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martedì 31 maggio 2022

Caro Grillo ti scrivo, così mi risfogo un po’

Caro Grillo, ti scrivo, così mi risfogo un po’
E siccome sei molto lontano, più forte ti scriverò
Da quando sei sparito c’è una grossa novità
il Movimento è finito, ormai
e sempre peggio qui si va

Si conta meno di prima, compreso in maggioranza
E c’è chi ha messo dei poster di Dibba dentro alla sua stanza
E si sta senza parlare anche per mesi interi
E quelli che hanno qualcosa da dire
sono espulsi da quelli ‘seri’
Ma la televisione ha detto che il governo
sta sempre più accelerando
E tutti quanti stiamo già aspettando

Sarà tre volte Natale e festa per gli industriali
SuperMario se ne frega del resto
Anche Berlusca lascerà i tribunali
Ci sarà da penare e un duce tutto l’anno
I dissidenti dovranno tacere
Mentre i servi già lo fanno
Non ci sarà più onore, ognuno si venderà
Anche i preti potranno sparare
Se l’America lo ordinerà
E senza grandi disturbi qualcuno sparirà
Saranno forse i troppo onesti
E i cretini di ogni età

Vedi, caro Grillo, cosa ti scrivo e ti dico
E come sono scontento
Di essere qui in questo momento
Vedi, vedi, vedi, vedi
Vedi caro Grillo cosa si deve inventare
Per poter riderci sopra
Per continuare a sperare
E se il Movimento poi passasse in un istante

Vedi Grillo mio
Come diventa importante
Che in questo istante ci sia anch’io

L’anno che sta arrivando tra un anno passerà
Io mi sto preparando, è questa la novità

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lunedì 30 maggio 2022

“I giovani fanno i parassiti, gli si insegna a vivere con l’elemosina”: De Bertoldi (Fdi) scatenato in Aula contro il reddito di cittadinanza

Scintille in Aula a Palazzo Madama tra il senatore Andrea De Bertoldi, di Fratelli d’Italia, e i parlamentari del Movimento 5 stelle insieme al comunista Emanuele Dessì. Parlando delle riforme legate al Pnrr, che il senatore meloniano definisce “accordicchi” presi dalla maggioranza, De Bertoldi attacca il Reddito di cittadinanza, “che certamente la Lega non ha avuto molta soddisfazione ad approvare nel primo governo Conte”. Alberto Airola del Movimento 5 stelle, però, lo interrompe subito, protestando dal fondo dell’Aula. “Stai zitto e lascia parlare la gente. Vergognati!”, si scalda quindi l’esponente di Fratelli d’Italia che continua la sua invettiva.

“L’educazione di chi vuole insegnare ai giovani a vivere di sostentamenti: questo è il MoVimento 5 Stelle – attacca ancora – Si vuole insegnare ai giovani a vivere di elemosina di Stato. Noi vogliamo che i giovani vadano a lavorare e si investa nel lavoro e non nel reddito di cittadinanza”, invitando il viceministro (di Forza Italia) Gilberto Pichetto Fratin, presente in Aula, e la Lega a “fare una riforma fatta bene”, cancellando “subito il reddito di cittadinanza“. “Investiamo nell’educazione dei giovani, che devono imparare che cos’è il sacrificio e il gusto del lavoro e non fare i parassiti a 800 euro e magari guadagnare poi in nero con il sommerso quello che gli manca”, incalza ancora il senatore di Fratelli d’Italia. Al nuovo affondo anche l’esponente del Partito comunista, Emanuele Dessì, protesta dal banco, e viene subito richiamato dalla vicepresidente Anna Rossomando che lo avverte: “Non mi costringa a espellerla dall’Aula”.

Quindi De Bertoldi prosegue: “Io provengo da una zona turistica e ogni giorno nel mio Trentino ho baristi, ristoratori, gente che lavora quindici ore al giorno che mi dice queste cose. Poi qui in Aula troviamo gli apostoli del reddito di cittadinanza, con i quali vorrei tanto confrontarmi in campagna elettorale. Venite in campagna elettorale…”. E conclude: “Il governo abbia il coraggio di andare oltre le mezze riforme”.

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sabato 28 maggio 2022

Sicilia, via libera del Pd alle primarie di coalizione per le regionali: voto online e ai gazebo. Ma i 5 stelle frenano ancora

Il Pd siciliano ha detto sì alle primarie di coalizione. “Speriamo di definire in pochi giorni il regolamento in modo da potere procedere spediti verso la data delle primarie”, ha detto Anthony Barbagallo, segretario regionale dei dem, al termine della direzione regionale che, riuntasi stamattina a Palermo, ha approvato le consultazioni dirette, in modalità mista, così come deciso con il M5s. Le primarie (definizione che non piace ai Cinquestelle) di tutta la coalizione di centrosinistra per decidere il candidato alla presidenza della Regione siciliana, dove si voterà il prossimo autunno, sono dunque sempre più vicine.

E gettano, di fatto, le basi per un modello replicabile in tutta Italia (Giuseppe Conte le ha proposte ieri pure per il Lazio). L’asse giallorosso, dunque, debutterà in Sicilia, dove si faranno delle consultazioni dirette per decidere il candidato non di un partito ma di un’intera coalizione, che comprende Pd, M5s, Cento Passi, Psi, Articolo 2, Verdi e Sinistra Italiana. O perlomeno, questa è la prospettiva, perché dal M5s ci tengono a chiarire che è tutto ancora da definire. Eppure c’erano le primarie al centro dell’incontro di mercoledì sera a casa di Giuseppe Conte, con Enrico Letta, Barbagallo e Nuccio Di Paola, capogruppo del M5s siciliano. “Sarà un metodo del tutto nuovo, all’americana”, aveva annunciato Di Paola. Ma poco dopo avere fornito i dettagli della consultazione è arrivato lo stop del M5s. Un vero e proprio freno che ha sorpreso anche gli alleati: “Se non se la sentono di farle perché pensano di perdere non sono obbligati”, ha commentato Claudio Fava, tra i prossimi candidati alle consultazioni.

“Abbiamo tolto loro ogni alibi: le modalità scelte fanno tesoro delle loro votazioni online, così come altri punti che abbiamo scelto sono stati per venire incontro alle loro esigenze: a questo punto è tutta una questione tra di loro che speriamo risolvano presto”, ha sottolineato un dirigente del Pd dopo la frenata del Movimento. Alcuni passaggi formali erano tuttavia d’obbligo anche per i dem che stamattina all’Hotel San Paolo Palace hanno votato la relazione del segretario, dicendo sì alle primarie in modalità mista, con registrazione on line e voto sia via web sia di presenza nei gazebo. Approvata pure una bozza del regolamento per una consultazione che dovrà avvenire entro 25/30 giorni dalla data del deposito delle candidature (per ora si parla di metà luglio). Prevista inoltre la nomina di garanti super partes che vigileranno sul corretto svolgimento delle operazioni.

Il sì dei dem siciliani è dunque arrivato, dando mandato a Barbagallo di definire ulteriormente il regolamento al tavolo col resto della coalizione. Ora la palla passa al M5s. Una riunione è prevista per domenica sera. Le questioni in ballo però non sono poche. Il nodo ancora da sciogliere e che ha imposto il freno dei Movimento è la soglia del terzo mandato. Un limite che imporrebbe a Giancarlo Cancelleri di non potere partecipare alle consultazioni come candidato dei Cinquestelle. Potrebbe partecipare con una lista civica ma non con il simbolo dei grillini. Su questo, secondo i rumors interni al Movimento, si è arenata la questione per i Cinquestelle siciliani. Intanto, in campo c’è già Luigi Sunseri, consigliere regionale, che già da gennaio aveva annunciato la sua candidatura e l’ha ribadito nei giorni scorsi. Oltre lui c’è lo stesso Nuccio Di Paola, uomo vicinissimo a Cancelleri: la sua candidatura resterà in campo finché non verrà sciolto il nodo del numero di mandati. Si prevede dunque un braccio di ferro tra Sunseri e Cancelleri, già candidato alla Regione per due volte, adesso sottosegretario al ministero alle Infrastrutture.

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Dino Giarrusso lascia il M5s, i miei consigli per le sue vacanze

Sono passate più di 48 ore da quando l’europarlamentare siciliano, Dino Giarrusso, ha annunciato l’addio al Movimento 5 Stelle e al momento non c’è stata nessuna telefonata da parte di Giuseppe Conte, né un sms, né un whatsapp, zero comunicazioni tra il leader del M5S e l’ex Iena (come lui stesso ama ancora farsi connotare). Cosa è successo?

Intanto è il settimo europarlamentare grillino che lascia il M5S, senza contare la pletora di deputati e senatori che hanno abbandonato il movimento fondato da Beppe Grillo o che sono stati espulsi.

Al di là del chiaro ed evidente problema di rappresentatività della compagine parlamentare (non sarebbe il caso di fare primarie vere, anziché far decidere solo gli iscritti on line?), il M5s ha anche un problema di comunicazione interno: tra loro non si parlano? Non sono previsti dei momenti istituzionali in cui il leader parla con le varie rappresentanze locali e nazionali? Oltre a parlarsi di più tra di loro, aggiungo che dovrebbero parlare con coloro che nel 2018 li hanno votati in massa e oggi sono tornati a riempire le file dei delusi dalla politica e a confluire nel primo vero partito italiano “quello del non voto”.

Invito l’europarlamentare Dino Giarrusso, ex Iena, ora anche ex 5 Stelle, a passare un periodo di vacanze nella mia regione d’origine, precisamente in quel pezzetto di Basilicata che confina con la Calabria (che io chiamo sud-ovest), proprio lì dove il politologo americano Edward Banfield partorì negli anni 50 il suo famoso testo Le basi morali di una società arretrata, proprio lì dove alle elezioni politiche del 2018 un elettore su due ha votato e ha dato la fiducia al Movimento 5 Stelle.

Invito l’europarlamentare – ma anche voi che mi state leggendo – a visitare quei luoghi che per me restano incantati e bellissimi: vi potrete spostare tra il mare di Maratea e le montagne del Parco Nazionale del Pollino e poi il cibo che ve lo dico a fare… Io purtroppo come tanti altri miei conterranei non vivo più lì e voto a Milano dove ora risiedo.

Mi stupì quel voto del 2018 e lo interpretai come il segnale di un desiderio di riscatto. Finalmente avevano votato senza tenere conto di “favori ricevuti”, né di “favori promessi”, senza tenere conto delle clientele o delle indicazioni dei “portavoti”: ho percepito per la prima volta un gesto “disobbediente”, di ribellione a un sistema che non ha fatto progredire di un metro una delle zone più povere in Europa. La dimostrazione che anche tra i più rassegnati dei rassegnati c’era una speranza di cambiamento vero, ecco ora quell’ultima speranza è andata in fumo.

L’europarlamentare Giarrusso ha annunciato la nascita di un nuovo movimento politico “che parta proprio dal Sud come motore dell’Italia”. Questo vuol dire che ai cittadini meridionali toccherà ancora aspettare: l’exploit dei 5 Stelle non era venuto da un giorno all’altro, era stato costruito in 10 anni. Ormai è tardi, ci sono già nuovi e veri populisti pronti a cancellare anche quel poco fatto di buono dai 5 Stelle.

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venerdì 27 maggio 2022

Gianluigi Paragone e il “fenomeno” Italexit: il suo partito ora vale il 4,5%. Dalle posizioni no euro a quelle no vax fino alla guerra in Ucraina

O mi arrestate o mi fate passare, sono un senatore”. È il 5 di aprile e a Torino è atteso Mario Draghi. Gianluigi Paragone è a due passi da Palazzo di Città: c’è un cordone della polizia che blocca il passaggio a chi sta manifestando contro il presidente del Consiglio. Ma Paragone non sente ragioni, vuole passare, litiga con gli agenti e intanto manda tutto in diretta sui social. Dieci giorni fa, a Roma, ha fatto lo stesso: ha organizzato un presidio contro l’invio di armi in Ucraina e col cellulare, chiuso da una cover con una tigre pronta ad azzannare, si è ripreso, in mezzo alle persone, con una nuova live.

DA NO EURO A NO VAX – E negli ultimi due anni Paragone, in mezzo alle persone, con un megafono o con lo smartphone, o con uno striscione, lo abbiamo visto spesso. Durante i mesi più duri della pandemia è sceso in strada per protestare contro le restrizioni, al fianco dei ristoratori; poi contro l’obbligo vaccinale e, infine, contro il green pass. Sarà per questi (o altri) motivi che il partito di Paragone, 50 anni, da Varese, un passato da giornalista (da La Padania a Libero, passando per la tv, con La Gabbia, su La7) sta salendo nei sondaggi: Italexit, stando alle rilevazioni di Nando Pagnoncelli, si attesta al 4,5%. Attirando – e non è un caso – elettori delusi di Lega e M5s (i due partiti di Paragone: gli albori vicino al Carroccio e a Umberto Bossi, poi l’illuminazione sulla via di Beppe Grillo, con l’elezione in Senato nel 2018).

Italexit nasce dopo l’espulsione di Paragone proprio dal M5s. Il giornalista ne contestava i vertici da tempo, specialmente Luigi Di Maio. Il suo voto contrario alla legge di Bilancio varata dal Conte II ha scritto la parola ‘fine’ sulla sua permanenza nel Movimento. Così, sei mesi dopo, ha fondato il suo movimento, con lo scopo, dichiarato, di portare l’Italia fuori dall’Europa e dell’euro. Con lo scoppio della pandemia da Covid, il partito si occupa di osteggiare le misure messe in campo da Giuseppe Conte e Roberto Speranza per contenere i contagi. Ed ecco, come detto, che Paragone è a fianco dei ristoratori (Italexit ha arruolato Paolo Bianchini, 45 anni, di Viterbo, portavoce di Mio Italia, che riunisce operatori della ristorazione e dell’accoglienza). Poi le battaglie contro i vaccini e il certificato verde. Fino all’abusata espressione, che andrà ripetendo come un mantra: “Siamo in dittatura”.

LE ADESIONI CRESCONO – È vero, Italexit è l’unico movimento politico, staccatosi dal M5s, che sembra avere una certa solidità. Oltre al significativo 4,5% dei sondaggi di oggi, il senatore di Varese sta attraendo più di un parlamentare: l’ultima, in ordine di tempo, è l’ex pentastellata Jessica Costanzo. Due mesi prima di lei, è stato il turno di William De Vecchis, senatore eletto con la Lega stufo di stare nel governo Draghi. Compagni di viaggio della prima ora, invece, sono gli ex 5 stelle Mario Michele Giarrusso e Carlo Martelli. A livello locale, recentemente due consiglieri di Fratelli d’Italia hanno lasciato Giorgia Meloni per aderire al progetto di Paragone: si tratta dell’assessore di Lodi, Stefano Buzzi, cacciato dalla sindaca Sara Casanova, e della consigliera comunale di Calco (Lecco), Sonia Sigurtà.

L’AVVENTURA MILANESE FINITA MALE – E a proposito di locale: nel 2021 Paragone si candidò alla corsa per diventare sindaco di Milano. Appoggiato dalle liste “Milano Paragone Sindaco” e Grande Nord, ottenne il 2,99% dei voti. Non un grande risultato, va detto. Il fondatore di Italexit, infatti, non raccolse le preferenze necessarie per entrare a Palazzo Marino. Peraltro la vicenda si trascinò per qualche tempo: fece ricorso, parlando di “porcata” e sostenendo che mancassero appena 43 voti alla sua elezione da consigliere. Invece a febbraio di quest’anno il Tar, dopo aver verificato le schede, ha stabilito che di voti ne mancassero ben 1500.

MONTAGNIER E PUTIN – Ma Paragone non si è perso d’animo dopo l’esperienza milanese. Eccolo, la scorsa estate, tra gli organizzatori della fiaccolata contro il green pass obbligatorio accanto ai leghisti Armando Siri, Claudio Borghi, Simone Pillon e Alberto Bagnai e a Vittorio Sgarbi. A gennaio di quest’anno, poi, promuove il sit-in a Milano, diventata piazza di riferimento dei no vax, col premio Nobel per la medicina, Luc Montagnier. E ora, con lo scoppio della guerra in Ucraina? C’è chi lo accusa di essere filoputiniano, ma respinge, precisando: “Non è un dittatore, c’è chi si faceva i selfie al Cremlino e ora hanno cambiato idea. Io dico che con lui bisogna trattare”. Intanto su Facebook è seguito da un milione e mezzo di persone. Scorrendo la sua pagina ci sono i post per il candidato sindaco di Alessandria, Vincenzo Costantino, e quelli per il candidato a Cuneo, Alessandro Balocco. In mezzo una diretta sui vaccini, la battaglia contro “il vergognoso esproprio ai balneari” e suggerimenti su come ripararsi da un attacco nucleare.

Twitter: @albmarzocchi
Mail: a.marzocchi@ilfattoquotidiano.it

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Regionali Sicilia, “per la prima volta primarie unitarie tra Pd-M5s-Sinistra per il candidato”. I vertici nazionali frenano: “E’ una possibilità”

Per la prima volta M5s, Partito democratico e Sinistra valutano di fare le primarie insieme per scegliere un candidato. Come rivelato da Repubblica Palermo e confermato a ilfattoquotidiano.it, si lavora per il debutto alle Regionali in Sicilia del prossimo autunno. E proprio per arrivare all’intesa, la sera del 25 maggio, c’è stato un incontro tra il segretario Pd Enrico Letta, il leader M5s Giuseppe Conte, il capogruppo M5s all’Ars Nuccio Di Paola e il segretario del Pd siciliano Anthony Barbagallo. I vertici nazionali dei due partiti preferiscono la cautela, sottolineando che è stato solo un incontro “interlocutorio” e fanno sapere che “stanno discutendo sulla possibilità”: “Nessuna decisione è stata assunta”, hanno ribadito fonti interne, le primarie congiunte sono “una delle opzioni”. Gli addetti ai lavori hanno però pochi dubbi in proposito e da definire ci sarebbero solo alcuni dettagli finali. Secondo le prime indiscrezioni, il voto si svolgerà sia online che con gazebo fisici.

Bisognerà registrarsi, tramite un’app (Skyvote o partecipa), inserendo il proprio documento d’identità. Dopodiché si dovrà indicare la modalità di voto, ovvero se si vorrà votare online oppure andando fisicamente in uno dei seggi che saranno allestiti in tutta la Sicilia, basterà dire con anticipo quale. Si voterà intorno al 16 luglio (evitando di accavallarsi col 19, data del trentennale dalla strage di Via D’Amelio). Nel frattempo sono previsti almeno 12 confronti tra gli aspiranti, ognuno per area tematica. Non si chiameranno “primarie”, il nome verrà scelto nei prossimi giorni, ma di certo è una consultazione preventiva perché gli elettori possano dire la loro sul prossimo candidato alle Regionali del centrosinistra. Chi vorrà candidarsi, inoltre, dovrà attenersi ad una serie di regole prevista da un regolamento sottoscritto da Pd, M5s e Sinistra. I candidati dovranno sottoscrivere un’adesione che prevede che in caso di sconfitta si impegnino a sostenere il candidato vincente e a presentare alle elezioni una lista civica a nome del candidato scelto dalla consultazione diretta in almeno 5 delle 9 province siciliane. In campo ci sono già alcuni candidati. L’attuale presidente della commissione Antimafia siciliana, Claudio Fava, mentre per il M5s sicura è la candidatura del consigliere regionale Luigi Sunseri. Ha dato la sua disponibilità anche Nuccio Di Paola, capogruppo per il M5s all’Ars, e sembra sicura – anche se non ha mai ufficializzato finora – la candidatura di Giancarlo Cancelleri. Ancora da definire il candidato per il Pd, ma in pole position c’è di sicuro Caterina Chinnici. Più incerta la partecipazione dell’europarlamentare Pietro Bartolo.

Mentre i vertici frenano, dalla Sicilia arrivano dichiarazioni entusiaste. “Una scelta popolare al passo con i tempi”, commenta il segretario regionale del Pd, Anthony Barbagallo. Che sottolinea: “La Sicilia diventa il primo posto dove Pd e M5s condividono una consultazione popolare: questa è già una vittoria politica per noi. A dimostrazione di una forte unità della coalizione”. “Passo dopo passo, siamo vicini a un risultato che potrebbe essere utilizzato come modello per consultazioni future”, aggiunge anche Nuccio Di Paola. Un modo per stimolare la partecipazione: “Alle ultime Regionali la partecipazione al voto è stata sotto il 50 per cento. Contiamo così di riportare alle urne molte persone che finora avevano scelto l’astensionismo”, conclude Di Paola. E anche Fava conferma: “Avevamo individuato già più di un anno fa le primarie come metodo. In queste settimane abbiamo, finalmente, registrato la fine dei tatticismi – ha commentato il presidente dell’Antimafia siciliana -. Un buon segnale per la Sicilia stanca del non governo di Musumeci e delle destre. Nei prossimi giorni il tavolo politico dell’intera coalizione definirà i dettagli e la data. Ribadiamo la volontà di chiudere prima del 19 luglio, trentennale della strage di Via D’Amelio. Data sacra per i siciliani”.

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mercoledì 25 maggio 2022

Giarrusso lascia i 5 stelle: “Conte dice che chiedevo poltrone? Mi diffama. Valuterò se dimettermi da eurodeputato ma non oggi”

“Ieri ho mandato un messaggio a Conte: Giuseppe te lo chiedo come favore personale, possiamo vederci o parlare al telefono anche solo per un minuto? Nessuna risposta, perché questo è un movimento che non dà più ascolto a chi non è allineato”. Così l’europarlamentare Dino Giarrusso spiega perché ha deciso di abbandonare il M5s, per fondare un movimento tutto suo. Un annuncio dato mercoledì mattina alla trasmissione Coffe Break su La7. Un abbandono annunciato in diretta televisiva: “È stata una scelta estremamente sofferta, fino a stamattina ero indeciso se fare questa dichiarazione o meno”.

Cosa l’ha convinta?
Una insofferenza covata a lungo, diventata insostenibile. I princìpi traditi, la subalternità a Draghi, mi pesano troppe cose. Stamattina ho compreso che non sono io a lasciare il M5s, io sono ancora nel Movimento, è il M5s che ha lasciato i propri valori mentre io rimango ancorato a questi.

Quali esattamente?
Innanzitutto la democrazia diretta, il M5s da anni non fa votare i suoi iscritti, Conte ha creato una platea infinita di ruoli, ruoletti, ruolini e non ne ha fatto votare neanche uno.

Conte ha detto di averla incontrata tante volte e che lei “ha sempre parlato e chiesto poltrone, posizioni”.
Una dichiarazione diffamatoria e falsa nella maniera più assoluta, non ho chiesto niente a nessuno, sono stato il più votato alle europee, quali poltrone avrei mai dovuto chiedere? Ho chiesto di far votare questo ruolo ai nostri iscritti, invece. Ma lui ha nominato cento persone per accontentare tutte le correnti, seguendo il più classico manuale Cencelli.

Ora però le chiede coerenza e dunque di dimettersi da eurodeputato, lo farà?
Per carità, valuterò tutto, non è questa la giornata adatta. È stata una decisione sofferta, lo ripeto. So che ho ricevuto messaggi di entusiasmo per la mia onestà e il percorso fatto, e le 120 mila persone che mi hanno votato dicono: resisti, resisti, resisti…

Nel settembre 2020 era, però, lei a bacchettare in un tweet chi lasciava il movimento senza lasciare la poltrona. Li definiva pure “bugiardi” e “ladri di voti”.
Comprendo che si debba muovere la macchina del fango, perché ho detto delle verità scomode, ma c’è una bella differenza tra chi se n’è andato quando ancora esistevano i gruppi territoriali, le votazioni, la democrazia interna e non un sistema da manuale Cencelli per le nomine. Poi sentir parlare di coerenza a chi diceva ‘mafiosi, zozzi’ al Pd e oggi ci va a braccetto mi pare ridicolo.

Ha abbandonato il M5s dicendo di volere fondare un movimento suo, da quanto tempo ci sta pensando?
Da qualche settimana soltanto.

La sua è sempre stata una voce molto critica all’interno del Movimento, perché adesso?
Perché non siamo più quello che eravamo. Facevamo lo streaming anche prendendo il caffè e adesso tutte le decisioni vengono prese dall’alto.

È un problema di streaming?
È un problema di trasparenza, di partecipazione e di totale abbandono dei territori, quando il M5s aveva nel legame con le piccole e medie comunità la sua forza. Adesso in Sicilia si vota in 126 comuni e siamo presenti con la lista solo in 4, in Sardegna addirittura in nessuno: né lista, né sindaci. Neanche il partito animalista si candida in così poche città. E poi siamo in troppe cose succubi del Pd, e non vedo perché: un conto è fare alleanze strategiche, un conto è diventare partito satellite.

Eppure proprio adesso Conte ha preso posizioni critiche rispetto al governo, allontanandosi anche dal Pd.
A parole sì, e sono contento, ma poi voglio vedere nei fatti. Intanto vado nei territori, dove il M5s sta perdendo ogni contatto con la gente, che, attenzione, non è cretina e non ama essere presa in giro: in Sicilia anziché fare le primarie interne, temute dalla corrente unica che domina nell’isola, sì e inventato un regolamento con una “lista parallela” a quella del partito. Scommettiamo che questo sarà il modo per sfondare la regola dei due mandati? I candidati del M5s alle primarie del centrosinistra non potranno così inserire persone al terzo mandato in quelle liste parallele?

Si candiderà alle Regionali?
Non lo so, devo valutare.

Dalla Sicilia i suoi colleghi del M5s la accusano di protagonismo, di avere sempre lavorato per dividere.
Sono un gruppo di persone legate ad una sola corrente. Si sono vantati del fatto che il M5s in Sicilia è al 24 per cento: vediamo adesso che vado via a quanto sarà. Che parlino i fatti. Nel frattempo 5 di loro sostengono un candidato di una lista concorrente: sono io del M5s, sono loro a non esserlo più.

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Il tesoriere M5s e il murale di Draghi al guinzaglio di Biden. Conte: “Graffiti? Non dare importanza”. Ma Di Maio: prenda le distanze

Scoppia un altro caso all’interno del M5s. Il motivo è un murales fotografato e pubblicato sulla sua bacheca Instagram da Claudio Cominardi, deputato lombardo al secondo mandato, ex sottosegretario al Lavoro durante il governo Conte 1 e attualmente tesoriere del gruppo parlamentare del Movimento a Montecitorio. Nel graffito si vede il presidente del Consiglio Mario Draghi al guinzaglio del presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Sotto la foto il commento del deputato è affidato solo agli hashtag con le parole graffiti, Draghi, Biden, war. Il premier italiano è raffigurato con il corpo della Lupa, simbolo di Roma, ed è tenuto al guinzaglio dal presidente americano. Le mammelle con Romolo e Remo riportano la scritta “liquid gas”.

La questione è arrivata subito sul tavolo del leader dei 5 Stelle Giuseppe Conte che al momento non ha voluto entrare nel merito: “Adesso non mi fate parlare di una foto postata – ha risposto ai giornalisti – Mi hanno detto che si tratta di graffiti, non diamo importanza”. Ma si è subito levata la voce di un pezzo del M5s che si riferisce al ministro degli Esteri. Proprio il capo della Farnesina è intervenuto: “Quell’immagine è inaccettabile, ne prendo totalmente le distanze, noi come forza politica sosteniamo il governo, sosteniamo il presidente del consiglio”. “Quello non è diritto di critica – incalza Di Maio – Quello è qualcosa da cui prendere le distanze, spero che il movimento prenda le distanze il prima possibile“. A Di Maio si aggiunge Sergio Battelli, presidente della commissione per le Politiche comunitarie della Camera: “L’arte è da sempre un potente mezzo di comunicazione che però va usato a proposito, soprattutto dalla prima forza politica di questo Paese. Ciò che mi sfugge, come ho già avuto modo di far notare sotto al post in questione, è perché una persona che ricopre un ruolo così delicato e primario all’interno del Movimento, ma il discorso vale per chiunque ne faccia parte, abbia sentito l’esigenza di pubblicarlo sui propri canali social. E non derubricherei l’episodio, come ha fatto il presidente Giuseppe Conte, definendolo ‘senza importanza’. Io non intendo derubricarlo, voglio prenderne nettamente le distanze difendendo il nostro governo, e il presidente del Consiglio Mario Draghi, che abbiamo deciso convintamente di sostenere. Le Istituzioni non si difendono a giorni alterni e a seconda delle convenienze”.

Alle prese di posizione interne al Movimento si aggiungono quelle esterne. Italia Viva, per esempio, con il suo coordinatore Ettore Rosato. “Lo detestano e lo offendono – scrive sui social riferendosi a Draghi – perché è autorevole e capace. Il contrario del suo predecessore. Ps: l’autore è il senatore Cominardi, un grillino a caso, è il tesoriere, incarico fiduciario scelto da Conte, uno che la pensa come lui”. E Forza Italia, con l’ex presidente del Senato Renato Schifani: “Il rispetto delle istituzioni, delle persone e del ruolo ricoperto dovrebbero essere elementi acquisiti per chi si onora di sedere in Parlamento”. L’immagine diffusa da Cominardi, aggiunge, “non può essere tollerata, né si può minimizzare la sua gravità”.

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Caro bollette, Conte: “Serve un tetto europeo al prezzo del gas e l’Energy Recovery Fund” – Video

Il presidente del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte, oltre agli obiettivi e alle raccomandazioni su energia e clima fatte dalla Commissione Europea all’Italia, ha presentato le proposte pentastellate. Secondo l’ex premier serve “un sostegno immediato a famiglie e imprese, appunto per il caro energia, contrastare le pratiche speculative, e imporre un tetto, anche europeo, al prezzo del gas“. Ma non solo. “Poi abbiamo proposto una serie di misure strutturali – ha continuato – come l’accelerazione sull’ecoenergie e sull’efficienza energetica, la spinta all’innovazioni delle reti, lo stoccaggio europeo comune, la costruzione di filiere produttive italiane ed Europe in grado di accompagnare il processo di diversificazione energetica”. “Ecco perché – ha concluso l’ex presidente del Consiglio – abbiamo detto che serve un Energy Recovery Fund” perché “se non s’interviene presto e bene, i danni prodotti dall’emergenza energetica, costringeranno ad interventi molto più costosi”.

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Reddito cittadinanza, Conte: “Chi propone l’utilizzo dei fondi per investirli in armi vuole la guerra sociale. Draghi? Lavorerà con noi”

“Noi siamo al governo per difendere i pilastri con cui abbiamo migliorato il Paese e il reddito di cittadinanza, con la povertà in aumento, è il minimo sindacale“. Giuseppe Conte così difende una delle misure simbolo del Movimento 5 stelle. “Chi in questo momento sta proponendo di utilizzare i soldi del reddito di cittadinanza per investirli in armi vuole la guerra sociale, quindi non ho dubbi che Draghi continuerà a lavorare con noi per rafforzare e migliorare il sistema del reddito”. Poi, sulla guerra in Ucraina, il presidente del M5s ribadisce la volontà di chiedere un voto in Parlamento su ulteriori invii di armi: “Credo che tanti cittadini italiani vogliano un confronto e un indirizzo chiaro delle forze politiche in Parlamento”.

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Sopravviverà il Movimento 5 Stelle al 2022?

Sopravviverà il Movimento 5 Stelle al 2022?

Reo confesso, a lungo mi sono illuso che i Cinquestelle potessero diventare i portabandiera dell’Altrapolitica, rifondatrice della sinistrata politica nazionale; poi che il Giuseppe Conte, primo ministro garbato e più che dignitoso nel suo secondo mandato, rivelasse le spalle larghe e la cassa toracica necessarie per far evolvere un’accozzaglia di ultras casinisti nel partito che non c’è: un mix virtuoso di ambientalismo e democrazia radicale. Qualcosa in grado di popolare i peggiori incubi di un banal grande “caviale e Confindustria” alla Carlo Calenda; scuotere l’immobile quotidianità dell’establishment affaristico e senza visione che grava sui nostri giorni.

Chi ha esercitato la benevolenza leggendosi queste mie note negli anni passati, saprà che ho sempre indicato l’handicap insuperabile, per dare vita al ricambio di cui il Paese ha vieppiù bisogno, nella figura del padre fondatore del Movimento, che aveva anticipato a Bologna 2007 l’insorgenza dell’indignazione come soggetto politico; esplosa a livello internazionale quattro anni dopo – nel 2011 – dalla madrilena Puerta del Sol al newyorchese Zuccotti Park. Ossia l’ingombrante e controversa presenza di Beppe Grillo, asceso in un processo di beatificazione fanatica a supremo santone adorato da masse crescenti; che coltivavano le proprie speranze e anestetizzavano le insofferenze praticando cieca credenza nelle doti taumaturgiche dell’Elevato. Poco importava che il messaggio profetico proveniente dalla villa di Sant’Ilario – a ben vedere – si rivelasse un’accozzaglia di confusi ermetismi e di ricette incoerenti.

In un ambiguo palleggiamento tra posizioni contraddittorie, dietro le quali si potevano intravvedere pulsioni demagogiche e reazionarie; fobie da borghese piccolo, piccolo di destra. Pure nelle fughe in avanti dei vaneggiamenti di improbabili democrazie dirette che minavano il poco di democrazia sostanziale, lascito dei Padri Costituenti e usurato da decenni di miserevoli pratiche consociative; nella xenofobia malcelata e nel machismo ostentato nei video-karakiri Facebook: da quello a induzione sessista “cosa faresti con Laura Boldrini in auto” a quello improvvido, nel suo giustificazionismo paternalistico, su imbarazzanti vicende sarde.

Ultimo contributo confusionista grillesco era stato il viatico all’operazione palesemente anti-M5S rappresentato dal governo Draghi, con l’ignobile castroneria di definire “grillino”, chiedendone l’investitura ministeriale, un impresario in carriera, lo scienziato illusionista pro business community Roberto Cingolani.

Dopo questa impressionante sequenza di pateracchi era sembrato che Grillo si fosse fatto da parte. Illusione di breve durata, mentre l’arrivo alla guida del Movimento allo sbando dell’avvocato del popolo, l’ex premier forte di un elevatissimo livello di popolarità, sembrava poter raddrizzare la barca pentastellata. E contenere i processi degenerativi di un personale politico di improvvisati: parlamentari selezionati con il solo criterio di avere una massa di manovra malleabile e ora sfuggita di mano.

Cercando di salvare il salvabile, Conte si è messo al lavoro. Ma dando subito l’impressione di non essere in grado di virare i modi civili e il naturale perbenismo da democratico cristiano di matrice morotea in un capo guerriero che va all’attacco, recuperando spazi di consenso con l’iniziativa politica. Perché tale non è il perbenismo nel sostegno al governo (palesemente ostile) di Draghi o l’inseguimento di un consenso pacifista oscurato da quello chiassoso e scopertamente filo-putiniana di Matteo Salvini.

Occorreva polso saldissimo che il neo-leader (da verificare quanto riconosciuto tale dagli stessi suoi) non sembra proprio possedere. Mentre la sua leadership è sotto l’assedio congiunto da parte di un Grillo in astinenza da egolalia e dell’atlantista Luigi Di Maio, che nella fregola ministeriale della difesa a ogni costo della poltrona rivela l’emergere, sotto la sottile pellicola dell’indignazione di inizio carriera, del vero e proprio dna d’origine: l’eterno profilo del notabile campano. Dai Gava a Pomicino.

Un vero peccato. Perché l’ipotizzato restyling contiano appariva l’ultima occasione per non disperdere un’aggregazione sociale che poteva diventare la leva politica per scardinare il blocco da regime della Seconda Repubblica berlusconiana, rapidamente scivolata nella Terza dell’avventurismo dei Mattei e del minimalismo retrò alla Letta.

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Dino Giarrusso su La7: “Lascio il M5s e fondo un mio movimento. Resta la mia stima per Conte, ma non so che ci facciamo nel governo Draghi”

L’europarlamentare del M5s, Dino Giarrusso, abbandona definitivamente il Movimento guidato da Giuseppe Conte e fonda un nuovo movimento politico, che raccoglierà in parte fuoriusciti e delusi pentastellati.
Lo ha annunciato ufficialmente nella trasmissione “Coffee break”, su La7, premettendo la sua stima incondizionata per Conte, definito ‘il miglior presidente del Consiglio degli ultimi 20 anni’, e rifilando una durissima frecciata ai suoi ex compagni di partito: “Ringrazio Andrea Pancani per avermi invitato, nonostante ci siano persone pagate dal M5s, cioè nostri dipendenti, che chiamano autori e dirigenti di tv per non farmi partecipare alle trasmissioni televisive. So che, lasciando il Movimento, molte persone che mi stimano e che mi vogliono bene saranno deluse. Ma so anche che farò la gioia di tante persone all’interno del M5s che mi hanno sempre combattuto alle volte in maniera davvero vergognosa”.

Poi spiega i motivi del suo abbandono del M5s: “Noi siamo a sostegno di un governo, dove davvero ogni giorno fatico a capire per quale ragione dobbiamo starci. O ci facciamo rispettare oppure ce ne andiamo”.
Giarrusso cita le posizioni del governo sull’invio delle armi in Ucraina e le dichiarazioni di contrarietà al Superbonus espresse dal presidente del Consiglio Mario Draghi alla plenaria del Parlamento Europeo.
Poi contesta il tradimento dei valori fondanti del Movimento, dall’ambiguità sul doppio mandato alla mancanza di primarie interne e alla rinuncia all’attivismo territoriale.
L’europarlamentare, infine, rivela: “Ho cercato di parlare con Conte. Da due mesi lo chiamo e gli scrivo. Nessuna risposta. Io dico solo che i panni sporchi non si lavano in casa. Quella era una frase orribile che disse Andreotti. Noi eravamo quelli dello streaming e della trasparenza: le cose dobbiamo dircele, non nasconderle“.

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martedì 24 maggio 2022

Cannabis, Magi (+Europa): “Ddl al Senato? Da Lega ostruzionismo, Casellati eviti violazioni regolamentari. Si voti a giugno alla Camera”

“Dalla Lega in Senato c’è un chiaro tentativo di ostruzionismo, che non riguarda soltanto la cannabis, ma tutte le leggi in discussioni sui diritti“. Ad attaccare, nel corso di una conferenza stampa alla Camera dei deputati, è il deputato di +Europa, Riccardo Magi, in merito al ‘derby’ parlamentare, tra Montecitorio e Palazzo Madama, sul tema cannabis.
Perché se da una parte da due anni procede a fatica la discussione tra i deputati in commissione Giustizia sul testo base riformulato da Mario Perantoni, presidente M5s della stessa Commissione – con la conclusione dei voti sugli emendamenti all’articolo uno, sulla coltivazione domestica per uso personale, ndr – ,
allo stesso tempo al Senato è stato invece incardinato a fine aprile un ddl leghista parallelo. Il cosiddetto ‘Droga zero‘, che intende al contrario inasprire le pene ed eliminare ‘la lieve entità’ anche per la sola detenzione di stupefacenti. Tradotto, due ddl di segno opposto.
Eppure, i regolamenti parlano chiaro: non è possibile procedere all’esame di un ddl avente “un oggetto identico o strettamente connesso rispetto a quello di un progetto già presentato” nell’altro ramo del Palazzo, così come spiegano sia l’articolo 78 del regolamento di Montecitorio e quello numero 51 di Palazzo Madama. Ma se la Lega insiste e il suo esponente alla guida della commissione Giustizia del Senato, Andrea Ostellari, ha già rivendicato di voler ‘andare avanti’, allo stesso modo è la maggioranza che sostiene alla Camera il ddl Perantoni a invocare un intervento della presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati. “Deve intervenire per evitare una violazione del regolamento“, spiega Magi.
Non è stato l’unico ad appellarsi alla seconda carica dello Stato. Perché lo stesso presidente della Camera Roberto Fico ha già scritto in modo riservato alla collega, con l’obiettivo di raggiungere un’intesa. Anche perché per prassi parlamentare ad avere la precedenza è il testo presentato per primo: in questo caso, il ddl Perantoni in discussione alla Camera, già adottato come testo base in commissione nel 2021, su richiesta dello stesso Magi e della deputata M5s Caterina Licatini, e presentato già nel 2019.

Da Casellati però non è ancora arrivata alcuna risposta: “Ostruzionismo a sua volta? Casellati dovrebbe avvisare Ostellari che non è possibile procedere, questo non sappiamo se sia stato fatto. Di certo, la presidente sul tema cannabis ha già dato prova di scarsa sensibilità, quando dichiarò inammissibile in Aula un emendamento sulla cannabis light, a basso contenuto di Thc, quando lo stesso era stato invece dichiarato ammissibile in commissione, nel corso dell’esame di una legge di bilancio”, ha attaccato Magi. Convinto però che alla Camera si debba andare avanti: “Bisogna raggiungere l’obiettivo, così come prevede il calendario, di arrivare in Aula nel mese di giugno“.

Quel che rischia di mancare, però, oltre ai tempi per approvare la legge – considerato come la legislatura sia ormai diretta verso la sua fine – è la volontà politica: “La misureremo nei fatti, abbiamo chiesto a Pd e M5s di accelerare alla Camera”, ha precisato Antonella Soldo, di ‘Meglio Legale’. “È vero che ci sono atteggiamenti dilatori da parte di alcune forze politiche, ma mi auguro che si possa arrivare in Aula e dare un segnale, almeno con una prima approvazione a Montecitorio”, ha replicato il dem Walter Verini.

Magi però avverte: “Il centrodestra ha chiesto, per far sì che il ddl sul fine vita vada avanti in Senato, di avere nominato il senatore leghista Simone Pillon come relatore e di avere incardinato il testo sulla cannabis in commissione al Senato. Ma se si fa uno ‘scambio’, almeno si deve ottenere qualcosa. E invece si è concesso tutto questo, senza che il ddl sul fine vita sia andato avanti. E allora forse da parte anche di altri manca la volontà politica. Pd e M5s? Forse si ha paura dei numeri, ma di certo la trattativa non è stata così vantaggiosa”.

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Bersani a La7: “Se la critica ai 5 Stelle diventa la volontà di umiliarli o di farli scomparire, si abbia l’onestà di dire che vanno bene Meloni e Salvini”

Conte sta cercando di dare al M5s un profilo che abbia un’impronta orientata alla pace, un profilo ambientalista, un profilo di sostegno ai più poveri, un profilo civico. Dopodiché, Conte è in mezzo a mille difficoltà perché il Movimento non si dà ancora un’organizzazione. Il punto, però, riguarda il centrosinistra e la grande area progressista, fatta di politici, di commentatori, di intellettuali, di popolo: se la critica ai 5 Stelle diventa la volontà di umiliarli o di farli scomparire, come dice qualcuno chiaramente, questi abbiano l’onestà di dire che vanno bene Meloni e Salvini“. Sono le parole del deputato di LeU, Pier Luigi Bersani, ospite della trasmissione “L’aria che tira”, su La7.

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Lombardia, Consiglio regionale convocato solo per discutere dello spiedo bresciano. Caos in Aula, il M5s: “È questa la priorità della destra?”

Non si parla di carenza di medici, di un sistema sanitario che fa acqua da tutte le parti, né di disoccupazione o di caro energia. No, il Consiglio regionale della Lombardia viene convocato, oggi, martedì 24 maggio, per discutere di un unico progetto di legge. Quale? Rullo di tamburi, eccolo qui: “Disposizioni per la valorizzazione del piatto tipico ‘spiedo bresciano’ e di altri piatti tradizionali lombardi a base di selvaggina”. Sì, si parla del “tradizionale piatto del pranzo domenicale” a base principalmente di uccellini (le peppole, in testa), che – leggiamo dalla Rete – “deve cuocere molto lentamente, almeno quattro-cinque ore”. Il firmatario è il leghista Floriano Massardi che, ça va sans dire, viene dalla Valle Sabbia (Brescia).

E al Pirellone è tutto pronto per le grandi occasioni, tanto che a osservare i lavori ci sono ben 40 sindaci del Bresciano col tricolore bene in vista. Ma non solo. C’è anche Carlo Bravo, presidente dell’Associazione cacciatori lombardi, nel 2018 candidato proprio alle Regionali con Fratelli d’Italia (ma non eletto). Ma dietro la discussione sulla pietanza c’è dell’altro, perché il commercio della peppola è vietato per legge (ma la caccia è stata permessa, nel corso degli anni, grazie alle deroghe regionali). A un certo punto i consiglieri del Movimento 5 stelle espongono cartelli rivendicando le loro priorità, come l’occupazione giovanile, il salario minimo e la sicurezza sul lavoro e mostrando, per contrasto, “che la destra si occupa dello spiedo”. I consiglieri di maggioranza – in modo abbastanza irrituale – cercano di strappare loro i volantini dalle mani.

Ma non finisce qui. La tensione aumenta quando un amministratore locale presente tra il pubblico si rivolge ai 5 stelle definendoli “pagliacci”. “Sono arrivate minacce – dice un esponente del M5s, Raffaele Erba – valuteremo la querela”. Il consigliere pentastellato Marco Degli Angeli si scaglia contro i sindaci bresciani, accusandoli di fare una sorta di passerella al Pirellone: “Venite qui per le marchette, ma quando si parla di disabili dove siete?”. La seduta viene sospesa dopo l’intervento del consigliere Dino Alberti: “Oggi è una giornata triste, perché non siamo convocati per discutere dei problemi della Lombardia ma dello spiedo bresciano. Una legge, questa, che per stessa ammissione degli uffici legislativi regionali, è a rischio incostituzionalità perché in contrasto con la normativa statale e comunitaria. Desolante la presenza in Aula di circa 40 sindaci bresciani. Quando parliamo del depuratore del Garda vengono sempre i soliti quattro. Quando trattiamo della frana che minaccia i comuni sul lago d’Iseo non ho mai visto una tale mobilitazione“.

A protestare, fuori dal Pirellone, anche Europa Verde, guidata da Carlo Monguzzi: “Guerra, pandemia ed emergenza climatica non turbano il centrodestra che convoca una seduta di Consiglio regionale solo per approvare una legge per valorizzare la cultura dello spiedo bresciano. Chiederemo all’Unione europea di avviare un procedimento di infrazione verso la Regione per questa legge e al governo italiano di fermare questa follia”. Proposta di legge che, alla fine, viene approvata.

Video Ufficio stampa Movimento 5 stelle

Twitter: @albmarzocchi
Mail: a.marzocchi@ilfattoquotidiano.it

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giovedì 19 maggio 2022

Ucraina, Crippa (M5s): “Nuovo voto sull’invio di armi, nella risoluzione di marzo il governo si era impegnato alla de-escalation militare”

“L’invio delle armi non è efficace per costruire la pace, possiamo dirlo guardando i risultati ottenuto fino ad ora. Chiediamo che presto questa Aula possa esprimersi nuovamente con un voto“. Lo ha detto nell’Aula della Camera Davide Crippa di Movimento 5 stelle dopo l’informativa del presidente del Consiglio, Mario Draghi, sulla situazione in Ucraina. Crippa ha citato la risoluzione di marzo con cui il Parlamento ha dato il via libera all’invio di armi a Kiev: “Era necessario per evitare che si trasformasse in una guerra lampo. Tuttavia in quella risoluzione il governo si impegnava a mettere in campo una de-escalation militare. Su questo fronte – ha concluso – si è fatto troppo poco”.

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M5s, Ricciardi: “Stefania Craxi? Siamo alla restaurazione totale, sua elezione è stata un giochino di poltrone di Renzi e centrodestra”

“L’elezione di Stefania Craxi a presidente della Commissione Esteri del Senato? Siamo ormai alla restaurazione completa. Si è trattato di un accordo su poltrone, fatto da una parte della maggioranza con Fratelli d’Italia, una roba che non sta assolutamente né in cielo, né in terra”. Sono le parole pronunciate ai microfoni di “24 Mattino” (Radio24) dal vicepresidente del M5s, Riccardo Ricciardi, all’indomani dell’elezione della senatrice di Forza Italia, Stefania Craxi, a presidente della Commissione Esteri del Senato, dopo le dimissioni del pentastellato Vito Petrocelli.

Il deputato del M5s spiega: “Non è stato un nostro errore candidare Licheri. Il punto è che qualsiasi nome proposto dal M5s per quel ruolo sarebbe stato respinto, perché era solo un giochino per creare dissidi interni e per far fuori un nostro candidato con un accordo Renzi-Salvini-Meloni-Berlusconi. Anche se avessimo proposto Churchill sarebbe andata così – continua – visto che si erano già accordati. Ma non è la prima volta che succede. Un anno e mezzo fa, Italia Viva fece fuori il nome di Pietro Grasso alla presidenza della Commissione Giustizia perché votò il candidato della Lega. Quando Renzi decide di fare accordi con la Meloni, purtroppo i numeri in Parlamento sono questi”.

Ricciardi, in linea col leader del M5s Giuseppe Conte, assicura che il Movimento non vuol far cadere l’esecutivo, ma taccia il governo Draghi di non aver vigilato sulla vicenda Craxi: “Il governo ha la responsabilità del modo in cui viene tenuta in piedi la maggioranza che lo sostiene, così come la maggioranza ha una responsabilità nei confronti dell’esecutivo. Quindi, permettere che accadano queste cose all’interno della propria maggioranza non è il massimo. Col Pd, invece, c’è una dialettica politica giusta e sana. Abbiamo idee differenti su alcuni argomenti – conclude – ma c’è lealtà politica. Quello di ieri è stato un giochino di poltrone a cui il Pd non si è prestato, perché tra noi e il Pd c’è un rapporto leale di confronto politico, seppure con delle differenze in alcuni temi sui quali i dem devono dare delle risposte. Il centrodestra e Renzi, che ormai sono la stessa cosa, rientrano in tutt’altra discussione“.

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M5s, nuove regole per il “mandato zero”: a Messina deputata regionale al secondo giro si candida in Comune (anche se ancora in carica)

Nuova regola per il M5s. Per le amministrative del 2022 cambia il regolamento e un cavillo permette la candidatura al Comune di una consigliera regionale ancora in carica. Succede a Messina con la capolista del M5s Valentina Zafarana. Consigliera regionale dei Cinquestelle, Zafarana è molto stimata sia dal suo stesso gruppo che dagli alleati, che infatti le avevano proposto in un primo momento di candidarsi alla più alta carica della città dello Stretto, salvo poi convergere sul dem Franco De Domenico. Adesso, invece, con “spirito di sacrificio, per amore della mia città”, ha sottolineato lei, si presenta come vice sindaca del candidato del Pd e come capolista nella lista dei Cinquestelle. Questo nonostante sia ancora in carica come consigliera regionale al suo secondo mandato.

E può farlo. Perché nel regolamento per le Amministrative del 2022 è specificato che possono candidarsi gli iscritti che “non ricoprano attualmente una carica elettiva, salvo che la stessa non abbia scadenza nell’anno 2022”. Superato il limite del secondo mandato che ha “escluso dal conteggio del limite dei due mandati elettivi un mandato da consigliere comunale, già effettuato o da effettuare” dalla modifica al mandato zero proposta nell’agosto del 2020, adesso, stavolta senza votazioni, si modifica pure l’altro limite della scadenza del mandato. Nel nuovissimo regolamento si fa, infatti, riferimento al voto del 25/26 luglio del 2019 e del 13/14 agosto del 2020: sono queste le due votazioni che chiama in causa il punto C del regolamento nazionale per le Comunali del 2022. A luglio del 2019, infatti, fu lanciato da Luigi Di Maio il cosiddetto “mandato zero” che lui stesso spiegava così: “Se tu vieni eletto consigliere comunale o di municipio al primo mandato e lo porti avanti tutto e poi decidi di ricandidarti e non diventi né presidente di municipio né sindaco, allora il tuo secondo mandato, quello precedente, cioè il mandato zero, non vale”. Il principio è quello di salvaguardare l’impegno dei consiglieri comunali e di permettere loro di portare avanti il bagaglio di impegno accumulato sul territorio, questo in sintesi spiega Di Maio. Si trattava, quindi, di una salvaguardia dell’esperienza sul campo accumulata dai consiglieri comunali e da non disperdere nei limiti del secondo mandato, che ha di fatto permesso la ricandidatura di Virginia Raggi a sindaca di Roma, dopo essere stato per un mandato consigliera comunale e poi sindaca.

Non si faceva in quel momento, però, nessun riferimento al percorso a ritroso, ovvero quello dei consiglieri regionali o dei deputati che volessero dopo due mandati entrare in consiglio comunale. Si voterà però pure nell’agosto del 2020, e il quesito proposto da Vito Crimi sul quale si esprimeranno i votanti chiede l’assenso per una modifica per “stabilire che un mandato da consigliere comunale deve intendersi come escluso dal computo dei due mandati, in qualunque momento esso sia svolto”. Per quanto non chiarissimo, dunque, il limite dei due mandati non riguarda il consiglio comunale. Riguardava però fino a queste ultime elezioni i rappresentanti ancora in carica. Non a caso Giancarlo Cancelleri – intervistato da Repubblica lo scorso marzo – poneva la questione riguardo a un altro consigliere regionale, Giampiero Trizzino. Ancora in carica e in scadenza a novembre – così come la collega Zafarana – Trizzino era stato indicato come capolista nella lista del M5s alle Comunali palermitane. Ma Cancelleri esprimeva perplessità “Giampiero sta facendo un ottimo lavoro a livello regionale, ma al momento non mi pare che ci sia tra le nostre regole interne la possibilità di avanzare candidature senza avere portato a termine il proprio mandato”. Da marzo a maggio però è stato tutto risolto da quel “salvo che la stessa (carica elettiva, ndr) non abbia scadenza nel 2022”. Eppure nelle due votazioni del luglio 2019 e dell’agosto 2020 non c’è traccia di alcun riferimento rispetto alla scadenza del mandato nel 2022. Una norma cucita addosso a Zafarana? “Va bene lo stesso, farà un ottimo lavoro, dovesse vincere, ben venga”, commentano in molti all’interno del M5s. Pur sempre un cambiamento inaspettato che crea qualche malumore: “Se si può fare quel che si vuole, a dispetto delle regole, basta dirlo”, mugugna qualcun altro. Mentre il limite del secondo mandato, al netto del consiglio comunale, è ancora appeso alla decisione di Giuseppe Conte. Una decisione attesa con ansia da Giancarlo Cancelleri che aspira a candidarsi per la terza volta alla presidenza della Regione. In Sicilia si voterà il prossimo novembre ma a breve la coalizione di centrosinistra presenterà le modalità delle primarie dal quale uscirà il candidato alla guida della Regione. Il nodo, dunque, va sciolto in fretta.

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mercoledì 18 maggio 2022

Meloni attacca Conte: “Fai sul serio? Ritira Di Maio dal governo”. Lui: “Sei la pasionaria dell’opposizione o quella che vota con Renzi?”

Il voto di Iv e destre che ha eletto Stefania Craxi a presidente della Commissione Esteri del Senato invece di Ettore Licheri (il candidato del Movimento 5 Stelle, a cui “spettava” la poltrona dopo la decadenza di Vito Petrocelli) fa da innesco a uno scambio di accuse su Twitter tra Giuseppe Conte e Giorgia Meloni. Tutto nasce da un post in cui il leader 5S rilancia le proprie dichiarazioni del pomeriggio ai cronisti: “Il voto in Commissione Esteri certifica che questa maggioranza esiste solo sulla carta. Registriamo che se ne è formata una nuova, da FdI a Iv: forse le nostre posizioni contro l’escalation militare non piacciono. Vogliono emarginarci, ma non silenzieranno la voce degli italiani”. Con un ultimatum al premier Mario Draghi: “Era stato avvertito già ieri. Spetta a lui la responsabilità tenere in piedi questa maggioranza”.

Parole a cui Meloni risponde con un attacco diretto. “Patetico questo tentativo di giocare tutti i ruoli in commedia: ben incollati alle poltrone di Governo, ma cercando disperatamente di passare anche per opposizione. Vuoi fare sul serio sul dossier Ucraina? Ritira il tuo ministro degli Esteri, invece di fare tweet. Chiacchierone”, scrive con un riferimento provocatorio a Luigi Di Maio, il principale oppositore interno della linea Conte. L’ex premier però non ci sta e replica con lo stesso mezzo: “Giorgia parlaci di te, dopo 25 anni di politica. Sei la pasionaria dell’opposizione o quella che oggi vota con Renzi in Commissione Esteri? La paladina degli italiani o quella che vuole tagliare i fondi alle famiglie povere per investirli in armi? Sono tutt’orecchie”.

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Io anti-americano? Col voto per Stefania Craxi in Commissione Esteri si è punita la linea Conte

Con l’elezione del nuovo presidente della commissione esteri del Senato è emerso il peggio della politica italiana.

Chi mi conosce sa che non ho mai bramato poltrone. La mia storia ne è una chiara dimostrazione. Il sottoscritto, in linea con i valori del M5s, non lavora per ambire a una poltrona ma per il bene dei cittadini, in particolare di quelli più fragili.

Dopo la destituzione di Vito Petrocelli è emerso il mio nome come successore perché da circa quattro anni sono capogruppo in Esteri e da due vicepresidente dell’aria internazionale. Pochi minuti dopo che è stato indicato il mio nome si è messa in moto la macchina del fango anche nei miei confronti. Sono stato tacciato di essere un estremista, un “antiamericano” e persino un filo-putiniano. E che si dovrebbe dire di Salvini che ha indossato la maglietta di Putin alla piazza rossa di Mosca, dell’inchiesta Russiagate? Per non parlare delle affermazioni di Berlusconi su Putin: “E’ il più grande democratico del mondo”. Anche lo yorkshire che si crede pastore tedesco, cioè Calenda mi ha definito “filo putiniano”, lui che è sempre stato a servizio dei salotti lobbistico-finanziari-montezemoliani.

Hanno rispolverato un libro pubblicato prima della mia elezione come “prova” della mia non purezza atlantista. Ma i libri vanno letti e non usati come spade per colpire l’avversario politico. Non siamo nel Medioevo.

In queste ore più volte mi sono posto la domanda: ma possibile che nel nostro Paese non sia possibile criticare le guerre mosse contro Vietnam, Afghanistan, Iraq e Libia senza essere definiti antiamericani e persino filoputiniani? Questo è provincialismo culturale, sudditanza. Negli Usa questo non accade, mentre in Italia personaggi come Noam Chomsky sarebbero arsi vivi come fu fatto con Savonarola nel 1498. Chi scrive ha disapprovato anche la partecipazione del nostro Paese a certi conflitti, questo fa di me un anti italiano? Siamo al parossismo. Possibile che in certi consessi e organizzazioni internazionali il nostro Paese non possa ambire a svolgere un ruolo da protagonista come fu fatto durante la pandemia ai tavoli europei da Giuseppe Conte?

Sono anni che massacrano noi del Movimento 5 stelle. Per il bene della mia forza politica e del nostro presidente Giuseppe Conte, ho subito rinunciato a questa candidatura. Non potevo permettere che attraverso me fosse colpito il mio Movimento.

Viviamo un periodo davvero difficile a livello internazionale. Quotidianamente muoiono civili e si rischia un’estensione e una degenerazione di questo conflitto. In questo contesto mi sembra triste ed ignobile che ci siano state persone che invece abbiano ambito alla poltrona.

L’elezione della nuova presidente, che ha visto unito il centrodestra, è la dimostrazione che le accuse a me rivolte fossero una scusa per destinare quel ruolo a qualcuno che era già stato scelto da tempo. Questa scorrettezza nei nostri confronti dovrebbe innescare una seria riflessione prima interna e poi con le altre forze politiche della maggioranza.

Con questa votazione si è voluta “punire” la linea del presidente Conte a favore del dialogo e non di un’escalation militare, una posizione portata avanti con sincerità che è osteggiata e temuta. Temuta nel palazzo ma condivisa dagli italiani. Noi dobbiamo avere come unica stella polare la pace. Ed è quello che continuerò sempre a fare.

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Governo, Conte: “Violati patti e regole, spetta a Draghi tenere in piedi la maggioranza. Fratelli d’Italia? Opposizione sulla carta, è anomala”

“Oggi registriamo che di fatto si è formata una nuova maggioranza, che spazia da Fratelli d’Italia sino a Italia viva. Si è formata violando patti e regole“. Così il presidente del M5s, Giuseppe Conte, dopo il Consiglio nazionale del Movimento 5 Stelle, convocato d’urgenza per fare il punto dopo il voto al Senato che ha incoronato Stefania Craxi come presidente della Commissione Esteri, al posto di Ettore Licheri, quale nome pentastellato per sostituire Vito Petrocelli.

“Draghi e il governo erano stati avvertiti ieri, perché si è capito che si stava lavorando in modo surrettizio a violare patti, regole e accordi; quindi è stato avvertito il presidente del Consiglio e spetta innanzitutto a lui prendere atto della responsabilità di tenere in piedi questa maggioranza – e conclude – non è che noi non facciamo parte della maggioranza. C’è stata assolutamente una linearità di comportamento da parte di Pd e Leu. Di fatto, invece, probabilmente sarà stata la riunione di ieri di Arcore, saranno stati i prossimi appuntamenti elettorali che spingono Italia viva ad assumere queste posizioni, abbracciando ovviamente l’entrata in campo di Fratelli d’Italia, che come sapete è un’opposizione sulla carta ma molto anomala”.

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martedì 17 maggio 2022

Regionali Lombardia, corsa a due Fontana-Moratti: FdI ago della bilancia. Poche idee nel centrosinistra: Sala l’unico con chance

La prima istantanea: 8 gennaio 2021, sala delle conferenze stampa di Palazzo Lombardia. Letizia Moratti è appena stata nominata vicepresidente della Regione e assessora al Welfare. Nello stanzone rettangolare, c’è un silenzio carico di tensione. Lei prende la parola davanti ai giornalisti e spiega le sue priorità per affrontare l’emergenza Covid. Ha preso il posto di Giulio Gallera, silurato dal centrodestra (e definito “stanco” da Attilio Fontana): è il capro-espiatorio perfetto di un’amministrazione sin lì disastrosa: campagna vaccinale al palo (al 31 dicembre, al 3,4% di somministrazioni dei vaccini ricevuti), medici di base insufficienti e allo stremo, confusione nella comunicazione, più di un’ombra sulla mancata zona rossa ad Alzano Lombardo, nella Bergamasca. Su Fontana, poi, pesa il caso camici: è indagato per frode in pubblica fornitura. Così Moratti arriva per risollevare una Giunta sfilacciata, che fatica a nascondere gli imbarazzi. E arriva con la promessa di una candidatura, alla prossima tornata elettorale, nel 2023. La strada, per lei, sembra spianata.

La seconda istantanea: 14 maggio 2022. È passato meno di un anno e mezzo da quella conferenza stampa. Poco, si dirà. Ma un’eternità per lo scorrere del tempo politico. La Lega ha organizzato un convegno a Roma con tutti i big del partito. In prima fila, ad applaudire Matteo Salvini, accanto a Roberto Calderoli c’è proprio Fontana. Che cosa è successo, nel frattempo? Il presidente della Regione Lombardia è appena stato prosciolto per il caso camici. La gup di Milano, Chiara Valori, ha deciso il non luogo a procedere per la fornitura, poi trasformata in donazione, da più di mezzo milione di euro di dispositivi sanitari all’azienda Dama, per il 90% in mano al cognato di Fontana, Andrea Dini, e per il 10% in mano alla moglie di Fontana, Roberta Dini. Il presidente sorride. La strada per una seconda candidatura è spianata.

TENSIONI NEL CENTRODESTRA – Il proscioglimento non era per nulla scontato, benché a parole sia il presidente sia gli avvocati della difesa sostenessero il contario. Tanto che il rinvio a giudizio era stato messo in conto anche dai leghisti lombardi e dai vertici del Carroccio. Non è un caso che una settimana prima Salvini abbia messo sul tavolo del presidente un posto in Senato. Un’indiscrezione fantasiosa, come ha commentato Fontana? Tutt’altro. Fonti informate del centrodestra a Palazzo Lombardia riferiscono che la proposta sia stata fatta e che, tutto sommato, “sia il minimo per uno che ha governato cinque anni”. Il ragionamento è che la stessa Lega si sia infilata in un cul de sac. Il motivo è presto detto: Fontana è l’unico candidato del centrodestra che apre uno spiraglio minimo per la vittoria del centrosinistra (ammesso che il centrosinistra corra unito, ci torniamo più avanti). Perché? Perché più di un elettore, al momento del voto, può ricordarsi degli errori fatti dall’amministrazione lombarda durante la pandemia, ma anche – seppure più improbabile – del tesoro da 5,3 milioni di euro sul conto svizzero. Cifra interamente scudata con la voluntary disclosure nel 2015. “Nessuno è stato in grado di dirgli ‘guarda che ci fai perdere’“, dicono le stesse fonti del Pirellone. Così, con la vicenda giudiziaria alle spalle, il nome dell’ex sindaco di Varese è tornato al primo posto per la Lega: “Scioglierò la riserva tra qualche settimana – ha detto – convocherò una conferenza stampa”. E addio ai vari Massimo Garavaglia e Gian Marco Centinaio.

LA PARTITA DI MORATTI E IL RUOLO DI FDI – Chi conosce Letizia Moratti, però, sa che non si è tirata indietro. Al contrario, c’è chi sostiene che stia preparando la sua candidatura. In Consiglio starebbe lavorando per formare un gruppo – sono necessarie tre persone – che faccia riferimento a lei. Gruppo, com’è ovvio, propedeutico per la sua corsa. Non è un segreto, poi, che abbia un ottimo rapporto sia col leader della Lega sia con Silvio Berlusconi. Ai più attenti non è sfuggita l’inedita alleanza – almeno sin qui, in Lombardia – tra Simona Tironi, di Forza Italia, e il consigliere di Azione, Niccolò Carretta: insieme hanno presentato il progetto di legge per lo psicologo di base. E ai più attenti non è sfuggita la presenza proprio di Moratti a un incontro pubblico sugli orfani ucraini, organizzato da Caretta in provincia di Bergamo. La Bergamo di Giorgio Gori, sponsor di Carretta e a cui Carlo Calenda aveva fatto il filo per l’ingresso in Azione.

Ma c’è dell’altro. Tra meno di un mese, il 12 di giugno, si va al voto a Como, Lodi, Monza e in altri Comuni di grandi-medie dimensioni, tra cui Sesto San Giovanni. Sarà l’occasione, per i tre principali azionisti del centrodestra, di “pesarsi”. In questo senso gli occhi puntati sono su Fratelli d’Italia: i sondaggi nazionali, da tempo, li considerano come il partito più votato; ma si sa, dall’altra parte, che le elezioni amministrative fanno storia a sé. Ciò che è certo è che il partito di Giorgia Meloni – che nel corso di questi cinque anni, al Pirellone, ha manifestato più di un mal di pancia – farà valere la propria forza elettorale. E la domanda che ci si pone è: sosterrà il favorito alla corsa nel centrodestra, Attilio Fontana, magari con alcune garanzie sugli assessorati, oppure guarderà altrove, vale a dire – perché no – a Letizia Moratti? La terza possibilità – da mettere più che altro sul piatto delle trattative – è che FdI avanzi un proprio candidato.

CENTROSINISTRA CON POCHE IDEE – Sul fronte opposto si ha la sensazione – ancorché manchi un anno alle elezioni – che si sia già in ritardo. O che, in ogni caso, si sia persa un’occasione. È vero, da circa un mese i gruppi di opposizione in Consiglio regionale stanno organizzando “tavoli tematici” per dialogare e trovare un programma comune. È altrettanto vero, però, che in questi quattro anni di legislatura, e soprattutto dopo il Covid, è stato creato poco dibattito intorno a una figura forte, di riferimento per tutto il centrosinistra, che potesse guardare all’appuntamento del 2023. In questi giorni sono stati fatti dei nomi, ma la verità è che dentro Pd e M5s si voglia prendere tempo. Beppe Sala, per esempio, ha alzato il telefono per sentire sia Carlo Cottarelli sia il sindaco di Brescia, Emilio Del Bono. Il primo non vedrebbe l’ora, mentre il secondo non sarebbe super deciso, per usare un eufemismo. Accanto a loro è spuntato l’eterno Bruno Tabacci e l’europarlamentare Irene Tinagli. Il punto dirimente, però, è che il perimetro dell’alleanza non è ancora stato definito. Pd insieme al Movimento 5 stelle, con ciò che sta a sinistra del Pd? E Azione/+Europa? Calenda lo ha detto: “Mai coi 5 stelle e no alle primarie”. Nemmeno a livello locale. “Col turno unico vedo una sola soluzione – commenta Pierfrancesco Majorino, europarlamentare e politico di peso del centrosinistra milanese – e cioè che serve il campo più largo possibile, che comprendi sia Calenda sia i 5 stelle. Il Pd sta lavorando in questo senso. E credo che nessuno vorrà assumersi la responsabilità di correre da solo, dando così una grande mano a Fontana, o a chi sarà il candidato del centrodestra. D’altra parte Fontana è il portavoce del fallimento, evidente, di questa amministrazione. Sono convinto che con lui la sfida sia più aperta che con altri“.

E poi: primarie sì o primarie no? La prima ipotesi permetterebbe di far conoscere i candidati, di avvicinare gli elettori al voto, anche quelli che oscillano tra un fronte e l’altro o che preferirebbero restare a casa. La seconda ipotesi, invece, con la convergenza su una figura di rilievo, scelta dalle forze politiche, permetterebbe alle stesse forze politiche di correre insieme. In questo senso, Beppe Sala è il candidato che unirebbe il centrosinistra e che – è il ragionamento – potrebbe tentare di strappare il governo della Lombardia al centrodestra dopo 30 anni. Come si sa, tuttavia, il sindaco di Milano si è chiamato fuori. “Non ci precludiamo il dialogo con le forze di centrosinistra – dice il capogruppo del M5s, Nicola Di Marco – proprio perché siamo in una situazione straordinaria, in cui il centrodestra ha mal governato la Regione per tre decenni: dallo smantellamento della sanità pubblica alla gestione di Trenord e delle case popolari, il fallimento è evidente. Per questo ci stiamo confrontando sia con le forze che siedono in Consiglio regionale sia con quelle che stanno fuori. Sulla base di questo lavoro, che speriamo vada avanti in modo proficuo, faremo le nostre valutazioni. Non vogliamo fare il toto-nomi, vogliamo parlare di programma“. E a proposito dei tavoli tematici del centrosinistra partiti circa un mese fa: Azione vi aveva aderito, salvo chiamarsi fuori due settimane fa, sbattendo la porta. Calenda, da Roma, aveva già dettato la linea.

Twitter: @albmarzocchi
Mail: a.marzocchi@ilfattoquotidiano.it

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Lombardia, bagarre in Consiglio regionale: leghisti con magliette con l’effigie di Fontana. M5s: “Buffonata, presidente si scusi”

Ovazione e cori da stadio all’ingresso di Attilio Fontana nell’Aula del Consiglio regionale, a Milano. Il presidente della Regione Lombardia è tornato per la prima volta al Pirellone dopo il proscioglimento per il caso camici: la Procura aveva chiesto il rinvio a giudizio per l’ex sindaco di Varese con l’accusa di frode per la fornitura, poi trasformata in donazione, da più di mezzo milione di euro di dispositivi sanitari all’azienda Dama, per il 90% in mano al cognato, Andrea Dini, e per il 10% in mano a sua moglie, Roberta Dini. Ma la scorsa settimana la gup, Chiara Valori, ha stabilito che “il fatto non sussiste”.

Così quando Fontana è entrato in Aula, i consiglieri della Lega hanno indossato una maglietta bianca con stampata una foto del presidente e, sotto, la scritta “giustizia è fatta, ora chiedete scusa”. Una maglietta, peraltro, è stata consegnata a Fontana, che ha fatto una foto coi consiglieri del Carroccio, mentre questi intonavano diversi cori, tra cui il classico: “C’è solo un presidente”. Nel frattempo, come risposta, i componenti del Movimento 5 stelle hanno mostrato i cartelli con scritto “niente scuse, avete fallito” e “ai lombardi la sentenza”.

Insomma, la Lega è tornata a far quadrato intorno a quello che a oggi sembra il candidato favorito nel centrodestra per elezioni del 2023. “Tra qualche settimana scioglierò la riserva – ha detto un Fontana sorridente – quando lo farò convocherò una conferenza stampa”. “Siamo contenti per come la vicenda si sia risolta dal punto di vista giudiziario – ha detto Massimo De Rosa dei 5 stelle – perché in caso diverso sarebbe stato un ulteriore danno d’immagine per la Lombardia. Voglio sottolineare, però, che non vuol dire che vada tutto bene se non c’è stato un risvolto penale. Come minimo la vicenda dei camici è stata gestita in modo superficiale. Gli errori politici in questi anni sono stati evidenti, ci aspettiamo che la maggioranza si scusi coi lombardi”.

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sabato 14 maggio 2022

Termovalorizzatore Roma, lite Carabetta (M5s)-Delmastro (FdI) a La7: “Non è la soluzione, attivo tra 7 anni”. “Il vostro è un no talebano a tutto”

Botta e risposta nella trasmissione “L’aria che tira” (La7) tra il deputato del M5s, Luca Carabetta, e il parlamentare di Fratelli d’Italia, Andrea Delmastro Delle Vedove, sul termovalorizzatore di Roma. Carabetta si sofferma, in primis, sull’astensione del M5s nel Consiglio dei Ministri dello scorso 2 maggio al voto relativo decreto aiuti ed energia, in netta polemica per la presenza della norma riguardante il termovalorizzatore romano: “Ci siamo astenuti anche per un atto politico, visto che è stata fatta una ‘norma blitz’: è arrivata questa norma senza essere discussa prima tra i ministri. E noi sappiamo benissimo che, quando si arriva in Consiglio dei Ministri, tutti più o meno cercano di essere d’accordo prima di approvare i documenti”.

Poi spiega le ragioni della contrarietà del M5s al termovalorizzatore di Roma: “Io vorrei avere una soluzione, come sicuramente l’avranno i colleghi dell’opposizione secondo cui con uno schiocco di dita si risolvono i problemi. Ma non è così. Questo impianto sarà realizzato in 7-8 anni, quindi devono spiegare a noi e soprattutto ai cittadini romani cosa faranno in questi anni per risolvere il problema. Ma non pensiamo poi che tutti i rifiuti della Capitale – prosegue – vanno in quel termovalorizzatore e nessuno li vedrà più. Questa non è la soluzione. Noi abbiamo provato a suggerire delle alternative anche in Consiglio dei Ministri, dove eravamo disponibili a modificare la norma. Ma questo alla fine non è successo. Il motivo principale per cui ci opponiamo è che questi impianti non sono finanziabili neanche coi fondi europei, perché non rientrano nell’ambito della strategia green della Ue”.

Delmastro esprime con toni veementi la sua contrarietà alla posizione pentastellata: “L’unica concretezza del M5s è il no talebano ambientalista a prescindere a tutto. Termovalorizzatore? No. Usiamo i nostri giacimenti naturali di gas nell’Adriatico, che invece sono utilizzati dai croati? No. Carabetta fa anche le battute, ma la verità è che per il momento gli italiani sono flagellati dallo schiocco di dita dei 5 Stelle che è sempre per il No. Adesso abbiamo anche scoperto che non va bene il termovalorizzatore perché vi siete piccati per le modalità con cui la norma è arrivata al Consiglio dei Ministri. E gli italiani dovrebbero dire anche: ‘Bravo Carabetta’”.

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Calenda: “Campo largo col M5s? Impossibile, creare fronte che va dai socialisti a Fi. Prossimo governo? Larghe intese con Draghi premier”

“Se c’è una cosa sensata da fare, e che noi faremo, è andare da soli facendo un terzo polo della responsabilità e del pragmatismo, sperando poi di avere un risultato sufficiente per spaccare queste due coalizioni che sono sempre uguali, fare un governo di larghe intese tra i partiti europeisti e pragmatici, possibilmente con Draghi dopo Draghi“. Lo ha detto Carlo Calenda, leader di Azione, a margine del forum “Verso Sud” in corso a Sorrento. “Bisogna fare un lavoro serio – ha aggiunto Calenda – nel senso che la vera soluzione è creare un fronte vero come c’è in Europa, che va dai socialisti a Forza Italia. La distanza tra me e Mara Carfagna ed Enrico Letta è di molto inferiore a quella tra Conte e Letta e quella tra Carfagna e Meloni”.

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venerdì 13 maggio 2022

M5s, Conte incontra i giornalisti dell’associazione stampa estera: la conferenza stampa in diretta tv

Giuseppe Conte è ospite dell’Associazione della Stampa Estera per rispondere alle domande dei corrispondenti della stampa straniera in Italia. Segui la diretta tv.

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