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martedì 30 maggio 2023

“È un furto di democrazia, vogliono dare un seggio a Forza Italia”: il M5s occupa la Giunta per elezioni – Video

Alcuni componenti del gruppo del Movimento 5 stelle alla Camera stanno occupando l’aula della Giunta per le elezioni, bloccandone i lavori. La protesta del M5s è mirata contro l’emendamento presentato dal deputato di Forza Italia, Pietro Pittalis, che prevede di fissare criteri diversi per il calcolo delle schede nulle e considerare valide anche quelle dell’uninominale in cui l’elettore ha segnato il simbolo di due liste a sostegno dello stesso candidato. La seduta è stata sospesa ed è stato convocato l’ufficio di presidenza. “La seduta della giunta delle elezioni – ha detto più tardi Gianluca Vinci di FdI al termine dell’ufficio di presidenza – è riconvocata alle 20 in un luogo da definire che sarà protetto dai commessi per evitare il blocco della seduta”.

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Elezioni, l’analisi Cacciari a La7: ‘Il Pd non fa politica fiscale redistributiva, M5s se ne frega del proprio radicamento. Dove volete che vadano?’

Durissimo j’accuse del filosofo Massimo Cacciari all’indirizzo del Pd e del M5s, all’indomani della sconfitta del centrosinistra in molti Comuni alle elezioni amministrative. Ospite di Otto e mezzo (La7), Cacciari esordisce sottolineando il crollo del reddito dei lavoratori dipendenti e dei pensionati: “Il loro potere d’acquisto è inferiore a quello di 25 anni fa. Non c’è stata finora una politica fiscale in grado di intervenire su questo problema e manca qualsiasi politica fiscale veramente e seriamente redistributiva. C’è l’evasione fiscale e cosa si è fatto? Non si sa. Questi grandi temi non vengono minimamente affrontati e non sono né nell’agenda di questo governo, né in quella del Pd, né in quella delle socialdemocrazie europee”.

Il filosofo spiega: “Le socialdemocrazie europee stanno franando su quella che era la loro missione fondamentale a partire dal secondo dopoguerra: le politiche fiscali redistributive a tutti i costi e in tutti i modi. Stanno fallendo su quello che era il loro core business. Se falliscono lì, non c’è ciccia per niente. Possono inventarsi qualunque altra cosa sui diritti sociali o sui diritti umani, ma falliscono, come effettivamente stanno fallendo. Se non si capisce questo, che è l’abc della storia politica europea dal dopoguerra a oggi, è impossibile ragionare”.

Cacciari aggiunge un’ulteriore critica al Pd: l’aver abbandonato le istanze territoriali, come quelle dell’autonomia e del federalismo. E prende ad esempio quanto sta avvenendo in Sicilia, dove una parte del Pd è favorevole al ponte sullo Stretto.


“Ma dove volete che vadano? – afferma l’ex sindaco di Venezia circa l’ipotesi di un campo progressista – Come il centrosinistra, neanche la destra ha una identità, perché Salvini e Meloni hanno storie completamente diverse. Ma ogni volta si ritrovano, fanno politica, a differenza del Pd e del M5s. Questo è il punto fondamentale. Sanno che devono trovare una intesa elettorale per governare il paese, sperabilmente meno male di quanto abbiano fatto i loro predecessori. Questo vuol dire fare politica in una situazione tutta liquefatta di transizione, come è quella europea”.

Finale staffilata di Cacciari ai 5 Stelle: “Non esistono sul piano amministrativo-locale e se ne fottono. Ma che intesa elettorale vuoi fare tra due forze (Pd e M5s, ndr) di cui una si disinteressa del proprio radicamento sociale? Stiamo praticamente ragionando di fumo”.

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domenica 28 maggio 2023

Roma, migliaia in piazza con ‘Ci vuole un reddito’: “Da Meloni guerra ai poveri. Pd, M5s, Sinistra con noi? Ora i fatti, si oppongano in Aula”

Migliaia di persone, 15mila secondo gli organizzatori, hanno manifestato a Roma insieme alla rete di associazioni, sindacati, centri sociali e percettori di rdc, riuniti nella campagna ‘Ci vuole un reddito‘, contro il decreto Lavoro del governo Meloni e contro un esecutivo che ha allargato le maglie della precarietà, aumentando la possibilità di fare contratti a tempo determinato e di utilizzare i voucher”. Al contrario, la richiesta è quella di un ampliamento del provvedimento smantellato dell’esecutivo e l’approvazione di un salario minimo.
“Meloni la smetta di accanirsi contro i più poveri, la sua è una guerra contro di loro. La vergogna non è vivere da poveri, ma chi ci rende tali sfruttandoci”, hanno rivendicato in corteo. In piazza oltre 140 tra associazioni, movimenti e organizzazioni sociali, da Nonna Roma alle Camere del lavoro autonomo e precario (Clap), passando per Nidil Cgil, Cobas, studenti e studentesse della Sapienza, Black Lives Matter e non solo, che si sono scagliate contro le destre al governo che “vogliono soltanto costringere ad accettare lavori da sfruttamento e a più bassi salari”.
In corteo anche gli studenti che nell’ultimo periodo hanno manifestato contro il caro affitti: “Siamo qui perché diritto alla casa e diritto al reddito sono temi interconnessi”. E ancora: “Siamo le donne e gli uomini che ogni giorno portano avanti il Paese lavorando nei bar e nei ristoranti, nei magazzini e nelle fabbriche, in cambio di paghe da fame e nessun diritto. Siamo le persone che questo governo fa sentire in colpa perché non sono riuscite a trovare lavoro. Siamo quelli che non sanno come fare a pagare l’affitto o gli studi con un’inflazione che cresce e sussidi che si azzerano. Abbiamo risposto all’indegno attacco del governo e la nostra mobilitazione non si ferma qui”, è stato l’appello delle associazioni che hanno sfilato per le strade della Capitale:
In piazza insieme al corteo di ‘Ci vuole un reddito’ c’erano esponenti di M5s, Partito democratico e Verdi-Sinistra: “Si può ripartire da qui, dalla difesa del lavoro, importante che lo si faccia contro un governo che manderà per strada migliaia di persone considerata ‘occupabili’, ma che lo saranno solo per ‘astratto'”, ha rivendicato il segretario di Sinistra italiana Nicola Fratoianni. Mentre il capogruppo M5s alla Camera, Francesco Silvestri, ha aggiunto: “Siamo qui come saremo in tante altre piazze, insieme, o a quelle singole di partito (come quella lanciata da Conte per il 17 giugno, ndr). Sui temi noi siamo pronti a dialogare e discutere”. Per il Pd presenta una delegazione con la coordinatrice della segreteria nazionale, Marta Bonafoni, Cecilia D’Elia, Susanna Camusso e il responsabile Welfare del partito, Marco Furfaro: “Innegabile che sul tema del lavoro il Pd abbia fatto degli errori in passato”, ha sottolineato, ricordando la stagione del Jobs Act renziana. “Ma oggi siamo qui per costruire insieme un’alternativa a questo esecutivo, il nostro è un nuovo corso, non tradiremo questa fiducia”. Dalla rete di ‘Ci vuole un reddito’ c’è chi auspica però ora di “vedere i fatti“: “Siamo contenti che siano qui gran parte delle opposizioni (tranne Azione-Italia Viva, ndr), ma ora facciano opposizione in Aula per tentare di fermare il Decreto Lavoro“, spiega Alberto Campailla, di Nonna Roma. Altri avvertono: “Ci aspettiamo che le opposizioni si leghino ai banchi: noi faremo opposizione al governo in piazza, ma la faremo anche a chi non la farà in Parlamento”.

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giovedì 25 maggio 2023

A processo per frode fiscale il deputato M5s Riccardo Tucci: “Consentiva all’ex socio di evadere le tasse con fatture false”

Inizierà l’11 luglio prossimo il processo per il deputato del Movimento Cinque Stelle Riccardo Tucci, accusato di aver consentito al suo ex socio di evadere le tasse emettendo fatture per 701mila e 500 euro per “operazioni oggettivamente inesistenti”. Lo ha deciso il gup Barbara Borelli accogliendo la richiesta di rinvio a giudizio della Procura della Repubblica di Vibo Valentia guidata da Camillo Falvo che, nel gennaio 2021, nell’ambito dell’inchiesta per frode fiscale aveva disposto il sequestro preventivo di oltre 800mila euro. Dopo numerosi rinvii, oggi si è conclusa l’udienza preliminare iniziata nell’ottobre del 2021. Insieme al parlamentare, sul banco degli imputati ci saranno il cugino, Adriano Tucci, Domenico Garcea e Vincenzo Maria Schiavello.

Stando alle indagini, coordinate dal pm Concettina Iannazzo, il politico e gli altri sono accusati, a vario titolo, di dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo e emissione di fatture per operazioni inesistenti. L’inchiesta condotta dalla Guardia di Finanza ha svelato “una complessa, insidiosa ed articolata frode fiscale” che sarebbe stata ideata da Vincenzo Maria Schiavello, titolare della Autoelettrosat ed ex socio di Riccardo Tucci.

Il parlamentare, già al secondo mandato, è imputato in qualità di “legale rappresentante della cooperativa ‘Assistenza servizi telematici satellitari’”. Per le Fiamme Gialle, era una società cartiera rientrante nel sistema ideato da Schiavello al quale due anni fa la Procura ha sequestrato 775mila euro. A seguito di una verifica fiscale, infatti, gli investigatori “hanno acclarato la verosimile esistenza – è scritto nel decreto del gip – di un complesso meccanismo di frode fiscale messo in atto attraverso l’utilizzo di società ‘cartiere’, apparentemente terze rispetto alla società verificata”. Una di queste era proprio la cooperativa “Assistenza servizi telematici satellitari”, di proprietà del deputato Tucci. Diventato quest’ultimo parlamentare, il cugino ha assunto la carica di amministratore unico della società che, per gli inquirenti, ha continuato a prestare “i relativi servizi esclusivamente in favore della società verificata e della ditta individuale di Schiavello”.

Per il gip, “gli accertamenti espletati dalla Guardia di Finanza – si legge nelle carte del processo – rassegnano con palmare evidenza la sussistenza di un’unica realtà imprenditoriale, avente quale effettivo dominus Schiavello Vincenzo Maria che, grazie allo schermo di società formalmente terze, mediante emissione di fatture per operazioni inesistenti e le conseguenti fraudolente dichiarazioni, ha acquisito profitti illeciti”. Lo scopo sarebbe stato, secondo gli inquirenti, quello di permettere alla società di Schiavello e alla sua ditta individuale di dedurre, ai fini delle imposte sui redditi e dell’Irap, l’imponibile delle fatture emesse dalle cooperative.

In questo modo, inoltre, l’ex socio del deputato grillino poteva detrarre, ai fini dell’Iva, l’imposta relativa alle suddette fatture e aumentare i costi al fine di ridurre il reddito fiscale da sottoporre a tassazione. Uno stratagemma al quale, secondo i pm, Riccardo Tucci si sarebbe prestato dall’ottobre 2014 al febbraio 2018, quando è stato eletto alla Camera. Il parlamentare del Movimento Cinque Stelle così avrebbe anche evaso le tasse con la sua società. Nel capo di imputazione, contenuto nel provvedimento di sequestro, c’è scritto che Riccardo Tucci “nella sua qualità di rappresentante legale dell’ ‘Assistenza servizi telematici satellitari’ fino al 19 marzo 2018, al fine di evadere le imposte aumentando i costi da portare in deduzione del reddito e in detrazione dell’imposta sul valore aggiunto, dopo aver fatto annotare nella contabilità della società la fattura n. 411 del 10.03.2015 emessa dalla “Autoelettrosat Srl” relativa ad operazioni oggettivamente inesistenti, la utilizzava nelle dichiarazioni delle imposte dirette e dell’Iva dell’anno2015 ed in tal modo evadeva le imposte per un ammontare pari a 9.900,00 euro”. Tra tutte le società cartiere che gravitavano attorno al sistema “Scavello”, l’indagine avrebbe accertato l’emissione di fatture per operazioni inesistenti per un importo di oltre 3 milioni di euro.

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Pd, M5s e Sinistra uniti al fianco di “Ci vuole un reddito”. Silvestri: “La piazza di Conte? Più ce ne sono, meglio è”. E la rete avverte: “Ora i fatti”

Lottare contro il decreto Lavoro del governo Meloni che “cancella il Reddito di cittadinanza, che andava invece migliorato e allargato”. E contro un esecutivo che “fa la guerra ai poveri, allargando le maglie della precarietà, attaccando il decreto Dignità, aumentando la possibilità di fare contratti a tempo determinato e di utilizzare i voucher”. È da Montecitorio che viene lanciata la manifestazione nazionale unitaria del 27 maggio della rete ‘Ci vuole un reddito’, composta da oltre 140 tra associazioni, movimenti e organizzazioni sociali che da tempo si battono per difendere e implementare il reddito di cittadinanza, poi smantellato dalle destre, e spingere per l’introduzione del salario minimo.

Da Nonna Roma alle Camere del lavoro autonomo e precario (Clap), passando per Nidil Cgil, Cobas, studenti e studentesse della Sapienza, Black Lives Matter e non solo, tante le realtà che hanno rivendicato dall’esterno della Camera dei deputati, “in una piazza per troppo tempo chiusa alle manifestazioni”, la necessità di trovare convergenze per difendersi dall’assalto di un governo che, spiega Tiziano Trobia del Clap), in realtà “vuole soltanto una massa di forza lavoro costretta a impiegarsi nei settori a massimo sfruttamento e a più bassi salari”. Per questo motivo torneranno in piazza sabato all’Esquilino, sempre nella Capitale, per una manifestazione che ha raccolto l’adesione anche di Partito democratico, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi-Sinistra.

“Ci aspettiamo fatti dalle opposizioni, speriamo si possa almeno cambiare con gli emendamenti in Parlamento questo decreto”, è stato l’appello rilanciato dalle sigle di fronte a Francesco Silvestri (M5s), Marta Bonafoni e Marco Furfaro (Pd) e Nicola Fratoianni (Avs), che hanno annunciato la loro presenza in piazza dell’Esquilino. “Saremo in piazza con voi, per noi è fondamentale unire le reti sociali e le reti civiche con l’azione parlamentare”, spiega Silvestri. Mentre per i dem è stata la coordinatrice della segreteria nazionale, Bonafoni, che rappresenta il nuovo corso Schlein, a rivendicare l’impegno comune: “Coordinamento delle opposizioni è parte dal lavoro? Questa fotografia lo dimostra”. “Siamo già in ritardo, tutti insieme vogliamo opporci in Parlamento a questo decreto, non c’è battaglia politica che si può vincere da soli”, aggiunge pure Fratoianni.

Eppure, la fotografia unitaria sui temi del lavoro e l’adesione comune rischia di perdere colore di fronte all’annuncio – arrivato pochi minuti prima dell’evento comune – da parte del presidente dello stesso M5s, Giuseppe Conte, del ritorno del Movimento 5 Stelle in piazza, il 17 giugno prossimo, proprio “per dire no alla precarietà“. Tradotto, sugli stessi temi con cui la rete di associazioni sfilerà sabato in corteo, con accanto gli stessi esponenti dem, 5 stelle e di Verdi-Sinistra. “La piazza di Conte? Più iniziative ci sono, meglio è. Invito tutti a lanciare piazze e manifestazioni in difesa del Reddito e per il salario minimo”, dice Silvestri. Mentre da Pd e Sinistra si prova ad allontanare il clima di competizione interna. “L’importante è cercare occasioni di convergenza, l’appello è trovare le ragioni di stare insieme. Poi, qualsiasi manifestazione viene fatta di opposizione al governo e contro la precarietà, in nome della lotta per il reddito, per strumenti sociali che possono salvaguardare le persone è benvoluta”, dice Furfaro.

“Bene la piazza di Conte, certo poi si spera che prima o poi ne sarà fatta una unitaria, non è mai troppo tardi”, replica invece con sarcasmo Fratoianni. Perché la sensazione è che gli alleati continuino a ‘marcarsi’, provando a intestarsi i temi di opposizione all’esecutivo. “Se andremo anche noi del Pd alla manifestazione del 17 del M5s? Se sarà aperta…”, scherza Furfaro, precisando come l’invito sia “reciproco anche per le iniziative del Pd”. “Tutti andremo alle manifestazioni di tutti, sono aperte per definizione”, è la risposta di Silvestri.

Dalla rete delle associazioni, però, al di là del protagonismo delle opposizioni, si aspettano un impegno concreto in Aula: “Siamo contenti che questi temi siano ripresi da molti, certo questo percorso vuole essere autonomo, ma se nasce una battaglia parlamentare fa bene al Paese”, spiegano dalle Clap. Tradotto, nessuno vuol farsi ‘mettere il cappello’. “Vorremmo ricordare come quando si poteva approvare una legge sul salario minimo non è stato fatto, né è stato allargato e migliorato il reddito di cittadinanza come chiedevamo. Ora le opposizioni portano avanti queste battaglie, ma speriamo che anche i fatti siano conseguenti”.

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Il Movimento 5 stelle torna in piazza contro il governo. Conte in un video “allontana Meloni”: “Il 17 giugno in corteo per dire no alla precarietà”

In un video diffuso sui social, il leader del Movimento 5 stelle, Giuseppe Conte, annuncia per il 17 giugno una manifestazione contro il governo a Roma. “Il Primo Maggio Meloni ha introdotto maggiore precarietà. E in più ha tagliato la spesa sociale per le persone in difficoltà, accusandole di essere divanisti. Sono riusciti in compenso a trovare soldi per maggiori forniture militari. Sono queste le politiche del governo Meloni che vogliamo? Evidentemente no. Dobbiamo contrastare tutto questo.
Ritroviamoci il 17 giugno a Roma. Sfileremo in corteo, per dire no alla vite sempre più precarie e insicure che vuole imporci questo governo”.

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mercoledì 24 maggio 2023

Scarpinato: “Non era mai successo che polizia caricasse studenti perché disturbavano un sindaco eletto coi voti di Dell’Utri”

“Quello che è successo ieri, cioè l‘elezione di Chiara Colosimo alla presidenza della commissione Antimafia, è stato il pendant di quello che è accaduto a Palermo. Non era mai successo che la polizia caricasse degli studenti che volevano arrivare fino all’albero di Giovanni Falcone per evitare che potessero disturbare autorità che parlavano sul palco, come il sindaco di Palermo Lagalla, che è stato eletto coi voti di Dell’Utri“. È il commento di Roberto Scarpinato, ex procuratore generale di Palermo e senatore del M5s, che, ai microfoni di Radio Radicale, ribadisce la sua posizione sull’elezione della deputata di Fratelli d’Italia, Chiara Colosimo, alla presidenza della commissione Antimafia.

E aggiunge: ” Se si ritiene normale che possa essere nominato presidente della commissione Antimafia una persona che frequenta stragisti, se si ritiene normale che il sindaco di Palermo possa essere nominato su indicazione di Dell’Utri, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, se si ritiene normale che un senatore della Repubblica (Matteo Renzi, ndr) possa fare il lobbista per conto di potenze straniere, allora poco a poco ci abituiamo, perché questa si chiama normalizzazione. Noi invece abbiamo voluto dire: non è normale tutto questo. Cerchiamo di ricordarci che queste cose non sono normali, né giuste. E stabiliamo una linea di confine, perché altrimenti tutto diventa normale”.

Circa il nome della deputata di Forza Italia, Rita Dalla Chiesa, circolato tra i papabili alla presidenza della commissione Antimafia, Scarpinato spiega: “Certamente ha un personale completamente diverso dalla Colosimo. C’erano tante possibilità di designare altri nomi. Quindi, si è trattato di una decisione politica di arroganza istituzionale, della serie ‘noi abbiamo i numeri e facciamo quello che vogliamo’. Ieri ho fatto un intervento al Senato sulla commemorazione per la strage di Capaci: è stato un anniversario tristissimo perchè si è svolto all’insegna della rimozione e della normalizzazione“.

E conclude ribadendo: “Non era mai successo che la commissione parlamentare Antimafia non avesse i voti di una larga maggioranza, non era mai successo che le opposizioni fossero costrette a uscire, non era mai successo che la polizia caricasse degli studenti che volevano esprimere la loro solidarietà a Falcone. Non sono mai successe tante cose che stanno accadendo in questo periodo storico“.

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martedì 23 maggio 2023

‘Si fa presto a dire Sinistra’, il libro di Cannavò riunisce Pd, M5s e Avs. Patuanelli: “Dialogo, ma no a egemonia dem. Pesa il nodo delle armi”

Prove di dialogo tra gli ex giallorosa. Se in Parlamento come in piazza, Pd, M5s e Verdi-Sinistra faticano ancora a trovare strategie comuni di opposizione al governo Meloni, in ordine sparso in diversi Comuni nell’ultima tornata di amministrative, è a Palazzo Madama che riparte l’operazione disgelo nel vecchio ‘campo largo’. L’occasione? La presentazione in Senato del libro del vice direttore del Fatto Quotidiano, Salvatore Cannavò, ‘Si fa presto a dire Sinistra’, che riesce a mettere allo stesso tavolo il capogruppo dem Francesco Boccia, il collega 5 stelle Stefano Patuanelli e quello del Misto, l’esponente di Alleanza Verdi Sinistra Giuseppe De Cristofaro.

Al di là dei distinguo, dal nodo delle armi all’Ucraina fino all’ambiente, tra i partiti c’è la consapevolezza che sarà necessario ritrovare una strada comune per tentare di tornare al governo del Paese. Almeno dopo le Europee, dato che prima la legge elettorale proporzionale manterrà il clima di competizione attuale.

Dopo l’appello in vista dei prossimi ballottaggi lanciato dalla stessa neo segretaria Pd Elly Schlein, ci prova il capogruppo al Senato Boccia a richiamare i possibili alleati all’unità, nella nuova direzione intrapresa dal nuovo corso dem: “Su alcuni valori non si fanno mediazioni al ribasso, nemmeno in nome della governabilità, perché è lì che il Pd ha perso l’anima in passato, quando abbiamo fatto alcuni patti col Diavolo. Ora invece penso ci siano tutte le condizioni affinché queste tre sinistre parlino lo stesso linguaggio attorno all’uguaglianza. Anche per questo motivo è arrivata Elly Schlein”, chiarisce. Richiamando le tre sinistre indicate nel libro: quella riformista e liberale, quella democratico-sociale, quella “socialisteggiante”, che precisa Cannavò, si incrociano e attraversano gli stessi Pd e M5S. “Schlein prova a mettere insieme queste anime, va oltre perché è figlia di una società aperta e digitale, in grado di individuare le forti diseguaglianze che si creano nel mondo”, rivendica Boccia.

Quella Schlein che, continua l’esponente dem, non merita le critiche di “amnesie” ricevute dagli studenti universitari che protestavano contro il caro affitti nelle tende, “che avrebbero avuto ragione se fosse andato a trovarli un qualsiasi altro dirigente della vecchia guardia, me compreso, ma non lei”, la difende. È però De Cristofaro ad avvertire per il futuro: “La sinistra si è sempre unita in prospettiva ‘anti’, come ai tempi dell’antiberlusconismo. Ora l’unione politica non basta, serve un progetto comune, una visione di Paese. Questo è quello che è mancato e manca ancora”. Concorda Patuanelli, che però avverte: “Quel progetto comune è fondamentale che si tramuti in azioni concrete, perché non sempre al governo, insieme o da soli, siamo riusciti a dare le giuste risposte”. Tradotto, Pd, M5s e Avs provano a riparlarsi, ma i paletti non mancano. “Non vorrei, e non credo sarà così, un ritorno a una prospettiva egemonica del Pd, in un campo che ha varie sfaccettature”, ammonisce lo stesso capogruppo pentastellato. Non senza ammettere come il tema della guerra in Ucraina e degli armamenti mantenga distanze profonde: “Ha un peso perché non comprendiamo come, su un tema così fondamentale, ci siano tentennamenti del Pd: serve una parola netta, necessario trovare un punto comune”.

Boccia invita a “non strumentalizzare“: “Noi siamo per la pace e per aumentare lo sforzo diplomatico dell’Europa e per il negoziato, ci aiutino verso questa prospettiva”. Mentre taglia corto sul voto previsto a fine mese al Parlamento europeo sul Piano munizioni (l’Act in Support of Ammunition Production, ASAP) presentato dalla Commissione UE, che prevede che 500 milioni di euro derivanti dal bilancio comunitario vengano versati alle industrie dei Paesi membri, con l’obiettivo di incrementare la produzione di armamenti, permettendo pure di reindirizzare parte dei Fondi di coesione e del Fondo sociale, oltre che del Pnrr per l’industria della Difesa. “Votare contro nel merito, dopo il nostro via libera alla procedura d’urgenza? Basta propaganda, non c’è possibilità che i fondi Pnrr vengano usati per gli armamenti”. Promessa fatta pure dall’esecutivo, ma che non riguarda invece gli investimenti relativi ai Fondi di coesione e del fondo sociale. Senza contare come, tra ritardi sui progetti e rischio di perdere i soldi, pure su quelli del Pnrr mantenere la decisione non sarà scontato, considerate anche le sicure pressioni dei produttori di armi.

Ma non è l’unico punto di distanza tra Pd e 5 Stelle. Perché Patuanelli chiede ai dem maggiore coraggio pure sull’ambiente: “Non possiamo avere timidezze, servono scelte radicali”. E se già in passato non erano mancate le polemiche sull’inceneritore di Roma voluto dal sindaco Pd (e commissario) Roberto Gualtieri, ora è nello stesso Pd che non manca il confronto rispetto alle proteste degli attivisti per il clima. Già al processo per il blitz al Senato di Ultima Generazione il sindaco capitolino si era costituito a sorpresa parte civile, proprio mentre la coordinatrice della segreteria nazionale, Marta Bonafoni, manifestava insieme a Avs-M5s al sit-in di solidarietà per gli attivisti. Ora è stato lo stesso sindaco a protestare dopo la nuova azione alla Fontana di Trevi, con il carbone vegetale: “Basta con queste assurde aggressioni al nostro patrimonio artistico”.

Al contrario, Boccia sembra voler mediare: “Sul clima nessuno ascolta i ragazzi, c’è chi si indigna per l’azione alla Fontana di Trevi, ma non ha detto una parola in Parlamento sulle cause”, attacca contro la destra, spiegando come “quando ci sono proteste che hanno l’obiettivo di attirare l’attenzione, ma che non fanno alcun danno, forse è il caso di chiedersi cosa chiedono questi ragazzi”. Tradotto, Gualtieri sbaglia? “No, le sue decisioni sono legittime, deve tutelare il patrimonio artistico. Le opere d’arte non si rovinano. Ma al netto di alcune proteste che noi stessi abbiamo condannato, ai ragazzi diciamo: ci siamo, potete anche fermarvi perché vi ascoltiamo”, cerca un equilibrio il capogruppo Pd. Dentro e fuori il partito, alla ricerca del dialogo. Lo stesso invocato, distinguo a parte, pure da Patuanelli: “Mi auguro che col Pd vengano valorizzate le cose che ci uniscono, non quelle che ci dividono”.

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giovedì 18 maggio 2023

Lite Licheri-Paita su emergenza ambientale. “Mi lasci finire, sembra una caffettiera”. “Sei imbarazzante”. Su La7

Scontro acceso a Omnibus (La7) sull’emergenza ambientale e sul dissesto idrogeologico del paese tra la senatrice di Italia Viva Raffaella Paita e il senatore del M5s Ettore Licheri. Quest’ultimo stigmatizza la posizione di alcuni politici sulla situazione critica del territorio italiano: “In Italia c’è un problema culturale. La classe politica non è convinta che in questo momento c’è un’emergenza ambientale”.
Viene immediatamente e ripetutamente interrotto da Paita che insorge: “Parla per te, la classe politica non è tutta uguale”.
“Fammi parlare”, ribatte Licheri.
“No – replica la parlamentare renziana – Io non accetto che tu dica una cosa del genere, perché avete smantellato la struttura Italia Sicura con Giuseppe Conte”.
“Per favore, Paita – risponde Licheri dopo svariate interruzioni da parte della collega – Non avete combinato nulla. Se siamo in queste condizioni, è proprio perché avete governato voi”.

Il senatore pentastellato poi critica l’approccio del governo Meloni all’emergenza climatica e aggiunge: “Non andiamo da nessuna parte se non prendiamo consapevolezza del fatto che la neutralità climatica è l’unica via che ci porterà al futuro”.
“Io sono così imbarazzata dai tuoi discorsi – commenta Paita – Ti arrampichi sugli specchi”.
Interviene il giornalista del Tempo, Pietro De Leo, che ricorda a Licheri: “Voi però avete governato 5 anni”.
“Appunto – mormora la conduttrice Gaia Tortora – Prima con la Lega, poi col Pd!.
Licheri, rivolgendosi a Tortora, aggiunge ironicamente: “Mi pare anche con Renzi”.
“E dovevate ascoltare”, commenta Paita.

De Leo chiede a Licheri perché il piano nazionale per il cambiamento climatico è fermo dal 2018. Inevitabile la precisazione di Paita: “Vero, esattamente da quando sono intervenuti loro al governo. Non si capisce perché hanno smantellato Italia Sicura”.
Licheri cerca di rispondere citando la carta geologica portata avanti dal governo Conte, ma Paita lo interrompe nuovamente.
Paita, per cortesia, mi lasci finire – replica il senatore M5s – Sembra una caffettiera. Va bene che è l’ora della caffettiera, però la pianti”.
Non è elegante”, commenta Gaia Tortora rivolgendosi a Licheri.
Sei imbarazzante, Licheri”, ribatte Paita.
“No, sei imbarazzante tu”, rilancia Licheri.
“Basta, né ‘caffettiera’, né ‘imbarazzante’”, chiosa Gaia Tortora

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mercoledì 17 maggio 2023

Scarpinato: “Reati procedibili a querela? Premia i potenti e il governo pone rimedio solo a una delle storture della riforma Cartabia”

“Il Movimento 5 stelle si astiene su questo ddl perché il testo del governo Meloni pone rimedio solo a una delle storture della riforma Cartabia. Con il suo decreto legislativo di ottobre, che il M5s ha contestato con un parere alternativo, il governo Draghi ha travalicato la ratio della legge delega Cartabia, declassando al rango di reati procedibili a querela anche delitti gravi come sequestro di persona aggravato, lesioni personali con oltre 20 giorni di prognosi, danneggiamento con violenza alla persona. Queste condotte sono state considerate non più eventi di rilevanza sociale tali da imporre allo Stato di intervenire autonomamente, ma vicende interindividuali tra aggressore e vittima. Per fare un solo esempio, prendiamo quello di un pregiudicato, delinquente professionale, che sfonda a spallate e calci la porta di una abitazione privata. Aggredisce e pesta a sangue il proprietario e la moglie, tiene sotto sequestro i due coniugi per due settimane adoperando sevizie e agendo con crudeltà verso i sequestrati. Oggi è un caso procedibile solo a querela“. Lo ha detto il senatore M5s, Roberto Scarpinato, nella dichiarazione di voto sul disegno di legge su procedibilità d’ufficio e arresto in flagranza. “Dire che tutte le vittime sono libere di presentare querela è falso: oltre alle vittime di mafia, vi sono tanti altri casi di vittime vulnerabili che per paura o timore di ritorsioni non sono libere di scegliere. Così su di loro si scarica un altro onere. È una scelta politica precisa, declinazione dell’ideologia neoliberista che ridimensiona il ruolo dello Stato nella sanità pubblica, nella scuola pubblica, in altri settori fondamentali e anche nella giustizia penale. Sono scelte criminogene che si risolvono nell’abbandono dei fragili e in un premio ai violenti. L’intervento correttivo del governo Meloni ricalca una nostra proposta ma è parziale e del tutto insufficiente, il M5s aveva presentato un serie di emendamenti che sono stati rigettati. Ne prendiamo atto ed insieme a noi ne prenderanno atto i cittadini ogni volta che subiranno violenza e sentiranno tutto il peso della loro fragilità”.

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Travaglio a La7: “Governo taglia reddito ma infila nel Dl Lavoro una norma con cui dà vagonate di milioni a industrie armi. Uno scandalo”

“Manca un paio di mesi a quando 800mila famiglie perderanno di punto in bianco il reddito di cittadinanza e si ritroveranno col sedere per terra. Spero che M5s e Pd non aspettino che la gente scenda in piazza, ma che ce la portino in piazza, perché quello che è emerso nel decreto Lavoro approvato lo scorso primo maggio è uno scandalo“. Sono le parole del direttore de Il Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, che a Otto e mezzo (La7) fa riferimento alla denuncia del senatore del M5s, Ettore Licheri: nel decreto Lavoro il governo Meloni ha infilato un finanziamento straordinario di 14,5 milioni di euro a favore delle industrie militari della Difesa per la produzione di munizioni di piccolo e grosso calibro.

Travaglio spiega: “Nel decreto che taglia il reddito di cittadinanza a 800mila famiglie il governo è riuscito a trovare una vagonata di milioni da devolvere alle industrie italiane che producono armamenti e munizioni. E questo ricorda il voto dell’altro giorno in Ue, che purtroppo ha visto i 5 Stelle e il Pd divisi, perché incredibilmente il Pd, insieme a tutti gli altri gruppi, esclusi la sinistra e il M5s, ha votato per la procedura d’urgenza – continua – che autorizza gli Stati a prendere fondi del Pnrr e di coesione, che dovrebbero andare alle politiche sociali, per darli alle industrie che producono armamenti per l’Ucraina. Il Pnrr, che io sappia, era stato costruito e pensato per aiutare l’Europa a uscire tutta insieme dall’emergenza Covid e a sostenere le persone che erano rimaste indietro, non a finanziare le industrie di armamenti”.

Il direttore del Fatto conclude: “Quindi, su questo credo che nel Pd dovranno fare ancora un po’ di strada, perché altrimenti alla fine, dato che i soldi sono fungibili, la gente continuerà a provare antipatia per la causa ucraina, che stiamo cercando in tutti i modi di far diventare antipatica perché stiamo continuando a dare l’impressione che l’unica voce per cui ci sono sempre i soldi è quella delle armi. Non è che se togli soldi al reddito di cittadinanza e li dai alle industrie delle armi, la gente non se ne accorge”.

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martedì 16 maggio 2023

Comunali, da Nord a Sud male il M5s: sotto al 2% a Brescia, al 5 a Brindisi e Terni. Fico: “È l’inizio di un percorso di radicamento”

Malissimo ovunque con risultati che, a stento, vanno oltre il 2 per cento. Anche in questa tornata le elezioni amministrative, da sempre tasto dolente, segnano per il Movimento 5 stelle una scarsa presa sui territori. E a testimoniare la difficoltà è il silenzio quasi totale della classe dirigente che, per il momento, sta lontano dall’analisi del voto: tace Giuseppe Conte e tacciono i membri del Consiglio nazionale. Uno dei pochi a prendere la parola è stato l’ex presidente della Camera Roberto Fico: nell’imbarazzo generale ha cercato di ribadire che c’è un percorso in atto e che, anche la batosta, può essere solo una fase. “Il Movimento sta facendo dei preziosi passi avanti nel radicamento sui territori“, ha detto. “Siamo appena all’inizio di un percorso lungo di cui abbiamo visto solo le prime tappe“. Che sia un passaggio o meno, resta il fatto che l’ultima tornata è stata una delle peggiori di sempre. Un calo che, inevitabilmente, avrà effetti anche sullo schema futuro di alleanza con i dem: se anche dovesse o potesse esserci un riavvicinamento (al momento comunque difficile), a livello locale il Movimento non sembra avere particolare peso. Almeno non nella corsa per le amministrative: è bloccato sotto il 2 per cento al Nord, al Sud va sopra il 5 solo Brindisi e Terni (e guardando i centri minori a Ostuni). Se è una tappa, come sostiene Fico, è molto difficoltosa.

Dove il M5s supera il 5% – A Brindisi è dove l’ex premier Conte è stato più presente, prima e durante la campagna elettorale, ma nonostante ciò il Movimento non va oltre la soglia del 5 per cento: qui il candidato M5s Roberto Fusco, sostenuto anche dal centrosinistra, è andato al ballottaggio. Ma è dieci punti dietro l’avversario di centrodestra. E soprattutto, la lista del Movimento ha preso il 5,09%. Un risultato molto deludente se lo si confronta con quanto i 5 stelle avevano ottenuto alle scorse elezioni politiche del 2018: qui presero più del 17 per cento e anche se le due competizioni sono di difficile confronto, il crollo è evidente. Intanto il Pd, a Brindisi, ha preso il 13,9%. L’altro centro dove il Movimento è riuscito ad andare oltre il 5 per cento è Terni. Qui il ballottaggio sarà tra due candidati di area di centrodestra e la coalizione giallorossa non è riuscita a trovare un accordo. È fuori dal secondo turno il candidato dem, ma anche quello dei 5 stelle Claudio Fiorelli che si è fermato all’11 per cento. A colpire però, è il confronto con il passato: qui nella passata tornata il M5s andò addirittura al ballottaggio con il 25% dei voti. Domenica scorsa, la lista ha preso solo il 6,53% delle preferenze. E pensare che, alle scorse politiche, Conte e i suoi avevano preso il 24,43 per cento dei consensi.

I 5 stelle sono stati sopra il 5 per cento anche a Ostuni: però qui il candidato giallorosso ha vinto al primo turno con il 63 per cento dei voti (e i dem all’11%). Per i grillini, quello è comunque un buon risultato nello sconforto complessivo. Un po’ come a Campi Bisenzio (Firenze), dove il candidato di centrosinistra e 5 stelle va al ballottaggio da favorito e la lista M5s supera il 4 per cento. Cifre però che non bastano per calmare gli animi dentro il Movimento e che preoccupano tutti i leader.

Da Brescia ad Ancona: malissimo al Nord. Ma non solo – Oltre a Brindisi e Terni, per il Movimento 5 stelle il quadro si conferma drammatico. Ad Ancona, il M5s si ferma al 3,7%. Un confronto durissimo con le scorse consultazioni: 15 per cento alle scorse Politiche, 16,5% alle Comunali di cinque anni fa. E ora che il centrosinistra insegue la destra, al secondo turno si porrà il problema di capire chi gli elettori 5 stelle (o quello che ne è rimasto) intendono sostenere. Le cose non sono andate meglio a Brescia: qui i grillini hanno fatto peggio del risultato già deludente delle scorse elezioni comunali, prendendo solo l’1,4 per cento dei consensi contro il 5,6 per cento del 2018. Un piccolo exploit c’era stato alle politiche con il 7,1 per cento dei consensi. Ma dal 2018 a oggi, il margine sembra essersi completamente dissolto. Il Nord resta la terra più difficile di tutte: a Vicenza, dove il centrosinistra strappa il ballottaggio, il M5s si ferma all’1,73 dei consensi (1,69% per il candidato sindaco).

Le cose non vanno meglio nelle altre città. A Siena, la candidata dei 5 stelle Elena Boldrini ottiene l’1,49 per cento dei consensi. Mentre la lista fa l’1,55. Un risultato che, quasi, neanche permette di essere determinanti nella sfida per il ballottaggio. A Pisa, la coalizione giallorossa ha puntato sullo stesso candidato (Paolo Martinelli) che ora sfiderà al ballottaggio l’avversario del centrodestra. Ma anche qui il peso dei 5 stelle è minimo: 3,04 per cento delle preferenze, ovvero 1146 voti. Mentre cinque anni fa erano arrivati quasi al 10 per cento. Restando in Toscana: a Massa i 5 stelle fanno solo il 2,71 per cento (alle scorse tornate amministrative avevano sfiorato il 14 per cento).

Percentuali bassissime anche nel Lazio. A Latina, dove sostenevano l’uscente Damiano Coletta insieme al centrosinistra, hanno preso il 3,23 per cento dei consensi. Ma anche dove il candidato giallorosso vince, come a Teramo, con il candidato Gianguido Dalberto, i 5 stelle non riescono a distinguersi e si fermano al 2,28% dei voti (circa 600 preferenze). Un crollo vertiginoso se si pensa che, solo cinque anni fa, superarono il 13 per cento. La lista 5 stelle fa flop anche in Liguria e in particolare a Imperia, dove è stato riconfermato sindaco Claudio Scajola. Il candidato M5s Stefano Semeria ha preso l’1,42 per cento dei consensi. La sua lista l’1,26. Cifre che, se non fossero relative a una delle principali forze d’opposizione in Parlamento, neanche verrebbero citate nei bollettini post elezioni. E che invece suonano come una disfatta.

Le difficoltà sui territori. E Conte cerca di rilanciare con una manifestazione per il reddito – A preoccupare nel M5s ora è la scarsa organizzazione sui territori. Un problema che torna fuori periodicamente, ogni volta che si commenta il voto dopo le amministrative. E sul quale Giuseppe Conte ha già promesso, a più riprese, che sarebbe intervenuto. Ma al momento la situazione non sembra migliorare. Non solo Fico, rimasto tra i principali referenti del Movimento, ha cercato di ridimensionare la sconfitta. Anche il capogruppo alla Camera Francesco Silvestri si è associato: “Dobbiamo aspettare il verdetto”, ha dichiarato a Isoradio. “Il M5s è al ballottaggio in molti comuni e grandi città come Brindisi. Il M5s ha sempre avuto difficoltà storiche sul territorio. Ma abbiamo avviato con Conte un progetto per un maggiore radicamento sul territorio”. Tutto vero. Però, a questo punto, di riorganizzazione territoriali cominciano a essercene state tante. L’ultima l’ha fatta proprio Conte e risale a febbraio scorso quando, dopo il risultato delle Regionali, l’ex premier e presidente del Movimento annunciò la lista dei nuovo coordinatori locali: 20 a livello regionale e 100 nei vari capoluoghi di provincia o centri più grandi.

Intanto Giuseppe Conte ha scelto di non parlare di Comunali, ma di rilanciare preparano la sua partecipazione alla manifestazione contro l’abolizione del reddito di cittadinanza. In mattinata, nella sede proprio del Movimento, il leader 5 stelle ha incontrato una delegazione dei promotori della manifestazione “Ci vuole un reddito“. “L’incontro di oggi è stato un ulteriore passo nel dialogo con quelle realtà che si battono per i diritti di tutte e tutti, nella comune intenzione di saldare le nostre forze in un fronte di opposizione politica e sociale al governo Meloni”, ha detto alla fine dell’incontro. E ha confermato che il M5s “sarà in piazza il 27 maggio con lavoratrici e lavoratori, percettori di reddito di cittadinanza e studenti“. Per il momento, neanche una parola sul risultato del voto. In attesa della prossima riorganizzazione.

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Schlein: “Meglio M5s o Terzo Polo? Costruiamo alternativa alle destre”. Baruffi: “Cerchiamo l’accordo con Conte ai ballottaggi”

Meglio il Terzo polo o il M5s? “Non è che siamo in uno scenario in cui a noi sta di esprimere delle preferenze. A noi sta di fare un lavoro serio. La mia preferenza è netta: quella di costruire un’alternativa solida alle destre. Questo è successo anche seguendo strade diverse, ma c’è una costante: l’affidabilità del Pd. Noi non neghiamo le differenze che ci sono tra di noi, ma ci sono possibilità di unità nelle battaglia”. Lo ha detto Elly Schlein, al Nazareno, nella conferenza stampa sulle amministrative del 14 e 15 di maggio. Il responsabile Enti locali del Pd, Davide Baruffi, ha parlato anche dell’accordo col M5s al ballottaggio: “Non diamo nulla per scontato, tutto si realizza in modo concreto. Ci sono comuni dove siamo andati insieme al primo turno e questo ci ha dato forza, ci sono comuni dove questo non è stato possibile e io credo che ora dobbiamo fare tutto il possibile perché questo avvenga“.

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venerdì 12 maggio 2023

Ultima generazione a processo: al sit-in anche Pd, M5s e Verdi-Sinistra. Gli attivisti: “Comune di Roma parte civile? Abituati a ipocrisie”

Al Tribunale di Roma è partito il processo che vede imputati, di fronte al giudice monocratico, tre attivisti di Ultima Generazione per il blitz fatto fuori da Palazzo Madama del 2 gennaio scorso, quando lanciarono vernice rossa lavabile sulla facciata del Senato. Gli imputati sono accusati di danneggiamento aggravato: il giudice ha aggiornato il procedimento al prossimo 18 ottobre.

Fuori dal tribunale di Roma è stato organizzato un sit in da parte del movimento ambientalista al quale hanno partecipato e aderito diverse associazioni, da Amnesty International Italia a Greenpeace, decine di attivisti con striscioni che recitavano slogan come “Non paghiamo il fossile” e “La disobbedienza civile pacifica non è reato”. Presenti anche diversi parlamentari di opposizione tra cui la senatrice di Sinistra italiana Ilaria Cucchi e il segretario del partito Nicola Fratoianni, il parlamentare e co-portavoce dei Verdi Angelo Bonelli, la senatrice M5s Alessandra Maiorino. Ma c’era anche Marta Bonafoni, coordinatrice della segreteria nazionale del Pd. “Bisogna guardare la luna e non il dito, basta criminalizzazione“, ha rivendicato. “Se lo diremo pure a sindaci dem come Dario Nardella? Certo. Capisco come certe azioni impattino con le città e con gli amministratori, sono azioni urticanti in qualche maniera. Ma certi problemi non si risolvono con la criminalizzazione “, ha replicato, di fronte a chi gli ricordava la reazione del sindaco fiorentino in occasione dell’azione di Ultima Generazione a Palazzo Vecchio (lo stesso sindaco si scusò poi per aver strattonato, spinto e maltrattato verbalmente il giovane attivista che aveva imbrattato l’edificio con della vernice lavabile, ndr).

Eppure, all’uscita dei tre attivisti dall’udienza, si è scoperto come – oltre al Senato e al Ministero della Cultura, notizia già annunciata- anche il Comune di Roma del sindaco dem Roberto Gualtieri si sia costituito parte civile nel processo. “Incoerente che il Pd venga in piazza e allo stesso tempo una città amministrata da un suo sindaco, Roberto Gualtieri, si costituisca parte civile? Siamo abituati alle ipocrisie della politica, altrimenti non saremmo qui”, ha replicato al Fattoquotidiano.it Laura Paracini, una dei tre imputati assieme a Alessandro Sulis e Davide Nensi al termine dell’udienza. Bonafoni, invece, aveva già lasciato il presidio.

Ma non è soltanto la costituzione di parte civile del Comune capitolino a lasciare perplessi gli alleati in Parlamento dei dem. “Dal Pd ci aspettiamo coerenza: dall’Emilia Romagna alla Toscana ci sono sindaci dem che pensano che i rigassificatori siano la soluzione, invece serve investire nelle rinnovabili, cosa che il governo Meloni non sta facendo”, ha attaccato Bonelli.

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mercoledì 10 maggio 2023

La gaffe di Bocchino a La7: “Il M5s ha voluto il Rosatellum”. Ma la legge nacque proprio per affossare i 5 Stelle

Gaffe di Italo Bocchino, ex parlamentare del Pdl e direttore editoriale de Il Secolo d’Italia, nel corso di Otto e mezzo (La7). Il dibattito è incentrato sul primo giro di consultazioni relative alla riforme avviato dalla presidente del Consiglio con le opposizioni.
Dopo aver lodato, come sempre, la figura di Giorgia Meloni e aver attaccato la leader del Pd Elly Schlein, Bocchino afferma: “Formigli parla di ‘banda di spingibottoni’ in Parlamento. Ma scusate, la legge elettorale chi l’ha fatta? Come si chiama? Legge Rosato. Di che partito era Rosato quando ha fatto quella legge? Del Pd. E chi l’ha voluta? Il Pd e i 5 Stelle“.

Qualche minuto dopo, la conduttrice Lilli Gruber interviene a riguardo precisando che “l’orrendo Rosatellum” fu votato anche da parte del centrodestra. Ma nessuno in studio obietta all’ex deputato del Pdl che in realtà il Rosatellum nacque proprio per affossare il M5s e che, oltre al Pd, fu la Lega a contribuire attivamente all’elaborazione del testo. Nel 2017 infatti la legge venne approvata in via definitiva al Senato col voto favorevole di Pd, Lega, Forza Italia, Area Popolare, Autonomie linguistiche e altri gruppi del Misto e del centrodestra. I 5 Stelle, che indissero diverse manifestazioni di protesta contro la legge, votarono ovviamente contro, insieme ad Articolo Uno, Sinistra Italiana, Alternativa Libera e Fratelli d’Italia.

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giovedì 4 maggio 2023

Ucraina, Appendino a La7: “Ue dice che si possono usare fondi Pnrr per produrre munizioni? Indegno”. Botta e risposta con Tocci

Botta e risposta a L’aria che tira (La7) tra la deputata del M5s, Chiara Appendino, e la direttrice dell’Istituto Affari Internazionali, Nathalie Tossi, sull’invio di armi in Ucraina.
L’ex sindaca di Torino esprime la sua posizione critica: “Ormai sono mesi che viviamo questa escalation. È un binario che l’Europa ha deciso di intraprendere. Io ho paura. Il sentimento che provo oggi è paura, perché siamo di fronte al rischio di una terza guerra mondiale e di un conflitto nucleare. E noi siamo quasi assuefatti a questo, ma stiamo correndo un grosso rischio noi, le nostre generazioni e i futuri figli”.

Poi commenta le parole pronunciate ieri dal commissario Ue per il Mercato interno, Thierry Breton, che, presentando il nuovo piano per produrre in Europa un milione di munizioni all’anno, ha dichiarato che i paesi membri della Ue potranno utilizzare parte dei fondi dei rispettivi Pnrr per aumentare la produzione di munizioni e di missili, innanzitutto per sostenere l’Ucraina.
È indegno – afferma Appendino – Io mi auguro che il governo dica chiaramente che noi, come Stato italiano, non vogliamo questa cosa, perché è inaccettabile”.

Tocci osserva: “Capisco bene la sua paura ed è effettivamente un sentimento diffuso. Tuttavia, credo che la paura non sia mai un’emozione che porta a decisioni e ad azioni politiche giuste e sostenibili. Quindi, se siano animati dalla paura, allora veniamo portati in luoghi estremamente oscuri”.
“Se siamo razionali – replica Appendino – guardiamo i fatti: sono 14 mesi che vediamo lo stesso copione. E io non vedo che le armi abbiano fatto avvicinare le parti. Fino a che punto possiamo andare avanti così? Siamo d’accordo che questa strategia ha fallito?“.
Tocci dissente: “Nell’ultima settimana nel villaggio ucraino di Dumantsi ci sono stati 28 attacchi, 26 dei quali sono stati intercettati. Sono morte 24 persone tra cui 4 bambini. Se tutti quei 28 attacchi fossero andati a segno, quanti civili ucraini sarebbero morti? A questo servono le armi”.

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mercoledì 3 maggio 2023

I deputati M5s danno forfait all’audizione del presidente Anac su una proposta di legge di Conte: “Un errore di comunicazione”

Un forfait che ha lasciato “basita” la maggioranza, giustificato dai diretti interessati come “errore di comunicazione”. È quello che hanno dato i deputati M5s in commissione Affari Costituzionali, mercoledì mattina, dove si è svolta l’audizione del presidente dell’Anac Giuseppe Busia sulla proposta di legge sul conflitto di interessi, a prima firma Giuseppe Conte.

Dopo lo scivolone del governo sul Def in Aula alla Camera la settimana scorsa, dovuto soprattutto alle numerose assenze nelle file del centrodestra, questa volta è toccato al M5s finire nel mirino proprio della maggioranza. Dentro Fratelli d’Italia e Forza Italia infatti non è passata inosservata l’assenza dei deputati pentastellati. Il meloniano Alessandro Urzì si è detto “basito” e anche la parlamentare forzista Deborah Bergamini ha voluto rimarcare come gli scranni del Movimento 5 Stelle fossero vuoti.

Interpellate dall’Adnkronos, fonti parlamentari grilline in Commissione parlano di “un errore di comunicazione” per giustificare l’assenza dei parlamentari stellati: “Di solito – spiegano le stesse fonti – c’è sempre una persona per gruppo in Commissione per sentire le audizioni. C’è stato un passaggio mancato, visto che in Aula c’era il voto di fiducia sul decreto legge Cutro”.

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martedì 2 maggio 2023

Lombardia, la Lega chiede al governo più fondi del Pnrr perché “siamo una Regione virtuosa”. M5s: “Sbugiardati dai vostri dirigenti al Sud”

È necessario dirottare le risorse, da Sud a Nord. In pratica, dicono, da chi è in ritardo a chi, al contrario, ha già dimostrato di saper fare investimenti. È la richiesta che la Lega, al Pirellone, ha avanzato in Regione per chiedere al governo, in una formula avvolta – ma non troppo – dal burocratese, di “rimodulare l’impostazione dei criteri” del Pnrr “al fine di dare tutela alle capacità progettuali di quelle aree del Paese (si legga, la Lombardia, ndr) che hanno già dato dimostrazione di sapere sviluppare e concretizzare i progetti” compatibili col Piano. La mozione, firmata dai consiglieri del Carroccio (prima firma, Alessandro Corbetta) è stata approvata con 45 voti a favore e 26 contrari.

Nel documento, a sostegno della proposta, si legge che la Lombardia “nel 2021 ha registrato una crescita del Pil del 6,8%” (che ricorda un po’ l’idea della ex assessora al Welfare, Letizia Moratti, in tempi di pandemia, secondo cui era utile inviare i vaccini alle Regioni più ricche); e ancora, si legge che “è uno dei territori più industrializzati d’Europa, con oltre 800mila imprese”; che “la resilienza delle imprese lombarde è composta da un tessuto industriale e manifatturiero che da sempre trascina la produttività di tutto il Paese”. Ma non solo: la mozione cita anche i ritardi e che “oltre la metà delle misure interessate sia ancora in fase sostanzialmente iniziale dei progetti”. Come a dire: lasciamo indietro chi è in ritardo, ci pensiamo noi. E poi “i tanti Comuni della Lombardia hanno l’estrema necessità di attrarre risorse sui territori per svilupparsi e per competere e stare al passo con le altre aree europee”. Insomma, a fronte di tutto ciò, come non rivedere il Pnrr in favore della Lombardia?

Alla mozione, in Aula, si è opposto il Movimento 5 stelle, che l’ha bollata come “pagliacciata”, sottolineando che “è meglio non arrivi al governo. Perché se gli impegni di questo documento dovessero essere presi alla lettera il rischio concreto è che l’effetto sia quello di far perdere a tutte le Regioni d’Italia i fondi del Pnrr” ha detto il capogruppo Nicola Di Marco. “Come si possa parlare oggi, con i ritardi che il governo Meloni ha già accumulato, di revisione e quindi di ulteriori perdite di tempo, è davvero incomprensibile. A meno che l’obiettivo della Lega non sia proprio quello di mettere ancor più in difficoltà l’esecutivo”. Il M5s, peraltro, per controbattere alla posizione del Carroccio, ha usato le parole del coordinatore regionale della Lega in Sardegna, Michele Pais: “A inquadrare la questione è sufficiente ricordare quello che ha spiegato lui, e cioè come i fondi legati al Mezzogiorno e alle Isole non possano essere messi in discussione e di come lo stesso ministro per gli Affari regionali, Roberto Calderoli, abbia detto che non sia sul tavolo l’ipotesi, anche remota, di ridurre i fondi per le isole”.

Mail: a.marzocchi@ilfattoquotidiano.it

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lunedì 1 maggio 2023

FQChart – Sondaggi elettorali: ponte del Primo Maggio positivo per ItaliaViva e M5S

FQChart è la media aritmetica settimanale dei sondaggi sulle intenzioni di voto degli italiani in esclusiva per Il Fatto Quotidiano.
Concorrono alla media tutti i sondaggi pubblicati dai maggiori istituti demoscopici nella settimana appena conclusa.

Settimana dal 24/4 al 30/4/2023

Sette giorni a cavallo tra la festa della Liberazione e quella dei Lavoratori portano poche variazioni nella nostra chart ma tutto sommato abbastanza credibili. È il caso dei primi tre partiti sul podio e degli ex (futuri?) alleati del “Terzo Polo“. FdI mantiene il proprio consenso senza più exploit (28,8% medio, +0,1). Discorso analogo per il PD di Schlein (20,2%, -0,1). Torna in positivo il M5S, che molti davano già in seria difficoltà dopo l’elezione della segretaria Dem, la quale, nonostante una forte narrazione a favore, non riesce ancora a staccare dal Movimento le frange più a sinistra. Questa settimana il partito di Conte è al 16% (+0,2).

Buona la settimana di ItaliaViva con un +0,4 (2,8% la media ma valori oltre il 3% in almeno due dei sei sondaggi utilizzati). Evidentemente le mosse di Renzi e il caos comunicativo di Calenda hanno fatto la differenza per quegli elettori che si riconoscono nell’etichetta “liberali e riformisti”. E infatti se IV sale, Azione scende (4,3, -0,2). Bene anche Forza Italia, sempre stabile o in crescita da quando Berlusconi è stato ricoverato al San Raffaele di Milano. Per FI ora è in arrivo la convention del 5 e 6 maggio, durante la quale ci si augura che il leader possa manifestare la sua presenza in qualche modo.

Fonte: Swg, Emg, Tecnè, Euromedia Research, Quorum, Demos

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