette nani, che è il nuovo leader dei 5 Stelle, che Casaleggio forse non c’è più. Vede che Grillo non fa nemmeno più ridere.

Insomma, il povero vecchio e distratto grillino della prima ora ha una crisi di panico e a un certo punto realizza: mi hanno preso per il culo, sono nato grillino sono morto piddino.

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FQChart: il quadro politico non sembra mutato ma il sondaggio Winpoll dà risultati clamorosi

FQChart è la media aritmetica settimanale dei sondaggi sulle intenzioni di voto degli italiani in esclusiva per Il Fatto Quotidiano. Concorrono alla media tutti i sondaggi pubblicati dai maggiori istituti demoscopici nella settimana appena conclusa.

Settimana dal 22/11 al 28/11/2021

Rispetto a quindici giorni fa, stando alle ultime rilevazioni, il quadro politico non è cambiato molto. I partiti continuano a mantenere più o meno la percentuale raggiunta negli ultimi due mesi, con i soliti up and down settimanali, peraltro fisiologici. Vero è che siamo ancora lontani da una campagna ufficiale per le elezioni politiche, ma questa situazione di apparente stabilità è anche la fotografia dell’impotenza dei partiti in parlamento e di conseguenza nel paese.

Nessuno di loro riesce a crescere in questo periodo in maniera consistente, anche la corsa dei Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni (secondi col 19,7% medio) sembra essersi arrestata. E il Pd, primo partito al 20,6%, ha un trend positivo ma un vantaggio troppo esile sugli altri (peraltro, in assenza di una legge di tipo proporzionale, essere primo partito non garantisce la certezza di poter dare le carte per la formazione di un futuro governo).

La Lega e il Movimento 5 Stelle continuano a vivacchiare senza seguire una linea ben precisa e con tante difficoltà per le rispettive leadership. La prima è al 18,5%, il secondo al 15,7% (in calo di più di mezzo punto). Rimane sotto l’8% Forza Italia (7,7%), ma Azione cede mezzo punto (3,5%). Ancora buono (4%) il risultato di Sinistra Italiana e Articolo Uno se si presentassero insieme, mentre ItaliaViva continua a ruotare intorno al 2%.

Questa settimana rimane fuori dalla nostra chart il sondaggio Winpoll per il Sole 24 Ore, una rilevazione che presenta risultati interessanti, a tratti clamorosi. Nel sondaggio infatti il Partito Democratico sfiora il 23% ma è tallonato a sorpresa da una Lega al 22%, mentre FdI rimane più indietro al 19%. Il M5s è appena all’11%, inseguito da una Forza Italia tonica oltre il 10. Potrebbe trattarsi di un risultato estemporaneo non in linea con quelli del recente passato per lo stesso istituto (ma anche per altri) oppure una rivoluzionaria fotografia della realtà che sfugge agli istituti concorrenti.

(Istituti considerati: Swg, Tecnè, Index Research, Ipsos).

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Andrea Scanzi dedica L’affondo al Movimento 5 stelle: “Perché la gente dovrebbe votare una brutta copia del Pd quando c’è già l’originale?”

Nella 12esima puntata de L’affondo – la rubrica in modalità video-selfie disponibile su TvLoft tutti i martedì alle 8 – Andrea Scanzi si pone delle domande sulla vitalità del Movimento 5 stelle e sull’efficacia, non solo comunicativa, del suo presidente, Giuseppe Conte. “Il M5S esiste ancora? E in tal caso è in buona salute?“, si è chiesto il giornalista domandando infine: “Conte ha in testa una forza di centrosinistra, ma se questa idea si risolverà in una sorta di Pd annacquato, perché gli elettori dovrebbero votare la brutta copia quando c’è già l’originale?”.

‘L’affondo’ è un format realizzato da Loft Produzioni per il sito e la app di TvLoft nonché per la smart tv, disponibile online tutti i martedì dalle otto.

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Riforma sanità in Lombardia, il M5s occupa l’Aula e scoppia il caos: nove espulsi, il presidente Fermi chiama la Digos – Video

La riforma della sanità firmata da Letizia Moratti e Attilio Fontana scuote il Pirellone. Dopo tre settimane di interventi delle opposizioni – 90 ore in tutto in 14 sedute – e dopo che per la prima volta nella storia era stata convocata l’Aula di domenica, dalla Lega, e per le assenze dei consiglieri di centrodestra è mancato il numero legale, finalmente si è arrivati alla fase di voto. Ma stamattina il presidente Alessandro Fermi (passato al Carroccio da Forza Italia due mesi fa) ha comunicato l’inammissibilità di oltre mille emendamenti e di più di 3900 ordini del giorno sui 4810 depositati dai gruppi di minoranza.

Durante l’annuncio, dai banchi del Movimento 5 stelle si sono levate le prime proteste. Poi il capogruppo Massimo De Rosa ha preso la parola, visibilmente adirato: “Ciò che ha appena detto è inaccettabile. La minoranza, in queste due settimane di lavoro, ha cercato di migliorare la riforma. Ma la maggioranza oggi decide di tagliare, di oltre due terzi, ordini del giorno ed emendamenti; e di non ascoltare nulla di quello che abbiamo proposto. Ma stiamo scherzando?”, ha detto rivolto alla presidenza, “questa è una tagliola, che avete istituito ufficialmente in quest’Aula, e che crea un precedente gravissimo”.

Successivamente i consiglieri M5s hanno srotolato alcuni striscioni in mezzo alla sala; poi hanno occupato i banchi della presidenza e della Giunta esponendo cartelli. Fermi, a quel punto, ha proceduto a comunicare, una a una, le espulsioni: nove in totale, a eccezione di Dario Violi, in quanto segretario dell’Ufficio di presidenza, e Marco De Angeli, assente per malattia. Allo stesso tempo, il presidente leghista ha chiesto l’intervento degli agenti della Digos affinché ristabilissero l’ordine nell’Aula e portassero fuori i 5 stelle. “Per chiuderci la bocca hanno dovuto cacciarci. Abbiamo lottato per due settimane contro questa non-riforma – ha detto De Rosa – per scoprire oggi che non solo il centrodestra, che ieri ha disertato i lavori d’Aula, non ha ascoltato una parola, ma ha cestinato le nostre proposte tagliando 3500 dei nostri ordini del giorno. Mai la presidenza aveva fatto ricorso a un simile taglio degli atti presentati da un gruppo politico. Un pericoloso precedente per il dibattito democratico in Regione Lombardia. Per questo motivo abbiamo deciso di protestare occupando i banchi, vuoti della Giunta e quelli della presidenza, mostrando con i cartelli le proposte che non hanno voluto ascoltare: meno liste d’attesa, stop nomine politiche, pubblico e privato uguali diritti e uguali doveri”.

I lavori sono stati sospesi per circa mezz’ora e sono ripresi coi banchi dei 5 stelle vuoti. In Aula è arrivata anche la vicepresidente e assessora al Welfare, Letizia Moratti. Domani si procederà con la votazione dei 929 ordini del giorno rimasti. Mercoledì mattina sono previste le dichiarazioni di voto e l’approvazione definitiva della riforma fortemente voluta proprio da Moratti. Nel pomeriggio, intanto, verrà valutata la posizione degli espulsi e si deciderà se limitare l’allontanamento dall’Aula solo a oggi o se estenderla anche al giorno del voto.

Twitter: @albmarzocchi

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M5s, aperta la votazione online sul al 2xmille. Conte: “È una richiesta che arriva dai territori, se vinceranno i sì i fondi andranno a loro”

Il Movimento 5 stelle accederà ai fondi del 2xmille? Lo si scoprirà domani, alla chiusura della votazione online che si è aperta alle 12 sulla svolta proposta dal leader Giuseppe Conte. L’annuncio della consultazione è arrivato giovedì scorso in tarda serata, durante l’assemblea congiunta dei gruppi M5s di Camera e Senato: oggi l’ex premier si è espresso sulla questione con un lungo post su Facebook. “Questa votazione è l’approdo di un percorso iniziato dalla richiesta di molti attivisti che, faticosamente e quotidianamente, si adoperano sui territori per fare quella politica sana, ma anche spesso dispendiosa, che necessita però di un sostegno economico per poter essere continua ed efficace”, scrive. “Per parte mia – spiega – ho preso atto di questa richiesta e ho dichiarato subito che la decisione, com’è nella tradizione del Movimento per le scelte più significative, deve essere rimessa alla volontà degli iscritti. Affrontiamo questo passaggio in maniera serena, valutando liberamente e scegliendo consapevolmente. Se prevarranno i sì, ogni contribuente potrà decidere di destinare, per sua libera scelta, il 2×1000 al Movimento; nel caso in cui prevarrà il no, non cambierà nulla. Posso anticiparVi che se prevarrà un voto favorevole, mi impegnerò personalmente per garantire che queste somme siano destinate a favorire l’azione politica sui territori e l’elaborazione di nuovi progetti a beneficio delle comunità locali e nazionali (penso, ad esempio, a tutte le iniziative progettuali che saranno elaborate anche nell’ambito della Scuola di formazione). Nel caso in cui prevarrà un voto contrario, state certi che continueremo a fare quel che abbiamo sempre fatto e lo faremo con l’autofinanziamento e le micro-donazioni”.

A schierarsi a favore della svolta, in assemblea, sono stati la maggior parte dei parlamentari. “È un contributo volontario e trasparente, che ci consentirebbe di finanziare di più e meglio le nostre attività sui territori”, ha riassunto il presidente della Commissione Affari Europei della Camera, Sergio Battelli. Sottolineando che, a differenza del “vecchio” finanziamento pubblico, con il 2xmille “è il contribuente che sceglie se destinare una piccola quota della dichiarazione dei redditi”. Contrario invece l’ex ministro Danilo Toninelli: “Sono soldi pubblici che invece di restare nelle casse dello Stato vanno a foraggiare i partiti. Il Movimento 5 stelle ha dimostrato che la politica si può fare senza soldi pubblici: è un aspetto identitario che ci distingue da tutti gli altri e non possiamo abbandonarlo”, ha spiegato al fattoquotidiano.it. Un’ora prima dell’apertura delle urne digitali si è esposto per il no anche il senatore Primo Di Nicola, giornalista e vicepresidente della Commissione di Vigilanza Rai. “Un No convinto, netto e radicale. L’idea di attingere a soldi pubblici, oltre che sbagliata per la necessità contingente – il finanziamento della struttura interna che si sta mettendo in piedi – rischia di rappresentare un passo epocale, decisivo, verso l’omologazione del M5s alla vituperata partitocrazia. Utilizzare risorse e finanziamenti pubblici significa farsi partito come gli altri, quasi rinunciare ad ogni speranza di cambiamento del sistema politico”, scrive sui social. “Ricorrere al 2 per mille – aggiunge – significa legittimare il saccheggio delle risorse pubbliche che sempre il M5S ha denunciato raccogliendo nel marzo 2018 ben 11 milioni di voti, molti dei quali certamente di cittadini stanchi della piega disgustosa che in Italia ha preso la vicenda del finanziamento della politica”.

Un sì della base darebbe il via all’iter per iscrivere il M5s al registro dei partiti: procedura che comunque – come ha raccontato questo giornale – non può in nessun caso concludersi entro il 30 novembre, termine ultimo per ottenere il finanziamento già nel 2022. Non solo: per dare il proprio imprimatur all’iscrizione, la Commissione di garanzia – un organo con sede alla Camera composto da cinque magistrati – potrebbe chiedere modifiche allo statuto concordato a fatica tra Conte e Beppe Grillo la scorsa estate. Anche per questo, si racconta, la svolta sui soldi pubblici non è stata particolarmente gradita al fondatore, che però ha optato per il silenzio: nessun post verrà pubblicato sul suo blog, quantomeno a consultazione in corso. In base alla legge 149 del 2014, infatti, il documento deve assicurare trasparenza e democrazia indicando con precisione la durata e i poteri delle cariche, gli organi di garanzia e i diritti delle minoranze, nonché la cadenza dei congressi: requisiti la Commissione potrebbe non ritenere rispettati dallo statuto pentastellato, chiedendo modifiche, proprio come ha già fatto – da ultimo – esaminando la richiesta di iscrizione di Coraggio Italia, il nuovo partito di Giovanni Toti e del sindaco di Venezia Luigi Brugnaro. Oltre che sul 2mille, gli aderenti al M5s voteranno oggi e domani per scegliere a quali enti e associazioni destinare quattro milioni di euro di restituzioni degli stipendi dei parlamentari: “Siamo orgogliosamente l’unica forza politica che considera questo atto un dovere etico e morale“, scrive Conte.

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domenica 28 novembre 2021

M5s, la “missione 2xmille” è impossibile prima del 2023: il termine scade il 30 novembre. Ma per l’istruttoria ci vorrà almeno un mese

“Scusi, lei è favorevole o contrario?”. I 5 stelle sono inseguiti, placcati, rincorsi: la domanda che tiene banco è se davvero cederanno alla lusinga del 2 per mille dell’Irpef degli italiani. Ossia se chiederanno di aver accesso al riparto del contributo pubblico che dal 2017 ha sostituito definitivamente i rimborsi elettorali. Ma che per i duri e puri – ormai minoranza – resta un tabù, per non dire una bestemmia. Un approdo inevitabile invece per il resto delle truppe parlamentari pentastellate, che l’altra sera, di fronte al leader Giuseppe Conte che annunciava di voler sottoporre la questione agli iscritti, non hanno battuto ciglio. Ma c’è un però: bene che vada, il M5s potrà accedere al 2 per mille non prima del 2023. Infatti il 30 novembre scade il termine annuale entro il quale si deve risultare iscritti al registro dei partiti per concorrere al riparto degli importi che spettano in base alla scelta fatta dai contribuenti. E per quel giorno è impossibile che si sia conclusa la procedura per ottenere l’iscrizione: prima servirà un’istruttoria curata dalla Commissione di garanzia sugli statuti e la trasparenza sui rendiconti, un organismo composto da cinque magistrati che ha sede alla Camera, a palazzo San Macuto. Un passaggio non esattamente istantaneo, tanto più che il collegio non tornerà a riunirsi prima del 10 dicembre, a termine per le iscrizioni di quest’anno ormai scaduto.

Ma ecco come funziona. Per sperare di accedere al 2 per mille i partiti devono prima ottenere semaforo verde dalla Commissione. Che dopo la richiesta di iscrizione al registro apre, appunto, un’istruttoria per verificare che la forza politica richiedente abbia uno statuto che risponda a precisi requisiti. Per esser considerato conforme, oltre all’indicazione di simbolo e dicitura, lo statuto deve prevedere gli strumenti per assicurare la democrazia interna, tanto per cominciare. Esplicitare tempi e modi del ricambio delle cariche, indicare quali siano strumenti e procedure per la tutela degli iscritti, descrivere in quali casi e condizioni scattano sanzioni ed espulsioni: tutti nodi più o meno critici per la storia del Movimento fondato da Beppe Grillo, che prima ha incoronato Conte leader con un blitz, poi ha contestato la “rifondazione” dell’ex premier con l’accusa di essere stato marginalizzato, infine ha siglato una pax che però ora torna a vacillare. Come torna il tema della contendibilità della leadership: le regole interne che il Movimento si è dato a luglio definiscono sì il ruolo di Conte come capo politico, ma indicano Grillo come custode dei principi e dei valori dell’azione politica, carica che gli lascia ampi margini di intervento attraverso il Comitato di garanzia, di cui fanno anche parte Luigi Di Maio e Virginia Raggi. Una catena di comando complessa, a cui si è giunti attraverso un compromesso che ora deve passare il vaglio della Commissione di garanzia e trasparenza dei partiti.

L’istruttoria sullo Statuto ha un tempo variabile: dipende da quanto le regole interne aderiscano o meno ai requisiti prescritti e dipende pure dalla volontà del partito di adeguarsi alle eventuali prescrizioni e richieste di modifica da parte della Commissione. L’ultimo soggetto politico a trasmettere lo statuto con l’obiettivo di iscriversi al registro è stato Italexit di Gianluigi Paragone. Per sbrigare la pratica c’è voluto circa un mese, giusto in tempo per la scadenza del 30 novembre. Chi invece ancora attende il via libera, dopo le modifiche impartite dalla Commissione allo statuto, è Coraggio Italia, la nuova forza del sindaco di Venezia Luigi Brugnaro. Insomma, la procedura è complessa e ha tempi ristretti, ma non esattamente immediati: una volta ottenuto il via libera allo statuto (bollinato davanti a un notaio), c’è ancora un ultimo passaggio, la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Infine, la Commissione procede alla comunicazione al Mef per il codice che deve essere attribuito al partito e che il contribuente potrà scegliere in sede di dichiarazione dei redditi per la destinazione della quota Irpef calcolata sull’imponibile.

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venerdì 26 novembre 2021

In Senato torna il Partito comunista grazie all’ex M5s Dessì: “Falce e martello rinascono”. Rizzo: “L’Arcobaleno per fortuna non c’è più”

“Abbiamo lavorato tanto su alcune proposte che presenteremo in Parlamento. Il Partito comunista torna in Senato con idee sociali serie per rinvigorire una politica appiattita su proposte centriste“. Così il senatore ex Movimento 5 stelle, Emanuele Dessì, ha commentato la nuova componente del Senato del Partito comunista (di cui è l’unico esponente). “Dopo 13 anni la falce e il martello tornano in Parlamento”, sono state le parole del segretario Marco Rizzo, che non ha mancato di mandare una frecciata all’esperienza “arcobaleno” del 2008 con Verdi, Sinistra democratica, Rifondazione e Comunisti italiani.

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giovedì 25 novembre 2021

Il M5s apre al 2xmille: la scelta divide gli eletti. Battelli: “È un contributo volontario e trasparente”. Toninelli: “Non possiamo diventare come tutti gli altri”

2xmille sì o no? Il Movimento 5 Stelle discute sull’opportunità di iscriversi al registro dei partiti per poter usufruire del meccanismo di sostegno volontario in dichiarazione dei redditi. L’assemblea dei parlamentari ha scelto di sottoporre la questione al voto online degli iscritti, con la grande maggioranza degli eletti (compreso il leader Giuseppe Conte) schierati a favore della svolta. Tra gli interventi più decisi a favore quello del deputato Sergio Battelli, ex tesoriere del gruppo a Montecitorio, mentre l’ex ministro Danilo Toninelli ha parlato di “identità tradita”. Ilfattoquotidiano.it ha raccolto i punti di vista di entrambi.

PRO / Sergio Battelli, presidente della Commissione Affari Europei della Camera

Onorevole, cosa c’è di male ad accettare contributi pubblici?
Non c’è nulla di sbagliato in sè, il punto è l’uso che se ne fa. I nostri gruppi parlamentari utilizzano già fondi messi a disposizione dalle Camere per svolgere l’attività politica: anche quelli sono soldi pubblici. Il 2xmille, invece, ci consentirebbe di finanziare di più e meglio le nostre attività extraparlamentari, quelle sui territori, che abbiamo il bisogno urgente di strutturare e organizzare. L’importante è gestire i soldi in totale trasparenza, e in questo senso iscriverci al registro dei partiti ci obbligherebbe a osservare standard molto alti.

Perché allora tanta resistenza?
Si confonde il 2xmille con il “vecchio” finanziamento pubblico, abolito dalla riforma del 2014. Quello era un sistema sbagliato: ai partiti arrivavano milioni di euro pubblici in automatico, sulla base del risultato elettorale. Qui invece è il contribuente che sceglie se, e a chi, destinare una piccola quota della dichiarazione dei redditi. E a differenza di quel che accade con l’8xmille, se non si esprime una preferenza i soldi restano nelle casse dello Stato. Il 2xmille non è brutto né cattivo e non va guardato con odio. È un sistema che premia i partiti in base al loro rapporto con gli elettori.

Quindi il M5s ha sbagliato a non prendere prima quei soldi?
Non direi questo. Ci si evolve su tante cose, si cresce, crescono le ambizioni e la necessità di promuovere la propria attività politica. E in questo momento abbiamo un’urgenza assoluta di organizzarci sui territori. Non parliamo di finanziamenti oscuri ma di un supporto che i cittadini sceglierebbero di riconoscerci in totale autonomia. Io poi personalmente sono per la realpolitik, non ho mai amato il moralismo sui soldi pubblici. Ripeto, l’importante è come si gestiscono.

E come lo si spiega agli elettori a cui era stato detto il contrario?
Con trasparenza e coraggio, senza girarci attorno. Spiegando il perché questo aiuto ci serve, le finalità per cui lo vogliamo usare. Già agli Stati generali dell’anno scorso in moltissimi si erano schierati a favore di questa svolta. Se saremo onesti la gente capirà.

CONTRO / Danilo Toninelli, senatore ed ex ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti

Senatore Toninelli, il 2xmille è un contributo volontario. In cosa è diverso da una donazione?
Sono soldi pubblici che invece di restare nelle casse dello Stato vanno a foraggiare i partiti. Il Movimento 5 stelle ha dimostrato che la politica si può fare senza soldi pubblici: è un aspetto identitario che ci distingue da tutti gli altri e non possiamo abbandonarlo. So di essere in minoranza e sono contento che la questione venga sottoposta al parere degli iscritti. Ma io voterò contro.

La politica però costa. Soluzione?
Le ripeto la mia proposta in assemblea: tornare a far sognare i cittadini. Lanciare campagne di donazioni basate su progammi visionari a medio-lungo termine, spiegando alla gente, come sempre abbiamo fatto, che per realizzare i sogni del reddito universale, del salario minimo, della transizione ecologica abbiamo bisogno di piccoli contributi di due, cinque, dieci o cento euro.

Di Battista dice che le donazioni non arrivano più perché il Movimento non ha più un’identità.
Io invece penso che possiamo riattivare l’entusiasmo nel nostro popolo, se abbiamo davvero la volontà di farlo. Nei due anni di Covid non è stato facile, ora che siamo nel governo Draghi lo è ancora meno. Di però certo la soluzione non è piegarsi al “così fan tutti”, non è nel nostro Dna. Se teniamo il punto sulle nostre battaglie anche i soldi arriveranno.

Alle prossime elezioni, però, rischiate di avere la metà dei parlamentari e un budget ridimensionato.
Il mio discorso non riguarda solo i gruppi parlamentari. Ho sempre lavorato per il progetto del Movimento, di cui il gruppo è un organo vitale ma non l’unico. E il numero degli eletti non conta. Al prossimo giro saremo in cento? Faremo campagna in mezzo alla gente diffondendo le nostre idee come se fossimo trecento. Anzi, le dirò di più: avere meno soldi può essere addirittura un vantaggio. Ci aiuterebbe a non sederci, a recuperare lo spirito delle origini.

Accettare il 2xmille sarebbe un autogol reputazionale?
Sarebbe un errore che i media userebbero per sparare ancora una volta sul Movimento. Ma il disastro comunicativo irreparabile sarebbe cedere su un altro principio identitario, il limite dei due mandati. La politica per noi non può diventare una professione. E lo dico contro il mio interesse, visto che non potrei ricandidarmi.

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M5s, Patuanelli: “Draghi al Quirinale? Meglio che resti presidente del consiglio. In ogni caso sarebbe un errore tornare al voto”

Mario Draghi al Quirinale? Anche se fosse, poi non si dovrebbe tornare alle urne. E’ questo, in sintesi, il pensiero di Stefano Patuanelli, ministro delle Politiche Agricole e capo delegazione del M5S al governo. “Nessuno ha la sfera di cristallo, quello che accadrà è difficile da prevedere, anche per la fluidità delle forze politiche, l’importanza di gruppi misti totalmente eterogenei: gestire quella fase sarà totalmente un’incognita. Ma, indipendentemente da chi il Parlamento e i grandi elettori decideranno dovrà essere prossimo Presidente della Repubblica, io credo non si possa tornare al voto perché vi sono degli elementi di necessità che debbono per forza prevedere una continuità e non una sospensione lunga per un momento elettivo: tra campagna elettorale, elezioni, formazione del governo passerebbero sei mesi”, dice il ministro all’Adnkronos.

“Credo che in questo momento -con le risorse del Pnrr da incanalare nelle diverse strade di investimento previste, la gestione della pandemia che comunque non è finita- pensare di portare il Paese al voto sia un errore, dunque a prescindere da chi sarà il Presidente della Repubblica credo si debba proseguire in questa Legislatura”, continua Patuanelli. Che su Draghi aggiunge: “Credo abbia dimostrato di essere in grado di condurre il Paese in questa fase complessa, con una situazione politica non facile da gestire all’interno di un Cdm e di un Parlamento con tante forze così diverse che assieme devono prendere delle decisioni, Draghi ha sempre dimostrato di non cercare un equilibrio ma di fare le cose di cui è convinto, a volte contrastando in qualche modo gli interessi di una forza, qualche volta di un’altra, ma alla fine se è convinto che una strada è quella giusta è in quella direzione che si muove. Ed è questa l’unico modo che aveva per affrontare questo ruolo così complicato. Nel caso ci fosse un voto del Parlamento per Draghi Presidente della Repubblica, trovare una persona di altrettanta capacità e autorevolezza non sarebbe facile, dunque il primo pensiero è bene che resti presidente del Consiglio. Poi le condizioni con le quali arriveremo a gennaio e le interlocuzioni delle varie forze politiche vediamo a cosa parte…”. E dunque Patuanelli chi vorrebbe al Colle? “In linea di principio, mi piacerebbe ci fosse una donna, non perché per forza il prossimo Presidente della Repubblica debba essere una donna, ma perché credo che sia il momento in cui questo Paese possa avere all’apice dei suoi organi costituzionali una donna”.

Patuanelli ha commentato anche le dinamiche interne ai 5 stelle. A cominciare dall’apertura al 2×1000. “E’ evidente che la forza politica che cresce, diventa forza di governo e deve radicarsi sul territorio, deve anche avere a disposizione una struttura e la struttura costa”, dice il ministro, esprimendosi a favore della svolta. “Cerco sempre di non essere ipocrita né di nascondermi dietro un dito. A cinque anni non mi mettevo la cravatta e l’abito, ma nemmeno a 38. Le cose nella vita cambiano e ci si adegua al cambiamento. E’ evidente che, affinché il M5S possa radicarsi sui territori, come è necessario che sia, bisogna anche investire risorse per essere presenti. Molti attivisti ci chiedono: come facciamo ad avere una sede? Dove ci incontriamo?”, ha proseguito Patuanelli. Dopo la svolta sul 2×1000 sarà addio anche alla regola dei due mandati? “Oggi è prematuro fare questo ragionamento, quando sarà il momento queste persone decideranno come farlo, se farlo e quando farlo. Sul 2×1000 faremo un passaggio in rete, come è giusto che sia quando si modificano le regole. Come tutti i portavoce sono in conflitto di interessi pur essendo al primo mandato, ma anche per me arriverà quel momento dopo una seconda eventuale legislatura fatta. Credo si debba far ragionare gli organi deputati sulla eventuale necessità (di abrogare la regola dei due mandati, ndr), su come farlo, su come proporlo agli iscritti. Gli organi deputati sono il presidente, il garante e l’organo di garanzia, che approva i regolamenti”, dice il ministro. Riguardo al cosidetto “Aventino” dei 5 stelle sulla Rai, invece, ha aggiunto: “Credo sia stato giusto in quel momento segnalare la situazione in cui ci trovavamo con molta chiarezza e anche in modo forte, dopodiché nella vita nulla è per sempre e vedremo cosa succederà. Però ribadisco la gravità di quel passaggio”.

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Salario minimo, l’eurodeputata Rondinelli (M5s): “Più dignità ai lavoratori e stop alla concorrenza sleale tra imprese di Paesi diversi”

“Finalmente ce l’abbiamo fatta. Era la nostra prima priorità, abbiamo vinto la battaglia”. Esordisce così l’eurodeputata del Movimento 5 stelle, Daniela Rondinelli, membro della commissione Occupazione e Affari sociali al Parlamento europeo, per commentare il via libera di Strasburgo all’avvio dei negoziati coi governi per il salario minimo. “Oggi è una giornata straordinaria per quei 30 milioni di lavoratori dell’Ue che non hanno un salario minimo e che sono pagati pochissimi euro all’ora”.

“Il salario minimo – prosegue Rondinelli – dovrà riguardare tutti i lavoratori anche i rider, gli stagionali, i tirocinanti e gli stagisti. Basta lavoratori sottopagati. Infine, viene rafforzata la contrattazione collettiva, ponendo un argine invalicabile ai contratti pirata, ed è stato eliminato ogni riferimento alla produttività come principio al quale agganciare la fissazione del salario minimo. Non dimentichiamo inoltre che il salario minimo porterà benefici anche alle imprese italiane che soffrono il dumping sociale e salariale dei loro competitori dell’Est Europa e aiuterà a contrastare l’odioso fenomeno delle delocalizzazioni”.

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Svolta M5s, c’è l’ok al finanziamento pubblico: Conte annuncia il voto online sul 2xmille. Ma c’è chi si oppone: “Tradiamo i nostri valori”

“Un passaggio significativo, che segna uno scarto rispetto al passato“. Così il presidente del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, ha presentato la più importante decisione presa dall’assemblea congiunta dei parlamentari grillini: quella di iscriversi al registro dei partiti per accedere al finanziamento pubblico del 2xmille. “La stragrande maggioranza” degli eletti, ha comunicato l’ex premier ai suoi, “è pronta ad affrontare la novità. Ci sono quattro o cinque contrari, qualcuno ha dubbi. Ma il resto è favorevole”. La scelta sarà comunque sottoposta al voto online degli iscritti, da tenersi lunedì o martedì mattina: un voto che Conte definisce “non solo opportuno ma necessario, anche dal punto di vista ideale e valoriale”, perché “se i nostri iscritti ritengono che questa strada non sia percorribile neppure ci finanziano”. E ha concluso: “Cercherò di proporre un quesito chiaro“. La scadenza per chiedere i benefici, ha ricordato in assemblea il tesoriere Claudio Cominardi, è il prossimo 30 novembre.

Tra le voci favorevoli quella di Vito Crimi: “Bisogna essere sinceri ed evitare le ipocrisie“, ha detto l’ex capo politico reggente, titolare del trattamento dei dati degli iscritti. “Considerato il taglio dei parlamentari, bisogna prendere atto della necessità” dei fondi pubblici, in quanto “ci sarà una riduzione forte dei parlamentari dovuta al calo dei consensi e al taglio degli eletti”. Anche iscrivendosi al registro dei partiti, ha rassicurato, “rimaniamo quello che siamo, un movimento politico”. “Contrarietà totale” invece dall’ex ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli: “Si tratta di soldi pubblici e noi che parliamo tanto di identità dovremmo ricordarci che la nostra identità si fonda sul fare politica senza gravare sulle casse dello Stato. Non capisco neppure come se ne possa parlare“, ha attaccato. Dubbi anche dalla senatrice Laura Bottici, una dei questori di palazzo Madama: “Non è che prendiamo il 2 per mille e con questa scusa non versiamo più (le restituzioni dello stipendio, ndr)? Se così fosse sarebbe molto scorretto”, ha detto in assemblea.

Il senatore Alberto Airola mette in guardia: “La politica non si può fare senza soldi, ma sul finanziamento pubblico ai partiti abbiamo fatto una battaglia… l’impatto che dobbiamo considerare è che i giornaloni scriveranno: che il M5S diventa un partito e prende i soldi dei cittadini, la confezioneranno come la fine del Movimento”. E pure secondo il presidente della Commissione Bilancio e relatore della manovra, Daniele Pesco, la svolta rappresenterebbe “un valore identitario violato“. Di più: “Rischiamo di sputtanarci, facciamo una magra figura sul piano politico e rischiamo di raccogliere pochissimo su quello economico”, avverte il senatore Giuseppe Audinio. Ma il presidente della Commissione Politiche Ue Sergio Battelli riporta tutti alla concretezza: “Io ho fatto il tesoriere per due anni, quindi per favore non facciamo troppo i moralisti. I soldi servono, abbiamo fatto palchi con centinaia di parlamentari in giro per l’Italia, video, dirette, gazebo, Italia 5 Stelle. Per il lavoro dei parlamentari abbiamo speso tanto e vi dirò una cosa questi sono tutti soldi pubblici. Niente di più niente di meno”. Ed Elvira Evangelista riassume: “È finito il tempo in cui ci finanziavamo con le pizze, non è più l’epoca di Beppe Grillo. Abbiamo bisogno di questi soldi”.

Insieme al voto sul 2xmille, gli iscritti dovranno approvare anche la squadra di vicepresidenti designati da Conte (Taverna, Turco, Gubitosa, Todde e Ricciardi), e, se si riuscirà a stringere i tempi, anche i Comitati. Il leader ha scandito le tappe: giovedì si dovrebbe procedere al completamento della squadra dei Comitati, votarli insieme ai i vicepresidenti la prossima settimana e poi scegliere i delegati territoriali. In assemblea si è discusso anche delle nuove misure sul green pass rafforzato, con molti eletti (tra gli altri Mauro Coltorti, Mirella Emiliozzi, Patrizia Terzoni e Luca Sut) a esprimere scetticismo e perplessità: “Ciascuno di noi ha dei dubbi, come voi, però credo che la questione vada valutata in ordine al principio di massima precauzione, come dice Giuseppe Conte. Bisogna fidarci di quello che dicono i medici, della medicina che si basa su procedure stocastiche e quando si danno i numeri bisogna darli con precisione. È giusto non criminalizzare chi la pensa in modo diverso e convincere queste persone che il vaccino ora è l’unica arma contro il Covid”, ha rassicurato il ministro dell’Agricoltura Stefano Patuanelli.

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Nomine Rai, scintille in Vigilanza durante l’audizione dei vertici. M5s: “Lottizzazione delegata al governo, si poteva fare di più”

Scintille in Commissione di Vigilanza Rai durante l’audizioneproseguita mercoledì dopo le relazioni del giorno precedente – dei nuovi vertici della tv pubblica, la presidente Marinella Soldi e l’amministratore delegato Carlo Fuortes. Il tema sono ancora le nomine dei direttori di testata, che hanno scontentato non solo il Movimento 5 stelle (escluso dalle scelte con il siluramento di Giuseppe Carboni dal Tg1) ma anche il sindacato dei giornalisti (Usigrai) e i Comitati di redazione di Tg3 e RaiNews, con quest’ultimo in particolare a parlare di “nomine spartitorie” e piegate ai desiderata della politica. Martedì Fuortes ha ricordato come siano “la legge e lo statuto a chiedere che l’ad crei le condizioni per il parere positivo in cda”, che è nominato a maggioranza dalla politica. E il giorno dopo ha ammesso di aver avuto, “tra le molte interlocuzioni, anche interlocuzioni con rappresentanti dei partiti politici. Credo sia doveroso considerando il tipo di statuto e di legge a cui dovevo attenermi. Questo attiene alla mia indipendenza e autonomia”, ha rivendicato. “Se il Parlamento farà una legge in cui prevede un decalogo sul processo di formazione delle mie proposte, io mi ci atterrò strettamente”.

Parole che non convincono i componenti pentastellati della Vigilanza. “È chiaro che il vostro sia un mestiere difficile. Ma per queste nomine si poteva fare meglio e di più“, attaccano in una nota il vicepresidente della Commissione, il senatore Primo Di Nicola, e la capogruppo Sabrina Ricciardi. “Con un gradimento quasi plebiscitario ottenuto per il mandato come vertici dell’azienda”, ricordano, “questa governance avrebbe potuto fare nomine davvero in totale autonomia. Invece è stato fatto un salto nel buio dalla lottizzazione partitica a una lottizzazione che sarebbe stata delegata addirittura a palazzo Chigi. Se le notizie emerse fossero confermate, si sarebbe deciso di consegnare la Rai al governo”.

Di Nicola ha chiesto ai vertici un intervento anche a proposito di Stand by me, la società di produzioni televisive di Simona Ercolani, una delle principali fornitrici della Rai. Il nome di Ercolani compare nelle carte dell’inchiesta Open, che la presentano come autrice – insieme al marito Fabrizio Rondolino – di un piano di killeraggio mediatico (“character assassination”) di giornalisti e avversari politici a mezzo social, con l’aiuto di investigatori privati, proposto all’allora segretario del Pd Matteo Renzi. “Il compito di accertare la fondatezza dei rilievi menzionati e la valutazione di eventuali profili di illegalità compete alle procure: in Rai lavoriamo con tutti i produttori e i rapporti sono fondati su progetti editoriali, peraltro i fatti di cui parla sono avvenuti prima del nostro arrivo”, ha tagliato corto la presidente Soldi. “Non sappiamo se questo piano sia andato a compimento o meno, spetterà alla magistratura fare luce”, replica Di Nicola, “ma parliamo di un’azienda, la Rai, che deve tutelare la propria immagine e rispondere a dei criteri etici, per cui la risposta della presidente Soldi sulla questione secondo noi non è stata adeguata”.

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mercoledì 24 novembre 2021

Friuli Venezia Giulia, rinvio a giudizio per la vicenda delle mascherine “taroccate”. L’indagine nasce da un dossier del M5s

Una fornitura di mascherine provenienti dalla Cina, nei primi tempi della pandemia, e finite in Friuli Venezia Giulia, hanno portato non solo al rinvio a giudizio di un imprenditore libanese, ma anche al riaccendersi delle polemiche dopo i dossier che lo scorso anno il Movimento 5 stelle aveva raccolto sulla gestione degli interventi anti-Covid da parte della Regione. Nella primavera 2020, un contratto sottoscritto con la Protezione civile friulana prevedeva la consegna di un milione di mascherine chirurgiche e di 100mila Kn95 (si tratta di mascherine filtranti facciali come le Ffp2, ma di certificazione cinese), per un valore di 640mila euro. Le mascherine chirurgiche avevano un prezzo di 0,45 euro l’una, mentre poche settimane prima la Regione le aveva pagate solo 3 centesimi.

Ci sarà un processo per frode in pubbliche forniture e immissione sul mercato di mascherine chirurgiche non conformi agli standard tecnici. Sul banco degli imputati finirà Ali Mansour, 45 anni, legale rappresentante della società a responsabilità limitata “Mds international” di Trieste, una società di servizi d’internazionalizzazione d’impresa che aveva vinto l’appalto, con la procedura dell’affidamento diretto. La società era finita nel mirino della guardia di Finanza (anche in Puglia) per i dubbi sulla regolarità dei dispositivi distribuiti. Nell’aprile 2020 alla Protezione Civile di Palmanova erano state consegnate circa 60mila mascherine, dei due tipi, che poi erano state sequestrate. Per questo la Regione Friuli Venezia Giulia si è costituita parte civile nel procedimento.

Il rinvio a giudizio è stato deciso dal gup Carlotta Silva. Il pubblico ministero Elisa Calligaris sostiene che le mascherine riportavano un marchio Ce non regolare per mancanza di dichiarazione di conformità Ce (per gli apparati chirurgici) o Ue (per i Dpi). La difesa (avvocato Giulio Di Bacco) sostiene, invece, che a prescindere dalla marchiatura, la merce fosse di buona qualità, come attestato da alcune verifiche effettuate durante le indagini preliminari. Il capitolo giudiziario innesca però anche una polemica politica. A denunciare i sospetti su forniture pubbliche di mascherine erano stati i consiglieri regionali del Movimento 5 stelle, che ora scrivono: “Chiederemo ulteriormente conto all’assessore regionale Riccardo Riccardi (che è anche vicepresidente della Regione, ndr) delle dichiarazioni rilasciate in questo anno e mezzo di pandemia, che lasciavano sempre intendere che i sequestri di mascherine non conformi avvenuti in Friuli Venezia Giulia riguardassero sempre e solo strumenti ricevuti dalla struttura commissariale nazionale”.

Mds, invece, aveva vinto l’appalto regionale che porterà al processo penale. “Fin dall’inizio della pandemia – affermano i consiglieri M5S – abbiamo chiesto conto all’assessore con numerose interrogazioni in merito alla conformità delle mascherine fornite alle nostre strutture sanitarie e alla popolazione. Solo poche settimane fa è stata accettata la nostra richiesta che impegna la Regione a effettuare controlli efficaci sui materiali che vengono consegnati ai nostri operatori. In precedenza, in tutte le risposte l’assessore Riccardi ha sempre lasciato intendere che il materiale posto sotto sequestro riguardasse solo i beni consegnati dal Governo e validati dal Comitato tecnico scientifico”. La prima notizia di un’inchiesta in Puglia su Mds risale al marzo 2020. In quel periodo la Regione Friuli Venezia Giulia lamentava la difficoltà a reperire mascherine per proteggere gli operatori sanitari e la popolazione.

Il 2 aprile la Guardia di Finanza aveva effettuato numerose perquisizioni in tutta Italia, arrivando alla società triestina di importazione, che due settimane prima aveva ricevuto l’incarico per fornire un milione 100mila mascherine. I 5 stelle avevano interrogato la giunta regionale per chiedere spiegazioni sull’origine e la regolarità delle forniture, citando anche un articolo de Ilfattoquotidiano.it. Poi avevano preparato un dossier, mentre la Regione si limitava a confermare che di aver comperato l’87% dei dispositivi utilizzati. Cristian Sergo, del M5s, aveva quantificato in 13 milioni le mascherine acquistate in Friuli, comparando prezzi ed origine, e aveva rivelato che solo 4 milioni erano arrivate dal ministero della Salute.

Adesso ricostruisce: “A gennaio la giunta regionale aveva rassicurato tutti sulla conformità delle mascherine utilizzate accertata dal Comitato Tecnico Scientifico. Poi però l’Azienda Sanitaria ne aveva ritirato dai reparti un numero indefinito e così abbiamo presentato un’ulteriore interrogazione. L’assessore Riccardi rassicurava come le mascherine oggetto di non conformità provenissero tutte dalla gestione Commissariale di Arcuri”. Una risposta analoga si era avuta con una seconda interrogazione del consigliere regionale Mauro Capozzella (M5s) che chiedeva di chi fosse la responsabilità dei controlli dei dispositivi consegnati ai nostri operatori sanitari. “L’evidenza di questi aspetti non dipende da acquisti dall’azienda regionale di coordinamento. Tutte le partite in discussione riguardano strumenti ricevuti dalla struttura commissariale, quindi dalla gestione nazionale”. Quella risposta è ora contraddetta da un capo d’accusa e da un processo.

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Manovra, si sblocca lo stallo. I relatori saranno tre: Pesco (M5s), Errani (Leu) e Rivolta (Lega)

Dopo giorni di muro contro muro, arriva la fumata bianca sul relatore della manovra al Senato con una soluzione inusuale che scioglie l’impasse. I relatori saranno tre: il presidente della commissione Bilancio, Daniele Pesco del Movimento 5 stelle, e i due vicepresidenti, Vasco Errani di Liberi e uguali ed Erica Rivolta della Lega. “Si tratta di una soluzione istituzionale e di sintesi. Sono molto soddisfatto”, ha detto Pesco al termine dell’ufficio di presidenza della Commissione.

Da giorni infatti Pd, Leu e 5 stelle litigavano sul nome da affiancare alla relatrice di centrodestra. I primi due partiti spingevano per Errani, mentre i pentastellati – in testa la neo-capogruppo Maria Domenica Castellone – insistevano su un proprio nome o in alternativa sulla formula a tre relatori, quella che poi è prevalsa. Era affiorata anche l’ipotesi che il relatore potesse essere soltanto il presidente Pesco.

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martedì 23 novembre 2021

Beppe Grillo: “Noi M5s siamo gli unici che possono fare la transizione energetica”

Beppe Grillo interviene al convegno organizzato dal Movimento 5 Stelle sulle ‘comunità energetiche’. “Io non sono più l’elevato ma sono il gran custode dei grandi valori e come tale vi dico che siamo sulla strada giusta”, ma “sulle rinnovabili dobbiamo puntare sulla capacità di acculo di energia”, dice il garante del Movimento 5 stelle. Per Grillo le “comunità energetiche” sono fondamentali per proseguire nella “democrazia dal basso”. Il garante quindi fa autocritica: “Certo che di errori ne abbiamo fatti, ma siamo gli unici che possiamo fare questa transizione, non avendo interessi. Siamo dei dilettanti straordinari e la storia l’hanno sempre fatta i dilettanti”. “A volte ho paura di Cingolani”, continua ancora Grillo. E conclude: “Il progresso è lento, ma siamo sulla strada giusta. Noi siamo gli unici che possono fare questa grande rivoluzione della transizione energetica che io ho voluto con tutto il cuore. E le nostre ‘5 stelle’ sono convogliate lì”.

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Rai, Grillo punzecchia Conte: “È specialista in penultimatum”. L’ex premier: “Nessuna divergenza, anche lui non fa apparizioni tv”

“Mi fa piacere che c’è di nuovo la stampa, che abbiamo di nuovo dei rapporti. Conte, che è un gentleman, non riesce a dare degli ultimatum, è uno dei più grandi specialisti di penultimatum che abbia mai visto. Ma va bene così…”. Beppe Grillo resta fedele al personaggio e non si fa scappare l’occasione (dopo il divorzio sfiorato lo scorso luglio) di punzecchiare ancora il nuovo leader del “suo” movimento. Lo fa al Senato, intervenendo in collegamento video a una conferenza stampa di presentazione delle misure per le comunità energetiche – presenti anche i ministri Stefano Patuanelli e Roberto Cingolani – a poche ore dalla mezza marcia indietro di Conte, che ha definito “non irreversibile” la scelta del Movimento di non partecipare più alle trasmissioni della tv pubblica dopo le ultime nomine dei direttori Rai che hanno lasciato fuori il Movimento.

L’ex premier sta al gioco, ma risponde a tono quando una giornalista gli chiede se le parole del Garante siano una presa di distanza. Prima con una battuta: “C’è la Rai? Prima di rispondere devo chiederlo, se non c’è la Rai allora nessuna violazione”. “Ho detto che non saremmo andati nei canali del servizio pubblico per richiamare l’attenzione dei cittadini, ma non è che teniamo fuori la Rai (dalle conferenze stampa, ndr), assolutamente”, spiega poi. “Ci siamo confrontati anche su questo punto, mi sembra che Grillo sul piano della comunicazione ha una visione non molto ortodossa, già in passato ha dimostrato di non essere legato molto alle apparizioni tv, da questo punto di vista non c’è stata nessuna divergenza su quello che è avvenuto”, scherza. “E poi, come mi è stato chiesto oggi”, conclude, “la decisione non è irreversibile. Nasce da un passaggio specifico che abbiamo denunciato e non ci è stato chiarito, ma sicuramente non siamo contro il servizio pubblico nè vogliamo andare contro il servizio pubblico o assumere una decisione per tutta la nostra vita politica”.

A chi gli chiede, allora, quando gli esponenti 5s torneranno sui canali Rai, Conte risponde: “È una decisione che abbiamo preso tutti insieme, capigruppo, vicepresidenti e delegazione di governo, con tutti i componenti della Commissione di Vigilanza. Allo stesso modo, la decisione di segno contrario la prenderemo insieme. Ci saranno anche i passaggi istituzionali di chiarimento, oggi ci sono state le audizioni di presidente e amministratore delegato della Rai, dovranno tornare per rispondere a delle domande. Completiamo tutti questi passaggi e poi decideremo”.

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Manovra, ancora fumata nera sul relatore: Pd e Leu vogliono Errani, il M5s insiste per un proprio nome. Domani la decisione

Ancora un nulla di fatto dalla riunione del centrosinistra per decidere quanti e quali saranno i relatori alla manovra al Senato. Il presidente della commissione Bilancio di Palazzo Madama, Daniele Pesco (M5s), ha annunciato che rifletterà sulla questione e prenderà una decisione entro mercoledì mattina, quando il provvedimento sarà incardinato: da regolamento, infatti, è a lui che spetta dirimere la questione in mancanza di un accordo. Da giorni infatti Pd, Leu e 5 stelle litigano sul nome da affiancare al relatore che sarà indicato dal centrodestra: I primi due partiti spingono per Vasco Errani, senatore di Articolo 1-Mdp, mentre i pentastellati vorrebbero un proprio nome o in alternativa una formula a tre relatori. Se non si troverà la sintesi c’è anche l’ipotesi che il relatore possa essere uno solo.

La riunione del pomeriggio ha visto al tavolo i capigruppo delle tre forze (Simona Malpezzi per il Pd, Maria Domenica Castellone per il M5s e Loredana de Petris per Leu), insieme al presidente e ai capigruppo in Commissione (per Leu si tratta dello stesso Errani). È stato Pesco a comunicare il fallimento del dialogo: “Adesso devo riflettere un attimo, entro domani scioglierò la riserva. Siamo in una situazione un po’ particolare, con tanti gruppi che vogliono giustamente essere rappresentati”, ha detto al termine dell’incontro. Nelle ore precedenti il presidente 5s Giuseppe Conte aveva ostentato serenità di fronte ai cronisti: “Non vi preoccupate, c’è un confronto… figuriamoci se non si trova un soluzione, che sia equilibrata e per tutti”, ha detto.

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Nomine Rai, Conte: “La scelta di non andare più sulla tv pubblica? Non è irreversibile, ma occorre un chiarimento su metodo e merito”

“Non vogliamo contrastare la funzione del servizio pubblico o prendere una decisione irreversibile, ma occorreva un punto di chiarimento”. Così il leader 5 stelle Giuseppe Conte risponde a chi gli chiede se la scelta di non partecipare più alle trasmissioni Rai con esponenti del Movimento – annunciata in polemica con le nomine dei direttori dei tg – sia da considerarsi definitiva. “Occorreva chiarire che sia il merito sia il metodo, per le ragioni già dette, non ci sono apparsi assolutamente condivisibili. Non ci è apparso chiaro il criterio e occorreva precisarlo anche per correttezza nei confronti dei cittadini“, spiega l’ex premier. Tra i nomi scelti per le testate dall’amministratore delegato Carlo Fuortes, infatti, non ce n’è nemmeno uno in “quota” pentastellata, dopo l’estromissione dal Tg1 di Giuseppe Carboni nonostante gli ottimi risultati in termini di share. Contro le nomine si sono scherati sia l’Usigrai (il sindacato dei giornalisti Rai) sia i Comitati di redazione (le rappresentanze sindacali) di Tg3 e RaiNews, con quest’ultimo in particolare a parlare di “nomine spartitorie” e piegate ai desiderata della politica.

Nelle stesse ore Fuortes – insieme alla presidente dell’azienda Marinella Soldi – è stato ascoltato in Commissione parlamentare di Vigilanza e ha affrontato anche il tema delle nomine. “Per i direttori di testata il Parlamento ha stabilito che il parere del cda sia vincolante se espresso dai due terzi dei componenti”, ha ricordato, sottolineando che “la maggioranza dei membri, 4 su 7, è nominata dai due rami del Parlamento e pertanto è espressione delle forze politiche che lo compongono”. Quindi, ha concluso, “sono la legge e lo statuto a chiedere che l’ad crei le condizioni per il parere positivo in cda. È quanto ho fatto e farò in seguito, in autonomia quando è previsto e ricercando l’accordo con il cda quando è richiesto”, ha rimarcato, dicendosi comunque “molto soddisfatto delle nomine che rispondono ai criteri di equilibrio, pluralismo, completezza, obiettività e indipendenza” ma dispiaciuto di non aver raggiunto l’unanimità nella loro approvazione (il consigliere in quota M5s ha votato contro su tutte le scelte, mentre il rappresentante dei dipendenti Riccardo Laganà si è astenuto su alcune votazioni).

Anche la presidente Soldi ha rivendicato le scelte dei nuovi direttori: “Abbiamo lavorato con impegno e convinzione nel rispetto dei criteri che la legge ci impone, al di là delle posizioni di ognuno: ci auguriamo che potremo lavorare in sintonia con questa commissione, realizzando la modernizzazione della Rai e il rinnovo del contratto di servizio”, ha detto in Commissione. E ha lanciato un allarme a proposito della “trasformazione digitale” a cui è chiamata l’azienda sotto il mandato della nuova dirigenza: “In Italia scarseggia il personale con competenze digitali, tanto che l’85% delle aziende non riesce a trovarlo. Per attrarre i nuovi talenti digitali c’è bisogno di risorse adeguate, di cui al momento Rai non dispone”, ha spiegato. “Inoltre è necessaria una adeguata formazione del personale, un cambio di cultura. Il processo già è complesso, lungo ed articolato; in più a rendere sempre tutto più difficile c’è la forma giuridica della Rai, l’intreccio di profili privatistici e pubblicistici nelle norme che la riguardano e che rallentano molti passaggi”.

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lunedì 22 novembre 2021

Rai, Azzolina: “Noi del M5s dovremmo fare un ‘mea culpa’ per mancata riforma, ma siamo soli. Stop di Conte a ospitate? Non sarà eterno”

Riforma della Rai? In questi 3 anni, malgrado la nostra buona volontà, non siamo riusciti a cambiare le cose purtroppo. Penso che si debba fare un ‘mea culpa’ per non aver cambiato la governance della Rai, ma bisogna anche dire che noi del M5s siamo i soli a volerlo”. Sono le parole pronunciate ai microfoni de “Il caffè della domenica”, su Radio24, dall’ex ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina a proposito delle ultime nomine Rai.

E aggiunge: “Noi sappiamo molto bene che abbiamo una proposta di legge in merito e che in questi 3 anni non siamo riusciti a portarla avanti e a farla approvare. Siamo riusciti invece con il reddito di cittadinanza, che mai avremmo potuto far approvare se fossimo stati soli. Ora, è un fatto che il modello attuale sia quello della lottizzazione e noi dobbiamo fare la frittata con le uova che abbiamo. Se si fanno le nomine Rai con quel modello e se hanno sentito il parere dei partiti, è normale dover sentire il parere del primo gruppo in Parlamento. Se questo non è stato fatto, secondo me, è un grosso errore”.

La deputata del M5s, che proprio in questi giorni sta presentando il suo nuovo libro “La vita insegna”, conclude: “La decisione di Conte di non farci partecipare a trasmissioni Rai? Io non sono andata a “Un giorno da pecora”, su Rai Radio Uno, perché sono rispettosa delle scelte che vengono prese dal mio gruppo. È chiaro, però, che questo blocco non sarà eterno”.

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domenica 21 novembre 2021

Leopolda, il manifesto di Elena Bonetti: “Mai al governo con Conte e il suo populismo. C’è bisogno di una politica di centro”

Sul palco della Leopolda si sono alternati i big del partito per l’ultimo atto della kermesse renziana, tra gli altri anche Elena Bonetti che nel suo intervento ha “Con buona pace di chi per convenienze elettorali ci sta ipotizzando scenari di alleanze di un presunto centrosinistra che va dal m5s fino alle forze di centro, a Italia viva, io con la stessa libertà e lo stesso coraggio con cui ho firmato le dimissioni da quel governo guidato da Giuseppe Conte, vi dico che non sono e non sarò disponibile a firmare nessuna candidatura con Giuseppe Conte e il populismo che rappresenta, mai!”. Poi ha continuato: “Noi abbiamo un’ambizione più alta, quella di diventare interpreti di una proposta politica che si faccia carico della visione del metodo e della concretezza che noi stiamo già animando nel governo Draghi“. E, conclude: “Oggi è il tempo della ragione e del discernimento, oggi è il tempo di ricomporre le forze e di fare andare avanti il paese. C’è bisogno di una politica di centro che si rimetta al centro del paese, che lavori su ciò che unisce e non su ciò che divide, sulle connessioni, noi possiamo essere una bussola che orienta il tempo del futuro. Noi abbiamo la libertà e il coraggio di osare delle strade inedite”

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sabato 20 novembre 2021

Leopolda, c’è anche l’ex M5S Carelli: “Grande centro da Carfagna a Renzi con Brugnaro e Calenda? Una bella suggestione, perché no”

“Mi ha invitato Matteo Renzi e ho sempre seguito con interessa la Leopolda”. Emilio Carelli, deputato ex M5S, oggi in ‘Coraggio Italia’, arriva a sorpresa alla Leolpolda. “Una bella suggestione, perché no” risponde Carelli se la sua presenza alla kermesse renziana oggi sia un primo passo per la costruzione di un nuovo soggetto politico di centro che coinvolga i moderati di Forza Italia, guidata da Mara Carfagna, Italia Viva, Brugnaro-Toti e Calenda.
Carelli ripercorre anche l’esperienza nel M5S: “Ci sono stati tanti valori in cui in tanti abbiamo.creduto, ma il passaggio dalla teoria alla pratica è stato complicato, tante scelte e persone sbagliate, un sogno che si è infranto. Un ‘Movimento’ che ha perso un po’ la sua anima”.

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Nomine Rai, la Casta estromette i Cinquestelle. Ma ovviamente la colpa è sempre loro

La giustizia e l’informazione, ancora una volta e più che mai, in vista dell’elezione del capo dello Stato e di un temutissimo ma non impossibile voto anticipato, ritornano come negli anni ruggenti del berlusconismo ad essere al centro dell’interesse della casta ricompattata trasversalmente da destra a sinistra per tutelare la sua sopravvivenza. Garantire, sempre e comunque, l’impunità agli eletti, anche sotto le mentite spoglie di una presunta tutela dell’immunità parlamentare, come pretende Renzi per l’inchiesta Open, e poter controllare totalmente la Rai estromettendo definitivamente il M5s di Conte, non sufficientemente omologato, sono la priorità assoluta per l’intero “arco costituzionale” al tempo di Draghi: ovvero tutti, esclusi i grillini.

Sul fronte giustizia, due casi giuridicamente diversi sotto un profilo strettamente tecnico, ma intimamente connessi, danno una precisa e allarmante conferma della determinazione della politica di mettere (quasi) sempre, e a prescindere, i suoi al riparo dal controllo di legalità: e non importa se occorre arrampicarsi sugli specchi, “estendere” a proprio uso e consumo le previsioni costituzionali, dilatare a piacimento le norme applicative. Nello stesso giorno la giunta delle immunità della Camera in tempi molto brevi ha “salvato”, negando l’autorizzazione all’uso delle intercettazioni che lo riguardano, Cosimo Ferri, già potente capo corrente di Magistratura Indipendente nonché deputato renziano; e quasi in contemporanea nella Giunta per le immunità del Senato la relatrice di Forza Italia ha fatto propria la richiesta di Matteo Renzi di tutelarsi davanti alla Corte Costituzionale nei confronti dei pm dell’inchiesta Open in merito all’acquisizione di dati processuali (conversazioni) operata nei confronti di un altro indagato non parlamentare.

La prima delle intercettazioni negate, la più importante per l’esito del procedimento disciplinare a carico di Cosimo Ferri, ci riporta alla riunione clandestina e notturna dell’Hotel Champagne nel 2019 dove Luca Lotti, vicinissimo a Renzi anche dal Pd, già indagato a Roma nel caso Consip e di lì a pochi mesi rinviato a giudizio per favoreggiamento e a seguire per rivelazione di segreto d’ufficio, pilota insieme a cinque consiglieri del Csm nomine e carriere ai vertici degli uffici giudiziari a cui è particolarmente interessato: Roma, Perugia e Firenze in primis.

E ora dopo che il Csm aveva aperto un procedimento disciplinare che avrebbe potuto (finalmente) costare la carriera all’iperattivo Cosimo Ferri, una volta messi da parte i panni del politico, a salvarlo dalle rivelazioni inconfutabili dell’aborrito trojan nel telefono di Luca Palamara sono gli stessi politici che tutti i giorni in coro inveiscono contro le malefatte dei magistrati, i guasti delle correnti e il degrado dell’organo di autogoverno.

La larga maggioranza che in Giunta ha messo al riparo il factotum, secondo forse solo a Palamara, con l’argomentazione della “non casualità” delle intercettazioni divenute così inutilizzabili, include FI, Leu, Lega, Italia Viva e Pd. Partiti non assimilabili, ma che pur se con toni diversi denunciano implacabili i mali della giustizia, giudicano a sproposito inchieste e sentenze accecati dalla partigianeria, firmano compattamente o in ordine sparso i referendum anti-giudici di Radicali e Lega e così come hanno isolato il M5S – unico a votare a favore dell’autorizzazione all’uso del trojan – hanno apertamente osteggiato o preso le distanze dalla Riforma Bonafede, che proponeva correttivi ragionevoli contro la deriva correntizia.

Il “caso Renzi” è, se possibile, ancora più eclatante: mentre proclama nei talk di non volere assolutamente avvalersi dell’immunità, il 7 ottobre aveva preventivamente e inusualmente inoltrato alla presidente del Senato una vibrante richiesta per essere tutelato “con tutte le azioni a tutela del suo diritto di parlamentare”, incurante della risposta già ottenuta dalla Procura di Firenze dove si spiegava che le conversazioni agli atti non rientrano nelle attività precluse ex art. 68 Cost. La pretesa di Renzi che i magistrati non ficchino il naso nella Fondazione Open, un’inchiesta che configura finanziamento illecito e corruzione nella gestione di quella “cassa personale messa in piedi da un segretario di partito sotto gli occhi di tutti quelli che gli erano vicino” – come ha sintetizzato Pier Luigi Bersani a 8 e mezzo – per ora ha ottenuto la proposta della relatrice in giunta di aprire un conflitto di attribuzioni nei confronti della procura davanti alla Corte Costituzionale. A breve verrà ascoltato Renzi, che si esibirà in un altro prevedibile one man show istituzionale; poi in tempi molto brevi il voto in giunta, con esito scontato, dato che Italia Viva più il centrodestra ha la maggioranza. E la convergenza, tanto più in vista della partita del Quirinale, è quasi certa anche in Aula, dove si aggiungeranno tutti i renziani nel Pd.

Naturalmente, dal circuito politico-mediatico della casta, il salvataggio di Cosimo Ferri è totalmente scomparso; quanto all’inchiesta Open, quando è presente in tv e giornali viene con un certo sprezzo del ridicolo liquidata come “processo mediatico”. E d’altronde ad essere messi sul banco degli imputati sono il M5S e Conte per aver posto 13 semplici domande a Renzi sui soldi alla fondazione Open e sulla macchina del fango della comunicazione renziana, mutuata da quella berlusconiana di Pio Pompa.

Quasi logico e scontato che il punto di vista di tali disturbatori seriali, nonostante siano tuttora il partito di maggioranza relativa, sia stato semplicemente azzerato nella spartizione del servizio pubblico in prossimità dell’elezione del capo dello Stato e in vista delle politiche che forse, non si sa come né quando, ci saranno.

Quello che è avvenuto con le nomine Rai sotto l’ipocrita e ridicola copertura del “merito” è solo un’occupazione e “una lottizzazione inversamente proporzionale ai consensi”. Ma naturalmente la colpa è sempre loro: del M5S in ordine sparso, e di Conte “coniglio mannaro” che ora fugge anche dalla Rai oltre che da Renzi, incapaci di fare politica, lottizzatori mancati e arrabbiati, vittime della loro inadeguatezza. Il processo è iniziato e gli accusatori, forti di argomentazioni granitiche si moltiplicano: da Cerasa (Il Foglio) a Formigli (PiazzaPulita) fino all’ineffabile Stefano Cappellini, giornalista di Repubblica con moglie in Rai sotto la direzione dell’onnipresente e neo-promosso Mario Orfeo, che twitta sarcastico: “La lottizzazione è uno scandalo, noi la combattiamo!… Ora però dateci la nostra parte di bottino e nessuno si farà male”.

Il giochino è sempre quello, rimproverare di incapacità e incoerenza (e da quali pulpiti) il M5S perché non ha portato a casa le riforme che si riproponeva, quando è arcinoto che non ha mai avuto i numeri in Parlamento per farlo ed è sempre stato marginalizzato e avversato a reti e testate unificate.

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