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venerdì 28 aprile 2023

Csm speciali, accordo destra-M5s sui laici: l’ex ministro Bonafede va alla giustizia tributaria. Il Pd si sfila: “Violata la parità di genere”

I deputati del Pd non hanno partecipato alla votazione per eleggere sei membri laici dei cosiddetti “Csm delle magistrature speciali“, i Consigli di presidenza della giustizia amministrativa, della giustizia tributaria e della Corte dei conti. Lo ha annunciato la capogruppo Chiara Braga, denunciando una “totale violazione della parità di genere: solo due donne su sei componenti da eleggere. È una cosa per noi del Pd inaccettabile, e dispiace che non sia lo stesso per altre forze dell’opposizione. Per questo non partecipiamo alla votazione e ci auguriamo che questa scelta sia condivisa dal resto dell’opposizione”, sostiene. A contrariare il Pd, in realtà, è soprattutto il fatto che sui 12 posti totali in palio (altri sei membri sono eletti dal Senato), la maggioranza voglia tenerne per sè ben nove (come già accaduto per il Csm ordinario, quando ne prese sette su dieci): “Avevamo posto da settimane due questioni di principio fondamentali” su composizione e rispetto della parità di genere, ma “la maggioranza ha tirato dritto”, denuncia la segretaria Elly Schlein. Gli eletti dell’Alleanza Verdi e Sinistra si sono astenuti.

L’intesa a Montecitorio è stata raggiunta solo tra centrodestra e Movimento 5 stelle: al Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa andranno Eva Sonia Sala e Francesco Urraro (avvocato ed ex parlamentare della Lega), al Consiglio di presidenza della Corte dei Conti Filippo Vari e Vito Mormando e al Consiglio di presidenza della giustizia tributaria l’ex deputata del Carroccio Carolina Lussana e l’ex ministro pentastellato Alfonso Bonafede. Nei mesi scorsi Bonafede era stato dato in pole per la nomina al Csm, ma a frenarlo era stata un’interpretazione stringente data dal regolamento parlamentare al requisito dei 15 anni di esercizio della professione di avvocato. Per arrivare all’elezione dei laici dei Consigli di presidenza serve la maggioranza assoluta dei componenti l’assemblea: sia alla Camera che al Senato le nomine erano bloccate da mesi per mancanza di un accordo. Giovedì a palazzo Madama ce l’hanno fatta solo i due nomi del centrodestra per la Giustizia tributaria, Giorgio Fiorenza e Alessio Lanzi (quest’ultimo ex componente laico del Csm in quota Forza Italia).

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giovedì 27 aprile 2023

Baldino (M5s): “Col Patto di stabilità il governo vuole tornare all’austerità, fa il contrario di ciò che serve all’Italia”

“Abbiamo chiesto un’informativa a Giancarlo Giorgetti per quanto riguarda le modifiche annunciate al Patto di stabilità e crescita che non ci soddisfano perché siamo davanti al ritorno dei falchi dell’austerità. Sono stati soppressi e chiusi circa 100 ospedali pubblici. La stagione inaugurata con il Pnrr era della solidarietà, ora stiamo tornando indietro e non ce lo possiamo permettere”. Così la deputata del Movimento 5 stelle, Vittoria Baldino, parlando con i giornalisti fuori dalla Camera.

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venerdì 21 aprile 2023

Conte: “Cosa divide M5s e Pd? I dem sono il partito dell’establishment: su Europa e atlantismo sono più dogmatici”

“Penso che con il Pd di Elly Schlein l’orizzonte sia sicuramente condiviso in termini di grandi propensioni verso giustizia ambientale e sociale, e tanti altri temi. Ciò che ci divide è che il Movimento 5 Stelle ha nelle sue corde un europeismo vero convinto, ma critico, e così anche per l’atlantismo”. Così Giuseppe Conte, leader del Movimento 5 stelle, in un’intervista rilasciata in esclusiva all’Agenzia Vista. Sottolineando che il Movimento 5 stelle è “per la collocazione atlantica”, Conte ha evidenziato l’aspetto critico del Movimento così “da dare sempre un contributo tra alleati” e per “poter allargare l’orizzonte di visione e non immiserirci in una visione bipolare”. “Forse il Pd che è un partito tradizionalmente di establishment, ha atteggiamenti su questi passaggi più dogmatici”, ha aggiunto.

Ovviamente, ha auspicato, “confidiamo di poter trovare obiettivi politici in comune” e “di poter fare insieme delle battaglie”, però “è chiaro che ci sono differenti sensibilità”, come le armi in ucraina, il termovalorizzatori. “Ma l’importante è avere un orizzonte comune“, , le battaglie da e parole del Presidente del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, in un’intervista rilasciata in esclusiva all’Agenzia Vista.

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L’ex M5s Cancelleri a caccia di un partito: colloqui con Forza Italia (e il partito si ribella). Cateno De Luca: “Ha chiesto anche a noi”

“C’è un ragionamento in corso”, ammette Giancarlo Cancelleri a Ilfattoquotidiano.it, dopo la notizia del suo imminente approdo in Forza Italia (data da Roberta Fuschi su Livescilia.it). “Non ne so nulla”, aveva detto l’ex viceministro soltanto tre giorni fa (sulla versione online del Quotidiano di Sicilia), quando ha annunciato la sua fuoriuscita dal M5s attaccando Giuseppe Conte: “Mi ha deluso”. Da Conte a Silvio Berlusconi: è questa la parabola dell’ormai ex volto dei grillini in Sicilia, dove è stato candidato alla presidenza per ben due volte (2012 e 2017) e

Foto ImagoEconomica

guida “di fatto” dei Cinque stelle sull’isola. Ora è pronto a presentarsi alla kermesse del partito berlusconiano a Palermo per confermare il cambio di casacca. Al momento manca l’ufficialità. I vertici di Forza Italia in Sicilia a cui ilfatto.it si è rivolto non rispondono. Nicola D’Agostino, dato per l’esponente di Fi che ha aperto la porta del partito a Cancelleri, da parte sua conferma: “C’ho parlato giorni fa”.

Che ci sia molto più di un “ragionamento in corso” nelle retrovie della politica siciliana è dato per scontato. Meno è che vada davvero in porto: si parla, infatti, di un partito in subbuglio per la notizia del suo imminente ingresso, osteggiato da molti forzisti. Nel frattempo Cateno De Luca ha rivelato il tentativo di Cancelleri di unirsi in precedenza anche al suo partito, Sud chiama Nord (che conta anche due parlamentari nazionali): “Mi ha cercato tramite Danilo Lo Giudice per chiedermi di passare con noi” spiega l’ex sindaco di Messina.

In questo quadro va ricordato che l’ex sottosegretario grillino aveva annunciato il suo appoggio alla candidatura a sindaco di Enzo Bianco alle comunali di Catania, che gli avrebbe assicurato una candidatura al consiglio comunale della città in cui ha scelto di vivere dopo la caduta del governo Draghi e la fine della legislatura. La Corte dei Conti ha però bloccato la corsa di Bianco a sindaco, proclamandolo “incandidabile”, così il progetto di Cancelleri è completamente sfumato, specialmente da quando Bianco ha aderito al progetto elettorale di Pd, M5s e sinistra.

Poco dopo, il 18 aprile, è arrivato l’annuncio dell’abbandono del Movimento: “Volevo candidarmi sindaco a Catania ma Conte era contrario”, ha detto l’ex parlamentare. La regola del terzo mandato aveva, in effetti, frustrato le aspirazioni di Cancelleri già l’anno scorso quando sperava di potersi candidare alla presidenza della Regione. Sarebbe stata la terza candidatura: dalla nascita del M5s era stato sempre lui il candidato investito da Beppe Grillo per la corsa alla guida dell’isola, sia nel 2012 che nel 2017. In entrambe le competizioni elettorali i Cinque stelle mancarono la vittoria alla presidenza ma fu così che pian piano scalarono le soglie del consenso fino ad arrivare al jackpot del 2018, quando alle Politiche ottennero tutti i seggi dell’Isola.

Nato a Caltanissetta, è qui, nel cuore della Sicilia, che Cancelleri ha mosso i primi passi in politica, quando figura tra gli organizzatori del Vday di Grillo nel 2007. Da quel momento l’attivismo nei Cinque stelle sarà sempre in ascesa fino alle due candidature che li valsero la vicepresidenza all’Ars. Che lasciò nel 2019 per diventare viceministro ai Trasporti nel governo Conte, poi sottosegretario nel governo Draghi. Fino al muro del terzo mandato: “Fui io a dire a Conte di non fare deroghe alla regola del terzo mandato – ha spiegato pochi giorni fa -. Regole come questa ormai sono sacre, sono le regole fondative di questo Movimento. Gli dissi anche, però, che per me era importante che lui potesse valutare un impegno da parte mia e di altri che volevano ancora spendersi per la causa. E allora gli proposi di fare una lista civica a Catania con me candidato a sindaco e che avesse l’appoggio del Movimento”. Il rifiuto di Conte lo ha così spinto al di fuori del Movimento: “Non voglio rimanere coinvolto in una realtà fatta di accuse, livore e astio, dove persone che ritenevo vicine si sono totalmente squalificate con i loro comportamenti. Io devo coerenza prima di tutto a me stesso, quindi in quella direzione non ci torno più”. Un’uscita tra le polemiche quando era imminente il suo passaggio in Forza Italia, o perlomeno quando già ci stava “ragionando”. E non solo con Forza Italia: “Noi facciamo i nostri auguri a Giancarlo – commenta De Luca – e ovviamente diciamo anche che quando si assumono posizioni che sono tutto e il contrario di tutto, perché ha spaziato da Bianco passando per Lombardo e Cuffaro a noi, è bene che decida una volta per tutte che cosa vuole fare da grande”.

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mercoledì 19 aprile 2023

Termovalorizzatore di Roma, Schlein: “Scelta già fatta dall’amministrazione, voteremo contro l’Odg di M5s e Alleanza Verdi Sinistra”

“Il termovalorizzatore è una scelta che era già stata presa dall’amministrazione di Roma. Questo è successo ben prima che si insediasse questa segreteria”. Così Elly Schlein in conferenza stampa al Nazareno. Sottolineando che alla segreteria “interessa accompagnare l’amministrazione su tutto ciò che deve venire prima” e cioè “un progetto di economia circolare” come stabilito dalle normative europee, e quindi “su come diminuire i rifiuti, aumentare la raccolta differenziata e recuperare le materie prime seconde con gli impianti che servono per farlo”, Schlein ha spiegato che l’amministrazione “ha già fatto una scelta”. “Siccome esistono sensibilità diverse anche all’interno del nostro partito, io mi impegnerò a favorire un confronto nostro, con i nostri amministratori ma anche tra di loro e con la cittadinanza”, ha comunque detto la neo segretaria.

Alla domanda su cosa voterà il Pd di fronte agli Odg presentati dal Movimento 5 stelle e da Alleanza Verdi Sinistra contro il termovalorizzatore, Schlein risponde: “Non ho ancora visto i testi, ma immagino voteremo contro. Ma questo non vuol dire che non continueremo il dialogo sui temi con le altre opposizioni”.

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Sicilia, Cancelleri lascia i 5 stelle: “Volevo candidarmi sindaco a Catania ma Conte era contrario al terzo mandato”

È stato per due volte consecutive il candidato del Movimento 5 stelle alla presidenza della Regione siciliana, consigliere regionale per due legislature, sottosegretario e viceministro, militante della prima ora e frontman della forza politica nell’Isola. Giancarlo Cancelleri ha deciso di sbattere la porta e andarsene, in polemica col leader Giuseppe Conte: “Mi ha deluso”.

Lo strappo – La rottura era nell’aria da un po’, ma ad accelerare il processo sono stati certamente gli ultimi mesi. Già questa estate, i primi problemi: lo stop di Conte a ogni deroga ai mandati (per il Movimento resta in vigore il limite delle due esperienze in parlamenti nazionali o regionali) ha di fatto sbarrato la strada a Cancelleri nella terza corsa consecutiva verso Palazzo d’Orleans. Ma ad allontanare definitivamente l’ex leader grillino e dal Movimento sono state le elezioni amministrative a Catania che si svolgeranno a giugno. Cancelleri aveva dapprima pensato a una candidatura in prima persona, poi è arrivato l’endorsement a Enzo Bianco, ex sindaco ed ex ministro Pd, indicato come la figura adatta attorno alla quale far riunire il “fronte progressista”. E lì si è rotto tutto.

“Da Conte un veto incomprensibile” – In realtà, racconta lo stesso Cancelleri in una intervista al sito Qds.it, lo stop a una sua candidatura ha rappresentato un passaggio traumatico: “Una prima delusione – spiega – è arrivata quando ho incontrato l’ultima volta Giuseppe Conte. È stato in occasione di una sua visita a Palermo, fui io a dirgli che gli sconsigliavo altre deroghe alla regola del terzo mandato. Regole come questa ormai sono sacre, sono le regole fondative di questo Movimento. Gli dissi anche, però, che per me era importante che lui potesse valutare un impegno da parte mia e di altri che volevano ancora spendersi per la causa. E allora – prosegue – gli proposi di fare una lista civica a Catania con me candidato a sindaco e che avesse l’appoggio del Movimento”. Ma la proposta è stata respinta: “Lui mi rispose – aggiunge Cancelleri – che questo significava eludere una regola. Ricordo che quel giorno si chiuse la votazione online per il sostegno a Pierfrancesco Majorino in Lombardia. E io lo feci notare a Conte. Gli dissi: ‘Avete appena dato l’appoggio a uno che fa politica da trent’anni e il problema sarei io che mi candido a sindaco?’”.

“Insulti e offese dagli ex amici” – Da lì, come detto, la scelta di appoggiare Enzo Bianco. Una decisione che avrebbe scatenato la reazione dei suoi ex compagni del Movimento: “È iniziata – lo sfogo di Cancelleri – una denigrazione nei miei confronti da parte di una buona fetta di Movimento. Attacchi che ho trovato personali e ingiustificati, perché io non ho più alcuna carica all’interno del Movimento”. Attacchi ingiustificati, secondo Cancelleri, anche alla luce di quello che è successo pochi giorni dopo: Bianco e la sua lista sono entrati nell’alleanza del fronte progressista. Così, prosegue: “Non voglio rimanere coinvolto in una realtà fatta di accuse, livore e astio, dove persone che ritenevo vicine si sono totalmente squalificate con i loro comportamenti. Io devo coerenza prima di tutto a me stesso, quindi in quella direzione non ci torno più”.

Dove va Cancelleri? – Adesso resta da capire quale sarà la nuova “direzione” di Cancelleri. Qualche novità potrebbe venire fuori già nelle prossime ore: alcune voci lo danno impegnato in un colloquio con l’ex sindaco di Messina, Cateno De Luca, che ha fondato un proprio movimento meridionalista. Ma qualcun altro è pronto a scommettere che Cancelleri stia pensando di aderire a uno dei partiti del centrodestra. Si parla di Forza Italia: “Io non ne so nulla”, taglia corto l’ex leader siciliano del Movimento.

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sabato 15 aprile 2023

Comunali a Pomigliano, l’accordo Pd-M5s dura 24 ore e il candidato sindaco rinuncia

L’accordo è durato il tempo di una notte e di una mattina. Nemmeno 24 ore e la corsa a braccetto alle elezioni comunali di Pomigliano d’Arco da parte di Pd e M5s è finita. Nella città di Luigi Di Maio, dove il “laboratorio politico” fece capolino due anno e mezzo fa, i due partiti avevano deciso di candidare a sindaco il giornalista Marco Iasevoli insieme a Europa Verde, Cittadinanza attiva e Per Persone e comunità. Ma nel pomeriggio di venerdì tutto si è sciolto a causa di “mutati equilibri politici”.

A Pomigliano si torna a votare dopo la caduta del sindaco Gianluca Del Mastro a causa delle dimissioni di 13 consiglieri comunali, tra i quali anche un esponente dei dem. Un laboratorio divenuto orfano, negli ultimi mesi, del Movimento 5 stelle, fatto sparire dal Consiglio comunale dai consiglieri pentastellati passati in blocco con il nuovo partito di Di Maio. Il Pd, invece, si era spaccato in due e le varie incomprensioni e frizioni interne all’amministrazione comunale avevano portato allo scioglimento del Consiglio comunale.

In queste settimane il centrosinistra aveva tentato la riconciliazione: gli stessi giovani del M5S, riformatosi dopo l’abbandono di Di Maio, avevano dato il via alle trattative con il Pd, ancora diviso in due, e si erano proposti quale guida della costituenda coalizione in quanto “primo partito in città”. Nella tarda serata di giovedì l’accordo vedeva insieme cinque liste attorno al candidato Iasevoli, vicino a Per Persone e comunità ma fortemente caldeggiato dal M5s, che aveva finito per far saltare il tavolo con Sinistra Italiana ed il gruppo Rinascita.

E sono stati gli stessi pentastellati, uscendo di scena, a mettere praticamente la parola fine, venerdì pomeriggio, alla coalizione appena rinata. Ad informare della nuova rottura è stato lo stesso Iasevoli, che alla luce dei “mutati equilibri politici” ha scelto a sua volta di ritirare la propria disponibilità a candidarsi. Per ora, a meno di nuovi colpi di scena, l’unico candidato a sindaco sembra essere l’83enne Lello Russo, già primo cittadino per ben sei volte a Pomigliano, che torna in campo con dieci liste in suo sostegno.

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mercoledì 12 aprile 2023

“Commissione Covid? Indagini anche sulle Regioni”: la promessa di Faraone (Iv) che ha votato con FdI e Lega (ed è papabile presidente)

“Io ho firmato la proposta di legge per fare la commissione sul Covid già nella scorsa legislatura, figuratevi se oggi non votavo a favore”. Davide Faraone, arrivando alla riunione di Italia viva e Azione per il ‘comitato politico’ per il futuro partito unico, commenta così la decisione di votare assieme al centrodestra per l’istituzione della commissione d’inchiesta sulla gestione in Italia della pandemia. Per il ruolo di presidente di questa Commissione parlamentare, a oggi, non c’è una decisione su chi avrebbe diritto, tra maggioranza e opposizione, alla presidenza, ma i retroscena danno proprio Faraone tra i possibili presidenti. “Io non parlo da presidente di nulla – si schernisce Faraone – la nostra proposta tiene dentro anche il ruolo delle Regioni” ci tiene a sottolineare il senatore di Italia viva, ma la proposta della maggioranza no. “Io ripresenterò emendamenti che andranno in quella direzione, spero che il Movimento 5 stelle ed il Pd smettano con l’Aventino e ci diano una mano a modificare questa proposta”. Le Regioni hanno avuto un ruolo nella gestione della pandemia? “Assolutamente sì, Pd e M5s hanno sbagliato a non presentare una loro proposta compensativa di quella della maggioranza”.

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Commissione d’inchiesta sul Covid, Appendino: “Chi la vuole così ha qualcosa da nascondere, è un insulto per chi ha vissuto la pandemia”

“Questa è una presa in giro, un insulto a tutti quelli che hanno vissuto la pandemia in prima linea. Il governo vuole nascondere qualcosa, visto che non vuole le Regioni?”. Lo ha detto la deputata del Movimento 5 stelle, Chiara Appendino, in merito all’istituzione della commissione d’inchiesta Covid.

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Commissione d’inchiesta sul Covid, Baldino (M5s): “Noi favorevoli, ma la maggioranza vuole usarla come clava politica contro le opposizioni”

“Siamo favorevoli a una commissione che indaghi su cosa abbia o non abbia funzionato per evitare che tutte le articolazioni dello Stato si trovino sprovviste degli strumenti adatti per gestire il Covid. A noi sembra però che questa maggioranza non abbia intenzione di fare una commissione d’inchiesta seria sulla gestione della pandemia ma voglia usarla come una clava politica contro le opposizioni che all’epoca si trovavano a gestire a mani nude quella situazione così complicata”. Così la deputata M5s, Vittoria Baldino, ha spiegato perché il Movimento 5 stelle abbia abbandonato la commissione Affari social al momento del voto sulla commissione d’inchiesta sul Covid.

“Ci chiediamo che cosa hanno da nascondere, perché ora hanno tolto ogni riferimento alle regioni che hanno la competenza sulla gestione sanitaria – prosegue Baldino – Noi non abbiamo nulla da temere e proprio per questo abbiamo mostrato la nostra disponibilità al confronto per questo disegno di legge. Disponibilità che non è stata raccolta e per questo motivo abbiamo abbandonato la commissione al momento del voto”.

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Ponte sullo Stretto, Iaria (M5s): “Salvini è in difficoltà e vuole evitare il dibattito. Sicuri che non sia uno spreco di soldi?”

“La tattica del governo e del ministro Salvini è chiara. Non affrontano mai il progetto nel merito, così ogni perplessità viene descritta come un ‘no’ ideologico. Il leader della Lega evita il dibattito parlamentare e il confronto col Paese”. Lo ha detto Antonino Iaria, del Movimento 5 stelle, in apertura del dibattito, alla Camera, sul decreto legge sul Ponte sullo Stretto di Messina. “Qui l’unica urgenza è il consenso elettorale del ministro Salvini e la sua difficoltà“.

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domenica 9 aprile 2023

Sanità, perché M5S e Pd dovrebbero chiedere scusa all’ex ministra Grillo e ad Antonio Saitta

Uno studio dell’Unione Europea sullo sviluppo economico europeo individua tra le innovazioni che farebbero risparmiare miliardi e aumentare il Pil, la consociazioni degli acquisti di medicine e materiale medico di tutti gli Stati aderenti: un aumento di 34 miliardi del Pil per la comunità. Questa era la proposta di Giulia Grillo che aveva preso ad esempio l’idea di Antonio Saitta quando era assessore regionale Pd alla Sanità del Piemonte e aveva risparmiato il 67% del costo delle medicine comprandole col sistema delle aste. Cioè si compravano i farmaci che, a parità di principio attivo, venivano offerti al prezzo più basso.

Lazio, Val D’Aosta e Veneto (Lega) avevano aderito consociandosi col Piemonte. Il che per inciso mostra che è possibile superare la contrapposizione tra destra e sinistra quando si individuano obiettivi chiari e semplici e indiscutibilmente efficaci e razionali. Parliamo di tagliare i costi della sanità pubblica senza diminuire la qualità del servizio. Questa scelta insieme ad altre altrettanto di buon senso avrebbe portato a un risparmio per lo Stato e le famiglie di 5 miliardi all’anno.

Ad esempio Giulia Grillo propose che le farmacie vendessero le medicine nelle esatte quantità previste dalle ricette mediche, come accade in Usa e in Germania. Evitando così che ci siano in giro quantità spaventose di medicine avanzate con il rischio che siano usate a sproposito. Altra misura: un calmiere sui prezzi dei medicinali da banco tipo Aspirina: in Italia costano spesso molto più del doppio che nel resto d’Europa.

Poi sia la Grillo che Saitta sono stati silurati da M5S e Pd. Erano troppo bravi? E gli obiettivi della Grillo sono diventati un punto strategico di programma per M5S e Pd? NO! Manco per sogno!

Mi stupisco che si sia parlato così poco di questo scandaloso comportamento delle due formazioni politiche progressiste. Peraltro il tema non ha destato l’interesse dei Verdi, di Sinistra Italiana e neppure dei sindacati e delle molte associazioni che si occupano di sanità.

Ma sbaglia chi pensa che le case farmaceutiche abbiano corrotto tutti.
Se almeno fossero corrotti magari si godrebbero i soldi. Invece per lo più danneggiano la collettività senza ottenere nessun vantaggio.
I leader progressisti non hanno la cultura dei piccoli cambiamenti che danno grandi risultati.

La Schlein cambierà la musica? Stiamo a vedere.

Ecco il link alle mie video interviste a Giulia Grillo realizzate quando era ministro. Né le pagine ufficiali del M5S né quelle dei militanti decisero di condividere queste interviste al loro ministro della Sanità: infatti il numero delle condivisioni è bassissimo.

Parte 1
Alcune regioni risparmiano il 67% sull’acquisto di farmaci, altre no

Parte 2
I farmaci griffati ci costano milioni di euro in più

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mercoledì 5 aprile 2023

Salario minimo, i numeri del lavoro povero e la proposta di dignità che ho firmato per il M5s

di Susy Matrisciano *

Cosa vuol dire “lavoro povero” e chi sono i cosiddetti “working poor”? Vuol dire che oggi in Italia, secondo quanto attestato dai dati Inps, 4,3 milioni i rapporti di lavoro, su 14 milioni quindi il 28%, prevedono un salario al di sotto dei 9 euro lordi; parliamo di lavoratori e lavoratrici che sono costretti, nonostante percepiscano una busta paga, a richiedere il reddito di cittadinanza (a gennaio 2021 erano circa 365.436) perché il loro reddito li colloca al di sotto della soglia di povertà relativa. Nell’ultimo decennio i lavoratori poveri sono aumentati del 12%.

Con questa realtà il governo e tutto l’arco parlamentare devono confrontarsi, senza nascondersi dietro false scuse o vuoti slogan che poco servono a chi ogni giorno si reca al lavoro, impegnandosi faticosamente, ma alla fine del mese si ritrova a dover fare i conti e a scegliere se rimandare il pagamento di una bolletta per acquistare un paio di scarpe per i propri figli. Ed è proprio in queste realtà che si perpetra la violazione dell’art. 36 che stabilisce che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

In queste parole è chiusa l’essenza della proposta di legge sul Salario Minimo di cui mi pregio di essere stata seconda firmataria e relatrice nella XVIII Legislatura.

Quando parliamo di salario minimo dobbiamo tenere sempre a mente i principi di proporzionalità e sufficienza delle retribuzioni correlati ad un concetto fondamentale che lega da sempre l’uomo e il lavoro: la dignità. Per questo motivo all’interno della proposta di legge sul salario minimo a prima firma Catalfo viene inserita una soglia che abbiamo definito “soglia di dignità”, una sorta di “soglia-test” di quell’adeguatezza che rappresenterebbe una vera e propria spinta verso l’alto del minimo salariale.

Nel nostro Paese abbiamo di circa 2.596.201 lavoratori “sotto soglia” se si considera un salario minimo tabellare e un importo pari a 8 euro e il settore maggiormente interessato è quello dei servizi. Questi ultimi dati sono relativi al 2019 e rischiano di peggiorare notevolmente a causa della situazione post pandemica, aggravata dal quadro economico dovuto alle ripercussioni della guerra in Ucraina.

Secondo il Censis, invece, ben 5,7 mln di giovani rischiano di avere nel 2050 pensioni sotto la soglia di povertà, da qui deriva un’altra importante ragione per procedere subito con l’istituzione di un salario minimo: una paga dignitosa oggi significa avere una pensione adeguata domani, soprattutto in un mercato del lavoro nel quale i nostri giovani in età avanzata rispetto al passato. Non da ultima la stagnazione dei salari che fa sì che i nostri lavoratori guadagnino meno di 30anni fa con una perdita del potere di acquisto pari al 2,9%.

Se guardiamo ai minimi salariali fissati nei cosiddetti contratti leader, ci sono alcuni ccnl che non sembrano offrire salari “adeguati” e “sufficienti” secondo quelle che sono le disposizioni costituzionali e gli indicatori internazionali. Ad esempio nel ccnl del turismo il trattamento minimo salariale è di 7,48 euro, nelle cooperative dei servizi socio assistenziali è di 7,18, per non parlare del ccnl imprese di pulizie e servizi integrati che è di 6,52 e non viene rinnovato da 7 anni. Uno sguardo in particolare va al ccnl della vigilanza e dei servizi fiduciari che prevede un minimo salariale di 4,60 per i servizi fiduciari e poco più di 6 euro per la vigilanza privata.

Anche l’approccio alla Direttiva Europea sull’adeguamento dei salari nei Paesi Ue è stato quello di proporre l’introduzione di una “soglia-test” di dignità e adeguatezza perché penso che il salario minimo europeo sia una misura di giustizia sociale. Ricordiamo che in ventuno Stati membri dell’Unione sono stabiliti i salari minimi legali, mentre in sei Stati membri, tra cui l’Italia, la determinazione dei salari è affidata alla contrattazione collettiva.

Tuttavia, a mio avviso la proposta di Direttiva doveva essere meglio calibrata sotto alcuni specifici aspetti, in particolare precisando che la contrattazione collettiva cui si fa riferimento debba essere quella determinata dalla partecipazione delle organizzazioni datoriali e dei lavoratori maggiormente rappresentative, attraverso un’apposita normativa per la misurazione della rappresentanza datoriale e sindacale, per contrastare il cosiddetto fenomeno dei “contratti pirata”.

Sono fermamente convinta che negli Stati in cui vige la determinazione dei salari per il tramite della contrattazione collettiva, debba essere assicurata comunque a tutti i lavoratori l’applicazione di un contratto collettivo di settore idoneo a garantire una retribuzione dignitosa, lasciando agli Stati membri la discrezionalità nella fissazione dei parametri di adeguatezza a cui la contrattazione dovrà conformarsi.

Ma come si potrebbe realizzare tutto ciò? Nella nostra relazione discussa e votata in Senato ci siamo focalizzati su 3 punti in particolare:
1. favorire l’introduzione di una soglia minima inderogabile. Da ciò deriverebbe peraltro un rafforzamento dei contratti collettivi, in quanto la soglia opererebbe solo sulle clausole relative ai salari “minimi” – ove inferiori alla soglia individuata – lasciando al contratto collettivo la regolazione delle altre voci retributive.

2. Sostenere l’aumento del costo del lavoro introducendo nei programmi europei strumenti di sostegno per le imprese in modo da agevolare gli Stati Membri nel recepimento della Direttiva.

3. Tutelare il salario minimo e l’effettiva applicazione della disciplina attraverso il rafforzamento dei controlli e delle ispezioni sul campo effettuate dai soggetti istituzionali deputati ai compiti di vigilanza circa l’applicazione dei salari minimi legali.

E’ sulla base di questi principi che ho sottoscritto il ddl Catalfo, che valorizza i contratti collettivi nazionali di lavoro cosiddetti ‘leader’, definisce specifici criteri atti a pesare il grado di rappresentatività sia delle organizzazioni sindacali che di quelle datoriali, introduce una soglia minima inderogabile fissata a 9 euro, in linea con i parametri di adeguatezza individuati dalla Commissione o dalla proposta di direttiva europea.

Introduce inoltre una commissione tripartita formata dalle parti sociali maggiormente rappresentative col compito di aggiornare l’osservanza del trattamento economico proporzionato e sufficiente così da garantire ai lavoratori una giusta retribuzione; prevede, poi, agevolazioni, fondamentali per arginare gli effetti della crisi, per i datori di lavoro come la detassazione della parte di salario aggiuntivo dovuto al rinnovo contrattuale o all’applicazione del salario minimo.

La garanzia di una retribuzione dignitosa e adeguata per tutti i lavoratori favorirebbe senz’altro la realizzazione di un mercato del lavoro più inclusivo, più equo e paritario, abbattendo le disuguaglianze, anche i termini di gender pay gap; favorirebbe inoltre una propensione ai consumi e risorse riversate nell’economia. Mi auguro pertanto che in Parlamento si possa concludere l’iter del salario minimo prima del termine della legislatura a tutela della dignità del lavoro e dei lavoratori e per dare finalmente attuazione agli articoli 36 e 39 della nostra amata Costituzione.

*Laurea in Lingue e Letterature Straniere. Oggi HR Manager di una multinazionale del settore metalmeccanico. Senatrice della XVIII Legislatura durante la quale ha ricoperto la carica di Presidente della Commissione Lavoro del Senato. Membro delle Commissioni Infanzia e Adolescenza e della Commissione di Inchiesta su Femminicidio e contro ogni forma di violenza. Durante la XVIII legislatura ho lavorato sui seguenti temi e provvedimenti sia: Reddito di Cittadinanza, Decreto Dignità (Relatrice), Salario Minimo prima proposta (Relatrice), Salario Minimo seconda proposta (Relatrice), Direttiva Europea sull’attuazione dei salari minimi (Relatrice), Famili Act (Relatrice) e altro. Oggi è membro del Comitato Nazionale per i Rapporti Territoriali del M5S, coordinato da Alfonso Bonafede.

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Pnrr, Fitto riferirà in Parlamento. La Lega non molla: “Meglio non spendere che spendere male”. M5s: “Governo diviso”

La richiesta delle opposizioni di un passaggio del governo in Aula per fare un punto sullo stato di avanzamento del Pnrr alla fine è andata a segno. Anche alla luce della posizione della Lega, che nonostante le smentite arrivate lunedì da fonti di Chigi ha ribadito – con il capogruppo della Lega in Commissione Bilancio del Senato, Claudio Borghi – la possibilità di rivalutare il ricorso alla parte a debito. A parlare alle Camere sarà il titolare del dossier, Raffaele Fitto. Il ministro per gli Affari Europei ha spiegato in una nota che non avrà “nessuna difficoltà a farlo” e considera l’appuntamento “un’ottima occasione di confronto per approfondire e chiarire il merito delle questioni”.

Fitto, che sta portando avanti le trattative con Bruxelles per rimodulare il Pnrr, ha intanto visto a Roma il presidente dell’Anci, Antonio Decaro, e i sindaci di Firenze Dario Nardella e di Venezia Luigi Brugnaro per un confronto sui rilievi sollevati dalla Commissione europea riguardo all’ammissibilità di alcuni interventi finanziati dal Pnrr nell’ambito dei Piani urbani integrati (stadio Artemio Franchi di Firenze e Bosco di Venezia). Nel corso dell’incontro sono stati approfonditi tutti gli aspetti tecnici “e sono emersi elementi utili che il governo, in sintonia con i sindaci interessati, trasmetterà alla Commissione al fine di superare tutte le criticità riscontrate”, secondo il governo. Nel corso della giornata Fitto ha incontrato anche il Commissario Ue per il Bilancio e l’amministrazione, Johannes Hahn, e ribadito “la necessità che, alla luce del mutato contesto internazionale ed economico, l’Ue faccia ricorso alla massima flessibilità nell’uso delle risorse disponibili”.

Concetto, quello della flessibilità come strumento per modificare e portare a termine quei progetti in difficoltà a causa di eventi straordinari, tornato sul tavolo anche del colloquio avuto da Hahn con il titolare del Mef, Giancarlo Giorgetti. E nelle parole del ministro degli Esteri Antonio Tajani: “I soldi del Pnrr vanno spesi tutti con dei progetti che siano realizzabili. Quindi ci vuole un po’ di flessibilità da parte della Commissione europea. Bisogna trattare e vedere come finisce la trattativa. C’è ancora un mese di tempo”. Per l’esecutivo la strada da percorrere resta quella di rimodulare il Pnrr senza per questo dover fare a meno di una fetta degli oltre 200 miliardi stanziati per l’Italia.

Una ipotesi, quella della rinuncia ai fondi, avanzata dal capogruppo della Lega alla Camera Riccardo Molinari, che oggi ha rilanciato: “Piuttosto che spenderli male meglio non spenderli. Se la Meloni dice ‘riusciremo a spenderli, riusciremo a ricontrattare’, evviva, stappiamo lo spumante”. Il segretario leghista Matteo Salvini ha cercato poi di calmare le acque: “Se c’è qualcosa da rimodulare lo faremo, trasferire fondi su altri progetti non è lesa maestà ma buonsenso. L’obiettivo è di spendere bene i soldi, questo diceva Molinari: se ci sono progetti campati per aria, fatti giusto per spendere dei soldi, no. Però io conto che l’Italia dimostrerà di saper spendere bene i soldi prestati e cambierà volto nei prossimi anni”.

Parole che non rassicurano le opposizioni. “Pensiamo che il Pnrr sia seriamente a rischio e che le parole di Molinari, pur smentite da Meloni, siano la verità nascosta – ha detto il capogruppo dem al Senato, Francesco Boccia -. La disponibilità del ministro Fitto a riferire in Aula? Non ci rassicura. Sono parole. A meno di 19 giorni dalla scadenza del provvedimento sul Pnrr che deve ancora andare alla Camera, è evidente che c’è sotto qualcosa”. Boccia denuncia il “gravissimo ritardo del provvedimento economico più importante che il Parlamento ha affrontato in questi mesi”, visto che l’esame in Aula slitterà al 12 aprile. I deputati M5s della Commissione Trasporti e Telecomunicazioni notano che “le cose sono due: o il governo ha perso la bussola, oppure sta emergendo una divisione lacerante in seno alla maggioranza. La Lega con i vari Molinari, Bagnai, Borghi e ora anche Salvini vive questo Pnrr ormai come una seccatura, tanto che ormai si farnetica chiaramente di ‘mollare’ parte dei soldi. Poi ci sono invece esponenti di Fratelli d’Italia che asseriscono il contrario. E’ giunto il momento che la Meloni faccia un’operazione trasparenza e ci dica senza omissioni quali sono le intenzioni del governo, qual è lo stato dell’arte della messa a terra del piano e se le parole dei suoi sodali leghisti sono frutto di un colpo di sole o semplici boutade”.

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martedì 4 aprile 2023

Barbara Floridia (M5s) nuova presidente della Vigilanza Rai: la votano anche Azione e Iv

La senatrice M5s Barbara Floridia è stata eletta presidente della Commissione di Vigilanza sulla Rai con 39 voti favorevoli su 42 presenti. Regge, dunque, l’accordo politico che ha assegnato al Movimento la guida dell’organismo bilaterale di garanzia (che per prassi spetta alle opposizioni): a votare per Floridia anche Azione e Italia viva, che fino all’ultimo avevano insistito sulla candidatura alternativa di Maria Elena Boschi. L’ex ministra renziana ha ottenuto invece (con 19 voti) la vicepresidenza, che condividerà con Augusta Montaruli di Fratelli d’Italia (16 voti).

Messinese, 46 anni, Floridia è stata eletta in Senato con il M5s nel 2018 e dallo scorso ottobre ricopriva il ruolo di capogruppo a palazzo Madama, da cui ha annunciato di volersi dimettere. Laureata in lettere moderne, è insegnante di liceo ed è stata sottosegretaria all’Istruzione del governo Draghi. Succede al senatore di Forza Italia Alberto Barachini ed è la seconda donna alla guida della bicamerale dopo Rosa Russo Iervolino, in carica dal 1985 al 1987. “È un onore essere eletta presidente, è una commissione fondamentale per la democrazia nel nostro paese. Lavoreremo e vigileremo affinché venga garantito il pluralismo e l’indipendenza in Rai e tutti i partiti possano avere voce”, ha dichiarato subito dopo l’elezione.

Nelle scorse settimane i pentastellati avevano indicato per la carica il vicepresidente del Movimento Riccardo Ricciardi, su cui però era stato posto il veto da parte della maggioranza e in particolare di Forza Italia. In seguito era stata avanzata anche l’ipotesi di Chiara Appendino, che però non fa parte della Vigilanza: per evitare un cambio di componenti in corsa, quindi, il partito di Giuseppe Conte ha ripiegato su Floridia. “Buon lavoro a Barbara Floridia, eletta Presidente della Commissione di vigilanza Rai. Il pluralismo e il diritto dei cittadini a essere correttamente informati sono principi cardine della democrazia. Li tuteleremo con la massima determinazione”, ha scritto su Twitter l’ex presidente del Consiglio.

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Superbonus, bagarre alla Camera tra M5s e FdI: i deputati 5 stelle mostrano i caschetti antinfortunistica – Video

Bagarre in Aula alla Camera dopo il voto finale sul decreto legge superbonus. Dopo che il presidente Lorenzo Fontana ha proclamato il risultato della votazione, alcuni deputati M5S hanno tirato fuori dei caschi antinfortunistica, gli stessi che avevano mostrato al termine della dichiarazione di voto del rappresentante del loro gruppo. Un gesto schernito dai banchi di FdI. Sono volate parole grosse ed il fracasso era tale che a Fontana non è rimasto altro da fare se non sospendere brevemente la seduta.

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“Quando c’eravamo noi del M5s, il superbonus arrivava in orario”: il deputato interviene in Aula e scimmiotta Mussolini – Video

“La presidente Meloni con gli occhi sgranati diceva: ‘Lo sapete quanto è costato il superbonus agli italiani?’. Noi lo sappiamo, gli unici a non saperlo sono lei e il ministro Giorgetti. Provo a usare la vostra stessa retorica, per convincervi”. Il deputato del Movimento 5 stelle, Antonio Iaria, intervenendo in Aula ha ironizzato sullo stile comunicativo del governo e di Fratelli d’Italia. Richiamandosi a Benito Mussolini, gonfiando il petto e assumendo un tono di voce più profondo, ha detto: “Quando c’eravamo noi del M5s, il superbonus arrivava in orario, le imprese edili lavoravano, i progettisti venivano pagati il giusto”.

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Di Battista torna a fare politica (non con il M5s) e fonda un’associazione: “Mi manca lavorare insieme, non i palazzi. Il futuro? Poi si vedrà”

Alessandro Di Battista torna a fare politica, ma non con il Movimento 5 stelle. E fonda l’associazione “Schierarsi”, di cui sarà vice e presieduta da Luca Di Giuseppe, ex facilitatore M5s della Campania. “A me i palazzi non mancano, mi manca un certo tipo di politica. Mi manca fare cose insieme, mi manca la politica che si può fare in modo più libero fuori dai palazzi”, ha detto durante la diretta Facebook di presentazione l’ex deputato che lasciò il Movimento in polemica dopo l’ingresso del partito nel governo Draghi. L’associazione, ci ha tenuto a specificare Di Battista, “non nasce con l’idea di creare chissà che cosa in futuro. Nasce con l’idea di sviluppare dei progetti insieme. Poi si vedrà, ormai abbiamo imparato che è inutile precluderci qualsiasi cosa“. E ancora: “L’idea è costruire della partecipazione”, ha aggiunto Di Battista. “Io ci credo tanto. Io ho proprio voglia di fare delle cose insieme, di ricostruire una comunità, di vederci e incontrarci, realizzare tutte le idee che ci vengono in mente”. E ha concluso: “Se pensate di poter fare una carriera politica con noi.. io ne ho rifiutate di poltrone, quindi credo di essere credibile su questo..a chi pensa che stiamo creando un partito, consiglio di iscriversi a un partito. Noi siamo altro dai partiti politici”.

Il programma di “Schierarsi” ripercorre alcuni dei temi su cui ha sempre puntato lo stesso Di Battista nel suo percorso dentro e fuori il Parlamento e che, in parte, si sovrappongono a quelli del Movimento 5 stelle. Tra questi: stop all’invio di armi all’Ucraina, al Patto di stabilità, ai parametri responsabili dell’austerità e mai Mes. E poi i diritti: impegno sull’eutanasia, sostegno alla causa palestinese, introduzione del car sharing nazionale e del salario minimo, una legge sull’acqua pubblica. L’obiettivo dell’associazione “di cittadinanza attiva”, si legge sul sito, è quello di “coinvolgere gruppi di cittadini nella costruzione di proposte e progetti per la collettività”. Il primo evento fisico dell’associazione è in programma a Marina di Massa il 22 aprile. Per chi vuole iscriversi è prevista una quota di 20 euro.

I soci promotori sono “persone per bene”, ha aggiunto l’ex parlamentare durante la diretta, che vogliono impegnarsi “per migliorare la società in cui viviamo”. “Persone che hanno espresso la volontà di fare politica fuori dalle istituzioni, non mi hanno chiesto nulla, hanno anche rifiutato candidature e che stimo” . Di Giuseppe, 26 anni e tra gli ex esponenti del Movimento più in vista in Campania e molto vicino a Davide Casaleggio, ha preso la parola per ultimo: “Abbiamo deciso che questa associazione”, ha detto, “doveva essere come una casa” che possa permettere “a tutte le persone che si sono sentite rappresentate da Alessandro di avere uno spazio dove portare avanti delle idee e delle battaglie”. “Immagino questa associazione come un luogo dove si sviluppa pensiero, dove ciascuno di noi potrà rimboccarsi le maniche”. Coordinatrice del gruppo di lavoro “Società e partecipazione” sarà Carlotta Graziani, 25 anni e candidata alle Regionali del Lazio per il M5s nel 2018: “Vogliamo”, ha detto, “riavvicinare i cittadini per avere energie buone per cambiare il Paese. Risvegliare, portare avanti una rivoluzione culturale su tutto, scuola, giovani, università, ma anche sulla cultura antimafia che la politica ha paura di portare avanti”. Ivan Zulli, 44 anni ed ex attivista abruzzese e candidato alle parlamentarie europee del 2019, sarà responsabile organizzazione eventi e ha spiegato che punteranno su incontri “interattivi”, magari con l’aiuto di esperti, e valuteranno raccolte fondi per questioni che riguardano certi territori. Tra i referenti c’è poi Lapo Sermonti, 36 anni, delega all’Ambiente: ex candidato alle Comunali nella Capitale per “Roma ecologista”, una lista civica a sostegno di Virginia Raggi, è esperto del Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (Ifad) e proprio con Di Battista aveva scritto la proposta per istituire un servizio ambientale per gli under 32. Infine, con delega all’Economia c’è Danilo Puliani, commercialista che per il M5s si è occupato come consulente di restituzioni e compensi.

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lunedì 3 aprile 2023

Pnrr, Boccia al Fatto.it: “La nuova governance voluta da Meloni causa ritardi, Conte fu messo in croce per molto meno”

Se il Movimento 5 stelle si mostra dialogante con il governo sul Pnrr, il Pd va all’attacco. “Siamo molto preoccupati perché governo e maggioranza sono nel caos. Cambiano progetti e spostano fondi. Chiediamo al governo di riferire urgentemente in Parlamento”. Francesco Boccia, dalla sede del Partito democratico, lancia da una parte l’allarme e, dall’altra, invita Giorgia Meloni in Aula. Il neo capogruppo Pd a Palazzo Madama, ex ministro per gli Affari regionali durante il secondo governo Conte, risponde poi alle domande de ilFattoQuotidiano.it. “Il decreto del governo, che domani sarebbe dovuto andare in Parlamento, non è stato neppure discusso in Commissione e questo ci preoccupa molto. Regna sovrano il caos”.

Gli esponenti del governo, negli ultimi giorni, si sono esibiti in un elenco volto allo scaricabarile sui ritardi del Pnrr: da Draghi, all’Europa, fino al governo Conte 2, accusato ieri dal sottosegretario Fazzolari. Governo di cui, appunto, Boccia era ministro. “Fazzolari, essendosi battuto in Italia e in Europa contro il Pnrr come tutti i sovranisti, non ricorda che quella che fu una grande impresa del governo giallo-rosso, l’attuazione del Pnrr è stata disposta dal governo Draghi, quindi Fazzolari può chiedere ai suoi attuali alleati di governo, che erano nel governo Draghi, com’è stato costruito il piano. Noi siamo preoccupati e indignati – continua Boccia – perché c’è un limite oltre il quale non si va mai, che coincide con l’interesse nazionale. Se il governo ha bisogno di essere aiutato lo dica, ma ci dica la verità fino in fondo in Aula e domani lo incalzeremo su questo sia alla Camera che al Senato”.

Boccia poi sorride rispetto a chi oggi afferma che Conte non dovesse prendere il 100% delle risorse destinate dal Recovery Plan all’Italia. “È la prima volta che sento il buonsenso ribaltato. Le risorse le ottenemmo dopo una grande battaglia politica fatta del governo Conte 2. Oggi è disonesto politicamente cambiare la realtà”. Boccia poi critica la nuova governance voluta dal governo Meloni. “Per molto meno il governo Conte 2, e Giuseppe Conte in particolare, fu messo in croce per una pseudo cabina di regia. Questa cabina di regia per la quale Fitto e Meloni si stanno battendo è dieci volte superiore a quella in termini di impegni e in termini di spesa. Il cambio della governance – sottolinea il presidente dei senatori democratici – non c’è dubbio che stia ritardo l’attuazione dei progetti del Pnrr, perché manca in questo momento dal centro chi dica agli enti locali i tempi di attuazione del Piano. Ci sono molte grandi città che non avendo informazioni non approvano i bilanci di previsione 2023 e questa è una grave responsabilità del governo Meloni”. Ora il rischio concreto è che ci sia il taglio dei progetti, in particolar modo, al Centro-Sud? “Non c’è dubbio – afferma Boccia – non si devono toccare i parametri decisi dal governo Draghi, che già erano riduttivi rispetto all’obiettivo di ridurre le disuguaglianze Nord-Sud”.

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Regionali Friuli Venezia Giulia, la Lega brucia Fdi nella battaglia delle liste dietro l’elezione di Fedriga. Il flop di Azione-Iv a casa di Rosato

Nel Friuli Venezia Giulia dove il presidente uscente Massimiliano Fedriga succede a sé stesso con il 64% dei voti, Fratelli d’Italia riesce a perdere quasi il 14 per cento rispetto alle politiche di soli sei mesi fa, a dimostrazione che il pieno di consensi lo avevano fatto grazie a un clamoroso travaso dalla Lega e dall’elettorato moderato. Il partito di Matteo Salvini, che era piombato a livelli minimi, in parte risorge, anche se lo deve soprattutto al traino della lista del presidente della giunta regionale, che però gli ruba una bella fetta di voti, anche se non riesce a cannibalizzarlo, come qualcuno prevedeva. Fin dal primo momento, sul fronte orientale d’Italia l’unica suspence non è stata quella del nome del vincitore, ma su come si sarebbe concluso il testa a testa all’interno del centrodestra, salomonicamente diviso in tre parti quasi uguali. Sul nastro, Salvini ha bruciato Giorgia Meloni, ma la sua è tutt’altro che un’apoteosi.

Fedriga ha invece brindato quasi subito, visto che già gli exit poll lo davano abbondantemente in vantaggio. Il risultato del 64 per cento è molto simile a quello di Luca Zaia nel vicino Veneto, che nel settembre 2020 era stato riconfermato con oltre il 67%. È il segno che la Lega trae il maggior vantaggio possibile dalle strutture amministrative che governa. Fedriga lo ha sottolineato nel primo commento: “Ringrazio gli elettori del Friuli Venezia Giulia è un’importante manifestazione di fiducia che rappresenta una grande responsabilità, anche perché sono il primo governatore di questa regione a essere rieletto dai cittadini”. Da quelle parti, infatti, l’alternanza degli schieramenti era finora la regola. “Sapere che il lavoro svolto in questi cinque anni, segnati dal Covid e non solo, sia stato così apprezzato dalla gente – ha aggiunto – rappresenta un orgoglio e uno sprone per continuare a lavorare ancora più fortemente al fine di conseguire gli obiettivi del nostro programma”.

Soltanto il 45,26 dei friulani hanno votato, circa 500mila su un milione di aventi diritto. Al secondo posto, a distanza di quasi 35 punti percentuali, è rimasto il dem Massimo Moretuzzo, alleato con i Cinquestelle, Open-Sinistra di Furio Honsell e Alleanza Verdi Sinistra. Si è fermato al 29% ed è una sconfitta in buona parte attesa. Chi ha subito un autentico tracollo è Alessandro Maran, sostenuto dalla sola lista di Carlo Calenda e Matteo Renzi. Con neppure il 3 per cento è stato superato perfino dall’avvocatessa Giorgia Tripoli, sostenuta dai No Vax e dai No Green Pass, arrivata quasi al 5 per cento. Il significato della sconfitta di quello che diceva di essere il “terzo polo” è marcato da due fatti: a settembre aveva ottenuto l’8,72 per cento, quindi ha perso due terzi del consenso, inoltre giocava in casa, visto il ruolo in Italia Viva del triestino Ettore Rosato, fino a dicembre presidente dei renziani.

A tenere desti fino all’ultimo i sostenitori del centrodestra armati di pallottoliere è stata la sfida fra la Lega, Fratelli d’Italia e la lista del presidente Fedriga. Il testa a testa ha visto prevalere i leghisti, che hanno raggiunto il 19 per cento. In qualche modo una resurrezione rispetto al 10,95 per cento, con soli 64mila voti, di settembre. Non va dimenticato, però, che cinque anni fa la Lega elesse Fedriga al primo mandato, raccogliendo il 34,87 per cento di lista. Una resurrezione a metà. Meloni, invece, conosce il primo vero passo indietro dopo la vittoria di sei mesi fa: passare dal 31,3 per cento delle politiche al 18 per cento delle regionali è molto più di un arretramento. È una sconfitta che dimostra quanto il partito sia indietro nella costruzione di una classe dirigente, anche perché FdI puntava a riconfermarsi come forza egemone in regione. Riesce, invece, a distanziare seppur di poco la lista personale di Fedriga, che ha funzionato egregiamente, con oltre il 17 per cento, e ha evitato di umiliare il segretario con un sorpasso, come era avvenuto nel 2020 con la lista di Zaia in Veneto.

Sommando i voti ottenuti a settembre, centrosinistra e Cinque Stelle contavano almeno sul 33 per cento. Sono rimasti sotto il 30 per cento a dimostrazione che l’effetto Elly Schlein non c’è stato o è solo servito a recuperare quello che il Pd ha perso nei mesi di agonia seguiti alla sconfitta elettorale, prima della scelta della nuova segretaria. Se guardiamo ai risultati delle regionali 2018, vediamo quanto il mondo politico è cambiato: allora Fedriga vinse con il 57,09 per cento e la Lega arrivò quasi al 35 per cento, mentre i Cinque Stelle ottennero l’11,67 per cento e oggi sono al 2,5 per cento. Fratelli d’Italia, che nel nome portavano ancora il riferimento ad Alleanza Nazionale, valevano il 5,47 per cento, meno di un sesto del peso del partito di Salvini, con il quale sono ora spalla a spalla.

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sabato 1 aprile 2023

Roma, Conte in piazza con sindacati e lavoratori edili: “Settore messo in ginocchio dalle scelte di questo governo”

“Porto il saluto e la solidarietà del Movimento 5 stelle ai lavoratori che attraversano un periodo di grande difficoltà per la congiuntura economica che stiamo vivendo e per scelte le operate del governo, a partire dalle azioni che hanno messo in ginocchio il mondo dell’edilizia con l’incaglio della cessione dei crediti d’imposta”. Così Giuseppe Conte in piazza Don Bosco a Roma alla mobilitazione nazionale dell’edilizia. “Dobbiamo contrastare questa deriva, batterci insieme con tutte le forze politiche di buona volontà e con le forze sociali qui oggi rappresentate”, ha aggiunto Conte dal palco

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