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mercoledì 29 novembre 2023

Caso Cospito, il sottosegretario Delmastro rinviato a giudizio per rivelazione di segreto. Le opposizioni chiedono le dimissioni

Il sottosegretario alla Giustizia di Fratelli d’Italia Andrea Delmastro è stato rinviato a giudizio dal gup di Roma, Maddalena Cipriani, nell’ambito del procedimento che lo vede accusato di rivelazione di segreto d’ufficio in relazione alla vicenda di Alfredo Cospito, l’anarchico detenuto al 41-bis e protagonista nei mesi scorsi di un lungo sciopero della fame. Delmastro, che in via Arenula ha la delega alle carceri, aveva infatti rivelato al compagno di partito Giovanni Donzelli il contenuto di una relazione della polizia penitenziaria sui dialoghi di Cospito con alcuni boss mafiosi suoi compagni di reparto nel penitenziario di Sassari. E il 31 gennaio, durante una seduta della Camera, Donzelli aveva usato quelle informazioni per attaccare quattro parlamentari del Pd, Debora Serracchiani, Walter Verini, Andrea Orlando e Silvio Lai, accusandoli di vicinanza alla mafia per aver fatto visita all’anarchico qualche settimana prima (video). L’indagine era stata aperta dopo un esposto presentato in Procura dal parlamentare di Alleanza Verdi e Sinistra Angelo Bonelli.

L’inizio del dibattimento è stato fissato al prossimo 12 marzo. Nell’udienza preliminare di mercoledì – il sottosegretario era presente in aula – la Procura di Roma, rappresentata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, ha chiesto il non luogo a procedere, in coerenza con l’interpretazione già adottata nei mesi scorsi. Lo scorso luglio infatti il gip Emanuela Attura aveva disposto l’imputazione coatta per il sottosegretario, non accogliendo la richiesta dei pm, che avevano invece sollecitato l’archiviazione ritenendo non ci fosse la prova dell’elemento soggettivo del reato (cioè della consapevolezza di Delmastro di stare violando un segreto amministrativo). “Confidavamo in una decisione diversa perché c’erano tutti i presupposti per una sentenza di non luogo a procedere”, ha commentato il difensore di Delmastro, l’ex parlamentare di An Giuseppe Valentino (che a sua volta è stato sottosegretario alla Giustizia nei governi Berlusconi II e III). Il giudice ha invece negato la costituzione di parte civile dei quattro esponenti del Pd.

Il rinvio a giudizio sconfessa anche la difesa di Delmastro ripetuta più volte dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, secondo cui il documento non era segreto. “Abbiamo chiesto la calendarizzazione della mozione di sfiducia per il sottosegretario Delmastro. Dopo il rinvio a giudizio, vorremmo capire perchè sia stato difeso da autorevoli esponenti del governo, come il ministro Nordio”, annuncia la capogruppo del Pd Chiara Braga. “La difesa di Nordio, basata su motivazioni politiche e non sulle norme, è gravissima. Per questo, torno a chiedere a Nordio chi gli abbia chiesto di difendere Delmastro, quando la violazione del segreto amministrativo era evidente”, attacca invece il verde Bonelli. Che ricorda: “In aula, Donzelli affermò che i verbali da lui letti sarebbero stati accessibili a tutti i deputati su richiesta. Ricordo di aver chiesto al ministro gli stessi verbali in possesso di Donzelli, ma mi fu negato l’accesso, in quanto erano riservati. Ora, per rispetto delle istituzioni, Delmastro dovrebbe dimettersi”, conclude.

A chiedere le dimissioni anche il Movimento 5 stelle con le capogruppo nelle Commissioni Giustizia di Camera e Senato, Valentina D’Orso e Ada Lopreiato: “Il rinvio a giudizio del sottosegretario Delmastro è solo l’ultimo passaggio di una vicenda gravissima prima di tutto sul piano istituzionale e politico. Il suo comportamento e quello del suo collega di partito Donzelli sono stati inqualificabili e per questo il M5s ha chiesto subito le dimissioni da sottosegretario per Delmastro e da componente del Copasir per Donzelli. Quanto deciso oggi dal gup di Roma per noi è solo la conferma del fatto che avevamo ragione nel denunciare quelle condotte, pericolose e offensive per il corretto funzionamento delle istituzioni. Ribadiamo dunque che Andrea Delmastro deve dimettersi dal delicato ruolo di sottosegretario alla Giustizia”, affermano in una nota. La senatrice di Alleanza Verdi e Sinistra Ilaria Cucchi invece incoraggia Nordio a revocare le deleghe a Delmastro, “perché non può più occuparsi del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria”.

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martedì 28 novembre 2023

Lombardia, i dati confermano ‘l’intensa attività di bracconaggio’ ma Lega e FdI fanno l’ennesimo regalo ai cacciatori. M5s: ‘Incostituzionale’

Se c’è un merito di cui va dato atto alla nuova legislatura in Regione Lombardia è la pervicacia con la quale due partiti su tutti – Lega e Fratelli d’Italia – stanno soddisfacendo le istanze di uno zoccolo duro del loro elettorato: i cacciatori. Pochi giorni fa è stata approvata la legge regionale 4/2023 e non è difficile immaginare che tra brindisi e sfregamenti di mani sia stata data una bella lubrificata ai fucili migliori. La ragione è che la legge contiene una serie di favori alle doppiette. Il più atteso è quello che rende più complicati i controlli sugli uccelli utilizzati come richiami vivi (per la gioia delle valli bresciane e bergamasche). Altri favori riguardano le norme sui capanni, che di fatto potranno essere costruiti a ridosso di aree protette (Rete Natura 2000) o addirittura all’interno (zona Alpi). Sul primo è persino intervenuto il governo, intimorito dalla piega che stava prendendo la legge prima del via libera definitivo, con tanto di lettera del capo di gabinetto del ministero dell’Ambiente indirizzata al governo Meloni e conseguente carteggio tra Palazzo Chigi e Palazzo Lombardia. E a stridere, con quanto sta accadendo a livello politico, c’è la conclusione dell’operazione Pettirosso, quella grazie alla quale ogni anno i carabinieri forestali specializzati nell’anti-bracconaggio (Soarda) fanno avanti e indietro lungo le valli lombarde. Ebbene, in pochi giorni hanno denunciato 123 persone (tra cui il promotore della legge regionale di cui si parla, il consigliere di FdI, Carlo Bravo) e ne hanno arrestate due. Ma andiamo con ordine.

“La legge è incostituzionale”, ma la Regione tira dritto – La commissione Agricoltura, guidata dal cacciatore Floriano Massardi (Lega) e dal già citato Bravo, ha lavorato dal primo giorno dell’insediamento con un obiettivo: rendere più difficili i controlli sugli anellini inamovibili dei richiami vivi. I richiami vivi sono uccelli, allevati in cattività per conto dello Stato, a cui sono posti dei sigilli identificativi in metallo, e che vengono utilizzati dai cacciatori per “richiamare” altri uccelli (per lo più migratori), che così vengono uccisi. In che modo lo hanno fatto? Mettendo in piedi alcune norme – con la modifica della legge 26/93 – che introducessero, al posto di anellini in metallo, fascette di plastica. Che, per la natura della propria struttura, sono facilmente manomettibili. Per le associazioni ambientaliste, con Lac, Wwf e Cabs in testa, lo scopo – tra gli altri – è concedere una sanatoria ai cacciatori che detengono illegalmente uccelli, utilizzati come richiami vivi, provenienti da catture.

Proprio su questo punto è intervenuto il ministero dell’Ambiente, che ha definito le prime modifiche apportate alla legge regionale 2/23 “costituzionalmente illegittime”. A quel punto l’assessorato lombardo all’Agricoltura, guidato da Alessandro Beduschi, ha cercato di correggere il tiro ma la legge regionale approvata, nei fatti, ha sovvertito le indicazioni del Mase; così si è arrivati alla definizione di un testo che, anziché escludere del tutto le fascette di plastica, le ricomprende tra i contrassegni validi.

Il rischio di procedura d’infrazione Ue – Come anticipato, l’altro favore della Regione riguarda i capanni adibiti alla caccia da appostamento. E qui i punti controversi sono più d’uno. Per prima cosa, la legge consentirà alle doppiette di non dover ricorrere alla procedura di valutazione d’incidenza “per il rinnovo degli appostamenti esistenti” all’interno di aree di protezione speciale, create dall’Ue, cioè i siti Natura 2000. Per i nuovi capanni si dovrà ricorrere alla valutazione d’incidenza solo se all’interno dei siti o all’esterno del raggio di cento metri. Da qui in poi, in pratica, c’è una sorta di liberi tutti. Ma le maglie si allentano anche per i nuovi capanni posti nella cosiddetta zona Alpi. Per quanto riguarda il primo aspetto, l’ipotesi – piuttosto solida – è che la normativa si scontri con la direttiva Habitat dell’Unione europea, che dispone che “qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso e necessario alla gestione del sito ma che possa avere incidenze significative su tale sito […] forma oggetto di una opportuna valutazione dell’incidenza che ha sul sito, tenendo conto degli obiettivi di conservazione del medesimo”. Il secondo aspetto, invece, andrebbe a confliggere con la legge nazionale sulla caccia, la 157/92.

Per queste ragioni il Movimento 5 stelle lombardo ha inviato una lettera al governo e al commissario europeo all’Ambiente, Virginijus Sinkevičius, perché l’esecutivo impugni la legge regionale. “Abbiamo scritto a Meloni per segnalare tutte le violazioni costituzionali – dice la consigliera M5s Paola Pollini – denunciamo un vero e proprio raggiro delle basilari norme a tutela e protezione della fauna e che il governo italiano ha avallato nel silenzio. Basti solo pensare che a settembre, il ministero dell’Ambiente informava Palazzo Chigi che la nuova norma regionale sulle ‘fascette di plastica’ era palesemente incostituzionale. Dopo uno scambio di bozze e correzioni, il nuovo testo dell’articolo non prevede più l’obbligatorietà della sostituzione degli anelli con le fascette, ma la possibilità che ciò avvenga. Questa nuova definizione – continua Pollini – è letteralmente una presa in giro. È evidente che l’intento è quello della totale sostituzione dell’unico contrassegno legale (l’anellino in metallo e numerato) con un contrassegno in plastica facilmente alterabile, per la gioia dei bracconieri.

E ancora: “Ci chiediamo come interpreteranno la norma i giudici ordinari, quando si troveranno di fronte agli innumerevoli casi di manomissione o assenza di un anellino di metallo e la contemporanea presenza di una fascetta di plastica. Chi avrà ragione? L’anellino di metallo, l’unico contrassegno legale previsto dalla norma nazionale e universalmente riconosciuto, o la fascetta voluta dai consiglieri del centrodestra? Abbiamo segnalato altri aspetti che potrebbero favorire i bracconieri – conclude – tra cui quelli sull’installazione di capanni da caccia nelle riserve e siti Natura 2000, quelli che consentono a un capannista di sparare in qualunque capanno della Regione senza chiedere permesso a nessuno, quelli che consentono di installare capanni nelle zone di maggior tutela delle Alpi, infine quelli che consentono la caccia in forma vagante, anche dove è proibita”.

Operazione Pettirosso: intensa attività di bracconaggio – E fin qui si è parlato di ciò che accade nelle stanze della politica, tra Milano e Roma (e probabilmente Bruxelles). Poi ci sono i fatti. E soprattutto i numeri, in grado di raccontare ciò che accade fuori dai palazzi. In questi giorni si è conclusa l’operazione Pettirosso dei carabinieri forestali, coordinati dal reparto operativo Soarda e dal raggruppamento Cites, proprio in Lombardia. Al termine della loro attività, i militari parlano di “intenso bracconaggio che ha gravi ripercussioni sui sistemi ecologici”. Qui “l’avifauna è molto ricercata dai ristoranti locali perché ingrediente indispensabile per piatti tipici come la famosa ‘polenta e osei’ e ‘lo spiedo’. È frequente anche il consumo casalingo. La seconda ragione è sia commerciale che amatoriale: si ha immissione sul mercato di esemplari catturati in natura e inanellati abusivamente con modalità spesso cruente per essere poi destinati principalmente all’uso come richiami vivi, ma talvolta anche a voliere con finalità riproduttive od ornamentali”.

Ed ecco i risultati: 123 persone denunciate per reati contro l’avifauna selvatica e due arresti per detenzione di arma clandestina e sostanze stupefacenti, 3564 uccelli sequestrati (di cui 2131 già morti) – tra cui numerose specie non cacciabili e specie particolarmente protette – “tutti catturati o abbattuti in modo illecito”. Sequestrati anche 1338 dispositivi di cattura illegale, 75 fucili e 4055 munizioni. I reati principali: furto aggravato di fauna selvatica (bene indisponibile dello Stato), ricettazione, contraffazione di pubblici sigilli, uso abusivo di sigilli destinati a pubblica autenticazione, maltrattamento e uccisione di animali, detenzione non consentita di specie protette e particolarmente protette, uccellagione, esercizio della caccia con mezzi vietati, porto abusivo di armi e munizioni, detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Tra i denunciati, come rivelato da ilFattoQuotidiano.it, anche il consigliere regionale di Fratelli d’Italia, Carlo Bravo.

Mail: a.marzocchi@ilfattoquotidiano.it

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Scontro Licheri-Gasparri. “Sei un lobbista, Report non si è inventato nulla”. “Tutto trasparente, io non mi dimetto”. Su La7

L’inchiesta di Report? Non mi dimetto da presidente della Cyberealm. Non è vero che questa società lavora con paesi stranieri, non ha nessun contratto e nessuna commessa. Il fatto che io presieda questa società non è un dato segreto, basta fare una visura camerale e risulta come dato trasparente”. Maurizio Gasparri, neo-capogruppo di Forza Italia al Senato,ribadisce la sua autodifesa, stavolta nella trasmissione L’aria che tira (La7), circa la corposa inchiesta di Report sul ruolo di presidente, mai segnalato a Palazzo Madama, che l’azzurro ricopre in una società di cyber security con sede a Milano, la Cyberealm.
Nella sua formula di auto-assoluzione, Gasparri menziona la legge 441/1982: “Questa legge dice che bisogna comunicare le funzioni di amministratore o di sindaco di società. E io non ho nessun potere di gestione in questa società“.

Di avviso totalmente diverso è il senatore del M5s, Ettore Licheri, che a nome del Movimento annuncia di aver inviato una lettera al presidente della Giunta per le elezioni del Senato perché valuti la violazione da parte del senatore Gasparri del regolamento del Senato. E menziona l’art.18 del regolamento per la verifica dei poteri: “Entro 30 giorni dalla proclamazione o dalla nomina i senatori sono tenuti a trasmettere alla Giunta l’elenco di tutte le cariche ed uffici a qualsiasi titolo ricoperti, retribuiti o gratuiti“.

Licheri continua: “Gasparri non poteva mettere quella società dentro l’elenco, perché faceva e fa lobbismo. Gasparri è un lobbista e quindi ha bypassato quel passaggio. È tutto scritto, Report non si è inventato nulla. Però cosa fa Gasparri? Lui da 20 giorni sapeva che Report aveva scoperto questo suo vulnus. E quindi – sottolinea – ha usato il metodo dell’intimidazione preventiva, lo stesso di Crosetto, in maniera tale che se qualunque magistrato si fosse occupato di lui, avrebbe potuto dire che era una ritorsione. Gasparri allora ha attaccato Ranucci in Vigilanza Rai, facendo tutta quella scenata con la carota per depotenziare in una fase successiva l’inchiesta di Report”.

Gasparri smentisce e menziona di nuovo la legge 441/1982, scatenando il dissenso di Licheri che obietta: “Ma non c’entra nulla col regolamento del Senato. Dai, Gasparri, siamo in televisione, non puoi dire queste cose”.
Dello stesso avviso di Licheri è la giornalista di Domani, Daniela Preziosi, che evidenzia il ruolo delicatissimo di presidente di una società di cyber-security, che si avvale di rapporti con i servizi segreti di Paesi stranieri come Israele. Ma Gasparri è irremovibile, rifiutando anche l’ipotesi di decadenza da senatore.

E ancora una volta interviene Licheri, che gli ricorda: “Noi due siamo membri della Commissione Difesa del Senato. Sappiamo entrambi gli affari che trattiamo e soprattutto la delicatezza e la sensibilità dei dossier che trattiamo. Lei presiede una società di cyber-sicurezza a dimensione internazionale con collaboratori esterni. E si assume il compito di essere un referente per la gestione degli Affari istituzionali. Ma per lei tutto questo è regolare in Commissione Difesa?“.

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“Basta negazionismo climatico, via Lo Palo dall’Arpa”. Protesta delle opposizioni in Regione Lombardia: “Silenzio di Fontana imbarazzante”

L’opposizione di centrosinistra ha sollevato oggi in Consiglio regionale cartelli con scritto “Lo Palo dimissioni” e “Basta negazionismo climatico”, per protestare non solo contro il fatto che a due settimane dall’approvazione della mozione di sfiducia contro la presidente di Arpa Lombardia la Giunta Fontana non abbia ancora preso decisioni conseguenti, ma anche che non si sia degnata di rispondere alla richiesta di riferire in Aula rispetto allo stesso tema. La mozione, che aveva come primo firmatario il capogruppo del Partito democratico Pierfrancesco Majorino, chiedeva le dimissioni di Lo Palo in seguito a sue dichiarazioni pubbliche che negavano espressamente che le attività umane potessero essere causa della crisi climatica in corso. Dopo questa protesta il presidente del Consiglio regionale ha sospeso la seduta. “È incredibile il totale silenzio della Giunta su Lo Palo e sulla mozione approvata due settimane fa – ha detto Majorino – Ed è anche incredibile che non solo l’opposizione, ma tutto il Consiglio venga ignorato da Fontana senza che nulla accada. Lo Palo ha negato le responsabilità umane nella crisi climatica che stiamo vivendo, non può presiedere l’agenzia regionale per l’ambiente della Lombardia. Noi non molleremo fino a che Fontana non metterà a capo di Arpa una persona competente al posto di una negazionista climatica come Lo Palo”. “È gravissimo che la Giunta ignori il voto del Consiglio regionale, è ancora più grave che la maggioranza, implosa sul voto in merito alla richiesta di dimissioni della signora Lo Palo dalla Presidenza di Arpa, cerchi di nascondere i cocci della rottura sotto il tappeto, silenziando il tema – ha dichiarato il capogruppo del M5s, Nicola Di Marco – Il presidente Fontana fugge dal confronto e dalle Aule istituzionali, mentre Fratelli d’Italia si ostina con arroganza a difendere l’indifendibile. A mantenere ancora la signora Lo Palo incollata alla sua poltrona non sono le sue competenze e non è nemmeno più la volontà politica della maggioranza, visto il voto del Consiglio, ma solo l’esigenza del centrodestra di non spaccarsi su di una nomina, in vista della prossima spartizione di poltrone che riguarderà la sanità”.

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lunedì 27 novembre 2023

Conte: “M5s propone di portare il salario di libertà a 1200 euro al mese, Meloni ci dica se è d’accordo”

“L’obiettivo è che tutti i giorni sia il 25 novembre. Abbiamo avviato un percorso, dobbiamo rafforzarlo soprattutto sul piano della prevenzione. Il dibattito di questi giorni, pur con varietà di accenti, sta affrontando questo tema. È un problema di modelli culturali, noi abbiamo proposto una progetto normativo concentrato sull’educazione affettiva nelle scuole e sostengo fisso. Dobbiamo concentrare le forze e intervenire dove spesso le violenze vengono subite per ragioni di soggezione economica. Per questo dobbiamo incrementare il reddito di libertà, c’è un nostro emendamento che vuole portarlo a 1.200 euro“. Lo ha detto il presidente M5s Giuseppe Conte, intervenendo dal palco del Congresso di Sinistra italiana a Perugia. Conte arrivando ha confermato che oggi saluterà gli attivisti alla manifestazione per la Giornata contro l’eliminazione della violenza contro le donne nel capoluogo umbro. “Faccio da qui un appello a Meloni: hai sabotato opzione donna, aumentato l’Iva sugli assorbenti, almeno su questo dai una risposta alle donne che soffrono la violenza”, ha aggiunto Conte.

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giovedì 23 novembre 2023

Scontro M5s-Meloni sull’Ucraina: “Anche oggi ha confermato le sue contraddizioni”. “Votavate sostegno a Kiev solo per stare al governo”

Scontro a distanza tra il Movimento 5 stelle e Giorgia Meloni al Senato nel corso del Question time. “Le chiediamo quale è la vera Meloni – ha detto Stefano Patuanlli – quella al telefono (con il falso presidente dell’Unione africana, ndr) o quella che parla in Aula?”. Patuanelli ha ricordato la telefonata della presidente del Consiglio con il falso presidente dell’Unione africana del 18 settembre: “Non m soffermo sul contesto, non le chiedo come sia potuto accadere – ha proseguito – perché se insistessimo renderemo labile il confine con situazioni tragicomiche tipo ambasciatore del Katonga”.
“Lei in quella telefonata – ha insistito il capogruppo di M5s – ha detto che (nella guerra in Ucraina, ndr) occorre una via di uscita accettabile per entrambe le parti. Ma la Meloni al telefono dice una cosa e nelle aule parlamentari dice il contrario“. “A maggio – ha sottolineato – ha detto che scommettiamo sulla vittoria dell’Ucraina, e anche ieri al G20 al dittatore Putin lei ha detto la Russia si ritiri. C’è una discrasia tra dire che Russia si deve ritirare e dire che occorre una via d’uscita accettabile per entrambe le parti. Quale è la vera Meloni, quella che parla al telefono o quella che parla in Aula?”.

“Non torno sulle ragioni e gli errori che purtroppo hanno consentito a due comici russi di spacciarsi per il presidente dell’Unione africana – ha replicato Meloni – Utilizzo il mio tempo per rispondere molto volentieri sui contenuti della telefonata, banalmente perché sono fiera di aver dimostrato ancora una volta la coerenza delle posizioni mie e del governo italiano in tema di politica estera. E sono fiera di essere lontana anni luce dal modello di chi prima di me si mostrava accondiscendente in privato salvo poi mostrare i denti a favore di telecamera o votava il sostegno militare a Kiev finché si trattava di mantenere il proprio posto al governo per poi decidere di sostenere che l’Ucraina non andasse più aiutata quando è passato all’opposizione per guadagnare il consenso facile. In questo caso, però, il consenso facile si guadagna sulla pelle e sulla libertà di una nazione sovra”.

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La Lega ha finalmente scelto l’Autorità per la Laguna di Venezia. Il M5s protesta: “Urbanista in pensione senza competenze specifiche”

Sono dovuti trascorrere tre anni e tre mesi prima che dal governo venisse la nomina del presidente dell’Autorità per la Laguna di Venezia. L’ente fu varato nel settembre 2020, quando presidente del Consiglio era ancora Giuseppe Conte, per affrontare in maniera organica i problemi di gestione del delicatissimo ambiente veneziano, in contemporanea con l’avvio a completamento del Mose, il sistema di dighe mobili realizzato per salvare la città dalle acque alte. La scelta di Roberto Rossetto, urbanista e paesaggista di 71 anni, annunciata il 10 novembre dal ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini (avvenuta con il plauso del sindaco Luigi Brugnaro e del presidente della Regione Veneto, Luca Zaia), viene però contestata dal Movimento 5 stelle che ha presentato un’interrogazione parlamentare, con primi firmatari l’ex ministro Sergio Costa e il deputato veneto Enrico Cappelletti.

Le ragioni sono due: mancanza di competenza specifica e status di pensionato dell’interessato. I deputati pentastellati sottolineano innanzitutto che “l’urbanista Roberto Rossetto non ha ricoperto ‘incarichi istituzionali di grande responsabilità e rilievo’ come richiesto dall’articolo 95 del decreto-legge 14 agosto 2020 n. 104 che istituiva l’Autorità”. Inoltre, “appare in contrasto con il comma 9 dell’articolo 5 del decreto-legge n. 95 del 2012, che vieta l’attribuzione di incarichi ai lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza”.

Sullo sfondo c’è stato l’impasse durato alcuni anni per l’incapacità di trovare un candidato autorevole ed esperto, ma anche gradito al potere politico. Mesi fa erano stati avanzati i nomi del generale Giovanni Mainolfi, già comandante regionale veneto della guardia di Finanza (ma ancora richiamabile dallo Stato) e dell’ex prefetto di Venezia, Giovanni Zappalorto. Il solido curriculum istituzionale di entrambi e l’indubbia garanzia che avrebbero dato sul fronte del rigore hanno dovuto però arrendersi alle logiche politiche. A inizio novembre il generale Mainolfi aveva diffuso una nota con cui prendeva atto della mancanza di consenso di tutte la parti pubbliche, di fatto quindi si ritirava. “Avrei avuto e avrei un interesse solo se vi fosse l’unanimità di tutti gli attori interessati alla nomina” dichiara ora a ilFattoQuotidiano.it.

Dal cilindro è così uscito il nome di Rossetto, un urbanista, con alle spalle una lunga attività professionale privata, anche se svolta con appalti pubblici. La nomina per essere perfezionata attende l’emanazione di un decreto del presidente del Consiglio dei ministri, che dovrà essere trasmesso alle commissioni parlamentari competenti per il parere. L’impegno del presidente riguarderà anche il Mose, ma Rossetto in una intervista ha già fatto sapere che per lui il tema verrà affrontato a partire dal 2025, quando i lavori saranno effettivamente conclusi e l’opera collaudata. Per quanto riguarda la Laguna di Venezia, si occuperà innanzitutto del piano morfologico. Ed è su questo aspetto che i Cinquestelle manifestano ulteriori perplessità.

“Sono discutibili le dichiarazioni di Rossetto che, subito dopo la nomina, afferma di ritenere fondamentale l’approvazione del piano morfologico. – dichiarano i Cinquestelle – Un piano morfologico è vigente, ed è quello del 1992, e contiene impegni precisi e vincolanti di cui molti ancora inattuati o perfino traditi”. Nel 2001 il governo ha imposto un aggiornamento del piano, per inserire tra le prescrizioni “il potenziamento degli interventi per la riattivazione dei dinamismi naturali, il contrasto delle azioni distruttive dell’ambiente naturale, la realizzazione delle opere necessarie al riequilibrio idrogeologico e morfologico della laguna”. Una prima versione fu bocciata nel 2018 dalla commissione Via e dal ministero dell’Ambiente perché troppo “evasiva”. La valutazione si è ripetuta nel 2022 con una seconda versione. “Non sembra pertanto possibile ‘approvare’ il piano morfologico (l’aggiornamento del piano), bensì occorre riscriverne totalmente sia i contenuti programmatici che le relative misure attuative, dando attuazione alle indicazioni per una vera ed efficace salvaguardia delle città e della Laguna” concludono i deputati.

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mercoledì 22 novembre 2023

Regolamento Ue sugli imballaggi, via libera del Parlamento a un testo annacquato: l’industria ottiene il miglior risultato possibile

L’Europarlamento dà il via libera al Regolamento europeo sugli imballaggi (Ppwr) che introduce nuovi divieti sul packaging monouso e impone target di riutilizzo. L’approvazione è arrivata a larga maggioranza, ma il testo non è più quello proposto il 30 novembre 2022 dalla Commissione europea, contro cui tanto ha combattuto l’industria italiana. E oggi quell’industria porta a casa il miglior risultato che avrebbe potuto ottenere, visti gli step degli ultimi mesi. Ci sono voluti circa duemila emendamenti tra Commissioni e plenaria per mantenere le confezioni monouso. Con 426 voti favorevoli (su 625 votanti), 125 contrari e 74 astenuti la plenaria ha così approvato un testo più morbido, perché diverse modifiche proposte dai gruppi di maggioranza sono passate prima del voto finale. La posizione negoziale di Strasburgo, dunque, è meno ambiziosa, mentre il Consiglio Ue definirà la sua il 18 dicembre. Poi si passerà alla fase del “trilogo”, il negoziato informale tra Parlamento, Consiglio e Commissione, probabilmente da gennaio 2024. Restano gli obiettivi, ma si eliminano molti degli strumenti con cui si sarebbero dovuti raggiungere. L’annacquamento del testo, però, non è stata solo opera della destra, come fa notare la delegazione del Movimento 5 Stelle al Parlamento europeo, riferendosi ai colleghi del Pd.

Le reazioni – “Siamo preoccupati per le posizioni del Partito Democratico, che al Parlamento europeo esprime sulle tematiche ambientali le stesse posizioni di Fratelli d’Italia e Forza Italia” commentano i pentastellati, ricordando il precedente del voto per includere il nucleare fra le tecnologie a zero emissioni. Fotografano la situazione le parole del dem Paolo De Castro, membro della commissione Agricoltura, che elogia “gli sforzi di mediazione degli eurodeputati Pd, in particolare dei colleghi Patrizia Toia e Achille Variati”. Mentre il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso (FdI) commenta: “L’Italia ha vinto una battaglia in Europa con la forza del buon senso che motiva le nostre azioni”. Soddisfatto anche il vicepremier Antonio Tajani: “Grande vittoria di Forza Italia e del Ppe con importanti modifiche al regolamento sugli imballaggi. Bloccata la deriva populista sul riuso spinto che penalizza industria e agricoltura”.

Rivisto l’elenco degli imballaggi monouso vietati – A subìre un duro colpo è stato l’allegato V dell’articolo 22, ossia l’elenco dei formati di imballaggio non necessari e quindi da vietare. Sono state approvate ampie deroghe proposte dalla Commissione per l’industria, la ricerca e l’energia (Itre) del Parlamento Ue e da una delegazione di eurodeputati italiani. Il testo vieta la vendita di sacchetti di plastica molto leggeri (inferiori a 15 micron), a meno che non siano necessari per motivi igienici o forniti come imballaggio primario per alimenti sfusi, per aiutare a prevenire lo spreco di cibo. E propone di limitare l’uso di alcuni formati di imballaggio monouso, le confezioni in miniatura degli hotel per i prodotti da toilette e le pellicole termoretraibili per le valigie negli aeroporti. Dall’elenco dei divieti, però, scompaiono piatti e tazze usa e getta dei ristoranti, imballaggi monouso per frutta e verdura fresca (sotto 1,5 chilogrammi in origine, sotto un chilo nel testo che usciva dalla Commissione), salse, bustine di zucchero e altre bustine monouso. “È stato rivisto drasticamente l’allegato” spiega l’europarlamentare di Forza Italia Massimiliano Salini, relatore del regolamento per il Ppe. Il risultato è che “gran parte degli imballaggi monouso a contatto con gli alimenti resterà sul mercato unico europeo”. L’eurodeputata del M5s Maria Angela Danzì, invece, esprime “rammarico” a nome del gruppo “sulla mancata approvazione del divieto di eliminare gli imballaggi in plastica per i prodotti ortofrutticoli che pesano meno di un chilogrammo”.

Tra target mantenuti e deroghe (soprattutto sul riuso) – Gli obiettivi di prevenzione dei rifiuti sono stati mantenuti al 5% entro il 2030, al 10% entro il 2035 e al 15% entro il 2040, mentre sono stati proposti target specifici di riduzione dei rifiuti per gli imballaggi in plastica (10% entro il 2030, 15% entro il 2035 e 20% entro il 2040). Il testo approvato, però, elimina i meccanismi cruciali necessari per raggiungere tali obiettivi. Per esempio nel riuso: “Una delle principali deroghe agli obiettivi di riutilizzo prevede che se uno Stato membro possa essere esentato dai target di riutilizzo di determinati imballaggi, qualora dichiari di aver raggiunto un tasso di riciclo superiore all’85% per quel tipo di packaging specifico”, spiega Aline Maigret, responsabile Politiche della ong Zero Waste Europe. “Comparti chiave del nostro settore agro-alimentare vengono esclusi da questo regolamento, a partire dalle indicazioni geografiche fino all’ortofrutta e al florovivaismo, dai vini alle bevande alcoliche, fino alle bioplastiche e ai contenitori in carta del settore della ristorazione”, commenta il dem De Castro. I deputati, in compenso, chiedono di vietare l’uso dei Pfas e del bisfenolo A negli imballaggi per alimenti.

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M5s presenta contromanovra, Conte: “Meloni fermi i tagli alla sanità. Emendamenti comuni con opposizioni, ma Iv e Azione si sono sfilati”

Non possiamo chiedere ai cittadini di stringere la cinghia se la coperta non è corta e viene usata per tenere al calduccio le banche. Due miliardi sono stati presi dalle tasche dei cittadini”. Il presidente M5s Giuseppe Conte ha accusato il governo Meloni di “essere preda delle lobby della sanità, dell’industria bellica, delle grandi banche, dei padroncini che non vogliono pagare gli stipendi giusti” nel corso di una conferenza stampa in Senato per presentare la contromanovra M5s. Ovvero, una serie di proposte alternative, tra queste anche alcuni emendamenti comuni insieme ad altre forze di opposizione, Pd e Alleanza Verdi Sinistra, sul tema della Sanità.
“Non è accettabile che quelli che erano gli eroi della pandemia oggi siano schiaffeggiati e costretti ad andare in pensione. Meloni fermi i tagli alla sanità. Su questa abbiamo trovato convergenze (con dem e Avs, ndr), ma non con Italia Viva che si è sfilata da sempre, né con Azione che ha una visione diversa”, ha precisato Conte. Per poi aggiungere in merito agli emendamenti prima presentati e poi ritirati dalla Lega: “Siamo già a un premierato di fatto visto che la presidente del Consiglio considera ‘blindata’ la manovra per gli stessi parlamentari della maggioranza. Abbiamo letto che il capogruppo leghista Massimiliano Romeo aveva presentato tre emendamenti che lui stesso aveva considerato innocui, ma sono stati costretti a ritirarli e a scusarsi”.

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martedì 21 novembre 2023

Salario Minimo, opposizioni annunciano ostruzionismo in Commissione: “Maggioranza ritiri l’emendamento”

Le opposizioni sono pronte alle barricate. Dopo l’emendamento della maggioranza che butta la palla in tribuna e stravolge la proposta sul salario minimo dei partiti di minoranza (delegando il governo a emanare una serie di decreti per “assicurare ai lavoratori trattamenti retributivi giusti ed equi”), in commissione Lavoro alla Camera Pd, M5s, Alleanza Verdi-Sinistra e Azione sono pronti all’ostruzionismo.

In Commissione – Dopo le dichiarazioni dei pareri, dovrebbero iniziare le votazioni ma le opposizioni hanno annunciato numerosi interventi per opporsi all’ok del testo presentato dai capigruppo di centrodestra. Le opposizioni hanno anche chiesto la pubblicità dei lavori e lo spostamento della riunione nella più grande sala del Mappamondo. “Qui non ci entriamo, siamo troppi – spiegano fonti Pd -. Ci sono tutte le condizioni per evitare che si voti oggi“. Tutti i deputati dem si sono iscritti a parlare nella discussione in corso sul complesso degli emendamenti.

“Ritirate l’emendamento” – I capigruppo delle opposizioni in commissione Lavoro hanno chiesto, a inizio seduta, “il ritiro dell’emendamento Rizzetto che trasforma la legge di iniziativa parlamentare delle opposizioni in una delega al Governo”: “La maggioranza si confronti con noi sul merito delle proposte anziché mettere tutto nelle mani dell’esecutivo. Il nostro è un appello a liberare l’autonomia del Parlamento“, hanno aggiunto. Il M5s, tra l’altro, chiama in causa direttamente il presidente della commissione Walter Rizzetto di Fratelli d’Italia: “Il suo è un lampante e incredibile conflitto di interessi, visto che sarà proprio Rizzetto a giudicare l’ammissibilità o meno dell’emendamento di cui è primo firmatario. Non ha avuto nemmeno il buon gusto di far firmare l’emendamento ad un suo collega”, spiegano.

Rizzetto: “Battaglia ideologica” – Dalla maggioranza rispondono con un muro contro muro. Rizzetto ha replicato affermando che “l’autonomia del Parlamento è legittimata e straconfermata. Quando il Governo andrà a scrivere i decreti delegati il Parlamento verrà coinvolto con le commissioni, le audizioni e la fase emendativa”. Sulla sua firma all’emendamento sottolinea che “è permesso dal regolamento“. Quanto all’essere intervenuti andando a modificare una proposta di legge in quota opposizione Rizzetto sottolinea: “È successo altre volte. Ho fatto 10 anni all’opposizione e rispetto ad alcuni testi presentati sono stati presentati degli emendamenti abrogativi”. “Noi non diciamo no rispetto al tema dei salari”, ha aggiunto il presidente della Commissione di Fdi: “Diciamo che la proposta delle opposizioni non è la risposta giusta per un tema molto difficile. Dopodiché avevano 12 anni non per approvare ma anche solo per calendarizzare una proposta sui salari, non l’hanno neanche mai calendarizzata: è una battaglia ideologica“, ha concluso.

L’emendamento al Senato – Intanto altre novità arrivano da Palazzo Madama. Con un emendamento unitario delle opposizioni (anche in questo caso con l’unica esclusione dei renziani) alla legge di Bilancio in esame al Senato viene previsto un fondo da 300 milioni in tre anni, da alimentare con 100 milioni l’anno, da destinare al sostegno dei datori di lavoro che adeguano il salario minimo orario all’importo di 9 euro l’ora, soglia prevista nella pdl presentata alla Camera. Nel testo dell’emendamento si legge che “il trattamento economico minimo orario stabilito dal CCNL, non può comunque essere inferiore a 9 euro lordi”. Pertanto, “al fine di contenere i maggiori costi a carico dei datori di lavoro derivanti dagli incrementi retributivi corrisposti ai prestatori di lavoro al fine di adeguare il trattamento economico minimo orario all’importo di 9 euro” viene istituito un ‘Fondo per il salario minimo‘, “con una dotazione complessiva pari a 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024, 2025 e 2026”. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali “è definita la modalità di erogazione del beneficio economico in favore dei datori di lavoro”, che è “progressivamente decrescente e proporzionale agli incrementi retributivi corrisposti”.

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Per il Parlamento l’educazione affettiva e sessuale è ‘porcheria’. Ma la legge serve subito

Il brutale femminicidio di Giulia Cecchettin aumenta la drammatica lista di donne uccise, in un Paese dove le violenze e gli stupri ormai sono all’ordine del giorno e il corpo delle donne è diventato un campo di battaglia senza tregua. “Era un bravo ragazzo che le faceva anche i biscotti e che non avrebbe fatto male a una mosca”, leggiamo sulla stampa a proposito di Filippo Turetta, l’assassino di Giulia. Lo stesso ragazzo che ha “premeditato” il suo femminicidio, l’ha rapita, l’ha uccisa e ha gettato il suo cadavere scappando via all’estero e fermandosi solo quando ormai era senza più forze.

Allora è un mostro? No, perché non è un’eccezione. Dall’inizio dell’anno sono state uccise 105 donne, una ogni 3 giorni, e nessuna è morta per mano di un mostro mitologico ma quasi tutte per mano di uomini normalissimi che dicevano di amarle e che invece le consideravano oggetti da possedere. Filippo Turetta è uno di loro, non un bravo ragazzo, non un mostro, ma un figlio della subcultura patriarcale che trasuda di misoginia e sessismo. Uno dei tanti uomini che non accettano un no e pretendono di decidere della vita e della morte delle donne.

Donne che continuano ad essere viste dagli uomini come oggetti di proprietà di cui disporre a proprio piacimento. Da loro si pretende ubbidienza, sopportazione, soggezione: se questi pilastri vengono meno, crolla il potere maschile e scatta la violenza, nei casi estremi il femminicidio.

Le istituzioni hanno il dovere di favorire un cambiamento culturale e di estirpare alla radice i germi della violenza. Non basta l’ora di “educazione alle relazioni” nelle scuole superiori, in orario extracurricolare, per tre mesi l’anno, proposta dal ministro dell’istruzione Valditara né l’opuscolo contro la violenza pensato dal ministro della Giustizia Nordio. C’è solo un modo per contrastare questo fenomeno criminale ed è debellare il patriarcato e far prevalere la cultura della non violenza, del rispetto e della parità di genere: lo si fa educando i nostri figli sin dai primissimi anni di scuola attraverso un’educazione affettiva e sessuale che fornisca loro un alfabeto gentile delle emozioni e dei sentimenti.

Io ci credo così tanto che ho depositato una proposta di legge che ha l’obiettivo di rendere strutturale e sistemico l’insegnamento dell’educazione affettiva e sessuale nelle scuole di ogni ordine e e grado, prevedendo fondi appositi e la partecipazione di professionisti alla vita scolastica, per consentire agli studenti e alle studentesse di imparare a conoscersi e a conoscere l’altro. Nel prospettare l’introduzione di tale disciplina nei programmi scolastici e nei corsi di studio universitari, la proposta di legge fissa dei principi per condurre i ragazzi e le ragazze alla scoperta dei rapporti affettivi e al rispetto dell’altro genere come ad esempio, il rispetto delle regole, la rimozione dei pregiudizi, l’insegnamento della prevenzione di malattie sessualmente trasmissibili.

L’insegnamento della materia viene affidato sia a docenti formati che a figure specializzate in materia, come psicologi, psicoterapeuti e sessuologi esperti. Si stimola, inoltre, la promozione della collaborazione tra scuola e famiglia e l’integrazione della disciplina con esperienze extra-scolastiche coinvolgendo il mondo del volontariato, dei centri antiviolenza e del Terzo settore, nonché soggetti impegnati nel contrasto del bullismo e della violenza di genere.

Bisogna insegnare ai ragazzi ad accettare i no, i fallimenti, le delusioni, il rispetto della libertà altrui per evitare che crescano futuri adulti emotivamente analfabeti e incapaci di vivere relazioni sane.

Cosa aspettiamo allora ad approvarla? Quante altre donne dovranno essere ammazzate? Purtroppo la nostra politica moralista, ipocrita ed ideologica non è pronta a dare una risposta tempestiva e se ne dovrà assumere tutte le responsabilità. Si sta perdendo solo del tempo prezioso mentre ogni giorno continuiamo ad essere “una di meno” e per Giulia e per tutte le altre vittime di femminicidio non ci sarà mai vera giustizia.

Oggi il nostro Parlamento boccia l’educazione affettiva e sessuale definendola una “porcheria” e una “nefandezza”, perché vista come istigazione alla masturbazione infantile, alla sessualità precoce e alla teoria gender. Senza rendersi conto che chi dice tali assurdità dice porcherie.

Due anni fa affossava il disegno di legge Zan che avrebbe rappresentato una tutela in più per le vittime di omolesbotransfobia, mentre i media contribuiscono a rendere bestseller il libro di un generale che divide le persone in normali e non normali e promuove politiche d’odio. Fino a quando non avvieremo, attraverso l’educazione, a questa rivoluzione culturale, potenziali assassini saranno tra di noi e difficilmente potremo riconoscerli in anticipo perché in molti avranno la faccia del “bravo ragazzo”. Proprio come Filippo Turetta.

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lunedì 20 novembre 2023

Intelligenza artificiale, Grillo interroga l’avatar di Conte all’evento M5s. E ironizza: “È più espressivo di quello vero”

Beppe Grillo ha partecipato all’evento promosso dal Movimento 5 Stelle a Roma sull’intelligenza artificiale. Tra selfie e autografi il fondatore dei 5 Stelle si è fermato a parlare con alcune delle persone agli stand allestiti: “L’intelligenza artificiale spazzerà via tutte le televisioni, spazzerà via tutti i giornalisti, una meraviglia umana guardali sono tutti futuri disoccupati“. Visitando gli spazi espositivi, Grillo è arrivato allo stand con l’avatar di Giuseppe Conte. Appena lo ha visto, Grillo ha riso e a Nina Monti che lo accompagnava ha detto: “È più espressivo che dal vero“. Grillo ha rivolto domande all’avatar del presidente M5S. “È gentile sente quello che uno deve dire, non corrisponde alla realtà”. E poi ai giornalisti ha aggiunto: “Più comprensibile di quello vero? Era comprensibile, ha lo sguardo un po’ incattivito che non ha lui (il Conte reale, ndr) generalmente”. Chi è meglio tra i due Conte? “Lui va bene così, va bene in avatar e in tutte le sue progressioni d’immagine“.

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Beppe Grillo arriva all’evento M5s sull’intelligenza artificiale: abbraccio con Giuseppe Conte tra gli applausi

l fondatore del M5s Beppe Grillo ha partecipato all’evento organizzato dal Movimento 5 stelle a Roma dedicato all’intelligenza artificiale e ai suoi ultimi sviluppi. Prima di prendere posto accanto a Roberto Fico, Grillo ha incontrato anche Giuseppe Conte, che ha salutato con un abbraccio caloroso tra gli applausi dei presenti. “Sono queste le cose che poi ci fanno illudere di andare bene” ha ironizzato Grillo.

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venerdì 17 novembre 2023

Imboscate agli europarlamentari e volantini sulle porte degli uffici: l’offensiva dei lobbisti a Bruxelles contro la stretta sugli imballaggi

Europarlamentari avvicinati nei corridoi, alla fine delle riunioni e al bar, mentre sulle porte dei loro uffici compaiono volantini con la scritta “Save our takeaway!“, “Salvate il nostro cibo da asporto”. È un’offensiva lobbistica senza precedenti quella messa in campo al Parlamento europeo dall’industria della plastica, in vista del decisivo voto sul regolamento sul packaging in programma mercoledì a Strasburgo nell’ambito della sessione plenaria. Il testo, proposto dalla Commissione a novembre 2022 e già approvato dalla Commissione Ambiente dell’Eurocamera, è uno dei provvedimenti cardine del Green deal e ha l’ambizione di ribaltare il paradigma degli imballaggi monouso, vietandoli in un’ampia serie di casi in favore delle confezioni riutilizzabili (o comunque riciclabili) e fissando target progressivi di riduzione dei rifiuti. Una direzione contestata dalle aziende del settore (in particolare dai fast food) e anche dal governo italiano, che con loro ha fatto sponda fin da subito, tentando di bloccare la bozza o quantomeno di annacquarne il contenuto.

Se mercoledì la proposta sarà approvata dal Parlamento, mancherà solo l’ok del Consiglio per farla entrare in vigore: trattandosi di un regolamento (e non di una direttiva) il suo contenuto diventerebbe immediatamente vincolante in tutti gli Stati membri. Per questo, come denuncia l’eurodeputata del M5s Maria Angela Danzì, nei giorni scorsi a Bruxelles le pressioni delle lobby “hanno superato il limite“: gli eletti vengono avvicinati a ogni passo da portavoce delle industrie, nonostante (almeno in teoria) gli incontri con i portatori di interesse debbano essere programmati e comunicati in un apposito registro. “Questi avvicinamenti non possono essere un modo per aggirare le regole. Chiederemo dunque alla presidente del Parlamento Europeo Roberta Metsola di intervenire e ci auguriamo che sia stata già aperta un’indagine interna, per fare piena luce su queste attività”, scrive Danzì in una nota.

Non solo: nella notte tra mercoledì e giovedì, appesi alle maniglie delle porte degli uffici dei deputati (e dei loro assistenti) sono comparsi oltre 1.500 cartoncini pro-imballaggi monouso, raffiguranti uomini, donne e bambini di bella presenza intenti a sorseggiare un coffee to go o a gustare una sana insalata da una ciotola in plastica. Con questo messaggio: “Parlamentari europei, salvate il nostro cibo da asporto! Il PPWR (Proposal on packaging and packaging waste, proposta sugli imballaggi e rifiuti da imballaggi, ndr) farà sparire il takeaway a partire dal 2035″, l’anno in cui dovrebbero essere raggiunti i target più ambiziosi. “Trovo assurdo che appena dieci giorni fa i deputati europei che manifestavano chiedendo il cessate il fuoco a Gaza venivano fotografati dalla sicurezza del Parlamento Europeo e oggi nessuno sa chi e come abbia diffuso volantini faziosi e di parte all’interno delle istituzioni”, attacca Danzì. E conclude: “Come deputati del Movimento 5 stelle noi facciamo l’interesse della nazione e dei cittadini italiani ed europei e, in questo caso, nella nostra scelta di voto rappresentiamo anche gli interessi delle associazioni delle persone che soffrono di malattie respiratorie e delle cosiddette Mamme No Pfas. Siamo i pubblici funzionari della nazione ed è nostro dovere rappresentare l’interesse generale”.

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giovedì 16 novembre 2023

Salario minimo, la destra si prende altri 6 mesi. Delega al governo per una ‘retribuzione equa’. Conte: ‘Parlamento umiliato’. Pd: ‘Schifezza’

Con un emendamento la maggioranza riscrive la proposta di legge presentata dalle opposizioni sul salario minimo e prende altro tempo. L’emendamento, in esame in Commissione alla Camera e firmato da tutti i capigruppo del centrodestra, delega il governo ad adottare entro 6 mesi uno o più decreti legislativi, volti “ad intervenire in materia di retribuzione dei lavoratori e contrattazione collettiva” al fine di garantire “l’attuazione del diritto di ogni lavoratore e lavoratrice a una retribuzione proporzionata e sufficiente sancito dall’articolo 36 della Costituzione”. Una mossa che fa insorgere i partiti di opposizione: “Umilieranno il Parlamento”, denuncia il leader del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte. Sulla stessa linea il Partito democratico che parla di “colpo di mano“. La maggioranza prova così a prendere altro tempo come aveva già fatto con la sospensiva chiesta a inizio agosto e l’attesa del parere fornito da Cnel, che si è espresso contro un minimo legale.

L’emendamento – Il testo dell’emendamento della maggioranza elenca anche una serie di obiettivi: “Assicurare ai lavoratori trattamenti retributivi giusti ed equi“, “contrastare il lavoro sottopagato”, “stimolare il rinnovo dei contratti collettivi” e “contrastare il dumping contrattuale”. “Per ciascun contratto scaduto e non rinnovato entro i termini previsti dalle parti sociali” e per i settori “nei quali manca una contrattazione di riferimento”, l’emendamento prevedere l’intervento diretto del ministero del Lavoro con il fine di “adottare le misure necessarie a valere sui soli trattamenti economici minimi complessivi, tenendo conto delle peculiarità delle categorie di riferimento e considerando i trattamenti economici minimi complessivi previsti da contratti collettivi più applicati vigenti in settori affini”. Nel testo si parla anche di “prevedere strumenti di incentivazione atti a favorire lo sviluppo progressivo della contrattazione di secondo livello con finalità adattive, anche per fare fronte alle diversificate necessità correlate all’incremento del costo della vita e alle differenze dei costi su base territoriale“. Un aspetto, quest’ultimo molto contestato dall’opposizione che parla di un pericoloso ritorno alle “gabbie salariali“.

Conte: “Umilieranno il Parlamento” – “Il governo, dopo aver buttato la palla in tribuna, preannuncia che la sgonfierà“, commenta il presidente del M5s, Giuseppe Conte: “Umilieranno il Parlamento, hanno detto che passeranno al decreto legislativo“, ha aggiunto. Per Conte questo serve solo alla maggioranza “per prendere tempo e sfiammare questa che è stata l’onda che si è levata nel Paese”. “Si sono ingegnati in tutti i modi, con espedienti normativi per cercare di allontanare questa che è una norma di civiltà”, ha concluso. “Dalle anticipazioni emerge il ritorno di un principio, pericoloso e anacronistico, come quello delle ‘gabbie salariali’ che, se già non bastasse l’Autonomia differenziata, provocherà ulteriori spaccature fra Nord e Sud“, afferma in una nota la capogruppo del M5S in commissione Lavoro alla Camera Valentina Barzotti. “L’iniziativa pone un serio problema di carattere istituzionale – aggiunge – visto che una proposta delle opposizioni viene soffocata da un’ennesima delega al Governo. Tutto ciò mentre, proprio ieri, la Germania ha aumentato il salario minimo a 12,41 euro per il 2024. È quindi chiaro che la nostra opposizione sarà ancor più dura”.

Pd: “Emendamento pericoloso” – “Un colpo di mano”, lo definisce invece il capogruppo del Pd in commissione Lavoro della Camera, Arturo Scotto: “Si trasforma una legge delle opposizioni in una delega al Governo. Dove di salario minimo – aggiunge – non c’è traccia e si apre pericolosamente al principio delle gabbie salariali. La nostra opposizione sarà durissima. Ancora una volta il Parlamento verrà mortificato e ridotto a un soprammobile”. Parlare di “contratto collettivo nazionale maggiormente applicato” come “faro guida per la giusta retribuzione” è “un concetto pericoloso“, aggiunge Maria Cecilia Guerra, responsabile Lavoro nella segreteria nazionale del Partito democratico: pericoloso perché “non ancorato ad alcun criterio di rappresentatività dei soggetti che lo firmano, che favorisce paradossalmente i contratti pirata“. ” Per non parlare delle gabbie salariali ed altre amenità, contenute nel loro emendamento. Nove lunghi mesi di riflessione per partorire questa schifezza?“, conclude Maria Cecilia Guerra. “Hanno votato contro la proposta sul salario minimo delle opposizioni e si arrampicano sugli specchi perché non sanno che cosa dire anche al loro elettorato e oggi presentano una proposta quantomeno bizzarra, quando c’era l’occasione di poter discutere nel merito di una proposta di legge che è già legge in tantissimi paesi europei”, commenta Angelo Bonelli deputato alla Camera per Alleanza Verdi e Sinistra.

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lunedì 13 novembre 2023

M5s, Fico: “Serve unità delle opposizioni contro governo Meloni, con Schlein e Pd lavoriamo bene. Il no a Bersani nel 2013? Scelta obbligata”

La manifestazione indetta dal Pd e da Schlein contro il governo Meloni è stata molto importante. E quindi abbiamo sentito il dovere di partecipare, anche per rispetto nei confronti del Pd. Siamo stati accolti molto bene, sia sul palco, sia dietro le quinte. Molti chiedono l’unità delle opposizioni contro il governo Meloni e mi trovano assolutamente d’accordo. Dobbiamo per forza costruire un’alternativa a questo esecutivo“. Sono le parole pronunciate ai microfoni de L’Italia s’ desta (Radio Cusano Campus) da Roberto Fico, ex presidente della Camera ed esponente del M5s, sulla manifestazione indetta dai dem a Roma contro le politiche economiche e la riforma costituzionale proposta dal governo Meloni.

E aggiunge: “Naturalmente il M5s e il Pd hanno storie, percorsi e identità diverse, quindi è normale non essere d’accordo su tutto. Ma è necessario lavorare su obiettivi comuni. Anche all’interno del M5s o del Pd non si condivide tutto, ma allo stato attuale col Pd stiamo lavorando sul salario minimo a norma di legge, abbiamo realizzato un fronte unito contro l’autonomia differenziata e contro il premierato. Insomma, man mano che si fa opposizione si cresce insieme sulle tematiche”.

Fico cita le alleanze elettorali locali: “Sono accordi che hanno funzionato, come a Foggia. Adesso abbiamo fatto l’alleanza coi dem per candidare Alessandra Todde alla presidenza della Regione Sardegna. E questo è un passaggio molto importante. A Napoli governiamo insieme prima delle elezioni nazionali. Quindi, anche il percorso sul territorio si sta facendo, oltre a quello politico nazionale. Stiamo, di fatto, lavorando seriamente a programmi importanti – continua – affinché questo paese possa avere un governo migliore. Guardiamo il centrodestra: c’è un’alleanza ma Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia sono divisissimi e creano un caos istituzionale nel paese. Noi non vorremmo mai fare una cosa del genere.Quindi cerchiamo di lavorare seriamente sui contenuti, aprire un dibattito e cercare una sintesi che possa unire gli intenti politici per fare il bene del paese”.

L’ex deputato pentastellato sottolinea: ” Attualmente ci vuole sicuramente una sinistra più connessa ai problemi concreti delle persone e più sensibile alle ingiustizie nazionali e internazionali. Il punto fondamentale è la lotta contro le ingiustizie. Dove ci sono ingiustizie e dove non ci sono diritti, ci sarà sempre più violenza e sempre più problemi. Noi dobbiamo riuscire a connetterci a tutti quei problemi di ingiustizia e cercare di risolverli”.

Inevitabile la domanda sul no dei 5 Stelle alla fiducia per un governo guidato dal Pd di Bersani nel 2013. Fico spiega: ” Fu una scelta obbligata quella del M5s. Parliamo di altri tempi e di un’altra storia. Siamo entrati in Parlamento nel 2013 dicendo fino all’ultimo giorno di campagna elettorale che non avremmo fatto alleanze né con la sinistra, né con la destra, come peraltro era scritto nel nostro statuto. Quello – conclude – era un principio fondante di quel periodo storico del Movimento. Dare la fiducia al Pd e a Bersani sembrava un tradimento immediato di tutto quello che avevamo detto prima di arrivare in Parlamento. Le cose vanno sempre lette nel periodo storico in cui avvengono”.

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Ritorno di Grillo in tv, fa bene o male al Movimento 5 stelle? Segui la diretta con Peter Gomez

Ritorno di Grillo in tv, fa bene o male al Movimento 5 stelle? Segui la diretta con Peter Gomez.

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Pd-M5s, Patuanelli avverte: “Vanno chiarite le posizioni su guerra e ambiente. Serve pari dignità, non c’è un’egemonia dei democratici”

“Ieri Schlein ha detto che va ricostruito il campo progressista, a che punto è questo percorso e il Movimento quanto si sente coinvolto?”. Questa la domanda che Luca De Carolis ha posto al capogruppo del M5S in Senato Stefano Patuanelli in uno dei momenti di confronto organizzati all’assemblea regionale del M5s Lazio.

“Non possiamo far finta che non abbiamo governato anche con il Partito Democratico – ha risposto Patuanelli -, per costruire una alternativa bisogna farlo assieme solo se si è convinti della propria proposta unitaria. Se oggi non c’è il salario minimo non possiamo dire che la colpa sia della Meloni, della Lega o del M5S. La responsabilità è che il PD, quando governava con noi, non ci ha consentito di fare il salario minimo”. E, ancora: ” Se noi oggi pensiamo di costruire l’alternativa è il momento di chiarirci su alcuni elementi, alcuni già superati, perché è evidente che la guida Schlein ha dato rispetto alle persone in difficoltà un approccio diverso da Letta che voleva l’agenda Draghi. Ma su altri temi la partita è ancora aperta: siamo ambientalisti tutti? Sulla guerra vogliamo capire cosa vogliono gli altri, riteniamo che sia fondamentale non mandare più armi in Ucraina per avere la pace”. E ha concluso: “L’accordo deve partire da un presupposto, una base comune: che abbiamo pari dignità a far parte di quel campo. Che non c’è un’egemonia del Pd sul campo progressista”.

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domenica 12 novembre 2023

Beppe Grillo, show da Fazio: “Tutti quelli che ho mandato affanc*** sono al governo. Meloni? Cadrà da sola”. Poi attacca Bongiorno: “Fa comizietti davanti ai tribunali”

Sfotte Luigi Di Maio e Giuseppe Conte, rivendica alcune delle misure bandiera dei 5 stelle come il Reddito di cittadinanza e il Superbonus, profetizza che il governo di Giorgia Meloni cadrà da solo. Poi, all’improvviso, l’attacco alla leghista Giulia Bongiorno, avvocata della ragazza che accusa di stupro suo figlio Ciro e altri tre ragazzi. Un’incursione che Fabio Fazio stoppa subito, definendola “inopportuna“. Per il resto il ritorno di Beppe Grillo in televisione dopo quasi dieci anni è uno show alla vecchia maniera: battute al vetriolo, aneddoti personali, critiche al potere e al governo. Anche se, alla fine, il comico genovese non parla troppo di attualità politica.

“Non posso condurre un movimento politico, sono il peggiore” – L’ultima volta di Grillo in tv risaliva al 2014, quando nel giro di due mesi aveva risposto alle domande di Bruno Vespa a Porta a Porta e di Enrico Mentana su La7. A Che tempo che fa, invece, di domande a Grillo ne arrivano poche: Fazio non riesce quasi mai a interrompere il comico, che si siede sulla sua poltrona solo per qualche minuto. Per il resto vaga per lo studio, tenendo banco col suo flusso di invettive e battute. Abito blu e campanella portata in dote al conduttore, il fondatore del Movimento 5 stelle avverte subito il pubblico del canale Nove: “Se vado fuori tono lui suona”, dice rivolto a Fazio. E visto che il conduttore l’aveva introdotto facendo vedere gli insulti che ciclicamente gli sono stati lanciati, il comico genovese comincia il suo intervento con una sorta di autoanalisi: “Sono qui per capire se sono il peggiore – dice rivolto alla platea – se ho peggiorato questo Paese, non è una battuta. Dopo l’ultima intervista con Vespa abbiamo perso elezioni, tutti quelli che ho mandato a fanculo sono al governo quindi sono il peggiore. Sono qui per capire se devo continuare o meno, ho portato Skype, ho parlato della Parmalat, ho combattuto tutto il mondo ed ora vado in un bar e mi fate pagare il caffè.”. Il primo pensiero politico, invece, è ovviamente per la sua creatura, il Movimento 5 stelle: “Noi siamo stati un movimento evangelico, siamo nati il 4 ottobre, il giorno di San Francesco – dice – Io ho una confusione totale non posso condurre e portare a buon fine un movimento politico, non sono in grado”. E a Fazio che gli fa notare il perchè non se ne fosse accorto prima, replica: “Ma c’era Casaleggio, lui era un organizzatore e aveva del metodo, io faccio danni anche da solo quando sono a casa. Ho una confusione totale, ecco perché mi sono ritirato e a guardare cosa succede, la mia rabbia è una rabbia buona, ce l’ho ancora. Io sono buono dentro e la rabbia buona è necessaria per l’anima”. La tentazione per la battuta è troppo forte anche quando ricorda le orgini: “Ho fondato il Movimento, ma mi ero iscritto al Pd, ad Arzachena”.

“Quando Conte parlava si capiva poco, ma è migliorato” – Di attualità politica il fondatore dei 5 stelle ne tocca poca. Sul governo di Giorgia Meloni dice: “Io conosco pure l’ultimo dei Mohicani che è Salvini, ma a fare un’opposizione totale sempre, anche un orologio rotto segna almeno due volte al giorno l’ora esatta. Questo governo è una decalcomania più gli sputi sopra più si appiccica. Bisogna stare fermi: quando si asciugherà cadrà da solo“. Fazio gli chiede come mai ha deciso di fare politica: “La politica la facciamo tutti, io la facevo quando facevo la spesa, parlavo dell’acqua pubblica o della macchina ad idrogeno. Poi mi hanno chiesto: e ora? Cosa facciamo? Ora che ce lo hai detto? Ok – ho risposto – le prendiamo e le portiamo dentro le istituzioni”. Su Luigi Di Maio, appellato “Giggino a cartelletta“, Grillo ricorda: “Era il politico più preparato, ma non pensavamo si facesse prendere dal potere. Conte l’abbiamo scelto io e lui. Io guardavo i programmi, le idee, se è di destra o sinistra non importa, se un’idea è buona. Ma poi ci ha pugnalato…”. E a proposito dell’ex premier ha aggiunto: “Conte non era iscritto al Movimento, è un bell’uomo, un laureato, parla inglese, poi parlava e si capiva poco… perfetto per la politica… ma è migliorato. Lui arrivava dall’università, era scrittore, avvocato. Adesso lo vedete, ci mette un pò di cuore“. Poi la difesa delle misure simbolo dei 5 stelle: “Nella politica hai idee e poi è ovvio che quando entri nelle istituzioni, quell’idea viene frammentata. Era un’idea anche il Superbonus edilizio, con Draghi eravamo d’accordo che doveva durare 5 anni. Eravamo d’accordo anche sul reddito di cittadinanza, abbiamo pensato ai navigator e poi ho lanciato le brigate di cittadinanza..”

L’attacco a Bongiorno – Arriva a sorpresa, invece, l’attacco a Giulia Bongiorno, senatrice della Lega e avvocato difensore della ragazza che accusa Ciro Grillo e tre suoi amici di stupro. “È un avvocato – dice Grillo – presidente della commissione Giustizia, è una senatrice della Lega che fa comizietti davanti ai tribunali, dove c’è una causa a porte chiuse… E’ inopportuno. Si mischia tutto e vediamo cosa succede”. Fazio lo blocca subito: “Anche questo è inopportuno”. In passato il comico aveva diffuso un video sui social in cui difendeva il figlio e gli amici sotto inchiesta, provocando ovviamente roventi polemiche.

“Nel mio testamento mi sono lasciato tutto” – Non mancano, per il resto, pezzi tipici della comicità dell’artista genovese. “Io credo nella reincarnazione. Sul mio testamento mi sono lasciato tutto a me, non so se rinasco”. E ancora: “Bruno Vespa ha scritto un libro che s’intitola: Da Mussolini a Beppe Grillo. Ma vi rendete conto? Io quando vedo un suo libro in autogrill, lo copro con quello di Casalino, toh!”. Fino agli aneddoti autobiografici: “A Genova io vivevo in un palazzo dove abitava un commerciante, il macellaio, quello del bar e un serial killer, Donato Bilancia. Eh sì, mia mamma era amica della mamma di Donato Bilancia che aveva fatto 17 omicidi. Allora, non c’erano i cellulari e mia mamma mi diceva: Se torni tardi fatti accompagnare da Donato che sennò non sto tranquilla”. Alla fine, dopo un’ora di monologo, Grillo torna a rivolgere al pubblico la domanda iniziale: “Allora, voglio sapere: secondo voi cosa devo fare? Siate sinceri”. Qualcuno dal pubblico ha gridato: “Il comico!”.

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Di Maio: “Ritorno in politica? Gli italiani sono stati chiari, dopo il risultato del 2022 meglio evitare un accanimento terapeutico”

“Non sto pensando alla politica né per ora nè per il futuro”. Semmai ci fossero ancora dubbi sulla questione, Luigi Di Maio ha dimostrato di avere ben chiara una cosa: è meglio per lui tenersi lontano dalle urne. Dopo il sonoro flop delle politiche del 2022 e il ripescaggio come rappresentante speciale dell’Unione europea per il golfo Persico, l’ex leader del Movimento 5 stelle è tornato a parlare in pubblico. Lo ha fatto su Rai 3, intervistato da In mezz’ora. “Sul piano politico e delle Europee non c’è da aspettarsi proprio nulla, ma lo dico in generale perché i 27 Paesi dell’Unione europea mi hanno affidato questo incarico fino al 2025 che è totalmente incompatibile con azioni politiche”, ha detto anche l’ex vicepremier.

Ma dove si colloca oggi l’ex capo politico dei 5 stelle poi fulminato sulla via di Mario Draghi? “Io ora – ha risposto – sono collocato al massimo a Bruxelles o nel Golfo” e i “limiti del mio mandato non mi permettono di esprimere cose del genere e non posso rispondere. Più in generale posso dire che è finita per me un’era politica con le ultime elezioni”. A proposito della sua scelta di dire addio al Movimento 5 stelle, Di Maio ha lasciato “ai posteri la sentenza”, aggiungendo però che quella scelta arrivò perché “avevo un’idea diversa sul governo Draghi e sulla posizione da assumere sull’Ucraina. Probabilmente ho cambiato idea io rispetto agli amici e ai colleghi di partito. Ma poi gli italiani sono stati molto chiari su quella scelta e alle urne abbiamo preso nemmeno l’1% e quando arrivano risultati così alle elezioni è meglio evitare un accanimento terapeutico…”. A proposito di Beppe Grillo, poi, ha aggiunto: “Non lo sento da tanto tempo ma il bene che gli ho voluto, vicendevolmente, è assolutamente invariato. Continua a volermi bene e rappresenta una figura fondamentale della mia vita. Poi ognuno ha preso la sua strada con idee diverse, ma riguarda il presente e il futuro”.

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Silvestri (M5s): “Col Pd c’è differenza culturale, con noi No a candidature ‘contro’. Serve un progetto che parta da lontano”

Uno dei momenti di dibattito organizzato in seno all’assemblea regionale del M5s del Lazio ha visto impegnato sul palco il capogruppo alla Camera Francesco Silvestri che ha risposto alle domande di Luca De Carolis: “La differenza con il Pd? C’è una differenza culturale alla base. Il centrosinistra così come lo conosciamo è abituato a fare tutto e il contrario di tutto e poi fare una chiamata alle armi contro le destre. Questo con il M5s non si puà fare. Se ci si incontra serve un progetto che parte da lontano – perché le elezioni sono il momento in cui si raccoglie, non quello in cui si inizia a seminare – quando ci si candida con il movimento 5 stelle e si vince, si governa, e per fare questo serve un progetto”.

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venerdì 10 novembre 2023

Il Pd ignora i sardi e sceglie la grillina Todde alle Regionali: una tracotanza incredibile

La Sardegna è sempre stata una culla per le novità politiche e per la sorte dei vari segretari del Partito Democratico. A breve si voterà per le Regionali (febbraio o marzo 2024) e le coalizioni iniziano a prendere forma. O quantomeno una parvenza.

Da circa un anno circolava con certezza che il candidato per la Presidenza della Regione Sardegna nel campo del centro-sinistra (concetto ormai privo di reale senso) fosse Alessandra Todde, Vice Presidente del Movimento 5 Stelle. Non tanto per la sua grande notorietà in Sardegna ma per un accordo romano fra Giuseppe Conte e la segretaria del Pd, Elly Schlein. Una sorta di regalo di riconoscenza verso i grillini della Schlein, eletta alle primarie non certo coi voti dei tesserati.

Naturalmente – ritengo – i vertici regionali del Pd hanno cercato di negare questo accordo mentendo spudoratamente non solo ai vari partiti che avrebbero dovuto sedersi al tavolo della nascitura coalizione ma soprattutto a tutti i sardi. Una tracotanza incredibile che come tutte le cose ma per di più le bugie si scontrano con la realtà. Il Pd, nato con una vocazione maggioritaria e con al suo interno diverse anime riformiste e moderate, è ormai un lontano ricordo completamente sbiadito. E’ praticamente diventato l’ossimoro di se stesso.

In Sardegna, come sempre accaduto nella storia politica italiana, siamo all’atto finale della storia del Pd nazionale e del suo segretario. Un partito che, contro le sue regole, scelta del suo candidato attraverso le primarie, ha completamente svenduto la sua anima anche di indipendenza e autonomia nelle decisioni a favore di un accordo personalistico tra Conte e Schlein. I sardi, e soprattutto gli elettori del Pd, su questa scelta poco hanno potuto dire.

Il popolo del Pd, che una volta veniva etichettato e offeso in tutte le maniere dai grillini, si sente non solo abbandonato ma completamente spaesato. Tra le tante contraddizioni vi è da ricordare che a Sassari, città che andrà al voto in primavera, i grillini sono in Giunta con un’amministrazione di area di centro-destra. E non a caso, nonostante l’operazione di facciata e di tutta fretta, il fantomatico “campo largo” è diventato una sorta di Movimento 5Stelle allargato: il Pd sardo è completamente disintegrato.

La candidatura della Todde, scelta a Roma, ha già prodotto alcuni devastanti ma forse benefici risultati. Per prima cosa, è utile ricordare, che l’ex Presidente della Regione Sardegna, Renato Soru, già eurodeputato del Pd, aveva chiesto che si tenessero le primarie per la scelta del candidato presidente. A lui si erano uniti vari partiti e movimenti. Per tutta risposta il segretario del Pd sardo ha tirato dritto e ufficializzato la candidatura della Todde. Ormai tra grillini e la ditta del Pd non si trova differenza.

Ieri anche il circolo provinciale del Pd di Iglesias ha manifestato formalmente il proprio disappunto verso la nomina romana della Todde. Il risultato odierno è che la svendita di ogni democrazia interna all’interno del Pd e l’utilizzo personalistico del partito hanno portato ad una candidatura grillina che ad oggi vede non solo buona parte dello stesso Pd sardo contro ma tutti i partiti nazionali, ex alleati, contro la Todde. Infatti, quella che doveva essere la candidatura del “campo largo” ad oggi è sostenuta dal Movimento 5Stelle – in verità neanche tanto convintamente dai vertici regionali – da metà Pd sardo e da zero virgola vari.

Il frutto di tutto questa spavalda tracotanza è che forse sta nascendo qualcosa di positivo e partecipato. I sardi, notoriamente pochi inclini ad essere presi in giro, stanno dal basso smantellando una candidatura frutto della peggiore politica. Alla nomina della Todde, ma soprattutto a questo modo di uccidere la politica, si sta contrapponendo un movimento che vede contrari non solo i partiti nazionali di Italia Viva, Azione, Più Europa ma anche tutte le forze indipendenti, moderate e riformiste della Sardegna. Il tutto mentre il vecchio centrodestra è ancora appeso alla possibilità di ricandidare il governatore uscente Solinas, il peggiore della storia della Sardegna e dei governatori italiani in questo momento.

Di certo ad oggi c’è che la segretaria del Pd è riuscita nella sua ultima opera prima delle Europee. Distruggere i resti liberali, riformisti e moderati del Pd a favore dei grillini in cerca di autore.
Il Pd ma soprattutto i suoi elettori non moriranno, soprattutto in Sardegna, grillini. Come sempre la Sardegna si farà sentire per respingere ancora una volta l’invasione malsana e padronale di una pessima politica lontana dalla gente e dai suoi sentimenti e valori.

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giovedì 9 novembre 2023

Pd e M5s insieme alle Regionali in Sardegna: ufficiale la candidatura di Alessandra Todde. Soru non ci sta e prepara la corsa autonoma

Pd e Movimento 5 stelle correranno insieme alle prossime elezioni regionali in Sardegna, in programma nel 2024. Nella sede dem di Cagliari è stata ufficializzata la candidatura comune di Alessandra Todde, vicepresidente pentastellata ed ex viceministra dello Sviluppo economico. A sostenerla anche l’Alleanza Verdi-Sinistra e altri movimenti, ma non tutto il campo largo: l’ex governatore Renato Soru, infatti, ha convocato un evento per sabato a Cagliari in cui dovrebbe annunciare la sua candidatura, a cui guardano Progressisti, Liberu e +Europa.

Todde si dice ottimista che la frattura possa rientrare: “Incontrerò Renato Soru, che ritengo una risorsa. Credo che sia importante il dialogo e che sia importante anche la costruzione di un rapporto diverso rispetto a quello che c’è stato finora. Non parlerò solo con lui, ci sono altre forze, anche civiche, che in questo momento desiderano entrare e hanno voglia di confrontarsi. Io credo che nei prossimi giorni avremo molte soprese e credo che questa coalizione sia solo l’inizio“.

Alla candidata arriva subito l’endorsement del leader 5s Giuseppe Conte: “Una grande manager e imprenditrice. Una donna che nelle istituzioni non si è mai risparmiata per tutelare le aziende e i lavoratori da viceministro dello Sviluppo economico, in uno dei momenti più duri per l’Italia”, scrive su Twitter. “Alessandra Todde è da sempre un orgoglio per il Movimento 5 stelle e da oggi è la candidata presidente del campo progressista per cambiare il volto alla Regione Sardegna. Forza!”.

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