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domenica 31 luglio 2022

I veti di Calenda, le tattiche di Renzi, il disagio della sinistra e ora il “casus belli” sulle tasse: così il Pd di Enrico Letta rischia di restare solo

All’indomani della caduta di Draghi parlava di “mare aperto“, un’area destinata a prendere il posto del tramontato “campo largo”, in cui accogliere “gli italiani che scelgono la serietà”. Tradotto, fuori il Movimento 5 stelle – reo di non aver votato la fiducia al governo – e dentro tutti gli altri, ma proprio tutti: da Carlo Calenda (“ha svolto un lavoro interessante”) a Roberto Speranza (“spero possa candidarsi nel Pd”), da Luigi Di Maio (“dialogo già aperto”) a Matteo Renzi (“nessun veto”), fino alle ministre Carfagna e Gelmini passate da Forza Italia ad Azione (“hanno dimostrato grande coraggio”). Coinvolgendo, in un ardito tetris, pure la sinistra rossoverde di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli. Dieci giorni dopo, però, il piano di Enrico Letta rischia di impantanarsi, lasciando il segretario dem con il proverbiale cerino in mano. A pesare soprattutto i continui aut aut di Calenda, che fin da subito ha preteso di dettare le sue regole: no a Di Maio, no agli ex grillini, no a Sinistra italiana e ai Verdi, no a Letta (e sì a Draghi) come futuro premier. Ma a mettere, seppur involontariamente, la parola fine sul progetto di alleanza potrebbe essere stato lo stesso leader Pd, confermando – a precisa domanda del Tg2 – la proposta di una dote per i 18enni finanziata con l’aumento della tassa di successione sui patrimoni multimilionari. Un’idea che è fumo negli occhi per centristi e libdem.

I veti alla sinistra – Ma partiamo dall’inizio, cioè dal 22 luglio, il giorno dopo le dimissioni del premier. Calenda, sovrastimando il proprio peso nei sondaggil’ultimo, di Ipsos, lo dà al 3,6% insieme a Emma Bonino – inizia a porre veti e controveti. “Non c’è alcuna intenzione da parte di Azione di entrare in cartelli elettorali che vanno dall’estrema sinistra a Di Maio. Agenda Draghi e agenda Landini/Verdi NON stanno insieme”, twitta. E nei giorni successivi fa il diavolo a quattro minando alla base il progetto di Letta: diffonde un programma (il “Patto repubblicano”) fortemente neoliberista e filoindustriale, dettando condizioni irricevibili per l’ala sinistra dell’ipotetica alleanza (“Servono rigassificatori e termovalorizzatori. Le comunità protestano? Amen. Se devi militarizzare i siti si militarizzano, perché è una questione di sicurezza nazionale”). Posizioni che non possono che portare a una reazione netta di Sinistra e Verdi: “Proposte irricevibili, le politiche di Calenda sul clima sono le stesse di Donald Trump“, attaccano Fratoianni e Bonelli. Non contento, il leader di Azione impone il suo niet anche all’ipotesi che il segretario dem sia il candidato premier della potenziale alleanza: “Bisogna tenere Draghi lì in qualsiasi modo possibile”.

Il dilemma di Calenda – Calenda ha chiarito che il suo bivio è tra entrare nell’alleanza anti-destre o correre da solo al centro: la riserva, ha annunciato, verrà sciolta lunedì. Ma i segnali delle ultime ore fanno pensare che il progetto di un patto col Pd sia sfilacciato. Domenica, infatti, l’ex ministro dello Sviluppo economico partorisce una raffica di tweet che sembrano un de profundis sul dialogo con Letta: “Agli elettori di Azione non possiamo chiedere di votare Di Maio, Bonelli (anti Ilva, termovalorizzatori e rigassificatori) e Fratoianni (che ha votato 55 volte la sfiducia a Draghi) nei collegi uninominali”, attacca. “Con +Europa abbiamo presentato un’agenda di Governo. Fratoianni e Bonelli non la condividono integralmente. Di Maio è la principale ragione per cui abbiamo specificato che ci impegniamo a candidare a posti di governo solo persone con solide competenze. Basta aperture ai 5S, basta raccattarsi i 5S. Chiarezza di contenuti e coraggio”, incalza, riferendosi alle voci che vorrebbero gli ex pentastellati Federico d’Incà e Davide Crippa candidati con i dem. E in chiusura si scaglia contro la proposta di Letta: “Ai diciottenni non serve una dote ma un’istruzione di qualità e meno tasse sul lavoro”.

L’opa dei renziani – Una rottura di cui è pronta ad approfittare Italia Viva: il partito di Matteo Renzi teme seriamente di restare fuori dall’alleanza di centrosinistra (Letta non ha mai superato del tutto le perplessità sull’ex rivale), perchè l’esclusione significherebbe non eleggere nessuno in Parlamento in caso di (probabile) non raggiungimento della soglia del 3%. Nelle ultime ore, però, fiutando il clima favorevole, i renziani hanno iniziato a lanciare in batteria la suggestione di un “terzo polo moderato” che li veda alleati (magari in una lista unica) ad Azione e +Europa. Il primo, sabato sera, è stato Ettore Rosato: “Credo che l’ipotesi #terzopolo al centro slegato dall’asse sovranista e dall’abbraccio Pd/Fratoianni sia la cosa migliore per tutti. Proviamoci!”, ha twittato. Il mattino dopo è stato il turno della ministra Elena Bonetti (“Uniamoci per essere insieme l’ago della bussola”) e di Maria Elena Boschi (“Meglio il terzo polo al centro”).

Gli scenari – Ma a “ufficializzare” la proposta – approfittando dell’assist involontario di Letta – ci ha pensato Renzi: “La sinistra apre la campagna elettorale candidando Di Maio e parlando di tasse. La destra di Salvini e Meloni la conosciamo: sovranisti e populisti. C’è un mondo che chiede di votare altro. Noi ci siamo #TerzoPolo“. Se il piano andasse in porto si aprirebbero praterie per uno spostamento dell’asse del Pd a sinistra, proprio il contrario di quello che sperava Letta. E forse – anche se al momento somiglia a fantapolitica – anche per il ritorno di un dialogo con il Movimento 5 stelle di Giuseppe Conte. È anche possibile, però, che Calenda torni a più miti consigli e le tensioni rientrino, magari con l’impegno di Letta a non candidare i leader invisi all’alleato nei collegi uninominali, dove rappresenterebbero tutta la coalizione, ma a piazzarli in posti sicuri nel proporzionale (come lo stesso Calenda farà con Gelmini e Carfagna). Anche perché +Europa, che ad Azione “presta” il simbolo per evitare la raccolta firme, è nettamente contraria a rompere col Pd. Tra poche ore ne sapremo di più.

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Conte: “Basta ipocrisia, chi va via da M5s cerchi collocazione ma non rompa le scatole”. Bonafede: “Resto, mai chieste deroghe”

“Che vadano liberi, in pace, a cercarsi una nuova collocazione. Ma non ci rompano le scatole“. Giuseppe Conte non usa giri di parole e sfrutta un post su Facebook per togliersi qualche sassolino dalla scarpa con una “riflessione” rivolta a coloro che, “avuta conferma della regola dei due mandati“, “si stanno industriando per trovare nuove collocazioni politiche“. Nessun nome, ma il riferimento è chiaro: il presidente del M5s parla a chi ha già lasciato il movimento (Di Maio e tutto il suo seguito) o si appresta a farlo. Conte ricorda loro che se sono diventati “ministri, capigruppo, sottosegretari” devono tutto al Movimento e “sono arrivati dove sono grazie ai principi e alle regole” dello stesso. Adesso che hanno deciso di “rinnegare tutto questo”, scrive l’ex presidente del Consiglio, “potrebbero agire quantomeno con discrezione” e ci “risparmino i tentativi di nobilitare questi loro mutamenti di rotta”. “Ci risparmino – in calza – le lacrime di coccodrillo, le giustificazioni ipocrite, le prediche farisaiche”.

“La regola dei due mandati è un monito e un impegno“, che “nasce da una grande intuizione: chi entra in politica rischia, con il trascorrere del tempo, di perdere di vista la ragione del suo impegno. Ma “ha qualche controindicazione“. Scrive Giuseppe Conte. “A questo inconveniente, però, ovvieremo trovando le forme e i modi per valorizzare il patrimonio di competenze ed esperienze dei portavoce che durante questa legislatura hanno contribuito a fare del Movimento una vera, notevole forza riformatrice”, aggiunge citando una considerazione di Giuliano Ferrara. “Non è facile accettare questa regola che va contro la natura umana“, aggiunge Conte, sottolineando che “è difficile mantenere la parola data e seguire un percorso di coerenza. Bisogna essere spiriti forti, nutrirsi costantemente dei propri ideali, avere una visione che si mantenga alta sui principi e non scada nella bassa corte degli affari personali“. Durante riunione via zoom con gli attivisti campani del Movimento 5 Stelle, invece, ricorda che in questa campagna elettorale “avremo al nostro fianco a supportarci molti che hanno finito il secondo mandato e non possono ricandidarsi, sono eroi“.

Tra loro c’è anche Alfonso Bonafede. Per la regola dei due mandati non sarà ricandidabile alle prossime elezioni ma l’ex ministro della Giustizia conferma di restare nel Movimento 5 Stelle. Lo spiega anche lui in un lungo post su Facebook parlando di quel “nodo del secondo mandato” che “è una questione interna al Movimento e molto poco appassionante per gli italiani”. Raccontando di essere tornato “già da qualche mese” a lavorare nel suo studio legale, Bonafede precisa di non avere “mai chiesto a Beppe o Giuseppe alcuna deroga“. Scrive comunque che, “senza alcuna ipocrisia”, “se mi fosse stato chiesto di ricandidarmi, avrei certamente preso in considerazione la possibilità di proseguire, pur conoscendo le difficoltà in cui si trova il Movimento”. Adesso però “nessun ritorno tra i cittadini” perché, ribatte, “posso dire ad alta voce che non mi sono mai allontanato da loro”. “Un domani – aggiunge Bonafede – se il Capo Politico e il Garante dovranno o vorranno riflettere, legittimamente, sulla modifica di qualche regola che necessita del permesso del Garante, potranno tranquillamente riunirsi tra di loro e risolvere velocemente la questione… possibilmente senza disperdere energie per settimane”.

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sabato 30 luglio 2022

Giuliano Ferrara sul M5s: “Se applicano la regola del doppio mandato, li lodo come una vera, notevole forza riformatrice”

“Sto per dire una cosa abnorme, enorme, madornale”. Così Giuliano Ferrara dalla prima pagina de Il Foglio, dice la sua sul Movimento 5 Stelle. “Se i grillozzi applicano la regola aurea del doppio mandato, eliminano il Ficus, la Taberna, il gerarca minore e Fofò dalle liste, non dico che li voto, perché sono un perdente fedele del Pd, ma li lodo come una vera, notevole forza riformatrice”, scrive sul quotidiano da lui fondato.

Passa così in rassegna, tra critiche ed elogi (ma con voti finali tra l’8 e il 9), i provvedimenti messi in campo nel corso degli anni dal Movimento. Partendo dal Reddito di cittadinanza “che a me pareva di pigranza”, scrive Ferrara, ma che “è sfociato in una riforma efficace dell’assistenza pubblica in tempi calamitosi, riducendo un tasso di povertà che pare sia davvero troppo alto”. Passando poi alla riduzione del numero dei parlamentari ” l’unica vera riforma costituzionale andata in porto in decenni e decenni da un referendum plebiscitario” e al Superbonus del 110% che, continua Ferrara, se da un lato “ha indotto truffe miliardarie in un paese non disincline alla truffa in commercio”, dall’altro ha permesso all’Italia “nel disastro di pandemia e guerra e inflazione” di marciare “come pil al di sopra della Germania”. “Efficacia in pagella: 8” anche sul Pnrr: “a trattare la mutualizzazione del debito a Buxelles e a ottenere la fetta maggiore per l’Italia, bè, c’erano loro”, conclude Giuliano Ferrara.

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M5s, Grillo continua a boicottare un cambio di pelle: e Conte subisce le sue mattane

Ci sono cose che non riuscirò mai a capire. Per quale motivo Giuseppe Conte subisce le mattane grillesche in materia di limite dei due mandati parlamentari (quando il buonsenso confermerebbe che le competenze presenti in un gruppo politico vanno protette e valorizzate)? Colpa di una natura – come si dice dalle mie parti – da “braghemolle” o una sindrome da condiscendente compulsivo, per cui l’avvocato del popolo sarebbe portato a mediare persino con se stesso?

Mi si dice che ci sarebbe di mezzo un ricatto dell’elevato per ribadire chi ce l’ha più lungo: “o chini il capo o ritiro il simbolo 5 Stelle, di cui sono proprietario per rogito notarile”. Ma anche qui: quale importanza taumaturgica si attribuisce a un’insegna da pensione romagnola o da balera di periferia?

Comunque il divieto indiscriminato delle deroghe diventa un atto di fede officiato da un confusionista che di suo non ha mai inventato proprio nulla; una star dello spettacolo il cui apporto alla tradizione nazionale comica si è ridotto alla gag del mugugno lamentoso, con voce chioccia. Un personaggio destrorso che nascondeva la propria vera natura nella retorica protestataria. Il cui ultimo suggeritore era quel Gianroberto Casaleggio che si vendeva ai credenti come profeta del domani avendo lo sguardo perennemente retroverso e gli occhi confissi nella nuca: la sua visione antiquata del futuro per cui internet veniva celebrato quale grande spazio di libertà e disintermediazione proprio mentre era colonizzato dalle major del silicio e della sorveglianza quale strumento di manipolazione dei comportamenti; l’idea puerile della giostra degli eletti a caso (uno vale uno) come rivisitazione dell’aforisma-boutade della cuoca di Lenin: in un regime comunista anche una donna di cucina potrebbe assumere la guida del governo. Una vera scemenza, che si spiega con la vecchia battuta di Norberto Bobbio: non esiste una teoria marxista dello Stato.

Ma sarebbe troppo chiedere al duo dei fondatori del Movimento di prenderne atto. Quei due che per uno scherzo del destino (e dello star-system) nel 2007 intercettarono l’indignazione montante contro la politica inginocchiata davanti all’egemonia bancaria, che esplose a livello mondiale nel 2011. Da Puerta del Sol a Zuccotti Park. Resta il fatto che il Movimento scaturito dall’agitarsi di questi improvvisati personaggi, dopo le passate purghe dei destrorsi e le recenti fughe dei poltronisti, continua a raccogliere orientamenti che potrebbero costituire l’unico spazio politico non intasato da carrieristi, voltagabbana e pretini che sbavano per essere cooptati in quello che chiamo “il garden club”; ossia le cordate del privilegio. Assolutamente incredibili come antemurale contro la destra (para)fascista e il Nosferatu Silvio Berlusconi.

Insomma la speranza di un soggetto politico populista/ambientalista per contrastare la marea nera montante senza dover cercare rifugio nel Palazzo e ricorrere ai suoi fiduciari alla Mario Draghi; i guardiani dell’ordine costituito nell’attuale versione, concentrata al servizio degli interessi plutocratici e alla promozione dell’ingiustizia sociale. Per questo il ruolo di Giuseppe Conte risulta particolarmente delicato, soprattutto visto il deserto di generosità e giustizia nell’attuale quadro politico. Ed è sempre per questo che preoccupa assistere alla sua autoflagellazione accettando di essere criminalizzato dall’intero sistema mediatico come irresponsabile killer del governo dell’algido banchiere, che si era sfiduciato da solo (per risentimento, per scocciatura, per qualche incomprensibili manovra politica abortita, che altro?).

Così come l’espropriazione dei suoi meriti per la gestione del lockdown, poi delle trattative Ue per il Recovery Fund, incamerati coram populo dal migliore dei migliori (cuculi parassitari) suo successore. Ma soprattutto indigna che gli albori di un auspicabile esperimento acrobatico di cambio di pelle (e magari dna) del Movimento che fu, nell’interesse della riapertura del gioco politico, vengano sistematicamente boicottati da Beppe Grillo; per ragioni abbastanza incomprensibili quanto indubbiamente ignobili. Mentre il tempo corre inesorabile da qui a due mesi.

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Elezioni, si ricomincia: tra instabilità e memoria corta, torna il tempo della propaganda

di Paolo Di Falco

Instabilità: questa è forse la parola più adatta per descrivere la nostra Italia nel contesto politico internazionale, quella caratteristica intrinseca che si cela sempre dietro l’angolo per fare la sua puntuale comparsa dopo un paio di anni. Siamo anche conosciuti per la nostra memoria corta, a tal punto che in 76 anni di storia repubblicana si sono susseguiti 67 governi e ben 30 presidenti del Consiglio.

Adesso, in un contesto dove da più di quattro mesi un Paese non così troppo distante da noi continua a essere bombardato, l’inflazione ha toccato un 8% che non si registrava da gennaio del 1986, gli effetti dell’emergenza climatica tra siccità e scioglimento dei ghiacciai diventa sempre più incombente, bisogna trovare una soluzione all’emergenza sociale, il nostro Paese si avvia alle urne anticipate. Così, tra appelli fatti per cognome “per non discriminare qualche bambino che si sente fluido magari a sette anni” come ha tuonato Salvini dal palco di Domodossola e pensioni minime “da mille euro al mese almeno per 13 mensilità” come ha prontamente promesso l’eterno Cavaliere, ci si appresta a vivere l’ennesima campagna elettorale prima del voto del 25 settembre.

Ricomincia così il tempo della propaganda e il tempo delle promesse, che forse non è mai terminato veramente nemmeno sotto il governo di unità nazionale abbracciato ampiamente da tutti, eccetto da Fratelli d’Italia che scelse la strada dell’opposizione per scavalcare la Lega nei sondaggi. Lodato da destra a sinistra, dove qualcuno si spinse anche a definire l’ex presidente della Bce “il supremo”, e finito con una giravolta: da un lato, alla stabilità i partiti di centrodestra hanno preferito cercare di capitalizzare quel consenso che gli viene attribuito dai sondaggi e, dall’altro, il M5s ha cercato di evitare ulteriori fratture all’interno del suo Movimento già decimato andando a sacrificare l’alleanza con il Pd.

Facendo finta che questa legislatura sia stata solamente una piccola parentesi, si ritorna indietro: stando alle posizioni degli ultimi giorni il M5s si appresta a correre da solo o a mettere insieme una sorta di alleanza Melenchon con il chiaro obiettivo di abbracciare la narrazione del “noi da soli contro tutti” che, per ironia della sorte, è la stessa che sembra aver abbracciato anche il leader di Italia Viva Matteo Renzi.

I primi durante questi anni hanno subito una vera e propria metamorfosi, inebriati dal velluto rosso delle poltrone, consegnandosi alla Lega, al Partito Democratico e a Forza Italia che, per inciso, erano considerati da loro come “nemici storici”. Il secondo, negli ultimi anni dopo la scissione dal Pd, ha cercato di portare avanti le stesse battaglie di sempre ma non riuscendo più a far breccia nel cuore degli elettori, vista la stabilità nei sondaggi. Accanto troviamo il Pd di Letta che si appresta a costruire un campo largo che va da Brunetta a Di Maio e poi Azione di Carlo Calenda, che insieme a +Europa ha lanciato “il fronte repubblicano”. La grande sfida, però, rimane quella di frenare l’avanzata del centrodestra, rimane quella di smontare i vecchi slogan e di mettere da parte la rassegnazione da secondo posto puntando a offrire proposte credibili che possano dare una seria risposta agli interrogativi del Paese senza perdersi in assurde battaglie per la leadership ancor prima di iniziare.

Dall’altra parte c’è invece un centrodestra che si avvicina sempre di più all’estrema destra, visto il continuo sgretolarsi del partito di Silvio Berlusconi che, nel frattempo, rispolvera le sue solite promesse mai realizzate senza accorgersi del tempo che passa. Al suo fianco c’è un Salvini che ricomincia a gridare all’invasione e che, sapendo di non poterla spuntare al voto contro Fratelli d’Italia, sembra avanzare la sua candidatura a Ministro degli Interni. Lo stesso incarico che ricoprì sotto il primo governo Conte firmando i decreti sicurezza che portarono alla chiusura di diversi centri Sprar predisposti per l’accoglienza dei migranti, mentre ora si lamenta del sovraffollamento degli hotspot di primo arrivo, lo stesso che sosteneva di fermare l’immigrazione bloccando le navi a pochi chilometri dalla costa per giorni…

E poi c’è la Meloni, la favorita dai sondaggi, che in attesa di capire se le sarà attribuita la leadership del centrodestra sfoggia il suo bagaglio di posizioni omofobe ed estremiste simili a quelli degli alleati europei, da una parte l’estrema destra degli spagnoli di Vox e dall’altra quella del primo ministro ungherese Viktor Orbán.

Insomma, tra instabilità e memoria corta, ci avviamo a questa nuova campagna elettorale dove, speriamo, c’è la volontà del mondo politico di presentarsi con proposte credibili e di dimostrare l’inconsistenza, fattuale ed economica, di quelle promesse che sembrano avere come unico obiettivo quello di renderci ancora più ridicoli agli occhi dell’opinione internazionale e di abbagliare gli elettori per assicurarsi una legislatura in cui portare il Paese verso lo sfacelo totale.

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venerdì 29 luglio 2022

M5s, l’annuncio di Conte: “Chi ha svolto due mandati non si candida, la regola non cambia”. Restano le carte Patuanelli, Raggi e Appendino

“Alle prossime elezioni politiche non troverete, tra i candidati del M5s, chi ha già svolto due mandati. Non cambia, quindi, la regola che il Movimento si è imposto dalla prima ora come forma di garanzia affinché gli eletti possano dedicarsi al bene del Paese, senza lasciarsi distrarre dai propri destini personali”. Giuseppe Conte sceglie la via di un post su Facebook per annunciare la decisione definitiva su un tema che da anni tormenta il dibattito interno al suo partito, e nelle ultime settimane, causa elezioni, si è imposto nell’agenda interna come non più rinviabile. Il nuovo nodo su cui il leader ha sfiorato lo scontro aperto col fondatore Beppe Grillo – granitico, diversamente da lui, sul no a qualunque ipotesi di deroga – è stato sciolto probabilmente giovedì sera, con il verdetto comunicato venerdì mattina ai veterani che non potranno ripresentarsi e dopo qualche ora, alle 15:49, al pubblico attraverso i social. Tramonta, quindi, anche l’ipotesi di tre o quattro deroghemirate” e riservate ai nomi più pesanti e riconoscibili delle scorse legislature, una strada che Conte avrebbe voluto percorrere ma su cui Grillo ha imposto il proprio niet, minacciando addirittura – secondo un retroscena smentito dall’ex premier – di lasciare la sua creatura se il principio fosse stato messo da parte in qualsiasi modo.

Conte rende omaggio agli eletti che usciranno dalle istituzioni tra poche settimane: “Il mio pensiero è oggi rivolto a tutti coloro che nel corso dei due mandati hanno lottato contro tutto e tutti per vincere le battaglie del M5s. Sono partiti dai banchetti nelle loro città per chiedere giustizia sociale, legalità, tutela ambientale. Hanno sopportato sacrifici e subito attacchi e offese di ogni tipo per portare a termine gli impegni assunti con i cittadini: il reddito di cittadinanza, la legge anticorruzione, il decreto dignità, il superbonus che abbatte l’inquinamento e rilancia l’economia, il taglio dei parlamentari e dei privilegi della politica. E tante altre misure”, scrive. “Lasciando il seggio non potranno più fregiarsi del titolo formale di “onorevoli”. Ma per noi, per la parte sana del Paese, saranno più che “onorevoli”. Stanno compiendo una rivoluzione che nessuna forza politica ha mai avuto il coraggio neppure di pensare. Stanno dicendo che per fare politica non serve necessariamente una poltrona. Stanno dicendo che la politica è dappertutto. Ovunque ci siano le urgenze e i bisogni dei cittadini, soprattutto di quelli che non hanno privilegi, che non sono affiliati alle cordate politiche e ai potentati economici”.

La scelta esclude dal prossimo Parlamento “big” del M5s come l’ex ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, l’ex capo politico reggente Vito Crimi, la vicepresidente del Senato Paola Taverna, il presidente della Camera Roberto Fico. Politici ormai esperti, a cui molti attivisti – e molti tra gli stessi parlamentari – chiedevano di non rinunciare. In questo senso Conte rassicura: “Il patrimonio di competenze ed esperienze con loro maturate non andrà disperso. Continueranno a portare avanti, insieme a noi, le battaglie del Movimento. Abbiamo bisogno della loro esperienza, della loro competenza, della loro inguaribile passione“. I nomi “popolari” spendibili alle elezioni, ora, si contano sulle dita di una mano: accanto a Conte ci sono il ministro dell’Agricoltura Stefano Patuanelli e le ex sindache di Roma e Torino, Virginia Raggi e Chiara Appendino (che possono beneficiare del “mandato zero” da consigliere comunali). E non tramonta la suggestione di un ritorno in campo di Alessandro Di Battista. In chiusura di post il leader Cinque stelle dà la carica ai suoi: “Ora avanti, tutti insieme: ci aspetta una campagna elettorale molto dura. Ci hanno spinto fuori dal Palazzo. E lo hanno fatto con astuzia, tentando pure di attribuircene la colpa. Avanti tutti insieme per continuare a cambiare l’Italia. I cittadini onesti, i cittadini invisibili hanno ancora bisogno di noi“.
Tra le migliaia di commenti al post, molti sono di parlamentari. E tutti, compresi quelli che non si potranno ricandidare, dicono di approvare la scelta: “Non si molla un millimetro! Siamo già al lavoro, come sempre, ma stavolta fuori dai palazzi“, scrive il senatore al secondo mandato Gianluca Castaldi. “È bello ricevere un riconoscimento, una parola di ringraziamento per aver dedicato gli ultimi 15 anni della nostra vita a questo progetto, per aver contribuito a crearlo e difenderlo con le unghie e con i denti”, le parole di Giancarlo Corbetta, anche lui al secondo giro. “Nessun problema per me passare da On. a Off.orevole! Presente sempre e avanti con coerenza”, assicura Tiziana Ciprini. Mentre Angelo Tofalo anticipa: “Tornerò a fare l’ingegnere, svilupperò tecnologia sovrana made in Italy. Sono davvero soddisfatto e felice della scelta del presidente Conte e del garante Grillo di mantenere assolutamente intatto il principio fondante, ovvero di non creare una classe politica di professionisti“. Più scettici, invece, gli attivisti: “Questa regola non mi piace per niente. Secondo me bisogna valutare volta per volta l’operato delle persone e far andare avanti chi se lo merita davvero. Si chiama meritocrazia”, scrive Daniela. E Anna Maria: “Per me è un errore. Non disporre più di persone che hanno competenza ed esperienza indebolisce la vostra azione. Questa è una regola che avrei volentieri cambiato. Alle volte ci si impunta su cose che hanno veramente un importanza relativa rispetto a tutto il resto”.

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Presidente Conte, ricandidi Giulia Sarti: senza di lei nel M5s, nessuno si occuperà di Antimafia – L’appello

Gentile Presidente Conte,

Le scriviamo queste poche righe poiché abbiamo appreso dalla stampa della scelta di rispettare la regola del limite dei due mandati, cosicché i pochi (ci consenta di dirlo) validi parlamentari di cui può farsi lustro il Movimento Cinque Stelle non saranno ricandidati. Di questi, ovviamente, fa parte la “nostra” Giulia Sarti.

Ci permetta di riportarLe ciò che scrivemmo di questa donna nel febbraio del 2018, poiché Lei non era ancora entrato formalmente nel mondo del M5S e potrebbe non averne avuto contezza:

“…in questi anni avrete compreso quanto complicato e pieno di insidie sia non solo il lavoro che vi siete assunti l’onere di portare avanti ma anche l’animo umano. Vi siete trovati tra le vostre fila mele marce, banderuole, ipocriti e scorretti, tutti con giustificazioni più o meno umanamente comprensibili. Allo stesso tempo, per fortuna, avete conosciuto il senso dello Stato, l’impegno e l’onestà di tanti altri vostri colleghi deputati, che hanno portato alti i valori sui quali si basa il vostro Movimento.
Giulia Sarti è una di queste persone. Seguendo il suo lavoro da vicino, per ovvie e comprensibili ragioni, abbiamo avuto contezza della preparazione, della perseveranza, del coraggio e dell’etica di questa giovane donna, che ha reso onore al sacrificio di tanti uomini e donne di Stato, stando vicino ai familiari delle vittime lasciati soli da quello stesso Stato per il quale avevano dato la vita i loro cari, continuando con tutta se stessa la battaglia per la verità e la giustizia. Giulia Sarti, per quelli come noi che l’hanno conosciuta e avuta al fianco, incarna i valori fondamentali come l’onestà, la lealtà, l’impegno, la voglia di combattere per questo Paese”.

Dopo quattro anni e mezzo non abbiamo cambiato opinione su Giulia Sarti.

Presidente Conte, se dovesse mancare Giulia Sarti nel prossimo Parlamento, il suo Movimento non avrà probabilmente *nessuno* e, lo ribadiamo, *nessuno* che si occuperà con cognizione di causa di Antimafia. Siamo consapevoli che uno dei vostri cavalli di battaglia è la frase “uno vale uno” ma ci permettiamo di dirLe che, almeno nel nostro campo, non è corrispondente al vero. Uno non vale uno. Per quanto onesto e di buona volontà (ammesso e non concesso che le “parlamentarie” lascino emergere candidati con queste caratteristiche) il prossimo futuro neo parlamentare, se ignorante in materia, non solo non potrà neanche lontanamente immaginare di portare avanti il lavoro che ha svolto e che continuerebbe a svolgere Giulia Sarti, ma correrà il rischio di arrecare danni seri alla lotta parlamentare alla mafia. Non ci si improvvisa esperti di antimafia. Come non ci si improvvisa parlamentari.

Gentile Presidente Conte, è chiaro a tutti quanto i prossimi anni si prospettino, per usare un eufemismo, estremamente difficili. Abbiamo bisogno di professionisti seri e capaci. Ci auguriamo, pertanto, che non vorrà privare i suoi elettori della possibilità di votare Giulia Sarti.

Salvatore Borsellino, fratello di Paolo Borsellino, magistrato assassinato da Cosa Nostra il 19 luglio 1992.
Paola Caccia, figlia di Bruno Caccia, Procuratore di Torino assassinato dalla ‘Ndrangheta il 26 giugno 1983.
Piero e Pasquale Campagna, fratelli di Graziella Campagna, diciassettenne assassinata da Cosa Nostra il 12 dicembre 1985.
Angela Gentile Manca, madre di Attilio Manca, medico assassinato con la collaborazione di Cosa Nostra il 12 febbraio 2004.
Stefano Mormile, fratello di Umberto Mormile, educatore penitenziario assassinato dalla ‘Ndrangheta l’11 aprile 1990.
Fabio Repici, avvocato difensore di tutti i familiari delle vittime di mafia firmatari di questa lettera.

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Elezioni, Conte chiude al Pd: “Fa ammucchiate con Renzi, Brunetta e Calenda. Non escludo un dialogo in futuro, ma niente alleanza”

“Alleanza col Pd? Non se ne parla. Che rapporti può avere il M5s con una forza che fa un’ammucchiata con Renzi, Calenda e Brunetta?”. A dirlo, ospite di Rtl 102.5, è stato il leader del Movimento 5 stelle, Giuseppe Conte. “Non escludo un dialogo in futuro su alcune battaglie”, ha aggiunto.

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Destra e sinistra si distinguono nelle politiche fiscali, mentre il M5s ignora ancora il problema

A brevissimo si voterà per il nuovo Parlamento. M5s, Lega, FI e FdI non hanno votato la fiducia al governo tecnico di Mario Draghi, sostenuto invece dal Pd, ed è da notare la convergenza del Movimento né di destra né di sinistra con i partiti tradizionalmente più di destra dell’arco costituzionale: infatti gli amici di Beppe Grillo possono pensare quello che vogliono del Pd, ma è difficile credere che lo si possa considerare a destra di Lega o FdI o FI.

Da molto tempo i concetti tradizionali di destra e sinistra non funzionano più e richiedono una revisione. Il comunismo sovietico è finito con Gorbachev nel 1991, quello cinese si è trasformato insensibilmente in un capitalismo di stato. In Italia il Pci si era allontanato dal Pcus già dal 1968. L’ideologia comunista classica, che prevedeva la nazionalizzazione dell’industria, è oggi abbandonata e la sinistra moderna, come la destra, prevede la coesistenza di stato, libera impresa e mercato. Inoltre, in qualunque società moderna, anche la più ricca, una frazione importante della popolazione ha accesso a limitate risorse economiche e qualunque destra moderna, come la sinistra, deve prevedere delle politiche sociali, pena la perdita di una quota sostanziale di voti. Quindi in un certo senso è vera la frequente affermazione qualunquista del “sono tutti uguali”. Dove la destra e la sinistra si distinguono in modo netto, soprattutto – ma non solo – in Italia, è nelle politiche fiscali, che devono reperire le risorse per sostenere il costo di quegli interventi sociali che sia i partiti di destra che di sinistra devono garantire.

In Italia la destra berlusconiana (ma prima di lei anche la Dc e il Psi) si è distinta per la finanza allegra: riduzione delle tasse e interventi sociali largamente scaricati sul debito pubblico. Il Pds-Pd ha invece in genere lavorato a ridurre, o quantomeno a contenere l’aumento del debito pubblico, a volte anche adottando misure impopolari. Ovviamente la politica fiscale della destra è stata insostenibile e ha più volte condotto a situazioni critiche, la più grave delle quali portò nel 2011 alla caduta del governo Berlusconi e al governo tecnico di emergenza presieduto da Mario Monti e sostenuto soprattutto dal Pd. Berlusconi era la malattia del paese, Monti la cura; ma gli elettori, con scarso senso di gratitudine e scarsa comprensione politica, se la presero con la cura che era amara anziché con la malattia e Scelta Civica, il partito fondato da Mario Monti, ebbe vita breve.

Il Movimento 5 Stelle si è presentato agli italiani come “né di destra, né di sinistra” e ha adottato un’agenda fortemente orientata al sociale ma completamente priva di coperture. Tutti ricordiamo che il futuro ministro Di Maio garantiva per il Reddito di Cittadinanza coperture approvate dalla Ragioneria Centrale dello Stato, che invece non esistevano (qui le preoccupazioni della Corte dei Conti nel 2019 nel rapporto sul coordinamento della finanza pubblica): nella migliore tradizione democristiano-craxiana-berlusconiana l’intervento era fatto a debito e il suo costo veniva scaricato sulle generazioni future.

La polemica attuale sulle alleanze a sinistra e sulla cosiddetta “agenda Draghi” è per molti versi una riedizione di polemiche precedenti tra destra e sinistra sul problema dei costi delle politiche sociali, con la variante che mentre la destra di Lega-FdI-FI è sempre stata esplicita su flat tax, abolizione dell’Imu sulla prima casa, riduzione delle tasse di successione, etc. e il Pd è sempre stato altrettanto esplicito sull’appoggio al rigore di Monti o di Draghi, la posizione del M5s è quella di ignorare il problema: non una parola sulla fiscalità se non per fare, insieme alla Lega, il decreto sulla “pace fiscale”.

Il fallimento dello Stato non conviene a nessuno ma soprattutto non conviene ai poveri, e se veramente si vuole limitare il ricorso ai governi tecnici (come diceva Beppe Grillo) la prima cosa da fare è tenere sotto controllo la spesa pubblica. E no, non è vero che “se si vuole i soldi si trovano”: i soldi si trovano perché vengono spostati da un capitolo di spesa a un altro, sanità invece di scuola, o RdC invece di sanità. O debito pubblico, che però costa a sua volta per gli interessi e riduce la libertà di scelta politica del governo, che anziché rispondere agli elettori deve rispondere ai creditori.

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giovedì 28 luglio 2022

Doppio mandato, Ricciardi: “Nessuno scontro nel M5s. Anche il Pd ha un tetto sui mandati e fa sempre deroghe ma non fa notizia”

Alleanza col Pd? Noi non abbiamo chiuso la porta a nessuno. Abbiamo 9 punti, ormai pubblici, che sono la base del programma elettorale che presenteremo agli italiani. A chi vuole continuare questo percorso davvero progressista, fatto per la gente che non riesce ad arrivare a fine mese, noi siamo aperti”. Così, ai microfoni di Radio Cusano Campus, il vicepresidente del M5s, Riccardo Ricciardi, ribadisce la posizione già espressa dal leader del Movimento, Giuseppe Conte, circa un’apertura coi dem.
Ma aggiunge: “Se però si vuole introdurre il nucleare, distruggere il reddito di cittadinanza, non aumentare i salari, fare gli inceneritori, andare avanti con l’aumento delle spese militari, allora non ci stiamo a presentarci insieme alle elezioni, proprio perché siamo seri nei confronti dei cittadini. Magari ci si presenta insieme, si vince e poi non si governa. Ricordo che, oltre a Renzi e a Calenda, c’è anche tanta gente del Pd che vuole abolire il reddito di cittadinanza. Io non vedo molte differenze tra alcuni punti del programma della Meloni e quello di alcuni personaggi con cui sembra che si stia alleando il Pd”.

Ricciardi si esprime poi sulla polemica relativa al terzo mandato: “Su questo tema non c’è uno scontro, ma una discussione sul modo in cui fare il bene del M5s, come è sempre stato. Ma lo sapete che anche il Pd ha delle regole sui mandati parlamentari? Nel Pd fanno continuamente deroghe, però questa cosa non viene mai detta nei tg e sui giornali. Questo non lo capisco, perché anche altri partiti hanno statuti e tetti sul numero dei mandati ma questo non fa notizia. Riguardo ai due mandati, ricordo che qui parliamo di gente che è da 10 anni in Parlamento – continua – e che ha mantenuto una promessa ai cittadini, restituendo 500mila euro. Questo è un dato di fatto che non si ricorda mai. Purtroppo molti altri del M5s hanno preso altre strade. Non era scontato rimanere nel Movimento a questo prezzo, con tutte le sirene che cantano dentro il Parlamento. Tutte le persone che hanno davvero lavorato per il M5s in questa maniera hanno fatto davvero un servizio civile incredibile. E il M5s non le lascerà indietro, qualunque sia il loro ruolo in futuro”.

Circa la caduta del governo Draghi, Ricciardi sottolinea: “Tutti volevano continuare, tutti pensavano che Draghi fosse il migliore. C’era la maggioranza per andare avanti, potevano continuare. Sentivano così tanto il peso della responsabilità che alla fine nessuno se l’è presa. Il M5s ha detto semplicemente che se il problema erano il Movimento e i suoi provvedimenti, come il Superbonus e il reddito di cittadinanza, potevano tranquillamente andare avanti senza di noi. Avremmo lasciato a loro quello che davvero gli interessava – conclude – cioè le poltrone al Ministero. Non hanno voluto continuare. Il M5s ha posto dei problemi politici. Bastava rispondere e ora non saremmo in campagna elettorale. Come sempre, siamo noi il capro espiatorio, ormai siamo abituati. Pazienza. Si deve andare anche a elezioni in questo Paese. Vanno a elezioni in Inghilterra, in Francia, in Germania. Non si capisce perché in Italia andare a elezioni significhi sconvolgimento totale”.

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Conte: “Dal Pd il colpo di pistola che ha scatenato le crisi. Dialogo con i dem? Possibile solo se si schierano con i più deboli”

Da un lato punta il dito contro il Pd che con quel “colpo di pistola che ha scatenato la crisi“, dall’altro però Giuseppe Conte non chiude definitivamente la porta al partito di Enrico Letta: “Un dialogo col Pd non lo escludiamo”, dice il presidente del Movimento 5 stelle in un’intervista rilasciata a Tpi, sottolineando che “ci saranno le premesse solo se il Pd vorrà schierarsi a favore dei più deboli, del lavoro, dei più giovani, delle donne”. Questo però non significa che “riapre alla possibilità di una alleanza col Pd in questa campagna elettorale“, precisano dal Movimento dopo la pubblicazione dell’intervista: “Conte ha voluto semplicemente chiarire – spiegano – che in prospettiva futura ci potranno essere le premesse per un dialogo solo se il Pd abbandonerà l’agenda Draghi e sposerà un’agenda autenticamente sociale ed ecologica.”

Conte precisa comunque, senza mezzi termini, l’impossibilità di allearsi “con personalità litigiose che non riescono a mettersi d’accordo su nulla” e cita Calenda, Brunetta, Renzi e Di Maio: “Non pare possibile realizzare alcun tipo di programma” con loro, afferma. “Non si possono conciliare le nostre battaglie per i lavoratori precari, per i lavoratori con stipendi da fame e per le persone che sono vulnerabili con l’agenda di Calenda“, incalza.

Ritornando alle ultime settimane del governo Draghi il leader M5s ribadisce di non essere stato lui “a provocare questa situazione”. “Mi assumo però tutte le responsabilità del fatto che l’agenda che noi dobbiamo portare avanti deve essere un’agenda sociale ed ecologica“. Ma su questo non solo Conte dice di non avere “ricevuto risposte” ma anche di avere “riscontrato un’indifferenza persino del Pd”. Partito democratico che “non si è dimostrato, almeno in alcuni suoi componenti, convinto di poter difendere quel percorso e quelle misure”, dice Conte che ai dem contesta di avere “sparato il colpo di pistola che ha dato avvio alla crisi, cioè l’inceneritore di Roma“.

E su Mario Draghi: “Ho sempre rispettato il prestigio del premier, ma ho anche ritenuto che per risolvere i problemi del Paese il prestigio di una singola persona non sia sufficiente”, risponde il presidente 5 Stelle: “Ha fatto alcune cose buone, ma ci ha lasciato delusi su molti fronti“. Un governo che con l’inizio della guerra in Ucraina e la crisi energetica andava avanti “senza voler condividere un’agenda di lavoro con le forze di maggioranza e senza mostrarsi disponibile a un confronto con il Parlamento” accusa Giuseppe Conte. Così “la prassi” dell’Esecutivo aveva trasformato i ministri in “passacarte, che ricevevano testi normativi in Consiglio dei ministri e li approvavano, addirittura, qualche volta, anche con delle norme in bianco”.

Sul futuro, Conte nell’intervista a Tpi torna sull’argomento del “voto utile”: “Il voto a questo punto è a tre, la sfida non è più a due. Perciò non fatevi ingannare, non vi fate prendere per i fondelli con questa storia del voto utile. È una mistificazione. Un inganno”. Così il M5s si prepara a una campagna elettorale in solitaria con un campo “aperto a chi ha a cuore i principi costituzionali e non è disponibile a barattarli con il prestigio di una singola persona”. Sui temi, “le politiche di destra vanno contrastate con politiche più efficaci e adeguate”, aggiunge. Infine interviene anche sul possibile ritorno di Alessandro Di Battista: “Ha dato un forte contributo alla storia del Movimento, poi si è allontanato. Se ritorna – afferma Conte – troverà un nuovo corso. Non sarà più come all’inizio, senza una struttura. Dovrà accettare nuove regole statutarie”.

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M5s, Toninelli: “Pd? Meglio correre da soli che con un partito che ha la stessa visione di Lega e Forza Italia. Di Maio? Un voltagabbana”

“La nostra scelta di correre da soli alle elezioni è giusta. Purtroppo non abbiamo grandi cose da spartire col Pd, che ora ci sta dando colpe che non abbiamo. È molto meglio correre da soli che con qualcuno che ha una visione completamente diversa dalla nostra e che è invece uguale a quella di Forza Italia e della Lega”. Così, in una intervista a Lanfranco Palazzolo per Radio Radicale, si pronuncia il senatore del M5s, Daniilo Toninelli, che spiega: “Ricordo che il Pd è quello della norma sull’inceneritore di Roma inserita nel Dl Aiuti anche se non c’entrava niente. Il Pd è quello che, quando era alleato con noi nel Conte Due, non ha portato avanti la nostra battaglia sul salario minimo, anche se ora a parole ne parla bene. Ma nei fatti non l’ha voluto. Il Pd è quello che è contro la legge sul conflitto di interessi e contro la legge che regolamenta le lobby”.

L’ex ministro aggiunge: “Tra l’altro, in modo ridicolo e imbarazzante, sono stati loro, e non Conte, a rifiutare un’alleanza. Oggi Letta si sta sentendo con Calenda e presumibilmente domani parlerà con Renzi. Si è già seduto con Di Maio, che ha tradito il suo mandato coi 5 Stelle e con alcune decine di voltagabbana come lui e ha creato, con un gioco di palazzo, un partitino nell’aula parlamentare. Quindi, va benissimo così – continua – Andiamo da soli che stiamo meglio. L’incontro tra Beppe Sala e Luigi Di Maio? Non mi meraviglio affatto. Dopo che io gli sono stato accanto lealmente a difendere i nostri principi e a lottare contro i voltagabbana per poi vederlo che, come se niente fosse, parla da voltagabbana e dice che il limite dei due mandati non serve a niente, ormai di Di Maio non mi sorprende più niente”.

Toninelli ribadisce la sua contrarietà al terzo mandato (“Sono assolutamente dalla parte di Conte e di Grillo”, dice smorzando le polemiche) e sui fedelissimi di Conte osserva: “Se queste persone non resteranno al suo fianco in caso di mancata deroga al terzo mandato, allora vuol dire che non sono persone leali e che sono politici di professione interessati solo alla poltrona. Che bisogno ha Conte di persone che difendono la poltrona? Ha bisogno di persone che difendono il progetto del M5s. Io, dal canto mio, farò campagna elettorale per i 5 Stelle. Ma la faccio tutti i giorni con due dirette alla settimana su Facebook. Le dimissioni di Crippa da capogruppo M5s alla Camera? – prosegue – Sinceramente non ho capito le ragioni per le quali lo ha fatto. La nostra è stata una non votazione del Dl aiuti, non è che abbiamo votato contro. Tra l’altro, neanche alla Camera il gruppo del M5s non l’ha votato e noi al Senato abbiamo fatto la stessa cosa. Quindi, Crippa ha cambiato idea? Non mi piace questo comportamento. Io sono felice di non aver dato l’appoggio al governo Draghi, ma, se fossi stato di opinione diversa, mi sarei comunque adattato alla sintesi fatta da Conte dopo ben 3 giorni di riunioni. Conte è il mio presidente, il mio capo politico. Non sono d’accordo? Mi adeguo, perché lui si è assunto questa responsabilità. E io il mio capo e il mio simbolo li difendo sempre”.

Il senatore, che vanta parecchi follower e molti apprezzamenti tra gli iscritti del M5s, conclude: “Io sono coerente. Lotterò fino alla morte per il mantenimento del limite dei due mandati che, tra l’altro, riguarda proprio me. So che è giusto, perché prima dei miei vantaggi personali viene il progetto del M5s, coi suoi valori e i suoi principi che ci sono ancora, checché ne dica qualcuno. Nel M5s devi essere un mezzo per realizzare il programma e i sogni di chi sta fuori dal palazzo – conclude – Non devi identificarti col ruolo che hai perché, se lo fai, sei uguale agli altri. Il palazzo non mi mancherà affatto, specie Gasparri e tanti altri. Cosa farò ora che non sarò più parlamentare? Continuerò a fare politica nel M5s da attivista. Potrò avere anche degli incarichi e, se questo non succede, tornerò al mio vecchio lavoro senza alcun problema”.

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Elezioni, Orlando a Calenda: “Datti una calmata”. E sul M5s: “Alleanza difficilmente recuperabile”

“Abbiamo una situazione eccezionale, dobbiamo dare un messaggio netto. Ieri Calenda si è candidato a fare il presidente del Consiglio, oggi ha censurato gli interventi che non gli piacevano alla direzione del Pd. Domani probabilmente ci dirà che per fare l’alleanza dovremo indossare le magliette di Azione. A Calenda lancio un appello: datti una calmata“. Lo ha detto, dal palco della festa dell’Unità di Roma, il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, parlando della futura coalizione di centrosinistra. “L’alleanza con i 5 stelle aveva un valore – ha aggiunto – tra cui quella dei numeri, ma penso sia difficilmente recuperabile“.

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Elezioni, Toninelli: “Non c’è più il campo largo? Evviva. Senza il Pd siamo più liberi e forti”

Non c’è più il campo largo? Evviva. Siamo finalmente liberi. Abbiamo visto quanto il M5s abbia perso in forza propulsiva e in progetti e leggi con l’alleanza con il Pd. Il Pd ora parla di salario minimo ma quando era con noi c’era la legge depositata in commissione e mica la spingevano”. A dirlo all’Agenzia Vista è il senatore ed ex ministro del Movimento 5 stelle, Danilo Toninelli.

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mercoledì 27 luglio 2022

Elezioni, Orlando a La7: “Trattativa col M5s? Conte ha schiacciato il bottone ‘crisi’ e c’è stato un effetto domino”

“Abbiamo votato ieri un mandato al segretario per interloquire con diverse forze politiche, non solo quelle di centro. Attendiamo dagli incontri, dal confronto il risultato di questo lavoro. Non credo che sia ancora maturo un giudizio”. Lo ha detto il ministro dem del Lavoro, Andrea Orlando, a In Onda su La7. “Oggi più che un segnale alle altre forze dobbiamo dare noi un segnale al Paese, dire dove ci collochiamo e dare le coordinate” del progetto per l’Italia. Bisogna evitare “alleanze che entrino in contraddizione con la forza del messaggio che vuoi dare. Il Pd vuole essere una grande forza del lavoro, della giustizia sociale, della transizione ecologica e non vuol far fare passi indietro sui diritti. Dobbiamo fare ancora di più nel corso di questa campagna elettorale per indicare soluzioni concrete”, ha aggiunto. Vocazione maggioritaria per il Pd? “La trattativa con i 5 stelle l’abbiamo tenuta aperta fino alla fine. Abbiamo lavorato in tutte le ore che ci rimanevano per provare a vedere di riagganciare per ricostruire un percorso. Abbiamo avvertito Conte: non è che chiudiamo una porta in faccia”, ma “se si schiaccia il bottone ‘crisi'” poi “c’è un effetto domino”, ha concluso Orlando.

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Elezioni, Borghi (Pd): “M5s? Siamo su sponde diverse. Con Calenda si può trovare un punto di caduta per l’alleanza”

“Siamo convinti che mettendo al centro una proposta europeista, progressista e alternativa al sovranismo della destra sarà possibile trovare una convergenza per un’alleanza, che troverà una compattezza per offrire una prospettiva di crescita per l’Italia. Se Calenda si può ammorbidire? Non è questione di ammorbidirsi ma di entrare nel merito delle proposte, mettendo al centro le idee e i valori troveremo una sintesi”. Lo ha detto il deputato del Pd, Enrico Borghi, all’uscita da Montecitorio. “Col M5s in questa campagna elettorale siamo su sponde diverse, si sono assunti la pesante responsabilità di far cadere il governo Draghi e archiviare un’agenda sociale che stava per dare importanti risposte al paese, dal salario minimo ad una mensilità aggiuntiva. Letta candidato premier? Andiamo per gradi, prima si costruisce la coalizione mettendo al centro il programma e i contenuti, poi le cose verranno da sé”.

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M5s, duello Conte-Grillo sul doppio mandato. Gli eletti alla finestra: “Il limite va abolito, fate votare la base”. “Non si tocca, non siamo il Pd”

“I due mandati sono la nostra luce in questa tenebra, l’interpretazione della politica come un servizio civile“, dice il Garante. “Non è un diktat, non manderemo in soffitta chi ha preso insulti per difendere i nostri ideali”, risponde il Presidente. In un’intervista al Corriere della Sera, Giuseppe Conte ha sfidato il niet arrivato per l’ennesima volta (in video) da Beppe Grillo sull’ipotesi di un superamento della più tormentata regola fondativa del Movimento 5 stelle. Una chiusura resa definitiva, secondo un retroscena dell’AdnKronos subito smentito dall’ex premier, da una telefonata di fuoco in cui l’ex comico ha minacciato persino di abbandondare la sua creatura se la regola sarà messa in discussione. Tra i due, racconta una fonte di primo piano, è in corso da tre giorni uno sfiancante confronto a distanza sul tema. E il Garante è irremovibile, nonostante nella sua visita romana del mese scorso avesse lasciato qualche spiraglio. Il tempo per decidere, in ogni caso, è strettissimo: le liste per le elezioni di settembre vanno depositate entro il 22 agosto e la (difficile) fase di selezione delle candidature dovrà partire a breve. Chi osserva con più attenzione il nuovo duello Conte-Grillo, com’è ovvio, sono i parlamentari in scadenza: divisi, grossomodo, tra quelli rassegnati alla non-ricandidatura, quelli che sperano di rientrare in ipotetiche deroghe e quelli (molti meno) che tifano perché passi la linea del Garante, e il principio della politica come servizio resti l’ultima roccaforte valoriale del Movimento.

Il campione dei puristi è Danilo Toninelli, ex ministro delle Infrastrutture, tra i volti più riconoscibili di questa legislatura. A lui va dato atto almeno della coerenza: con due mandati consecutivi da senatore, se la regola restasse in piedi dovrebbe lasciare per sempre il Parlamento tra poche settimane. Nonostante ciò è sempre stato fermissimo: “Sono convinto che Giuseppe ragionerà e capirà l’importanza vitale di mantenere la regola. E che prenderà la decisione giusta per il bene di tutto il Movimento. Quel principio rappresenta il nostro modo di essere“, dice al fatto.it. “Ci chiamiamo portavoce perché dipendiamo dagli iscritti che ci hanno scelto, non dai dirigenti di partito. Dare a un capo politico il potere di derogare alle regole significherebbe tradire questo concetto: a quel punto gli eletti lavorerebbero per i loro capi e non per i cittadini fuori dal Palazzo”. E l’ipotesi di deroghe “mirate” a tre o quattro big? “Sarebbe un’ipocrisia totale. Vorrebbe dire fare come il Pd, che si dà il limite dei tre mandati e poi non lo rispetta mai. Come diceva Gianroberto (Casaleggio, ndr), derogare a una regola è peggio che violarla“. Sul retroscena di Grillo pronto a lasciare il M5s, infine, l’ex ministro è scettico: “Non penso che lo farebbe, lui è il Movimento. Il M5s senza Beppe Grillo non esiste in natura, è un ossimoro. È un’ipotesi incommentabile che serve solo ad alimentare polemiche”.

Toninelli si dice pronto a mettere la sua esperienza a disposizione anche senza una carica, per trasmettere “competenze tecniche, umane e valoriali” agli eletti nel prossimo Parlamento, “che non dovranno dimenticare la nostra storia”. Ma molti altri parlamentari avvertono sul rischio di rinunciare alle competenze dei colleghi di lungo corso. Come Eugenio Saitta, deputato siciliano al primo mandato e capogruppo in Commissione Giustizia alla Camera: “Il doppio mandato è un pilastro della comunità del Movimento e la questione va discussa dagli iscritti, non dai parlamentari. Noi siamo tutti in conflitto d’interessi, anche chi come me ha un solo mandato alle spalle”, premette. “Detto questo, può essere legittimo considerare alcuni casi particolari. Io ho lavorato in Commissione con Alfonso Bonafede che è stato un punto di riferimento, ha portato un’esperienza importante che verrà a mancare. È difficile immaginare oggi o domani un Movimento senza di lui. Non significa che debba per forza essere rieletto, ma bisogna ragionare su come sfruttare quelle intelligenze nel caso non ci sia nessuna deroga. In ogni caso parliamo di regole fondamentali, su cui dovrebbe esprimersi la comunità degli iscritti”.

La maggior parte di chi ha già fatto due legislature, invece, spera ardentemente (ma non apertamente) che la regola salti. “Io il terzo mandato lo farei volentieri, se abolissero il limite. Secondo me andrebbe abolito”, dice in anonimo un senatore di peso. “In dieci anni ho accumulato un’esperienza che andrebbe totalmente sprecata. Conte ha ragione a insistere, dovrebbe votare la base. Se si arrivasse a un voto, penso che vincerebbe chi è per l’abolizione: a votare contro sarebbero soprattutto quegli attivisti che sperano di candidarsi loro. Ma tanti altri iscritti sceglierebbero di valorizzare le esperienze e di premiare chi li ha rappresentati in questi anni”. Il parlamentare scende nei dettagli: “Mi sono accorto che ormai, grazie alla pratica parlamentare e ai contatti stretti nel tempo, riesco a far approvare emendamenti utili per i cittadini che prima consideravo impossibili da far passare. Uno alle prime armi non ci riuscirebbe”. Le speranze di poter rientrare a palazzo Madama, però – complice anche il taglio dei parlamentari voluto proprio dal M5s – per tanti come lui sono ridotte quasi a zero. “Vuol sapere come finirà? Faranno una deroga ad hoc per tre persone, Bonafede, Fico e Taverna. E non faranno nemmeno le Parlamentarie (la selezione online dei candidati prevista dallo Statuto, ndr) perché non c’è tempo. Deciderà tutto Conte”.

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Bersani a La7: “Alleanza con M5s? Elettori potrebbero rimproverarci di non aver fatto un ultimo tentativo. Cerchiamo di non fare fatwe”

Letta dice che il giudizio degli elettori del Pd sul M5s è lapidario? ? Io consiglierei di preoccuparci del giudizio dei nostri elettorati il giorno dopo le elezioni. Non aver fatto nemmeno un tentativo potrà essere rimproverato. E non solo al Pd ma anche ai 5 Stelle”. Così, nella trasmissione “L’aria che tira”, su La7, il deputato di LeU, Pier Luigi Bersani, commenta il niet del segretario del Pd Enrico Letta a una ricucitura coi 5 Stelle.

Bersani osserva: “Noi e i 5 Stelle abbiamo distinzioni programmatiche evidenti, come sul tema fiscale, ma anche delle sovrapposizioni di proposte. Sono gli altri che non vogliono il salario minimo, sono gli altri che vogliono fare un referendum contro il reddito di cittadinanza, sono gli altri che si oppongono a qualsiasi avanzamento sui diritti civili. Quindi, siccome c’è anche il giorno dopo, cerchiamo almeno di non fare delle fatwe”.

Il parlamentare, infine, commenta l’altro no ai 5 Stelle, quello del sindaco di Milano Beppe Sala: “Per l’amor di Dio, faccia come crede. Noi, però, stiamo governando assieme a Napoli e a Bologna. Nella stessa Lombardia da alcuni mesi ci sono tavoli di lavoro dove ci sono LeU, Pd e M5s, creati per vedere se si può avere un’alternativa alla destra. Ricordo però che, se facciamo come avevo pensato io (campo largo esteso al M5s, ndr), c’è una speranza di andare a recuperare un po’ di popolo che si astiene“.

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Elezioni politiche, in famiglia si discute: stante lo scenario, c’è un’unica scelta praticabile

Caro il Fatto Quotidiano,

In previsione del prossimo voto anticipato al 25 settembre il nostro consiglio di famiglia, composto da mia moglie e me, ha ritenuto doveroso avviare un’approfondita discussione sui comportamenti da tenersi per l’occasione. Vista la qualità del dibattito ora mi sembra opportuno fornire una sintetica informazione al riguardo.

Sgombrato il campo dalle tesi estremistiche della consorte che manifestava una netta preferenza per l’astensione (argomentata in base all’assunto “che vadano tutti a c.”) si decideva di procedere partendo dal criterio di chi non votare. Stante l’orientamento democratico e antifascista del mio nucleo, il voto a destra è apparso immediatamente incommestibile. Ma prima ancora del giudizio politico sono valse considerazioni di altro genere: il buzzicone Matteo Salvini è stato giudicato impresentabile in qualsivoglia ambiente che non sia uno stabilimento balneare con annessa mescita di alcolici, dove fare il perdigiorno intrattenendosi con fauna varia, possibilmente tatuata, tra cui qualche ultras del Milan con trascorsi per spaccio.

Anche se risulta divertente immaginare il mancamento della suorina Ursula von der Leyen vedendosi arrivare a Bruxelles Matteo Salvini, nuovo premier italiano, sottobraccio a qualche leghista della prima ora, reduci da una gara di rutti e di chi piscia più lontano. Ipotesi improbabile in quanto il padano rosario-munito, mentre perde tempo a bighellonare o a farsi irridere da qualche sindaco polacco, subisce lo svuotamento di consensi da parte della sanguisuga Giorgia Meloni. Che studia da leader ma quando va in trasferta – magari in Spagna – sbraca immediatamente ululando frasi sconnesse (yo soy Giorgia/ yo soy una mujer/ yo soy una madre… e allora?) cui il pubblico risponde fedele allo stesso modo al proprio nome: Vox.

Indubbiamente la bionda agitapopoli in piazza ci sa fare ma gli scheletri nel suo stipetto non sono pochi; per una che si atteggia a nuovo, ma ha fatto il ministro con Berlusconi e ha pure votato che Ruby Rubacuori era nipote di Mubarak. Quel Silvio Berlusconi che spunta fuori dal sacello per mostrarci quanto sia lubrica la libidine nei vecchi e come risulti problematico per un gigione capire che il proprio tempo è finito. Da qui il travaso di consensi, già berlusconiani, verso quel luogo inesistente chiamato “Centro”, in cui pensano di intercettarli ex giovanottelli già di belle speranze come il confindustrialese Carlo Calenda e l’affabulatore tirapacchi Matteo Renzi (con la patetica aggiunta dell’apostata Luigi Di Maio, che si aggira vendendo all’incanto il proprio passato in cambio di uno strapuntino purchessia).

Impalcatura di questo spazio politico immaginario per presunte maggioranze silenziose la promessa da cui nacque il ventennio forzitaliota di una rivoluzione liberal-liberista, che per taluni significa la solita ricetta legge&ordine, vaga quanto minacciosa, per altri la credenza che l’avidità sarebbe la soluzione di tutti i problemi; da quando un tale gli ha raccontato la favola bella del birraio e del panettiere che imbandiscono le mense dei loro prodotti: la realtà è un tantino più complessa.

Favola per favola, c’è poi quella che Enrico Letta guiderebbe un partito di sinistra (seppure infarcito di renziani) e intanto adotta l’Agenda Draghi a favore dei ceti abbienti e a danno dei poveracci; praticando al meglio la strategia dell’establishment portata al parossismo dal banchiere ex premier: cancellare i problemi che non si è capaci di risolvere. Ossia quel “sopire e troncare” che sembra far parte del bagaglio culturale dei professional di scarsa cultura del Pd, tipo il fuori corso Andrea Orlando.

Stante lo scenario l’unica scelta che appare praticabile è quella di una formazione dichiaratamente populista; intesa – fuori dai trucchi semantici – come critica di un establishment incanaglito per rinnovamenti dal basso. Una formazione che abbia come priorità l’etica pubblica e l’ambiente, senza la pretesa di fare da succursale al rosso-antico tipo Mélenchon. Ed è la scelta che faremo in famiglia.

A quattro condizioni:

1) che Beppe Grillo stia zitto, evitando di rifilarci le insensatezze ondivaghe del capocomico in costante fregola di restare al centro della scena;
2) che Giuseppe Conte la smetta di mediare a oltranza e tiri fuori (se ce l’ha) quelli che nel calcio spagnolo si chiamano los huevos;
3) che Alessandro Di Battista la pianti col suo terzomondismo a fumetti;
4) che la selezione del nuovo personale pentastellato ci risparmi terrapiattisti mitomani, ambiziosi senza le carte in regola e altri casi umani.

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martedì 26 luglio 2022

Conte: “Voto utile tra Meloni e Letta? Ci sarà un terzo incomodo, il M5s con la sua agenda progressista e sociale”

“Il pensiero unico dominante” sta già inserendo nella campagna elettorale il tema “del voto utile”. “O si vota Meloni o si vota Letta, e poi in mezzo ci si mettono anche Calenda, Brunetta o Di Maio. Ci sarà una sorpresa, ci sarà un terzo incomodo: il Movimento 5 Stelle con la sua agenda progressista e sociale“. Così il presidente del Movimento 5 stelle, Giuseppe Conte, intervenendo in diretta su Facebook. “Saremo soli, saremo il terzo polo, il terzo campo, il campo giusto”, ha aggiunto Conte.

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In M5S vedo una sinistra nuova. Contro le destre e il Letta/Brunetta, la loro presenza è essenziale

di Andrea Masala

Nel momento del loro apice (2013-2018) i 5S dicevano di non essere né di destra né di sinistra. Era certo un espediente retorico per prendere voti sia di destra che di sinistra e soprattutto quelli di chi era stufo del teatrino destra-sinistra all’italiana, cioè Berlusconi e Antiberlusconi (Pdl e Pdmenol, ricordate?). Però quel non essere né di destra né di sinistra non era solo retorica, era anche una identità sostanziale. Alcune loro issues erano tipicamente di sinistra (ecologia, reddito di cittadinanza, decreto dignità…), altre (immigrazione, taxi del mare…) tipicamente di destra, altre ancora (quelle su cui hanno preso tanti voti) né di destra né di sinistra o sia di destra che di sinistra: la lotta alla casta e alla corruzione.

I 5S erano infatti in quel momento “Totipotenti”, come le cellule staminali possono evolvere in qualsiasi organo umano, loro potevano diventare sia di destra che di sinistra.
Nella legislatura appena terminata infatti hanno governato sia con la Lega che col Pd-Leu. Qui però interviene la grande anomalia italiana: sia nel governo con la Lega, sia in quello col Pd, i 5s hanno rappresentato la parte sinistra. Introducendo il reddito di cittadinanza (primo arricchimento e ammodernamento del welfare italiano dagli anni 80) e il decreto dignità nel Conte 1 e resistendo al Mes e rilanciando il ruolo del pubblico nel Conte 2. Questo perché in Italia manca una sinistra almeno dal 2008, il vuoto da riempire è quello e gli staminali 5S in quello spazio, volenti o nolenti o indifferenti, si sono ritrovati.

Oggi svolgono oggettivamente la funzione che negli altri paesi svolgono nuove o vecchie sinistre: Melenchon, Podemos, Tsipras… ma lo fanno senza le stanche retoriche e i vetusti schemi che da anni impediscono ai cespugli a sinistra del Pd di andare oltre il 2%. Una sinistra nuova, che può essere votata più dai ceti sociali in sofferenza reale che da soggetti politicizzati, valoriali o ideologici (quel recinto del 2% anch’esso chiuso nell Ztl). Un rinnovamento prima di tutto del “pubblico” di sinistra, del suo elettorato, un rimescolamento di ceti, linguaggi, bisogni e valori che è un vero e proprio ricambio di sangue.

Davanti hanno due difficoltà: da una parte non emulare la vecchia retorica della vecchia sinistra, ma dall’altra elaborare un nuovo modo solidale sul tema immigrazione e un vero garantismo sul tema giustizia. Nel momento in cui sia la destra-destra di Meloni e Salvini sia il centrodestrasinistra di Letta e Brunetta vogliono che i 5S spariscano, la loro presenza è essenziale per la democrazia politica e la democrazia sociale italiana.

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lunedì 25 luglio 2022

Bersani a La7: “Alleanze? Altro che agenda Draghi, serve un campo progressista con Pd, ambientalisti, sinistra e 5 stelle”

Escludere il M5s da un’alleanza? Innanzitutto bisogna chiedersi chi andrà a votare. Perché stando ai dati delle ultime amministrative, l’astensione è diffusa tra chi ha difficoltà economiche. In quella fetta di popolazione c’è la questione sociale. E allora la domanda da farsi è: diciamo qualcosa a queste persone, o vogliamo fare un governo senza popolo?“. A dirlo, ospite a In Onda, su La7, è stato Pierluigi Bersani. Che poi ha parlato del cosiddetto campo largo. “Io penso, non da oggi, che si sarebbe dovuto lavorare in quest’anno e mezzo per comporre un campo progressista con Pd, ambientalisti, sinistra e Movimento 5 stelle. Io mi sento alternativo a chi propone flat tax, aliquota unica Irpef, a chi vuole cancellare il reddito di cittadinanza, a chi dice no al salario minimo, allo ius scholae, alla ius soli, al ddl Zan e alla legge sul fine vita”.

Video La7

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M5s, l’incognita Parlamentarie: previste dallo Statuto, ma “farle ad agosto è complicato”. E Grillo chiude sulle deroghe ai due mandati

Era stato lui stesso a parlarne in un vecchio post sul blog: il limite dei due mandati tra Camera e Senato avrebbe potuto lasciare la strada aperta a candidature al Parlamento europeo o ai Consigli regionali. “Belin, guadagnate anche di più…”, ironizzava coi parlamentari a lui più vicini. Ma adesso Beppe Grillo è contrario anche a questa ipotesi: “In realtà non è mai stato realmente convinto, e ora sulla regola dei due mandati è fermo, granitico. Grillo non vuole nessuna deroga, nella maniera più assoluta”, spiegano all’AdnKronos fonti vicine al fondatore del Movimento 5 stelle. Dunque, per chi è stato eletto due volte, la corsa si fermerebbe a prescindere: niente “salto” nelle Regioni o a Bruxelles, o viceversa. O almeno questa è l’idea che in mente Grillo, alle prese in queste ore con telefonate e riunioni via Zoom. Il garante del Movimento accarezza invece altri “piani B”: ad esempio impiegare i “veterani” – non solo deputati e senatori, ma anche consiglieri regionali ed europarlamentari – nella scuola di formazione M5s, per condividere le loro esperienze.

Il nodo del terzo mandato resta comunque sul tavolo. E in casa 5 Stelle ci si interroga anche sulle prossime mosse di Giuseppe Conte, oggi sparito dai radar e dal quartier generale di Campo Marzio. Benché il pessimismo prevalga tra i big alle prese con l’incognita ricandidatura, si fa spazio l’idea, che alla fine l’ex premier qualcosa spunterà: potrebbe venire concessa una “micro-deroga“, ma “nell’ordine di 4-5 persone al massimo“, stimano le stesse fonti in un colloquio con l’AdnKronos. Intanto prosegue il totonomi sulle candidature per la prossima tornata. Oggi lo spin doctor di Conte, Rocco Casalino, è tornato a smentire che la sua corsa sia già decisa: “Ogni ricostruzione che circola in queste ore è da intendersi come priva di fondamento e quindi totalmente inventata“. Un altro nome che rimbalza tra Camera e Senato è quello di Nina Monti, professionista con ruolo chiave nella comunicazione di Grillo, anch’esso però smentito in modo netto dalla cerchia del garante.

Altra incognita è quello delle “parlamentarie“, ovvero le votazioni della base che finora hanno deciso le candidature in casa M5s: consultazioni previste, peraltro, dallo Statuto all’articolo 7, lettera A. “Sarà complicato metterle in piedi”, fanno notare dal Movimento, anche perché le regole prevedono che gli aspiranti deputati e senatori pentastellati presentino il casellario penale e il certificato dei carichi pendenti. “Documenti difficili da tirare fuori nel mese di agosto. Si potrebbe chiedere il voto della Rete sulle liste per fare in fretta e ovviare. Certo, un bel casino…”, osserva un big pentastellato all’AdnKronos. Anche su questo, però, la palla è in mano a Conte, che dovrà decidere in fretta per evitare che venga meno un altro dogma in casa 5 Stelle.

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Calenda, nuovo veto al Pd: “Il candidato premier non può essere Letta. Bisogna tenere Draghi a palazzo Chigi in ogni modo possibile”

“Discutiamo di cose concrete, non di nomi e alchimie. Per Azione e Più Europa il candidato presidente del Consiglio non può essere Enrico Letta“. Con una dichiarazione all’Agi Carlo Calenda mette un’altra mina sul cantiere di coalizione tra il centro e il Pd sponsorizzato dal segretario dem. Il leader di Azione risponde con queste parole a Matteo Ricci, sindaco Pd di Pesaro (e presidente delle Autonomie locali italiane) che stamattina aveva “candidato” Letta a palazzo Chigi con un tweet: “Basta scaramucce, serve responsabilità: Enrico Letta è l’alternativa politica alla Meloni, obiettivo Pd primo partito. Senza alleanza europeista non siamo competitivi nei collegi, chi non si allea con il Pd fa il gioco della destra“.

“Cercare di forzare su questo punto chiuderebbe immediatamente la discussione. Il nostro obiettivo è convincere Mario Draghi a rimanere a palazzo Chigi, portando voti su un’agenda coerente con quella portata avanti dal suo governo”, ribatte Calenda, subito dopo aver presentato il “Patto repubblicano” insieme a +Europa e aver scambiato corrispondenze d’amorosi sensi con l’ex ministra di Forza Italia Mariastella Gelmini. Un concetto che l’ex ministro dello Sviluppo economico ribadisce in un video pubblicato sui social: “Parliamoci chiaro, alla fine della fiera bisogna tenere Draghi lì, in qualsiasi modo possibile, e costruire una maggioranza più forte, più coesa, più liberale, più riformista”. E in serata, se il concetto non fosse chiaro, ripete: “C’è una sola persona che bisogna tenere a fare il presidente del Consiglio e si chiama Mario Draghi. Se i cittadini italiani ci faranno vincere prometto che chiederemo a Draghi di restare a palazzo Chigi. È quello che serve a questo Paese”.

Allo stesso tempo, il leader di Azione detta alcuni punti piuttosto “ingombranti” del suo programma politico: “Vuoi il gas? Devi fare i rigassificatori. Vuoi gestire l’immondizia? Devi fare i termovalorizzatori. Le comunità protestano? Amen. Se devi militarizzare i siti si militarizzano, perché è una questione di sicurezza nazionale”. Nuovi diktat che si aggiungono ai veti già posti sulla presenza in coalizione del Movimento 5 stelle (esclusa anche da Letta) e di Sinistra italiana ed Europa Verde. Che colgono l’occasione per rispondergli a tono: “Calenda propone la sua ricetta: centrali nucleari, continuare a bruciare fonti fossili come se la crisi climatica non esistesse e, dulcis in fundo, militarizzare i siti per costruire le centrali nucleari e rigassificatori. Era il programma di Silvio Berlusconi di vent’anni fa, oggi ereditato dal polo sovranista”, attaccano i co-portavoce verdi Eleonora Evi e Angelo Bonelli insieme al segretario di Si Nicola Fratoianni. “Caro Calenda, queste proposte sono irricevibili non solo per noi di Europa verde e Sinistra Italiana, ma sono incompatibili – concludono – con la cultura politica democratica, progressista, ecologista italiana ed europea”.

Il programma calendiano invece riscuote apprezzamenti dal lato “liberal” dell’ipotetica coalizione. La prima è Gelmini: “Ho letto il manifesto di Azione. Europeismo e atlantismo, infrastrutture, Pnrr, industria 4.0, revisione del reddito di cittadinanza. È l’agenda Draghi ed è quello che serve all’Italia. Io ci sono, vediamoci”, scrive all’ex ministro. Che risponde soddisfatto: “Con grande piacere”. Anche il senatore Andrea Marcucci, riferimento dei renziani rimasti nel Pd, approva: “Le parole di Calenda sono un buon viatico per aprire un vero tavolo programmatico. Ci sono le condizioni per fare un’alleanza ampia e competitiva, con un progetto serio e responsabile per l’Italia”. Mentre il governatore ligure Giovanni Toti, leader del nuovo cartello Italia al Centro, ne approfitta per chiedere a sua volta di far fuori Fratoianni e i verdi: “Il programma di Carlo Calenda è per molti aspetti condivisibile, ma non so quanti lo condivideranno nella coalizione di Enrico Letta. Penso alla sinistra più estrema, agli ambientalisti, ai signori del no e dei ricorsi al Tar”.

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Caro Giuseppi, non c’entravi niente col Movimento ma adesso tocca a te ricostruirlo

di Maurizio Contigiani

Caro Giuseppi, non c’entravi quasi niente col Movimento Cinque Stelle. Eri bello (lo sei ancora), elegante, con incarichi prestigiosi, professore universitario e avvocato di successo, una compagna ricca e bellissima e un giorno Bonafede ti ha cambiato la vita, invitandoti al ruolo di ministro del futuro governo pentastellato. Hai accettato ma non ne avresti mai immaginato l’evoluzione. Oggi sei l’unico in grado di affermare quei principi fondativi di un’idea nata da chi è morto troppo giovane per poter difendere in prima persona la sua magnifica creatura, una serie di progetti e prospetti troppo ovvi per le persone oneste e troppo destabilizzanti per tutte le categorie di ladri. Non c’è più nessuno nel Movimento Cinque Stelle.

Gli eletti in Parlamento hanno in buona parte evidenziato la miseria della natura umana, una prerogativa che non ha né colore, né appartenenza, Grillo sembra un pazzo, non so se sia veramente impazzito e si sia rotto i coglioni. La piattaforma Rousseau, unica, vera interlocuzione con i cittadini di buona volontà, non ha più voce in capitolo, è stata soppressa. Il Movimento Cinque Stelle ancora esiste perché sei tu a tenerlo in vita e la tua è una responsabilità enorme. Sei colui che ha in mano le sorti di quel patrimonio di buon senso che ha riportato noi tutti a votare nel 2018 ed è è quello che vorremmo tornare a fare a settembre.

Da solo non ce la farai, non sei un trascinatore e anche se hai dimostrato di saper far bene, avrai bisogno dell’unico rimasto in piedi con una dignità, una coerenza, un’onestà intellettuale che non hanno uguali, Alessandro Di Battista, l’unico ancora in grado di poter parlare alla gente comune dall’alto dei principi di cui sopra.

Lascia perdere il Pd, forse il lato peggiore di questa politica. La sua storia è l’epilogo di un inesorabile declino rovinoso della sinistra italiana, iniziato col cambio di nome del Pci, contemporaneo alla vendita della sua storica sede di Botteghe Oscure addirittura all’associazione Bancaria Italiana che, a sua volta, vende il busto di Gramsci e la bandiera della comune di Parigi, ancora esposti, alla multinazionale dei più lussuosi hotel del mondo.

In questi due mesi di tempo, cercate di spiegare alla gente quanto vi sia costata la mediazione per governare insieme a soggetti che volevano solo la vostra distruzione, provate a ricostruire un dialogo con la piattaforma Rousseau, uno strumento democratico prodigioso. Cercate di riabilitare chi è stato emarginato o addirittura espulso, solo perché difendeva i valori fondanti del Movimento, fate sentire la vostra voce per porre fine ai cambi di casacca e se proprio due mandati sono troppo pochi perché un essere umano lasci anche quel poco che ha per dedicarsi alla politica, allora fatene almeno tre e invece di lasciare parte dello stipendio alle piccole e medie imprese, lo si accantoni per restituirlo come aiuto, nel momento in cui, chi lo ha versato, non venisse più rieletto o abbia terminato i tre mandati.

Il tempo è davvero poco, sarebbe stato meglio vedere cosa sarebbero stati capaci di fare questi migliori senza di voi, dove ci avrebbe portato questo banchiere e i suoi lenoni. Ma lui è furbo, almeno quanto i suoi lenoni e si sono tutti chiamati fuori prima.

Il blog Sostenitore ospita i post scritti dai lettori che hanno deciso di contribuire alla crescita de ilfattoquotidiano.it, sottoscrivendo l’offerta Sostenitore e diventando così parte attiva della nostra community. Tra i post inviati, Peter Gomez e la redazione selezioneranno e pubblicheranno quelli più interessanti. Questo blog nasce da un’idea dei lettori, continuate a renderlo il vostro spazio. Diventare Sostenitore significa anche metterci la faccia, la firma o l’impegno: aderisci alle nostre campagne, pensate perché tu abbia un ruolo attivo! Se vuoi partecipare, al prezzo di “un cappuccino alla settimana” potrai anche seguire in diretta streaming la riunione di redazione del giovedì – mandandoci in tempo reale suggerimenti, notizie e idee – e accedere al Forum riservato dove discutere e interagire con la redazione. Scopri tutti i vantaggi!

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