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lunedì 31 ottobre 2022

D’Alema a La7: “Conte persona garbata, parlo con lui come con tanti altri. Con Renzi no. Pd? Sconcertante il suo comportamento col M5s”

Io consigliere di Giuseppe Conte? Mi stupisco della domanda, la considero veramente di bassissimo livello. Non ci sarebbe nulla di male, ma si vedrebbe. Queste dietrologie sono roba di serie B”. Così, a “In Onda” (La7), l’ex presidente del Consiglio Massimo D’Alema risponde alla giornalista Concita De Gregorio, spiegando: “Io ogni tanto dialogo con Conte, è una persona garbata che mi telefona come tanti altri di cui non sono consigliere. Renzi? No, con lui non parlo, ma io dialogo con chi mi cerca. Con Letta non ho dialogato nell’ultimo periodo, ma parlo con parecchi esponenti del Pd”.

D’Alema poi commenta le ultime elezioni politiche: “Qui ci sono tre forze politiche di centrodestra che sono state divise durante tutta l’ultima legislatura. Si sono presentate insieme alle elezioni e le hanno vinte. Ci sono poi tre forze politiche che hanno governato insieme nel governo Conte Due e, secondo me, non male – continua – perché quel governo ha affrontato la pandemia in modo efficace e ha rappresentato degnamente l’Italia in Europa. Dopo aver governato insieme l’Italia, si son presentate divise alle elezioni. Questo è un qualcosa che merita una spiegazione. Non a me, ma all’elettorato, perché è chiaramente un fatto sconcertante“.

D’Alema puntualizza: “Questi tre partiti che hanno sostenuto il governo Conte Due hanno raccolto un milione e 600mila voti in più di quelli presi da coloro che oggi governano l’Italia. La cosa sconcertante è che il Pd ha fatto di tutto per sciogliere l’ambiguità del M5s e portarlo in un campo progressista. E lo ha fatto pagando un prezzo – conclude – cioè sostenendo Giuseppe Conte. Nel momento in cui il M5s lo ha fatto, il Pd ha rotto l’alleanza. Ricordo che la Meloni ha ostacolato il governo Draghi, eppure nessuna l’ha messa al bando per questo. Quindi, c’è qualcosa di abbastanza incomprensibile”.

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sabato 29 ottobre 2022

Gilet arancioni, Pappalardo: “Barbara D’Urso in Senato ha detto coglionate”. Ma in realtà è la senatrice del M5s Barbara Floridia

Gaffe del leader dei Gilet Arancioni Antonio Pappalardo che, in una delle sue fluviali dirette sulla pagina Facebook del movimento, commentando la discussione sul voto di fiducia del Senato alla presidente del Consigio Giorgia Meloni, confonde Barbara D’Urso con la senatrice del M5s, Barbara Floridia.
Il generale in pensione bolla come “coglionate” le parole della parlamentare pentastellata sul reddito di cittadinanza. Stessa sorte ha Silvio Berlusconi: “Berlusconi, ma perché devi dire coglionate? Ma ritirati. Sei abituato da piccolo a dire coglionate”.

Il leader dei Gilet Arancioni annuncia anche un governo-ombra contro quello ufficiale e attacca duramente la battaglia di Giorgia Meloni a favore del merito: “Vi risulta che questi signori che vanno al governo siano laureati? Per diventare ufficiale dei Carabinieri, se non prendo una laurea, mi danno una pedata nel culo. Stessa cosa se voglio diventare magistrato o ingegnere. Ma come vi permettete di dire ai giovani: ‘Studiate e il merito vi premierà’? – conclude – E poi vediamo che quelli che entrano in Parlamento non hanno studiato. Veltroni non ha studiato. D’Alema non ha studiato. Fini non ha studiato. Gasparri non ha né studiato, né lavorato. Uno entra a 14 nel partito, poi cresce e diventa capo del governo. Ammazza, che bella questa strada. Però impongo nelle scuole il merito. Ah, io devo studiare e il politico no?”.

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mercoledì 26 ottobre 2022

Licheri (M5s) a Meloni: “Nomina di Crosetto è da Repubblica delle banane. Fino a ieri era il più grande lobbista dell’industria delle armi”

L’Aula del Senato, finora compassata, si è accesa per qualche istante allorché Ettore Licheri, del Movimento 5 stelle, ha criticato la scelta di affidare il ministero della Difesa a Guido Crosetto. “Nell’opposizione – ha detto Licheri – non troverà mai astio e rancore, ma forte preoccupazione. Nel suo discorso infatti non ha trovato spazio la parola ‘pace’. Sembra inimmaginabile, ma nelle sue parole non c’è alcun auspicio di un cessate il fuoco o di un ritorno della diplomazia. Nulla. Lei con il suo silenzio ha voltato le spalle a questa parte del Paese che chiede pace”. “Per fugare i dubbi sulle ambiguità di alcuni suoi partner – ha aggiunto Licheri – lei ha deciso di strafare nominando Crosetto ministro della Difesa“, parole che hanno spinto alcuni senatori del centrodestra a commentare rumorosamente. “Quello che ieri era il più grande lobbista dell’industria delle armi – ha insistito Licheri – oggi starà nel posto dove si fanno gli appalti per quelle industrie. Questo non è da governo del centrodestra, ma da Repubblica delle banane“. A questo punto le voci di protesta del centrodestra si sono fatte più forti e si è sentito anche un fischio. Il presidente La Russa ha subito invitato i senatori del centrodestra a far concludere il collega del M5s, che ha chiuso il suo intervento.

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Grillo dopo l’assemblea dei parlamentari M5s: “Quanto durerà questo governo? Spero a lungo”

“Quanto durerà questo governo? Spero a lungo. Se il M5S è cambiato? No. Se fate un abbonamento facciamo due interviste al mese a prezzi modici, vi mando l’Iban”. Così Beppe Grillo, assediato dai cronisti, all’uscita dal Senato dopo l’assemblea congiunta del M5s con Giuseppe Conte.

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M5s, Beppe Grillo arriva al Senato per la riunione con i parlamentari e scherza con i cronisti: “Senza abbonamento non parlo”

Beppe Grillo è arrivato al Senato per partecipare alla riunione congiunta con tutti i parlamentari del M5S e con Giuseppe Conte. Il fondatore del movimento è stato assediato dai cronisti ma non ha risposto alle domande: “Senza abbonamento non parlo. C’è un conflitto di interesse, tutta la stampa mi ha denunciato. Siete degli esaltatati”.

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martedì 25 ottobre 2022

Silvestri (M5s) a Meloni: “Ha detto di non essere ricattabile. Parole inquietanti, presuppongono ci sia un ricattatore”

“Presidente Meloni, nei giorni scorsi si è sentita in dovere di rispondere, a mezzo stampa, a uno dei leader della vostra coalizione (Silvio Berlusconi, ndr), sottolineando come lei non sia ricattabile. Per me sono parole inquietanti, perché presuppongono che ci sia un ricattatore“. A dirlo, intervenendo alla Camera dopo il discorso di Giorgia Meloni, è stato il capogruppo del Movimento 5 stelle, Francesco Silvestri. “Il Paese si aspettava molto di più dalla formazione del governo, probabilmente uno slancio verso il nuovo, verso il futuro. E invece niente di tutto questo, sia nei nomi che lo compongono sia nei nomi dei dicasteri”.

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giovedì 20 ottobre 2022

Conte: “Abbiamo espresso a Mattarella la nostra perplessità sugli Esteri a Forza Italia. Sconcertati per gli scontri nel centrodestra”

“Ci ha colpito fortemente e per noi pone un serio problema quella che è la ricostruzione integrale del ragionamento” di Silvio Berlusconi, “può anche essere opinabile in alcuni passaggi ma è inaccettabile la premessa” ovvero “che l’aggressione militare russa non sia condannare con le più elementari norme del diritto internazionale”. Così Giuseppe Conte al Quirinale con la delegazione M5s per le consultazioni. Questo ci ha “spinto a rappresentare la nostra forte perplessità che il dicastero della Farnesina, così centrale, possa essere affidato a un esponente di Fi“.

“Abbiamo espresso al presidente Mattarella sconcerto per i contrasti tra le forze di centrodestra che si accingono a formare un governo – ha aggiunto – Siamo al di là di una dialettica accesa con uno scontro che immagino si comporrà con la formazione del nuovo esecutivo. Devono essere consapevoli che il Paese non può attendere ed attardarsi su scontri e conflitti. Bisogna metterli da parte e rispondere alle attese dei cittadini”.

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Camere, già 505 ddl presentati: Gasparri vuole anche la “Giornata della vita nascente”, la festa delle forze armate e il divieto di cannabis light

Si è fatto un gran parlare della proposta S. 165 di Maurizio Gasparri, ripresentata per la terza legislatura, che vorrebbe riconoscere la capacità giuridica anche all’embrione e al feto. Ma a meno di una settimana dalla prima seduta delle Camere sono già 505 gli atti depositati con la speranza di vederli trasformati, prima o poi, in norme di legge: per la precisione 338 a Montecitorio e 167 a palazzo Madama. Spesso si tratta di boutade, provocazioni lanciate dai tanti peones per guadagnarsi un po’ di attenzione mediatica. In alcuni casi, però, i titoli delle proposte (i testi non sono ancora disponibili) suggeriscono i temi su cui le forze politiche hanno intenzione di battere nei prossimi mesi. Il M5s, ad esempio, ha portato depositato proposte su salario minimo, conflitto d’interesse, eutanasia e suicidio assistito che portano le firme di Giuseppe Conte; i due ex pm antimafia eletti nelle loro file – Federico De Raho alla Camera e Roberto Scarpinato al Senato – chiedono l'”istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere”. La premier in pectore, Giorgia Meloni, ha messo la prima firma su un progetto di legge “in materia di equo compenso delle prestazioni professionali”, Nicola Fratoianni di Sinistra italiana su testi in materia di riduzione di orario di lavoro, delocalizzazioni, licenziamenti e numero identificativo sulle divise delle forze dell’ordine. La Lega, con Massimiliano Romeo, chiede “disposizioni per la tutela della famiglia e della vita nascente”, mentre Enrico Costa di Azione esordisce con un suo vecchio cavallo di battaglia: la modifica della Costituzione per inserirvi il principio della separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri.

Chi invece cavalca tutti i feticci storici della destra è proprio Gasparri, neo-eletto vicepresidente del Senato. Tra i 13 testi che ha già depositato, oltre a quello sui diritti del concepito, si trovano i seguenti”Istituzione della Giornata della vita nascente“, “Ripristino della festività nazionale del 4 novembre” (il giorno delle forze armate), “Divieto dell’impiego di prodotti costituiti da infiorescenze di cannabis per uso ricreativo” (la cannabis light), “Reato di surrogazione di maternità commesso all’estero”. Edmondo Cirielli, parlamentare di lunghissimo corso rieletto con FdI, firma 18 proposte: spicca quella sull’istituzione di una Commissione d’inchiesta sulla vicenda dei marò arrestati in India nel 2012. Tra le altre, si segnalano due testi in materia di misure cautelari e responsabilità civile dei magistrati (oggetto dei referendum sulla giustizia falliti lo scorso giugno) e la richiesta di istituire “un Servizio nazionale militare di volontari per la mobilitazione” e “una fondazione per la promozione e la tutela del collezionismo minore“. Il record però ce l’ha Michela Vittoria Brambilla, deputata di Fi nota per tassi record di assenteismo, che però non le hanno impedito di presentare ben 45 ddl a inizio legislatura. Il tema è sempre lo stesso: “Affido degli animali in caso di separazione dei coniugi“, “Disciplina dei reati contro gli animali“, “Disposizioni per la tutela del benessere degli animali“, “Riconoscimento di conigli ed equini come animali d’affezione”. Compresa la richiesta di “Norme per garantire l’opzione per la dieta vegetariana e la dieta vegana nelle mense e nei luoghi di ristoro pubblici e privati”.

Sul matrimonio egualitario la senatrice M5s Alessandra Maiorino ripresenta il ddl già depositato la scorsa legislatura, intitolato “Disposizioni in materia di accesso al matrimonio e all’unione civile per tutti, nonché in materia di filiazione”: il testo aggiunge al codice civile la previsione secondo cui “Il matrimonio può essere contratto da due persone di sesso diverso o dello stesso sesso con i medesimi requisiti ed effetti”. Il deputato leghista Domenico Furgiuele, invece, vorrebbe “interventi per favorire l’accesso al credito per spese connesse alla celebrazione del matrimonio religioso”. Sul salario minimo, oltre alle due proposte presentate dal M5s (firmate da Conte alla Camera e da Mariolina Castellone al Senato) ne esistono già due del Pd (Simona Malpezzi al Senato e Mauro Laus alla Camera) e una di Sinistra italiana con Fratoianni, che specifica il riferimento al salario minimo legale, fissato in nove euro l’ora dal ddl dell’ex ministra del lavoro Nunzia Catalfo. Tre diverse proposte (Madia, Verini e Magi) chiedono di garantire il diritto di voto agli “elettori che, per motivi di studio, di lavoro o di cura, hanno temporaneamente domicilio in una regione diversa da quella di residenza”. Infine c’è il rieletto deputato della Lega Eugenio Zoffili, che ha le idee chiare sulle priorità: le sue prime tre proposte riguardano rispettivamente la “Disciplina delle attività professionali di tatuatore e di piercer“, l'”indicazione obbligatoria del contenuto di potassio e fosforo nelle etichette dei prodotti alimentari” e le “Disposizioni per la promozione dell’impiego del lievito madre fresco“. Alla faccia della crisi.

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mercoledì 19 ottobre 2022

Renzi: “Pd e M5s ci hanno tagliato fuori dai posti di vicepresidenza destinati alle opposizioni, non parteciperemo al voto”

“Ci sono quattro posti di vicepresidenza per le opposizioni, che vengono sempre divisi. Ci sono tre opposizioni, cosa hanno fatto Pd e 5 Stelle? Hanno tagliato fuori noi e ci hanno buttato fuori da tutto. Questo è un modo di fare non rispettoso delle regole e dei precedenti. Quindi oggi noi non partecipiamo al voto e non c’è nessuna divisione tra me e Calenda, abbiamo semplicemente deciso che alle consultazioni va Carlo e non io. Se vi ricordate anche in passato per altre consultazioni io non sono andato per lasciare spazio ad altri”. Lo ha detto il leader di Iv Matteo Renzi parlando con i cronisti all’ingresso di Palazzo Madama.

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Manifestazione per la pace, Conte: “Saremo in piazza a Roma il 5 novembre”. E Calenda lancia la sua contro-iniziativa per lo stesso giorno

Era stato il primo a lanciare l’idea di una marcia per la pace senza bandiere politiche, per rivendicare il ruolo diplomatico dell’Italia”. Ora il leader del M5s Giuseppe Conte ufficializza l’adesione alla manifestazione nazionale del 5 novembre a Roma, promossa dalla coalizione EuropeForPeace (di cui fanno parte Acli, Arci, Cgil, comunità di Sant’Egidio, Pax Christi, Una tavola per la pace). “Scenderemo in piazza insieme a tante associazioni e tantissimi cittadini. Tacciano le armi, è ora di farci sentire con una sola voce per la pace”, scrive postando un video su Twitter in cui afferma: “Non è questo il momento di restare inerti e silenti. L’Italia e l’Europa non devono chiudere in un cassetto i propositi di pace. C’è una maggioranza silenziosa che ha deciso di far sentire la propria voce”. E avverte: “L’escalation militare ci sta portando, giorno dopo giorno, verso il punto di non ritorno di una guerra atomica“.

Nel frattempo però Carlo Calenda, che aveva già detto di voler convocare una piazza “alternativa” a Milano – considerando quella di Roma troppo tenera nei confronti della Russia – ha annunciato la data della propria contro-manifestazione: sarà anch’essa il 5 novembre. “Sabato 5 novembre scenderemo in piazza a Milano per ribadire il sostegno all’Ucraina contro l’invasore russo. La pace non può nascere dalla resa degli ucraini. Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore”, twitta, in risposta al video di Conte. E aggiunge: “Sarà una manifestazione senza bandiere di partito. Invitiamo Pd, +Europa e Beppe Sala e tutte le associazioni e le personalità politiche interessate, a partecipare e organizzare con noi”.

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martedì 18 ottobre 2022

M5s, Conte: “Letta parla di unità? Lavoriamo sui temi, vedremo chi avrà una linea intransigente e chi farà da stampella alla maggioranza’

Giuseppe Conte uscendo da Montecitorio annuncia i capigruppo del Movimento 5 stelle, Francesco Silvestri alla Camera e Barbara Floridia al Senato. “Sono stati eletti all’unanimità – dice parlando con i giornalisti – c’è grande compattezza e un ottimo clima”.

Rispondendo alle domande poi prosegue: “Letta parla di unità? Noi siamo interessati a lavorare sui temi, strada facendo vedremo chi condivide le nostre battaglie. È inutile fare accordi preventivi”. E continua: “La opposizione la si dimostra facendola, vedremo chi vorrà con noi condividere una linea intransigente e chi si adopererà, qualche segnale lo abbiamo già avuto, per fare da stampella alla maggioranza”.

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Capigruppo: FdI, Lega e Pd confermano gli uscenti. Nel M5s alla Camera resta Silvestri, al Senato Floridia. Fi sceglie Cattaneo e Ronzulli

Si chiude senza scossoni la partita dei capigruppo di Camera e Senato, i primi nomi che le forze di maggioranza e opposizione hanno dovuto scegliere nel domino di incarichi che si scioglierà nei prossimi giorni. Nella maggior parte dei casi i candidati scelti dai leader sono stati eletti per acclamazione, ma anche laddove si è votato lo scrutinio segreto non ha riservato sorprese. Moltissime le conferme rispetto alla scorsa legislatura: come anticipato da Matteo Salvini, la Lega ha rieletto il piemontese Riccardo Molinari alla Camera (dopo aver abbandonato l’idea di indicarlo per la presidenza dell’Aula, andata invece a Roberto Fontana), e anche Massimiliano Romeo resterà a capo dei senatori. Doppia conferma anche in Fratelli d’Italia, per Francesco Lollobrigida alla Camera e Luca Ciriani al Senato, e per il Pd, con Debora Serracchiani a Montecitorio e Simona Malpezzi a palazzo Madama.

Cambia un capogruppo su due invece il Movimento 5 stelle, che conferma Francesco Silvestri alla Camera (scelto agli sgoccioli della scorsa legislatura in sostituzione di Davide Crippa, uscito dal gruppo) mentre al Senato sostituisce Mariolina Castellone – in pole per un posto da vicepresidente dell’Assemblea – con Barbara Floridia, sottosegretaria all’Istruzione nel governo Draghi. Doppio cambio in Forza Italia: Paolo Barelli e Anna Maria Bernini (che sarà ministra) lasciano il posto ad Alessandro Cattaneo e Licia Ronzulli, la fedelissima di Berlusconi sulla cui presenza nel governo l’ex premier ha dovuto cedere a Giorgia Meloni. Il polo centrista di Azione e Italia viva, invece, aveva annunciato le proprie scelte già nei giorni scorsi: alla Camera il capogruppo è Matteo Richetti (vicepresidente del partito di Calenda) al Senato la ligure Raffaella Paita, nella scorsa legislatura presidente della Commissione trasporti della Camera.

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Rosato: “Abbiamo chiesto una vicepresidenza del Consiglio ma non vogliono darcela. Voti a La Russa? Danno sempre la colpa a Renzi”

“Abbiamo chiesto una vicepresidenza del Consiglio ma sembra che non ce la vogliono dare. Vedremo nelle prossime ore. La chiediamo perché le opposizioni nei contenuti sono oggettivamente diverse, basti vedere sul tema giustizia o sul reddito di cittadinanza o sui rigassificatori. Pd e M5s la pensano allo stesso modo“. Sono le parole del presidente di Italia Viva, Ettore Rosato, che, intervenendo nella trasmissione “L’Italia s’è desta” (Radio Cusano Campus) ribadisce le richieste del Terzo Polo, spiegando: “Ci sono quattro figure apicali che possono rappresentare le opposizioni, ovvero i vicepresidenti di Camera e Senato, due per ogni Camera. Se Pd e M5s si mettono d’accordo – continua – possono scegliere i loro nomi e noi verremmo esclusi. È un luogo istituzionale dove è giusto che le principali opposizioni siano rappresentate in maniera equilibrata. Ricordo che nel 2013 come Pd garantimmo dalla maggioranza i voti necessari a Luigi Di Maio per impedire che venisse escluso il M5s dalle vicepresidenze”.

Circa i voti dell’opposizione alla elezione di Ignazio La Russa alla presidenza del Senato, Rosato smentisce, seppur balbettando all’inizio: “C’è un preconcetto: se c’è un’operazione politica che viene fatta in Parlamento, tutti dicono che l’unico in grado di farla è Renzi. E quindi è sempre colpa sua. Ma Renzi non è colpevole perché noi abbiamo 9 voti in Senato, lì i voti erano 17, anzi – conclude – secondo me anche di più di 17. Lì c’è un’operazione di un partito che ha almeno 20 voti da mettere in campo, quindi non siamo stati noi. È matematica. Se fossimo stati noi, avremmo rivendicato l’operazione e avremmo detto: ‘Guardate come ci siamo divertiti, abbiamo costretto Berlusconi a non contare niente e la Ronzulli è stata archiviata’. Ma invece non siamo stati noi”.

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Pd, De Micheli denuncia a La7: “Silenziata la mia candidatura dalla componente maschilista. Conte 2? Governo più di sinistra della storia”

“Io sono stata al governo col M5s e credo che quello sia stato il governo più di sinistra della storia repubblicana, il più progressista, il più veloce nelle decisioni. Ed è anche quello che ha iniettato un grande seme di novità nel nostro Paese. Durante la campagna elettorale ho rilevato tra i nostri elettori una certa ‘nostalgia attiva’ di quel governo”. Così a “Coffee break” (La7) la deputata del Pd Paola De Micheli si pronuncia sul governo Conte Due, di cui è stata ministro delle Infrastrutture, rispondendo a una domanda del conduttore Andrea Pancani che le chiede se si sente più vicina alle istanze del M5s o a quelle di Renzi e Calenda.


De Micheli puntualizza però che allo stato attuale i problemi col M5s ci sono tutti: “Credo che sia necessario congresso dem fatto bene, perché non possiamo sempre parlare solo di noi stessi. In questo congresso dovremo chiarire chi rappresentiamo, come rappresentiamo una parte degli italiani e quali sono le proposte per tutto il Paese. Solo così sarà molto più chiaro e facile segnare le modalità con le quali fare le alleanze coi partiti dell’attuale opposizione“.

De Micheli denuncia poi il ‘silenziamento’ della sua autocandidatura alla successione di Enrico Letta per la segreteria del Pd: “Io sono una di quelle che in questo momento conosce meglio il Pd. Mi aspettavo questo atteggiamento. Credo che sia una componente potente di maschilismo nel Pd, cioè l’idea che le donne possano essere solo scelte dagli uomini e che non possano scegliersi – conclude – Credo che una parte del gruppo dirigente del Pd sia profondamente lontana dalla vita reale di tutti i giorni. Ma fortunatamente dai territori, dalle periferie, dai circoli, dalle federazioni provinciali stanno arrivando centinaia e centinaia di messaggi di sostegno nei miei confronti”.

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sabato 15 ottobre 2022

Renzi ora passa all’incasso: “Per legge ci spetta il Copasir. Se i vicepresidenti delle Camere andranno tutti a 5 stelle e Pd, lo chiederemo”

Matteo Renzi passa all’incasso. E in vista della partita sugli incarichi parlamentari spettanti all’opposizione – che avrà uno snodo fondamentale la prossima settimana, con l’elezione dei quattro vicepresidenti delle Camere – fa capire qual è la poltrona che vorrebbe occupata da uno dei suoi: la presidenza del Copasir, il Comitato parlamentare che vigila sull’attività dei servizi segreti. Un tema a cui in qualche modo ha già dimostrato di essere affezionato ai tempi del celebre (e mai chiarito) incontro natalizio in Autogrill con l’agente del Dis Marco Mancini, nei giorni di fine 2020 in cui insisteva perché Giuseppe Conte (che avrebbe fatto cadere di lì a poco) rinunciasse proprio alla delega all’intelligence. Parlando a un evento a Firenze, Renzi ipoteca di fatto il Copasir sostenendo di aspirare ad altro, in particolare a una non meglio precisata “presidenza della Commissione speciale d’indagine sugli acquisti del Covid“. Ma il suo assomiglia tanto a un messaggio in codice per far valere il contributo dei senatori di Iv (che finora ha sempre negato) all’elezione di Ignazio La Russa allo scranno più alto di palazzo Madama, neutralizzando la diserzione di Forza Italia. D’altra parte è dal giorno prima della votazione che l’ex sindaco di Firenze aveva messo le mani avanti, denunciando un presunto “accordo tra Pd e M5s per lasciare fuori il terzo polo dalle cariche che spettano alle opposizioni”.

Ora, invece, dà per scontato di averne quantomeno una: “Io non lo so cosa ci danno, se ci danno la vicepresidenza alla Camera o al Senato. Quello che ci danno si prende”, esordisce. “Poi ci sono le presidenze di commissioni: per legge ci spetta il Copasir“, sentenzia, anche se la legge dice soltanto che la presidenza deve andare a un eletto dell’opposizione (che conta almeno altri tre gruppi). Poi traccia una specie di piano d’azione: “È chiaro che, ove ci fossero tutti gli uffici di presidenza a 5 Stelle, Pd e non a noi chiederemmo il Copasir. La Vigilanza (Rai, ndr) per consuetudine va all’opposizione, ma non è norma scritta”, afferma. Una precisazione che serve a far capire a quale dei due organi punta Italia viva, anche perché – pure se non è norma scritta – la consuetudine che vuole il presidente della Vigilanza scelto tra le file dell’opposizione finora è stata sempre rispettata. “Cosa vorrei? Se potessi decidere io, chiederei una cosa in Parlamento: la presidenza della commissione speciale d’indagine sugli acquisti del Covid”, giura Renzi. “Siccome la Meloni ha detto che farà questa commissione, mi piacerebbe che ci dessero la presidenza, ma sono convinto che a pezzi del Pd non piaccia. Si scommette che non me la danno? Prima di quello mi danno il Copasir, le giunte, mi danno ogni cosa”. Come stanno veramente i fatti si inizierà a capire mercoledì 19 ottobre, quando i due rami del Parlamento – la Camera alle 14, il Senato alle 15 – si riuniranno per l’elezione dei vicepresidenti. Se non ci sarà nemmeno un renziano, paradossalmente, è probabile che il messaggio sia stato ascoltato.

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Alessandro Di Battista ha carisma: cosa deve fare per non restare un’eterna promessa

La notizia è che Alessandro Di Battista sta lavorando a un’associazione culturale – che sì, lo ammette lui stesso, potrà essere un movimento politico e misurarsi nell’agone elettorale. Ma non è lo scopo principale. In primo luogo perché lui non crede all’attuale democrazia rappresentativa (definita “un imbroglio, una finzione che sta arrivando al capolinea poiché il cittadino percepisce chiaramente che il suo voto non conta nulla”). In secondo luogo perché Gianroberto Casaleggio gli ha insegnato l’arte della pazienza e del momento giusto, del costruire con cura le fondamenta prima di insediarsi nei piani alti (“se avessi dato retta alle molte proposte che ho ricevuto, oggi sarei fra quelli bruciati e di cui la gente non si fida più”).

Questo signore – piaccia o meno – non le manda a dire. Ho potuto ascoltarlo dal vivo e sottoporgli una domanda insidiosa, durante il Festival Libropolis di Pietrasanta (Lucca). Una realtà aperta, mai genuflessa al mainstream, in cui non si trovano i soliti nomi imposti dal politicamente corretto e in cui, piuttosto, la sorpresa e l’argomento insolito ma provocante sono dietro ogni angolo. Senza mai perdere la serietà né l’autorevolezza.

In questo contesto Alessandro Di Battista è stato invitato per un “uno contro tutti”, cioè l’occasione per il pubblico presente di sottoporgli ogni questione senza limiti o pregiudizi. Un uno contro tutti che questo formidabile talento della politica ha trasformato in un (quasi) tutti per lui. Sì, dopo averlo osservato bene dal vivo – e senza essere mai stato un sostenitore del Movimento 5 stelle, specie nella sua frangia più estremista (o populista che dir si voglia) – posso affermare di essermi trovato di fronte a un signore capace come nessun altro di trasformare in consensi e applausi qualunque sua affermazione, anche la più discutibile.

In una parola si tratta di carisma, che deriva dal greco antico “kharis” (grazia). La si può alimentare e dirigere in direzioni più o meno opportune, ma fondamentalmente si tratta di una dote con cui si nasce. Non è tanto una dote oratoria (Di Battista parla bene ma non è Pericle), né in senso stretto politica (perché finora si è tenuto ben lontano dal dimostrare cosa può fare di concreto per migliorare la società attuale). Al momento è un talento, una straordinaria potenzialità che non vedo in nessuno dei leader politici attualmente in campo.

Insomma, se il primo partito italiano è quello dell’astensione, e se molti di coloro che hanno comunque espresso il proprio voto lo hanno fatto turandosi il naso, Alessandro Di Battista ha parecchie delle carte in regola che servono per dare la sterzata a un sistema politico perlopiù inviso, stagnante e incapace di reagire allo strapotere della finanza.

Il problema è che per ora sembrano carte individuali, legate esclusivamente alla sua persona e alle straordinarie doti comunicative di cui sopra. Non che Di Battista non abbia espresso posizioni politiche: contro la guerra in Ucraina e l’ipocrisia di una Nato che colpisce le ingiustizie soltanto quando gli fa comodo (lasciando fare a Israele il bello e cattivo tempo contro i palestinesi invasi). A favore di una democrazia diretta sul modello svizzero, in cui i cittadini siano chiamati a partecipare fattivamente alle decisioni governative tramite l’ausilio delle tecnologie mediatiche (vecchio pallino di Casaleggio senior). Sostenitore del fatto che viviamo in un mondo capovolto, dove si parla di dare il premio Nobel al belligerante Zelensky (cameriere della Nato) e si incarcera Julian Assange, paladino e martire della verità.

Il problema è che si tratta di “posizioni” politiche – per quanto mi concerne ampiamente condivisibili – ma appunto posizioni e non proposizioni. A mancare è la parte costruttiva e progettuale, la visione dell’Italia e del modello sociale che si intende costruire. È riduttivo affermare che ormai “destra e sinistra sono senza senso, perché la vera divisione è fra chi sta in alto e chi in basso”. Riduttivo, perché se intendi ridurre la forbice fra i troppi che stanno in basso e i pochissimi che stanno in alto devi elaborare una proposta programmatica che puoi anche non chiamare “destra” o “sinistra”, ma che inevitabilmente richiede una base ideologica nel senso edificante del termine.

Insomma, se Di Battista non vuole restare un’eterna promessa, né bruciarsi rovinosamente come ha fatto il Movimento 5 Stelle, a mio avviso deve evitare i due errori principali dei grillini. Quindi fornirsi di basi anche teoriche e programmatiche, nonché pensare a un sistema di selezione della classe dirigente del suo movimento, in cui al contrario di quanto avviene nel Paese (e ancor più nella politica odierna), siano premiati e valorizzati il merito e le competenze.

È un lavoro fondamentale, perché se anche Giorgia Meloni dovesse essere ingabbiata dalle maglie strette della finanza e delle istituzioni sovranazionali, a quel punto la gente non saprebbe davvero più per chi votare. E a che santo votarsi.

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giovedì 13 ottobre 2022

A La Russa almeno 17 voti “extra”: i sospetti su Renzi (che accusa il Pd e Franceschini). Conte: “Guardate chi ha lanciato il primo sasso…”

Contro ogni pronostico, la 19esima legislatura si apre con un giallo della stanza chiusa. E gli “assassini” sono almeno 17: è il numero di voti estranei al centrodestra decisivi per far eleggere Ignazio La Russa alla presidenza del Senato, nonostante il forfait quasi completo di Forza Italia. I numeri da cui partire sono quelli dell’alleanza che ha vinto le elezioni: Fratelli d’Italia ha 66 senatori, la Lega 29, Noi Moderati 2, il partito di Silvio Berlusconi 18. Degli azzurri, però, hanno partecipato al voto soltanto in due (Berlusconi e Maria Elisabetta Alberti Casellati) a causa dello stallo sulla formazione della squadra di governo, dovuto al rifiuto di Giorgia Meloni di concedere un posto da ministro a Licia Ronzulli. La maggioranza, così, si sarebbe dovuta fermare a 99 voti. La Russa però ne ha raccolti 116, 17 in più, senza contare i due voti – quasi sicuramente leghisti – andati a Roberto Calderoli, che fanno salire il numero dei potenziali franchi tiratori a 19. Da dove arrivano? I principali indiziati sono i nove senatori di Azione-Italia viva, che però da soli non bastano. E dal minuto dopo il voto è partito lo scambio di accuse reciproche tra Matteo Renzi, Carlo Calenda, l’ala del Pd che fa riferimento a Dario Franceschini (la corrente AreaDem) e il Movimento 5 stelle di Giuseppe Conte. Sullo sfondo la partita dei vicepresidenti (quattro per ogni Camera, di cui due spettanti alle opposizioni) che saranno eletti la settimana prossima: dall’esito si potrà capire qualcosa di più della dinamica andata in scena oggi a palazzo Madama.

Azione-Italia viva – Che i voti di Renzi e Calenda siano andati a La Russa lo dà per scontato in primis Silvio Berlusconi. “Sapevamo che La Russa lo avrebbero votato Renzi, Azione e i senatori a vita. Avevamo fatto i calcoli che sarebbe passato lo stesso”, ha detto alle telecamere. Riferimento piuttosto chiaro anche da parte del segretario dem Enrico Letta: “Irresponsabile oltre ogni limite il comportamento di quei senatori che hanno scelto di aiutare dall’esterno una maggioranza già divisa e in difficoltà. Il voto di oggi al Senato certifica tristemente che una parte dell’opposizione non aspetta altro che entrare in maggioranza“, scrive su Twitter. Dopo pochi minuti – come sempre – gli risponde con lo stesso mezzo l’ex alleato Calenda: “Sì Enrico. La tua. Noi 19 voti non li abbiamo. E siccome queste cose si vengono sempre a sapere alla fine, ti consiglio di cancellare questo tweet. Invecchierà male”. Sicuri anche Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, leader dell’Alleanza Verdi e Sinistra: “L’impressione è che il cosiddetto terzo polo si sia messo a disposizione dei vincitori, permettendo che un collezionista del Ventennio assumesse la seconda carica dello Stato. Nessuno stupore tuttavia: non è che l’inizio della loro marcia di avvicinamento al potere“. A rafforzare i sospetti sui centristi ci sono le innumerevoli dichiarazioni degli ultimi giorni in cui esponenti di Azione e Italia viva assicuravano un’opposizione “costruttiva” e “senza pregiudizi”, nonché la circostanza che pochi giorni fa Matteo Renzi e Daniela Santanché siano stati avvistati a cena insieme al ristorante Casa Cipriani a Milano. Alla vigilia del voto, poi, il leader di Iv denunciava un “accordo tra Pd e M5s per lasciare fuori il terzo polo dalle cariche che spettano alle opposizioni”, in particolare dalle vicepresidenze: il soccorso alla maggioranza potrebbe essere stato un modo per assicurarsi almeno una casella.

Pd e “franceschiniani” – Renzi però non ci sta. E butta la palla nel campo del proprio ex partito, accusando in particolare il potente ministro della Cultura e leader della corrente AreaDem. “Oggi noi in Senato abbiamo votato scheda bianca. L’elezione di La Russa nasce da un regolamento di conti interno alla destra e prima ancora dalla folle strategia delle alleanze del Pd e di Enrico Letta”, twitta. E poi ai cronisti afferma: “Non è che ogni volta che succede qualcosa sono stato io, purtroppo. Chi mi conosce lo sa, se fossi stato io l’avrei rivendicato e soprattutto avrei portato a casa qualcosa. Chi dice che siamo stati noi a votare La Russa per avere la vicepresidenza non capisce che per averla dovrebbero dire di sì anche il Pd e il M5s, e non ce lo diranno mai”, sostiene, senza precisare però che potrebbe essere la maggioranza a rinunciare a uno dei suoi quattro vicepresidenti in segno di “gratitudine” per il voto di oggi. Poi racconta di averne parlato a lungo in aula con Dario Franceschini: “Diciamo che Dario è un ragazzo intelligente“, ammicca. Il diretto interessato nega risolutamente: “Chi ha votato La Russa? Le persone che non sanno bene cosa è la politica. Oggi avevamo l’occasione di mettere in difficoltà la maggioranza”, dice ai cronisti. “Ho un’opinione su chi sia stato, ma me la tengo. Non devo giustificarmi io, ho una storia politica che parla da sola”. E respinge la voce secondo cui il suo “movente” sarebbe proprio andare a fare il vicepresidente di Palazzo Madama: “Nessuna intenzione né disponibilità. Chi fa circolare queste voci lo fa solo per seminare sospetti e zizzania“. Che nemmeno i dirigenti dem si fidino troppo dei loro eletti, però, lo dimostra l’ipotesi di indicare un nome di bandiera per le prossime votazioni del presidente della Camera – come sempre accaduto nelle legislature in cui il centrosinistra è stato minoranza – mentre alle prime chiame i deputati Pd hanno votato scheda bianca (un inedito).

M5s – Dal canto loro, i pentastellati – secondo maggior gruppo dell’opposizione – negano qualsiasi aiuto al centrodestra e sospettano sia dei renziani sia dei dem. Ma nello stesso tempo rimpiangono anche loro di non aver votato un nome di bandiera, che avrebbe consentito di escludere alla radice ogni sospetto di “aiutini” a La Russa. “Primo giorno di legislatura e per qualcuno è già cominciata la finta opposizione fatta dei soliti giochini di palazzo“, rimarcano dubito dopo il voto dal Movimento di Giuseppe Conte. E il vicepresidente Riccardo Ricciardi poi afferma in chiaro: “Voti a La Russa dal M5s? Assolutamente no. È un insulto anche solo dirlo, il M5S è una forza seria. Il maestro di questi giochini è Renzi, a casa mia il primo che parla è colpevole, e poi probabilmente parte del Pd. Il centrodestra è già spaccato: dimostrano di essere un cartello elettorale. Parte del Pd e il Terzo polo sono venuti in soccorso della maggioranza”. Dopo qualche ora, intercettato dai cronisti in Transatlantico, parla anche Conte: “Guardate chi ha lanciato il primo sasso e si capirà chi è stato…”, dice, in un chiaro riferimento a Renzi e alle sue polemiche preventive. E a chi gli chiede se i voti a La Russa siano stati dati contro il M5s risponde: “Non mi sorprenderebbe. C’è una spinta a coalizzarsi contro di noi, ma non ci spaventiamo”.

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Senato, Conte: “Voti a La Russa da parte del M5s? Non scherziamo”

Giuseppe Conte ha lasciato Montecitorio dopo aver votato per l’elezione del presidente della Camera. Incalzato sulla possibilità che dei voti a Ignazio La Russa siano arrivati dal Movimento 5 stelle risponde secco: “Non scherziamo. È del tutto evidente”.

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mercoledì 12 ottobre 2022

Renzi: “Accordo Pd-M5s per escluderci dalle cariche dell’opposizione. Molinari presidente della Camera? Non lo votiamo”

“Il fatto che Pd e Movimento 5 Stelle si siano blindati è gravissimo, persino sulle questioni istituzionali”. Ad attaccare è il senatore e leader di Italia Viva, Matteo Renzi, nel corso della presentazione del libro di Claudio Cerasa “Le catene della destra“, a Roma. “Ci sono otto vice presidenze tra Camera e Senato, buona norma vuole che tutte le opposizioni siano rappresentate. Quest’oggi il Pd e il 5 stelle, senza rispettare le regole istituzionali che prevedono un accordo Pd-5 stelle-Terzo polo, hanno deciso di fare cappotto e prendere tutte le figure in un asse blindato contro il naturale diritto istituzionale del Terzo polo. Una visione gravissima, che troveremo il modo di fare valere nei prossimi giorni in tutte le sedi”, ha accusato.

All’opposizione ognuno va per sé. I posizionamenti sulle iniziative per la pace hanno fatto da termometro alle distanze: ogni forza ha puntato su una manifestazione diversa. E anche la scelta delle cariche istituzionali che spettano alla minoranza si annuncia come un nuovo terreno di scontro. Alla prima seduta del Parlamento ci saranno le votazioni per i presidenti di Camera e Senato, che andranno alla maggioranza. Letta ha annunciato scheda bianca e anche Renzi ha detto di ritenere quella strada “opportuna“. Il presidente di Iv Ettore Rosato, però, a “Un giorno da pecora” ha ventilato mosse a sorpresa, non escludendo che alla Camera il Terzo Polo possa votare per un candidato della Lega, se fosse Giancarlo Giorgetti o Riccardo Molinari. Uno scenario che invece ora Renzi allontana: “Se mi sento di escludere un voto a Molinari? Persona competente, ma non lo votiamo”, taglia corto Renzi.

Se i presidenti saranno di maggioranza, alla minoranza spettano due vicepresidenti di Montecitorio e due di Palazzo Madama, oltre a una serie di altri ruoli fra questori e segretari d’Aula. Due vicepresidenti (uno alla Camera e uno al Senato) dovrebbero andare al Pd (primo partito di opposizione). Se Renzi dice il giusto, gli altri due dovrebbero andare al M5s. “Ma non si tratterebbe di ferita istituzionale – spiegava un parlamentare Pd in Transatlantico – bensì di rispetto delle proporzioni fra gli eletti di Pd e M5s e quelli del Terzo polo. Iv e Azione possono puntare al questore della Camera o a un paio di segretari“. Letta ha gettato acqua sul fuoco: “Il negoziato con gli altri gruppi comincerà nei prossimi giorni”. Anche perché la partita non si ferma lì. Ci sono pure le presidenze delle commissioni. Le più ambite sono il Copasir e Vigilanza Rai.

Per le vicepresidenze del Senato si parla per il Pd di Anna Rossomando o di Dario Franceschini, per il M5s di Stefano Patuanelli. Per la Camera per il Pd di Nicola Zingaretti e Debora Serracchiani.

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M5s, Appendino alla Camera per la prima volta: “Qui per difendere chi è maggiormente in difficoltà” – Video

“Sono emozionata perché è un grandissimo onore ed è una grande responsabilità essere qui”. Così la neodeputata M5s, Chiara Appendino, entrando alla Camera per la registrazione. “Gli elettori ci hanno dato un mandato molto chiaro che è quello di stare vicino a chi è maggiormente in difficoltà, quindi difendere alcuni strumenti come il superbonus e il reddito di cittadinanza. Ma soprattutto, oggi, lavoreremo sul caro bollette, quindi risorse fresche come ha fatto il presidente Conte durante la pandemia da destinare a famiglie e imprese – ha continuato rispondendo alla domanda su quale sarà la sua prima proposta da deputata -. In quale commissione spero di entrare? Vedremo, non abbiamo ancora discusso di nulla. Siamo un bel gruppo, decideremo assieme”.

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Calenda a De Pascale (Pd): “Sono uscito dal vostro partito perché avete fatto il Conte Due col M5s”. “Lo volle Renzi, eppure lo hai perdonato”

“Io sono uscito dal Pd col governo Conte Due e credo che quello sia stato l’errore drammatico, perché saremmo dovuti andare alle elezioni. Eravamo di fronte al fallimento del governo populista e bisognava combattere alle elezioni i populisti. Se avessimo fatto quella cosa, i 5 Stelle sarebbero stati al 7% e Conte non sarebbe mai esistito come figura politica“. Sono le parole pronunciate al Festival delle Città dal leader di Azione, Carlo Calenda, che riceve due immediate repliche.
La prima è di un signore del pubblico, che grida: “Sì, e avremmo avuto Salvini come presidente del Consiglio“.
La seconda è del sindaco dem di Ravenna, Michele De Pascale, che risponde: “Veramente il primo a lanciare l’iniziativa del Conte Due è stato recentemente perdonato da Calenda, cioè Matteo Renzi. Quindi, visto che lei perdona, guardiamo al futuro”.

Calenda risponde innanzitutto al signore che è insorto: “Beh, avete fatto una operazione meravigliosa, perché avete messo la Meloni, che è molto meglio di Salvini“. E aggiunge: “L’intervento di questo signore fa capire chiaramente che, se dovesse cadere questo governo, non si andrebbe a nessuna elezione, soprattutto perché non ci vogliono andare i parlamentari, altrimenti si tagliano la gola – continua – È vero che io ho sostenuto il governo Draghi, ma il Conte Due è stato fatto da una forza politica che aveva costruito il suo successo elettorale dicendo che il Pd era un branco di ladri e di delinquenti che rubavano i bambini. E quella roba lì è stata un atto di trasformismo che ha completamente allontanato un pezzo di elettori del Pd. È stata una cosa davvero incomprensibile”.

Calenda poi replica a De Pascale: “Hai perfettamente ragione e infatti su questo con Renzi sono stato più duro che mai. Quello è stato un errore totale, per dentro il Pd c’è ancora una tentazione di andare con tutti al governo. Dopodiché rimane una scelta: tu sei un sindaco del Pd che si sta battendo per fare il rigassificatore. A Roma, che fa schifo peggio di prima, c’è un sindaco del Pd che vuol fare il termovalorizzatore. Queste cose qua non le fate col M5s. E a un certo punto ‘sta roba ve la dovete far uscire di bocca – conclude – perché se non si fanno le alleanze sulle cose da fare, le persone non ci votano più e pensano che siamo un branco di matti. Allearsi oggi col M5s versione Conte, che dice no a tutto, non ha nessun senso, perché significa non fare le cose. E non è vero che il M5s è di sinistra: è qualunquista, tendenzialmente di destra e si salda con la destra. Non ha niente a che fare coi progressisti”.

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Gualtieri: “Il campo largo col M5s ha lavorato bene ma dipende dal contesto. A Roma era impossibile alleanza perché Raggi ha operato male”

Campo largo col M5s? Dipende dal contesto. A Roma non aveva senso allearsi con il M5s, c’era un sindaco uscente che aveva lavorato molto male. Nella Regione Lazio invece la maggioranza, che comprende peraltro anche Renzi e Azione, ha lavorato molto bene e senza mai litigare. Quindi, è meglio non dire ‘o mi alleo con uno o con l’altro’. Bisogna fare questi ragionamenti in modo laico“. Sono le parole del sindaco di Roma Roberto Gualtieri, intervenendo al Festival delle Città.

L’ex ministro del governo Conte Due si definisce ‘dispiaciuto’ per il mancato voto del M5s al governo Draghi: “È una scelta che non ho condiviso. Perché lo ha fatto? Non lo so. Ma insomma secondo me abbiamo un po’ ereditato dalla stagione precedente l’idea secondo cui un’alleanza significhi identificazione. Non è così. L’alleanza per definizione la fai con chi è diverso da te – chiosa – Non è che uno si allea e fa anche cose importanti, poi deve per forza amalgamarsi. È un atteggiamento che vedo e che trovo proprio incomprensibile. Quello è stato già fatto quando abbiamo adunato le forze dell’Ulivo, fondando il Pd. Al contrario, tra forze diverse dobbiamo trattarci in modo adulto“.

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martedì 11 ottobre 2022

La marcia per la pace lanciata da Conte? Le contromosse di Letta e Calenda: il sit-in all’ambasciata russa e la piazza a Milano

Carlo Calenda annuncia “una grande manifestazione a Milano“, mentre Enrico Letta parteciperà al sit in davanti all’ambasciata russa a Roma. Così il leader di Azione e il segretario del Partito democratico preparano le contromosse alla marcia per la pace lanciata dal presidente M5s Giuseppe Conte. Mentre Arci e Acli lavorano a mettere a punto la manifestazione pacifista di novembre, preceduta dalla tre giorni dal 21 al 23 ottobre della Rete per la pace e il disarmo, Calenda critica l’iniziativa e decide di farsene una tutta sua: “Conte porterà in piazza le persone che sono a favore della resa degli ucraini e quindi non della pace, perché se tu voti contro l’invio delle armi e contemporaneamente chiedi la pace stai chiedendo la resa”, sostiene il leader di Azione parlando ai giornalisti in Senato. “Noi siamo invece per il supporto agli ucraini e contemporaneamente per l’apertura di un negoziato che non li porti alla resa ma che nasca dal fatto che si riconosce che l’invasione russa è stata fermata e deve continuare ad essere fermata”, aggiunge Calenda.

Letta invece parlando con LaPresse usa parole sibilline: “Noi partecipiamo a tutte le iniziative che vogliono ribadire la necessità della pace e ovviamente a tutte quelle in cui viene dato il segnale del fatto che c’è una responsabilità chiara da parte della Russia”. dice. E giovedì, alle 18.30 sarà alla mobilitazione lanciata da un gruppo di sigle pro Ucraina sotto l’ambasciata di Mosca. Se l’obiettivo è unire il fronte interno – evitando partecipazioni di iscritti dem alla piazza nazionale – l’effetto è dividere il fronte pacifista. Mentre il presidente M5s Giuseppe Conte torna a respingere le accuse di una linea “morbida” verso la guerra di Putin: “La nostra posizione non è ambigua: ferma condanna della Russia, anche degli ultimi attacchi missilistici, e sostegno alla popolazione ucraina a cui riconosciamo il diritto all’autodifesa. Ma il problema è che è scomparso il negoziato di pace che per noi e l’unica via d’uscita. Vogliamo una grande conferenza di pace sotto l’egida delle Nazioni Unite e con il sostegno della Santa sede”. E a chi gli chiede se andrà anche al presidio di giovedì risponde: “Se è una manifestazione del Pd no, adesso ce n’è una nazionale aperta a tutti senza cappelli politici. Specificando però che “qualsiasi manifestazione per la pace è benvenuta”.

“Usano in modo vergognoso l’accusa di filo-putinismo come una clava per soffocare qualsiasi democratico confronto. Perfino quando abbiamo invocato una discussione in Parlamento, come si addice a una democrazia parlamentare, ci siamo scontrati con un muro governativo insormontabile”, ha spiegato ancora Conte. “Sono ormai sette mesi di guerra. Una guerra – ha proseguito – combattuta qui in casa nostra, in Europa, di cui ormai siamo pienamente partecipi per quanto riguarda gli aiuti militari, gli aiuti umanitari, gli impegni economici. Una guerra però di cui sembriamo tutti rassegnati a subire passivamente le conseguenze. Siamo sull’orlo di un rischio nucleare. Ma non c’è nessuna discussione sulla strategia, sugli obiettivi politici che stiamo perseguendo, sugli scenari geo-politici che si stanno delineando. L’unica cosa certa di questa strategia è che si è puntati su un’escalation militare e non su un negoziato di pace. Un diffuso interventismo bellicista prova a rintuzzare qualsiasi discussione. Un finto patriottismo cerca di mettere la mordacchia a qualsiasi interrogativo, a qualsiasi tentativo di discussione“, ha concluso il presidente dei Cinque stelle.

A Roma il 5 novembre circa 500 realtà sociali e sindacali scenderanno in piazza per rivendicare pace ma anche diritti e lavoro al grido “Non per noi ma per tutte e tutti”. La pace in primis dunque condizione necessaria per tornare a parlare di lavoro: perché “se vogliamo costruire un’economia di pace dobbiamo cambiare il modello produttivo. La pace oggi è la parola più rivoluzionaria che possiamo esprimere”. Ad aderire alla manifestazione anche Baobab Experience: “Quello che lega tutte queste diverse realtà – ha spiegato la portavoce Alice Basiglini – è l’esempio, il simbolo di quello che si può fare e di ciò che lo Stato non ha fatto”. A Roma sarà presente il 5 anche la Fiom: “Serve un intervento straordinario subito – ha spiegato il segretario generale Michele De Palma – come è avvenuto per la pandemia altrimenti c’è il rischio del fermo delle piccole e medie imprese. Nessuno si salva da solo, dobbiamo costruire alleanze. C’è il forte rischio tra i lavoratori di individualismo e corporativismo”. Il sindacalista ha ricordato che il 21, 22 e 23 ottobre la Rete italiana pace e disarmo organizzerà iniziative in tutte le città, perché “è indispensabile costruire una mobilitazione ampia di carattere europeo”. Poi la grande manifestazione per al Pace a cui stanno lavorando Arci e Acli e tutte le associazioni della Rete per la pace e il disarmo.

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Calenda ancora contro la manifestazione per la pace del M5s: “Ne faremo una per ribadire il supporto all’Ucraina”

“La manifestazione per la pace del M5s è per la resa dell’Ucraina e noi non parteciperemo ma opporremo una manifestazione per ribadire il supporto all’Ucraina. Abbiamo invitato Pd ed +Europa, ma non sono pervenuti così come per le bollette. Devono decidere cosa sono”. Lo ha dichiarato il leader di Azione e nuovo senatore della Repubblica Carlo Calenda entrando a Palazzo Madama.

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lunedì 10 ottobre 2022

Caro bollette, Fassina: “Vanno fermate banche centrali, stanno aggravando recessione e disoccupazione. E i governi fanno finta di niente”

Caro energia? Si deve fare quello che il ministro Cingolani ha ritardato a fare: innanzitutto separare il prezzo dell’elettricità prodotta dal gas da quella prodotta da fonti rinnovabili. È stato fatto ad aprile da Spagna e Portogallo, da noi si poteva fare e non è stato fatto. Poi bisogna detassare gli extra profitti che ammontano a circa 80 miliardi. Va fatto un piano di razionamento dell’energia perché, nonostante le favole dei depositi pieni, avremo dei problemi di razionamento. Vanno fermate le banche centrali, che stanno aggravando la recessione e la disoccupazione. Trovo allucinante che nessuno metta in evidenza questo dato”. Sono le parole pronunciate ai microfoni de “L’Italia s’è desta” (Radio Cusano Campus) dall’ex parlamentare Stefano Fassina, che sottolinea: “Le banche centrali stanno generando disoccupazione, lo ha denunciato ieri anche il Financial Times con un articolo che evidenziava i costi sociali determinati volontariamente e programmaticamente dalle banche centrali. E i governi fanno finta di non accorgersene. Questo è gravissimo. Le banche centrali vanno fermate attraverso interventi sui prezzi e questo è compito della politica. Siamo in un’economia di guerra, ma si fa una politica economica come se fossimo in un fase ordinaria. La guerra la stanno pagando le lavoratrici e i lavoratori”.

Frecciata di Fassina ai tifosi dell’invio delle armi in Ucraina: “Tanti sbandierano questi grandi ideali di solidarietà e di sostegno alla libertà, ma intanto i costi della guerra vengono pagati dai lavoratori. Se vogliamo essere davvero solidali, dobbiamo prima cercare la pace negoziando col nemico, perché la pace si fa col nemico, non con chi sta dalla tua parte. E, in secondo luogo, bisogna distribuire in modo equo i costi. Basta con quelli che si fanno belli con gli ideali e poi scaricano sugli ultimi i costi della guerra. È inaccettabile”.
Riguardo al prossimo ministro dell’Economia, Fassina osserva: “Auspico che venga messo un politico e non un tecnico. Non è vero che a destra non ci siano figure all’altezza. Per esempio ritengo che Giancarlo Giorgetti abbia l’esperienza, la competenza e l’equilibrio per svolgere quel ruolo. Non vedo perché non potrebbe farlo. Ricordo che l’economia non è tecnica, l’economia è politica: nasce come disciplina morale. Quelli che invocano un tecnico al ministero dell’Economia nascondono il segno ideologico e sociale delle politiche che si fanno. Non c’è nulla di tecnico in economia”.

L’ex deputato di LeU si sofferma a lungo sul suo sostegno al M5s: “Io e altri ex parlamentari di sinistra non ci siamo più ricandidati a causa della rottura tra Pd e 5 Stelle e abbiamo dato vita ad un’iniziativa verso il M5s guidato da Conte. Vogliamo contribuire a ricostruire un’alleanza progressista. Sabato 22 a Roma faremo un’assemblea nazionale che vedrà come protagonisti tanti che vengono da un percorso di sinistra ecologista e pacifista. E con Conte espliciteremo questo rapporto politico. Il divorzio tra Pd e M5S non doveva esserci. Il Pd ha fatto un errore grave a erigere il governo Draghi come spartiacque di questa fase. Il M5s ha portato avanti un’agenda di sinistra che noi vogliamo sostenere – spiega – a partire dal salario minimo e dalla questione della pace. Trovo sorprendente che di fronte a minacce di escalation nucleare ci sia un atteggiamento così rassegnato da parte di certa sinistra, mentre dal M5s e da noi viene una forte richiesta di un negoziato e di pace, in sintonia con le richieste espresse in grande solitudine da Papa Francesco. Siamo in una fase in cui sinistra è chi sinistra fa, non si vive di rendita per quello che si è ereditato dal passato. E in questo momento il partito che ha l’insediamento sociale tipico della sinistra è il M5s”.

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sabato 8 ottobre 2022

Ucraina, Cacciari a La7: “Ci stiamo avvicinando alla catastrofe e c’è un clima interventista. Ma siamo impazziti? Bisogna parlare di pace”

Certo che occorre parlare di pace. E di cosa vogliamo parlare? Di guerra atomica? C’è un clima interventista e si parla con indifferenza di guerra atomica, come se fosse un caso. Ma che roba è? Siamo impazziti?”. È il monito lanciato a “Otto e mezzo” (La7) dal filosofo Massimo Cacciari a tutti i partiti e in particolare al centrosinistra, di cui stigmatizza “la catastrofe culturale ampia e profonda, mai affrontata e messa in discussione”, anche in merito alla guerra.

“È chiaro che bisogna costruire la pace – continua Cacciari – è evidente che tutti debbano chiedersi come arrivare alla pace o a un armistizio al più presto, e non solo i 5 Stelle. Ci stiamo veramente avvicinando alla catastrofe, non so se è chiaro. Di cosa bisogna parlare se non di pace? Ma siamo matti?”.

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venerdì 7 ottobre 2022

M5s, Fico: “Il presidenzialismo non dà risposte ai problemi degli italiani. Reddito di cittadinanza? Va rafforzato e migliorato”

“Il Pd? Sta affrontando una fase di riflessione, faranno la loro strada”, così il presidente della Camera, esponente del Movimento 5 stelle Roberto Fico. Fico parla di pace e sottolinea che è “molto importante parlarne” e “cercare una soluzione” pur “rimanendo sempre nella collocazione del patto atlantico e dell’Unione europea”. “Presidenzialismo? – continua Fico parlando con i giornalisti – mi sono espresso già in passato, non credo sia la soluzione dei problemi italiani. Credo che la centralità del parlamento aiuti a trovare sintesi migliori, noi siamo una democrazia parlamentare e credo vada rafforzato questo concetto e non sviluppati altri, mi sembrano facili soluzioni a problemi complessi”. Infine l’esponente M5s conclude: “La riflessione sul reddito di cittadinanza è importante, è una misura che ha aiutato tante persone anche in pandemia. Va rafforzato e anche migliorato”. applicata sulla dimensione delle politica attive”.

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giovedì 6 ottobre 2022

Stanze del consumo sicuro e drug checking: le nuove linee guida sulle dipendenze presentate dalla ministra Dadone

Dopo un anno di lavoro, avviato dalla ministra per le politiche giovanili Fabiana Dadone con la Conferenza nazionale di Genova, il nuovo Piano di Azione Nazionale dipendenze (Pand) 2022-2025 è pronto per essere presentato. La data è quella del 12 ottobre prossimo, alla Conferenza unificata tra Stato e Regioni. Un piano che i territori dovrebbero approvare poco prima che si insedi il nuovo governo, dopo oltre 12 anni di silenzio istituzionale sull’argomento. Risalgono al 2009, infatti, le ultime linee guida delle politiche sulle droghe. Le aveva scritte Giovanni Serpelloni, allora capo del Dipartimento delle politiche antidroga voluto da Carlo Giovanardi.

Tra le 220 pagine del Pand ci sono alcune novità, in linea con la legislazione italiana vigente e con l’esempio di alcuni Paesi come Germania, Spagna, Francia, Paesi Bassi e Norvegia. Tra queste ci sono il riconoscimento delle politiche di riduzione del danno che dal 2017 sono entrate nei Livelli essenziali di assistenza. Queste prevedono di limitare le negative conseguenze sulla salute, sociali ed economiche, derivate dall’uso di droghe, senza ridurre necessariamente il loro consumo. Sono presenti, inoltre, la sperimentazione in tre città italiane delle stanze del consumo sicuro – chiamate comunemente stanze del buco – e il drug checking che dà agli utenti la possibilità di scoprire il contenuto e la purezza delle sostanze che intendono consumare.

La ministra M5s Dadone, che ha la delega alle politiche antidroga, ha sottolineato che il nostro Paese “non è fra i più aggiornati” . Attraverso il confronto con gli esperti dell’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze “è emerso forte il bisogno di sperimentare l’efficacia di alcune tipologie di servizi a oggi poco presenti o del tutto assenti. Drug checking e sperimentazioni delle stanze del consumo fanno parte delle proposte emerse. Un approccio al tema del consumo tra il medico e il culturale“, già sperimentato in Europa.

Molto critico sul Pand il partito della presidente del consiglio in pectore, Giorgia Meloni. Fratelli d’Italia, per bocca di Maria Teresa Bellucci, deputata responsabile nazionale del dipartimento dipendenze e terzo settore, chiede che venga stralciato dall’ordine del giorno. Per la parlamentare si tratta di “un lavoro fatto male di un Governo dimissionario, inattuabile e confusionario” e realizzato in fretta “in poco più di due mesi”. Bellucci contesta la volontà di “normalizzazione dell’uso delle droghe”, facendo passare il messaggio che “drogarsi è una scelta”. Per la deputata di FdI “la riduzione del danno è fine a se stessa: io ti aiuto a drogarti in maniera tale che tu non muoia”, come testimonia l’approccio di “valorizzare” le stanze del consumo e i drug checking. Per Bellucci prima occorre riformare la legge 309, il testo unico sugli stupefacenti del 1990: “Una legge che ha un approccio assolutamente anacronistico visto che in 30 anni è cambiato tutto”. Solo dopo si dovrebbe varare un Piano, ma completamente nuovo.

Dura la replica di Dadone, secondo la quale il partito della Meloni, parlando di normalizzazione del consumo di stupefacenti, sta svilendo “un lavoro importante e condiviso, buttandola in caciara“. Nel piano è scritto che il drug checking è “un servizio integrato che permette, oltre all’analisi chimica della sostanza, un counselling specifico e focalizzato sulle esigenze della persona” e viene definito “un ottimo strumento di aggancio precoce per popolazioni che non entrano mai in contatto con i servizi” e “di prevenzione di intossicazioni inconsapevoli”. Le stanze del consumo sicuro nel Piano vengono definiti “spazi attrezzati” che garantiscono, tra l’altro, “condizioni igieniche e sanitarie tali da prevenire la trasmissione di patologie e un pronto intervento in caso di overdose grazie al supporto di personale sociosanitario”. Sul futuro del provvedimento Dadone ha dichiarato: “Ora starà anche a chi mi succederà anteporre le esigenze di chi opera ogni giorno alle proprie opinioni personali”.

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mercoledì 5 ottobre 2022

Lombardia, la presidente dell’Antimafia (eletta col M5s): “Sostengo Meloni”. E i membri di Pd e Movimento si dimettono dalla commissione

Se il saluto romano non è costato a Romano La Russa il posto da assessore della giunta lombarda, il voto che lo ha salvato porta i suoi primi effetti. Al Pirellone non è passata inosservata l’astensione della presidente della commissione speciale Antimafia Monica Forte, eletta con il M5s, da cui è uscita un anno fa per iscriversi al gruppo misto. Un’astensione motivata, tra le altre cose, con un’apertura di credito a Giorgia Meloni risultata indigesta ai consiglieri regionali del suo ex partito e del Pd, che hanno deciso di abbandonare i lavori della commissione finché sarà lei a presiederla: “Lasci la poltrona”, la loro richiesta. In aula, infatti, Forte aveva definito il gesto di La Russa “certamente inopportuno”, ma aveva detto di non condividere “questo continuo innalzamento del livello dello scontro iniziato durante la campagna elettorale per le elezioni politiche, in quanto ci troviamo in assenza di un pericolo concreto di ritorno del fascismo”. Dopodiché si era lanciata in quello che alle minoranze è sembrato un qualcosa di molto vicino a un endorsement a favore della leader di Fratelli d’Italia: “Sono convinta che le persone vadano misurate e valutate sul loro operato, e mi riferisco a Giorgia Meloni, che, come donna, non posso che sostenere. Se come prossima presidente del Consiglio sbaglierà, la prossima volta che vedremo una donna ricoprire quel ruolo sarà tra duecento anni, quindi non posso che augurarmi che faccia bene, non solo in quanto donna, ma nell’interesse del Paese”.

Parole come gocce che han fatto traboccare un vaso che ribolliva da un po’. Lo si capisce dalla nota con cui il M5s ha annunciato il ritiro dalla commissione Antimafia del proprio consigliere Ferdinando Alberti: si fa riferimento a chi ha “utilizzato i nostri valori e le nostre idee come un taxi per entrare nelle istituzioni, salvo poi comportarsi in maniera opposta” e alle “plurime sbandate della consigliera Forte”, a cui ora viene chiesto di lasciare la presidenza della commissione “in considerazione della sua nuova collocazione politica”. Un chiaro riferimento alle voci che circolano da settimane e danno Forte in procinto di entrare nei ranghi di una lista civica a cui starebbe lavorando la vicepresidente regionale Letizia Moratti. “Non possiamo restare indifferenti di fronte alla slabbratura istituzionale consumatasi ieri con il voto di astensione”, continua il comunicato. “La consigliera Forte è ovviamente libera di mettere la sua professionalità al servizio della coalizione di centrodestra che ora governa il Paese, abbia però il coraggio di comunicarlo formalmente. Altrimenti, sarebbe logico pensare che l’unica ragione a trattenerla sia l’esigenza di non lasciare la poltrona di presidente della commissione Antimafia. Presidenza, è bene ricordare, raggiunta grazie ai voti della minoranza e grazie al voto degli elettori del M5s”. Dalla commissione si sono dimessi anche i due membri del Pd, Gian Antonio Girelli e Angelo Orsenigo, che denunciano “il disagio nei confronti della gestione personalistica della commissione da parte della sua presidente, espressione delle minoranze con le quali ha da tempo tagliato i ponti, fino alla plateale presa di distanza, ieri in consiglio, sulla mozione di censura all’assessore La Russa”.

Consigliera preparata, Monica Forte si era fatta le ossa nello staff della ex consigliera del M5s Silvana Carcano, prima di essere eletta lei stessa nel 2018. Un anno fa, all’indomani del flop dei 5 Stelle alle comunali di Milano, aveva lasciato il Movimento annunciandolo con un post su Facebook in cui criticava la linea dettata da Giuseppe Conte: “Questa non è l’evoluzione del Movimento 5 stelle, questo è il nuovo partito di Conte che, a iniziare dallo Statuto e continuando con la comunicazione e con la gestione delle amministrative, nulla ha a che vedere con il Movimento”. Da lei, finora, nessun commento né sulle dimissioni dalla commissione dei consiglieri di M5Sse Pd, né sulle voci che la danno ormai vicinissima al centrodestra e alla Moratti. Dal suo staff si limitano a dire che “in questi mesi non si è occupata del suo prossimo collocamento politico. È concentrata sul lavoro della commissione Antimafia”. Ma non è un caso che a sua difesa si ergano gli esponenti di tutti i partiti di centrodestra, con il capogruppo di Forza Italia Gianluca Comazzi che definisce le dimissioni come “una ritorsione nei confronti di Forte, colpevole di ragionare con la sua testa senza sottostare ai diktat di un partito, al quale peraltro non appartiene”. Franco Lucente di Fdi parla di “bullismo e prepotenza” di M5S e Pd, mentre il leghista Roberto Anelli accusa i dimissionari di “intolleranza” e di essere “i veri fascisti”.

@gigi_gno

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M5s, Conte da solo non basta: bisogna ritrovare lo spirito di servizio

di Giovanni Papa

A vedere il tragico esito di una consultazione elettorale politica che ha marcato la più alta percentuale di non votanti dalla nascita delle Repubblica, nessun amante della democrazia può ritenersi soddisfatto. In Italia evidentemente il dramma di quasi 4 italiani su 10 che non si sono sentiti rappresentati da una qualsiasi delle liste presenti sulla scheda elettorale non riesce proprio a trovare il suo giusto spazio.

È ormai chiaro anche ai più distratti che questo macigno della diserzione alla partecipazione democratic,a mai manifestatosi come prima, va a consolidare una tendenza già segnata da anni esprimendo sempre i suoi massimi nelle zone maggiormente disagiate del paese, come il meridione e le periferie delle grandi città. Abbastanza rappresentativo in questo senso è quasi il 50% di astensione al voto raggiunto nella zona di Torbellamonaca, periferia romana.

Un grido di sofferenza inascoltato, che in un passato non lontano era riuscito in parte ad essere sopito da un sistema di ascolto capillare di un movimento fondato da chi aveva una visione e una cultura della partecipazione diffusa. Se la forza politica che esprimerà il futuro presidente del Consiglio oggi può contare su una rappresentatività di poco più del 16% dei votanti, certamente non se la passano meglio nei banchi dell’opposizione, dove il M5S è stato votato da mezzo italiano su 10, disperdendo in 5 anni un patrimonio di circa 6,5 milioni di voti.

Un dato che guardando i sondaggi di fine agosto poteva essere anche peggiore, laddove il professor Conte non ci metteva pesantemente del suo con uno scatto in avanti dell’ultimo mese veramente prodigioso. Un recupero certamente caratterizzato da una leadership forte e carismatica, ma che al contempo delinea un M5S organicamente diverso da come se lo era immaginato il suo fondatore. Nulla di visionario quindi, così come disegnato nel futuristico progetto iniziale di Roberto Casaleggio. Nulla del Movimento capace da solo di prendere più di 11 milioni di voti in Italia o a fare il pieno a Roma candidando nel 2016 una “semi-sconosciuta” Raggi.

Oggi il 15, domani il 20, per poi tornare al 15 e così via…. è questo il futuro che si sta disegnando il nuovo Movimento? Il M5S è destinato a gestire “l’ordinario” senza un effettivo cambio di strategia sui territori, cercando la complicità di quella “partecipazione attiva” che partendo da metodi decisionali ampiamente condivisi – e perché no, da piattaforme tipo Rousseau che anziché essere perfezionate sono state troppo presto abbandonate – getta le armi anche di fronte ad un astensionismo ormai mordente.

Una volta dentro e una fuori alle frange di governi deboli, comprimario nei numeri, consueto nelle pretese. Esteriormente omologati ad un sistema che riesce a tenere a distanza persone “scomode” (ma per chi?) come Alessandro Di Battista, nonostante fosse stato il più votato agli Stati Generali, neutralizzati per 10 anni nel far valere massicce determinazioni popolari come quella espressa nel 2011 dal 95% degli italiani sull’Acqua Pubblica, depotenziati nel contrasto alla legge Cartabia… solo per citare alcuni punti, l’augurio è che il M5S ritrovi quello spirito di servizio, una volta rivolto a una sinergica quanto coinvolgente comunità di Meet Up, fatta di gente comune che, anziché essere intelligentemente integrati in una organizzazione interna più ampia e “accogliente”, sono stati rimossi forse con troppa leggerezza.

Non è una decisione difficile da prendere per un Movimento che è stato fondato su pensieri come: “…un’idea non è di destra né di sinistra. È un’idea. buona o cattiva”. Avere la consapevolezza di poter recuperare anche uno solo dei milioni di italiani che non hanno votato e capire il profondo dovere civico di reintegralo in un sano dibattito democratico: questo sì che sarebbe un passo da Movimento. Trovare la giusta alchimia tra la vecchia e la nuova anima del M5S potrebbe essere un nuovo modo per ripartire. Basta volerlo.

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