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giovedì 30 gennaio 2025

In tv i 5stelle non esistono, a parte per le gaffe: siamo oltre l’omologazione culturale

di Carmelo Sant’Angelo

Diceva Oscar Wilde, per il tramite di Dorian Gray: “There is only one thing in the world worse than being talked about, and that is not being talked about” (“C’è una sola cosa al mondo peggiore del far parlare di sé, ed è il non far parlare di sé”). Nel mondo della comunicazione questa massima è assurta a regola aurea. Un’attività commerciale o professionale o un’associazione che vuole affacciarsi sul mercato ha assoluto bisogno di far parlare di sé, di farsi conoscere, di diffondere il proprio marchio e la propria mission, di ricevere il feedback dei potenziali clienti/utenti/simpatizzanti. Lo stesso vale per un partito, che ha bisogno di far conoscere le proprie iniziative.

A questa regola sembrano, però, sottrarsi i 5stelle. Ho scoperto, infatti, guardando il tg La7, che il Movimento si è ritirato sull’Aventino. Eppure nell’ultima settimana ne sono successe di cose interessanti, ma dai servizi del telegiornale ho desunto che Conte abbia preferito ecclissarsi. Non ha avuto nulla da dire sulla riforma della giustizia; niente sul rinvio a giudizio della Santanchè; il silenzio totale sull’ennesimo decreto che autorizza l’invio d’armi all’Ucraina; nessuna opinione sul caso Almasri. Nel resoconto giornalistico della tv di Cairo l’opposizione è incarnata dagli esponenti del Pd, di Azione-IV e l’immancabile Bonelli. I 5stelle non compaiono; essi solcano lo schermo soltanto come meteore saltuarie, quasi sempre descritti dall’ermetico resoconto della voce narrante e raramente dalla loro viva voce. Poiché i citati argomenti costituiscono il core business del Movimento, indagando meglio, ho scovato alcuni durissimi e sferzanti attacchi sferrati in aula dal M5S per bocca dei suoi rappresentanti: Cafiero de Raho; Lomuti; Iaria; Scarpinato; Appendino; D’Orso…. Evidentememnte costoro vivono nell’etere televisivo “senza infamia e sanza lodo”, per cui il direttore del tg non si cura di loro “ma guarda e passa”.

Per amor di verità, devo riportare che la “condanna all’oblio” non è assoluta perché la grancassa mediatica si scatena ogni qual volta vi sia una gaffe o uno scivolone pentastellato (ad es.: Matteotti confuso con Andreotti o sempre lo stesso Matteotti rapito “a Bologna nel 2026”). In queste occasioni si sfiora il bullismo mediatico. Non voglio in questa sede sindacare il tg di Mentana (che, tra l’altro, è uno dei pochissimi che rifugge dall’infotainment) perché ognuno è libero di fare il telegiornale/giornale che vuole e come gli aggrada – soprattutto se non usa denaro pubblico – così come sono liberi i cittadini di guardarlo/comprarlo. Voglio, invece, richiamare l’attenzione sulla teoria della “spirale del silenzio” elaborata, negli anni settanta, da Elisabeth Noelle-Neumann. La tesi di fondo è che il potere di persuasione della televisione sia in grado di enfatizzare opinioni e sentimenti prevalenti, mediante la riduzione al silenzio delle opzioni minoritarie e dissenzienti. Siamo, cioè, oltre il concetto di omologazione culturale (ampiamente indagato da McLuhan o dal nostro Umberto Eco), poiché la televisione stabilisce le coordinate dell’ambiente sociale, del clima d’opinione in cui gli individui si orientano e a cui reagiscono allineandosi per paura dell’ostracismo sociale.

Questi sono i motivi per cui, nei luoghi in cui si svolgono le relazioni sociali, sia impossibile trattare i temi di attualità senza fare delle doverose premesse: “Esiste un invaso e un invasore”; “C’è stato il 7 ottobre”; “Meloni è brava ed intelligente, ma i suoi ministri non sono all’altezza”; “Giusta l’efficienza energetica, ma il superbonus ha causato un’emorragia nei conti pubblici”; “Il reddito di cittadinanza è un regalo a Poltronesofà”, e infine un evergreen: “I 5 Stelle sono degli scappati di casa”. Di fronte a questi dogmi di fede i telespettatori hanno di fronte a loro due opzioni: abbracciare la posizione maggioritaria oppure tacere per evitare l’ostracismo e la riprovazione sociale. Ed anch’io tacqui come corpo morto tace.

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lunedì 20 gennaio 2025

Incidenti durante Juve-Real Madrid del 2017, ricalcolata la pena per Chiara Appendino: è stata condannata a 17 mesi e 23 giorni

Da 18 mesi di reclusione a 17 mesi e 23 giorni: è questa la condanna ricalcolata dalla Corte di assise di Appello di Torino nei confronti di Chiara Appendino, ex sindaca del capoluogo piemontese e oggi parlamentare del MoVimento 5 stelle, per i fatti di Piazza San Carlo del 2017. La stessa pena è stata formulata per l’ex Capo di gabinetto Paolo Giordana. È stato assolto invece Maurizio Montagnese, all’epoca presidente dell’agenzia turismo Torino. Lo scorso 17 giugno la Cassazione aveva annullato la precedente sentenza di appello dichiarando “irrevocabile” la responsabilità penale di Appendino, ma ordinando ai giudici subalpini di ricalcolare al ribasso la sua condanna (18 mesi) perché nel frattempo c’erano state delle remissioni di querela. Gli avvocati della ex sindaca avevano proposto un anno di reclusione con la conversione in centomila euro.

La sera del 3 giugno 2017 c’era una fiumana di gente in Piazza San Carlo, dove era in corso la proiezione della finalissima di Champions League tra Juventus e Real Madrid. A un certo punto si scatenò un’ondata di panico a causa di qualcuno che utilizzò uno spray al peperoncino tra la folla: fuggi fuggi generale, nel quale restarono ferite oltre 1600 persone. Due donne morirono, la prima a 10 giorni l’accaduto e la seconda, rimasta tetraplegica a seguito delle ferite riportate, nel gennaio 2019. Il processo iin cui è stata condannata Chiara Appendino riguardava appunto le lacune della organizzazione e nella gestione dell’evento.

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Santanché, M5s presenta una nuova mozione di sfiducia contro la ministra

“Inopportunità politica e gravità della condotta”. Con queste motivazioni il M5s ha annunciato di aver presentato, sia alla Camera che al Senato, una mozione di sfiducia individuale contro la ministra Daniela Santanché. “Il Parlamento ha il dovere di non chiudere gli occhi”, hanno dichiaratoi capigruppo 5 telle in una nota. “Giorgia Meloni, salvando Santanchè già una volta, ha leso la reputazione del Paese. Ora basta”. Il leader Giuseppe Conte, poco dopo, sui social ha rilanciato: “Metteremo di nuovo il governo con le spalle al muro di fronte al Parlamento e agli italiani. Se pensano di far finta di nulla come al solito si sbagliano di grosso”. Un’altra mozione di sfiducia, sempre contro la ministra, era stata presentata da M5s e opposizioni ad aprile scorso,ma era stata respinta.

Il 17 gennaio scorso, Daniela Santanché è stata rinviata a giudizio nell’ambito del caso Visibilia e quindi andrà a processo. Per il momento la presidente del Consiglio non si è espressa, ma circa dieci giorni prima, durnate la conferenza stampa di inizio anno, aveva detto che avrebbe “valutato” il caso. Segno che non è disposta a difenderla fino alla fine. Ora il leader M5s attacca proprio il silenzio di Meloni: “Lei che urlava allo scandalo e chiedeva dimissioni per tutti ha perso di nuovo la voce di fronte ai suoi amichetti di partito?”, si legge nel suo post. “È da mesi che deve imporre a Santanchè di uscire dal Governo. Non possiamo permetterci alla promozione del Turismo e del nostro Paese una ministra rinviata a giudizio per falso in bilancio e con una pesantissima inchiesta per truffa allo Stato sui fondi Covid. Fratelli d’Italia – insiste Conte – ci dava dei criminali sulla gestione della pandemia ora restano in silenzio di fronte a pesanti accuse che riguardano esponenti del loro partito e l’uso che hanno fatto dei soldi che noi abbiamo stanziato per lavoratori e imprese. Sono senza vergogna”.

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Perché il partito di Conte non offre un’opportunità alla ex-dipendente di Visibilia? Serve metodo

di Paolo

Faccio una provocazione che ha una ratio: perché il partito di Giuseppe Conte non offre un ruolo o anche un’opportunità di qualunque tipo a Federica Bottiglione, la ex-dipendente di Visibilia? E’ una donna che ha mostrato con i fatti di essere onesta.

In passato si è già aperto alla società civile con risultati altalenanti. Ad esempio sono state fatte tante scelte secondo me alquanto dubbie e legate più alla notorietà del personaggio che all’effettiva competenza: da chi pensava di fare il parlamentare senza mettere piede in Parlamento perché si può fare politica pure in barca, a chi si è tuffato in un altro partito prima ancora di sedersi, da chi è diventato ministro per poi fare richieste assurde, a chi era assurdo a prescindere, da chi si detto a favore per poi essere contrario e viceversa. Insomma, alcuni personaggi sono stati un disastro.

Sappiamo che firmare un foglio non è una muraglia cinese contro gli arrivisti. E’ indubbia e sacrosanta invece la scelta di ex-magistrati antimafia, ma è un’altra storia. In tal senso si può imparare dal passato, per cui non sto dicendo che debba essere candidata per forza e sarebbe anche poco serio per quel che mi riguarda, fare e farle una tale proposta. Parlo di un qualunque ruolo, di tipo organizzativo, d’ufficio, ecc. Ovviamente non è detto che accetti, o che sia indicata, ma credo che sia un’iniziativa possibile per diversi motivi: è una prova concreta di buona volontà, dal momento che spesso si dice che nessuno dev’essere lasciato indietro, tanto vale dimostrarlo; è giusto che una persona che si riveli onesta non venga lasciata sola da chi è nelle istituzioni, altrimenti che differenza c’è tra una parte e l’altra; darle un’opportunità potrebbe essere in sé un’opportunità per il partito di Conte; la sua esperienza potrebbe essere terreno fertile per una legge o per riformularne altre; non è detto che altri partiti tentino una cosa del genere per poi esaurire il suo ruolo in una mera foglia di fico. Anche solo parlarle e parlarne non costa nulla.

Ripeto, è solo una provocazione e non conoscendo le sue idee politiche, lei potrebbe preferire di non essere associata a nessuno, anche se il suo eventuale ruolo non fosse politico. Sarebbe senz’altro corretto anche solo aiutarla come qualunque cittadino senza nessun coinvolgimento ulteriore.

Possiamo espandere la riflessione e personalmente non sono mai stato affezionato a questo tipo di avvicendamento. Alla luce di ciò che è accaduto in passato, non ho mai compreso come lasciare a casa gli attivisti possa essere stata una buona idea. Magari la verità sta nel mezzo ed era doveroso un equilibrio tra le cose. Il punto è che le persone sono persone, siano esse attivisti o presi dalla società civile, per cui conta il tipo di persona che erano prima e nulla di più. Supponendo in positivo uno scenario del genere, c’è un fattore fondamentale da considerare: il partito di Conte è sicuramente più aperto o costretto ad esserlo – dipende come si vuol vedere la cosa – del Movimento Cinque stelle del passato.

Tralasciando il caso in questione, colgo l’occasione per sottolineare che comunque il problema è reale. Se il Movimento non si dà un metodo, la riorganizzazione senza le persone è come un puzzle senza pezzi. Oggi sono ancora convinto che la parabola per il partito guidato da Conte sia discendente, ma magari se la smettesse di ascoltarsi, ci sarebbe qualche piccola possibilità. Ieri era già tardi. Ho preso ad esempio il caso descritto perché tutto ciò che funziona è replicabile, ma al momento e da quel che ho notato: tutto quello che si è fatto lo si è impacchettato a prescindere da cosa ci fosse dentro e lo si è posto in cima ad uno scaffale, con tanti saluti alle buone pratiche che pure c’erano.

Quindi va bene andarci coi piedi di piombo, ma se non ci si dà una mossa, si finisce come la Apple che è partita con tante innovazioni, ed è finita a propinare sempre una nuova versione della stessa idea non originale – infatti era del fondatore.

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domenica 19 gennaio 2025

Oliviero Toscani, cavallo pazzo. In un paese di morti viventi, io voglio ricordarlo da vivo

Esaurita l’ondata di necrologi e dichiarazioni postume di grande stima e amicizia verso una persona che è appena venuta a mancare e di cui, possibilmente, si è parlato male fino al giorno prima, come è uso comune in Italia, io Oliviero voglio ricordarlo da vivo. Perché anche ora che non c’è più resta per me una delle persone più vive che abbia conosciuto in questo paese di morti viventi. Un generoso, che non si risparmiava mai in nulla, né sul lavoro né tantomeno nelle sue passioni e nell’amicizia. Un vortice umano che si ricaricava nella tenuta di campagna che si era costruito fin dagli anni 70 a Casale Marittimo in provincia di Pisa, dove tra l’altro coltivava la sua grande passione: i cavalli. Non erano cavalli qualsiasi, ma Appaloosa, quelli dei pellerossa nei film western.

E, come nei film western, diventammo amici dopo una simbolica scazzottata, alla fine di una lunga intervista che gli feci per Playboy più di trent’anni fa. Qualche tempo addietro, avevo firmato una campagna pubblicitaria che invitava a boicottare Benetton e aveva fatto anche abbastanza clamore. Il casus belli fu un’affissione con dei corpi tatuati con la scritta “HIV-Positive”. I sieropositivi si sentirono additati come “untori” e una loro associazione internazionale (Positifs) volle rispondere a sua volta con una campagna che invitava a boicottare Benetton. L’azione fu firmata da Nautilus, la prima agenzia virtuale italiana di pubblicità interamente dedicata al non profit. Terminata l’intervista, decisi di rischiare rivelando a Toscani che dietro a Nautilus c’ero io. “Quindi sei stato tu!” esclamò, “Che gran figlio di puttana…” e fece finta di darmi un cazzotto ridendo. Da allora con Oliviero è iniziato uno scambio che è durato negli anni.

Le reazioni per il suo lavoro se le aspettava sempre, ma non se ne curava minimamente, lui seguiva la sua strada rompendo tutte le staccionate della pubblicità e del marketing, come un cavallo selvaggio. Le sue campagne furono anche denunciate e condannate dalla massima autorità pubblicitaria italiana, lo IAP, mentre all’estero erano fatte oggetto di studi e venivano premiate. Tanto, Oliviero continuava imperterrito. Proclamò guerra alla congregazione dei pubblicitari e disse che stava preparando un processo di Norimberga per i crimini che avevano commesso. Già mi immaginavo il mite Paolo Landi, direttore delle relazioni esterne del gruppo Benetton, nei panni di Simon Wiesenthal. Che cosa rimproverava Oliviero ai pubblicitari? La mancanza di coraggio. Una volta mi disse che non aveva mai sopportato fare le cose quando sono “sicure”, perché quando lo sono vuol dire che manca la creatività.

Diceva: “Mi piace viaggiare su campi minati, fare cose in cui a volte non dico che ho paura ma mi chiedo ‘chissà se è giusto oppure sbagliato’… Ma in fondo non mi interessa neanche saperlo! Faccio cose che sono ai limiti forse della mia stessa etica”. Oliviero estendeva questo credo a un manifesto politico: per lui la rivoluzione dev’essere soltanto del pensiero, e dev’essere costante. Diceva: “Bisogna avere un pensiero costantemente rivoluzionario, bisogna rimettere in discussione tutto quello che si è fatto la volta prima, e non fare mai i ‘test’ delle cose prima di farle, come sono abituati i pubblicitari. Anzi, dovrebbe essere il contrario: bisognerebbe testare il lavoro dopo, e non aver mai paura di sbagliare. Il vero sbaglio è non fare niente”. La verità è che Oliviero era un istintivo. Perfino le sue più grandi provocazioni erano, per dirla in termini fotografici, nient’altro che delle istantanee, frutto di un intuito creativo e di un tempismo che non sbagliava mai.

In diversi momenti ho avuto il privilegio di condividere le sue fulminanti intuizioni sul mondo, sulla vita, sulla politica e la sua allegria contagiosa. Come quando parlammo delle “seghe mentali” (come le chiamava lui) che si facevano semiotici, sociologi della comunicazione, critici d’arte, intorno alle sue campagne, definendole “sociali”. “Ma io non faccio pubblicità sociale!” esclamò fingendosi indignato, “io faccio pubblicità asociale!”. E giù a ridere.

Oppure quella volta che fummo chiamati entrambi, l’uno all’insaputa dell’altro, da un collaboratore di Beppe Grillo che ci coinvolse in un grande brainstorming collettivo per decidere il nome del suo nuovo Movimento. Al telefono, chiesi come intendevano procedere. Mi fu risposto che le mie idee sarebbero state messe insieme a quelle di studenti, docenti universitari, attivisti, pensionati e casalinghe e poi gli spunti migliori sarebbero stati selezionati e combinati fra loro, si sarebbe fatta una seconda scrematura e così via fino alla soluzione definitiva.

Risposi: “Ma non si lavora così: dovete chiamare solo dei professionisti. Non si può lavorare con un’intera assemblea di gente qualsiasi, ne esce fuori solo un casino”.

“Noi lavoriamo così, per noi siamo tutti uguali e mettiamo insieme le nostre idee per decidere sempre insieme e all’unanimità qual è la migliore”, disse al telefono il coordinatore grillino. “Comunque abbiamo coinvolto anche Oliviero Toscani”.

Chiamai Oliviero al telefono: “Senti ma per caso quelli di Grillo ti hanno chiesto una consulenza?”

“Sì, per scegliere il nome di un nuovo movimento che peraltro ha già un marchio con cinque stelle. Movimento Cinque Stelle, boh… Ma tu come lo sai?”

“Perché hanno chiamato anche me. E cosa gli hai detto?”

“Ho detto: ‘Ma che cos’è? Un albergo?’”

“Esattamente la stessa cosa che ho detto io”.

“E quello insisteva a spiegare che le stelle erano i cinque punti del programma…”

“E chi potrebbe capirlo?», dissi.

“Appunto. Diceva che avrebbero preso in considerazione anche altre indicazioni, ma tutti ormai si stavano orientando verso quello perché ‘a Grillo piace tanto’ …”

“Ecco, qui io gli ho risposto: “Ma allora perché mi avete chiamato?””

“È esattamente quello che gli ho risposto anch’io!”, esclamò Oliviero.

Ridemmo.

“Guarda, preferisco starmene qui in campagna con i miei cavalli, piuttosto che aiutare certa gente a farsi una campagna, oltretutto gratis”, concluse.

I cavalli erano la sua “famiglia allargata”. Aveva cominciato regalando a sua figlia un cavallo destinato al macello. Fino a quel momento non aveva mai pensato di possedere un cavallo. Poi girando per gli Stati Uniti comprò una puledra del ’74. In breve arrivò ad averne una cinquantina. Mi disse: “Sono come una collezione di quadri che tengo per il piacere della famiglia e qualcuno lo vendo ad altri collezionisti di cavalli. I primi li ho comprati negli Stati Uniti per avere certe linee di sangue: molti di loro sono diventati dei campioni laggiù. Tanto che negli Usa pensano che questo sia veramente il mio mestiere… o forse è veramente il mio mestiere?”.

D’altra parte era nato nell’anno del Cavallo, secondo l’oroscopo cinese. Un segno impetuoso, caratterizzato da una costante ricerca della libertà, dell’anticonformismo. Sarà per questo che è sempre stato difficile stargli dietro.

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venerdì 17 gennaio 2025

Una poltrona per tre: Gentile (Fi) al posto di Scutellà (M5s) alla Camera. La decisione della Giunta per le elezioni e cosa c’entra Orrico

Un seggio del M5s a Montecitorio spetta a Forza Italia. È questa la decisione della Giunta per le elezioni della Camera che, a due anni di distanza, ha annullato l’elezione della pentastellata Anna Laura Orrico nel collegio uninominale Cosenza 2 accogliendo il ricorso dei berlusconiani. A perdere il seggio è però Elisa Scutellà che nel 2022 aveva preso il posto di Orrico nel plurinominale dopo che la collega M5S era stata eletta sia nell’uninominale sia nel proporzionale. Su richiesta del forzista Andrea Gentile, arrivato secondo dopo Orrico nell’uninominale, sono state riconteggiate le schede nulle e bianche. Orrico – che risulta ugualmente eletta nel plurinominale al posto di Scutellà – non perderà il seggio ma resterà in Parlamento a scapito della collega di partito.

La decisione della Giunta per le elezioni dovrà ora passare al vaglio dell’aula di Montecitorio. La relazione sarà presentata entro 20 giorni, poi toccherà alla capogruppo calendarizzare l’arrivo in Aula, anche con una relazione di minoranza. Nel frattempo, però, si è già accesa la polemica politica con il presidente del Movimento Cinque Stelle, Giuseppe Conte, che parla di una “sconfitta” non solo per i pentastellati ma anche “per la democrazia, per il rispetto del voto dei cittadini calabresi”. La Calabria “è una terra difficile, una terra dove ci sono tantissime inchieste sullo scambio politico mafioso di voto, su un sistema clientelare ben collaudato, e il risultato oggi è che qui, attraverso una riscrittura delle regole per interpretare i voti, si è riattribuito un seggio”.

Dura la reazione dell’esclusa Scutellà: “Oggi, per l’ennesima volta, la maggioranza, con la forza dei numeri, ha sacrificato quello che è il principio di democrazia. Un seggio conquistato in Calabria, in una terra difficile, un seggio conquistato dal Movimento 5 Stelle, viene sottratto da Forza Italia”. E rilancia: “Questa è l’umiliazione della democrazia e del diritto del voto che hanno i cittadini e nello specifico i cittadini calabresi”.

Il rammarico della deputata è che, a differenza di Gentile, a lei non sia stata data la possibilità di visionare le schede bianche: “Noi abbiamo chiesto il riconteggio dei voti validi che è un precedente che è stato sempre portato avanti alla Camera dei deputati. Questa è la prima volta che viene negato l’ampliamento dell’istruttoria, quindi l’apertura delle schede valide”. Orrico parla di “ennesima brutta pagina” scritta da “questa maggioranza di centrodestra”, che “ha deciso di riappropriarsi di un seggio che i calabresi invece avevano deciso di consegnare al Movimento 5 Stelle”.

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giovedì 16 gennaio 2025

De Raho contro la separazione delle carriere: “La destra vuole il controllo dei pubblici ministeri. Vuole sottrarsi alla legalità?”

“La separazione dei poteri è alla base nostra democrazia e questo ddl determina un’incidenza enorme sulla separazione dei poteri. La politica prevarrà sulla magistratura, vediamo se riuscirà anche a sottrarsi al controllo della legalità. Questa maggioranza da sempre ha dimostrato di non tollerare il controllo della magistratura. La politica invece vuole il controllo del pubblico ministero“. Lo dice, in aula alla Camera durante le dichiarazioni di voto sul ddl costituzionale sulla giustizia, Federico Cafiero de Raho, deputato del Movimento 5 stelle. “Vengono alterati i rapporti tra politica e magistratura. Da anni assistiamo ad attacchi durissimi, scomposti, costituzionalmente inquietanti agli esponenti della magistratura. La separazione delle carriere incide sul livello della democrazia, abbassando il livello di tutela dei cittadini – aggiunge -. In realtà non migliora nulla nel sistema giustizia, si frammenta l’ordine giudiziario e lo si indebolisce. Non è vero che non incide sull’indipendenza dei magistrati e coloro che ne subiranno le conseguenze saranno soprattutto i cittadini e tutto questo in modo arrogante e sempre più autoritario. Per questo il nostro voto è nettamente contrario”.

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Separazione delle carriere, il governo rifiuta di garantire l’indipendenza dei pm: bocciato l’odg dei 5 stelle. “Hanno gettato la maschera”

Il centrodestra non promette di garantire l’indipendenza delle indagini una volta che la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri diventerà legge. La maggioranza ha respinto un ordine del giorno, presentato dalla deputata del Movimento 5 stelle Valentina D’Orso al ddl costituzionale approvato in prima lettura alla Camera, che impegnava il governo ad “astenersi da qualsiasi iniziativa, legislativa e non, volta a indebolire o compromettere il principio della dipendenza funzionale della polizia giudiziaria dal pubblico ministero e il divieto di interferenza degli altri poteri nella conduzione delle indagini”.

Insomma, si chiedeva una rassicurazione sul fatto che lo scopo ultimo della riforma non sia quello di controllare le inchieste, come invece temono i magistrati e le opposizioni. Un impegno che l’esecutivo non ha voluto prendere: dopo il parere contrario espresso dal viceministro della Giustizia, Francesco Paolo Sisto, l’odg è stato respinto con 107 voti favorevoli e 167 contrari. Oltre alla maggioranza, a votare contro sono stati anche i parlamentari di Italia viva. “Con la bocciatura di questo ordine del giorno il governo getta la maschera e svela il reale disegno dietro la separazione delle carriere”, ha accusato la deputata D’Orso in Aula.

A passare, dopo una riformulazione chiesta da Sisto, è stato invece un odg del deputato di Forza Italia Enrico Costa, che impegna l’esecutivo, “in sede di attuazione della riforma, a valutare l’opportunità di prevedere concorsi separati per l’accesso alla magistratura giudicante e a quella requirente”. Il ddl infatti si limita a introdurre nella Carta (all’articolo 102) il principio delle “distinte carriere” di pm e giudici, affidando però alle norme sull’ordinamento giudiziario la disciplina di dettaglio.

Accolto con riformulazione anche un ordine del giorno di un altro berlusconiano, Paolo Emilio Russo, che impegna “a valutare, in sede di attuazione del disegno di legge, ogni più opportuno intervento diretto a consentire il rispetto della parità di genere” nella composizione dei futuri Consigli superiori della magistratura, uno per i giudicanti e uno per i requirenti. La stessa riformulazione, che cambiava l’impegno a garantire le “quote rosa” in un semplice impegno a “valutarle”, è invece stata rifiutata da altri esponenti dell’opposizioni che avevano proposto odg sullo stesso tema, tra cui Filiberto Zaratti di Alleanza Verdi e Sinistra e Maria Elena Boschi di Italia viva.

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“Sui legami tra Berlusconi e la mafia c’è una sentenza passata in giudicato”. E Baldino (M5s) ne legge alcune parti: insulti da Forza Italia

“Nessun insulto, sui legami tra Berlusconi e Cosa Nostra c’è una sentenza passata in giudicato“. È scoppiato il caos alla Camera quando le opposizioni, nel corso della discussione sulla separazione delle carriere, hanno citato Silvio Berlusconi. Lo ha fatto, per primo, Marco Grimaldi di Avs, quando ha detto che “la verità su questo provvedimento l’ha detta il ministro Nordio. Lo ha detto esplicitamente: la separazione delle carriere è una fissazione ma anche un tributo a un fantasma oltre che leader politico degli ultimi 30 anni. È un tributo a Silvio Berlusconi. Di certo, questa proposta non esisterebbe se non fosse esistito Berlusconi, se non fossero esistiti i problemi giudiziari di Berlusconi”.
Grimaldi ha puntato subito dopo il dito contro Marcello Dell’Utri, “uomo chiave”, ha sottolineato, “dell’ascesa economica e politica” di Berlusconi, “condannato a 7 anni per rapporti accertati con la mafia” che da quando ha iniziato a collaborare con Berlusconi dal ’74 ha collezionato 13 procedimenti e che a 83 anni è ancora indagato come mandante esterno per le stragi del ’93 e ’94“. Una storia, secondo l’esponente di Avs, riportata a galla da Report e che ha fatto “indignare molti” ma “che è vera” e che è “un pezzo della storia recente del Paese di cui la separazione delle carriere è figlia”.

A Grimaldi ha risposto duramente Pietro Pittalis, di Forza Italia, che lo ha accusato di aver pronunciato parole piene “di sconcezze, maldicenze e pattume. Non si può continuamente da parte di questi signori sinistri ma con il portafogli a destra – ha aggiunto – continuare a diffamare un baluardo della giustizia come Berlusconi e non possiamo consentire a questi omuncoli senza arte né parte, a questi scappati di casa, di infangare la memoria di Silvio Berlusconi”. Parole che hanno fatto salire il clima nell’Aula con le proteste delle opposizioni e gli applausi dagli scranni della maggioranza. Ma a mettere la parola fine sul dibattito ci ha pensato Vittoria Baldino del Movimento 5 stelle, che ha citato un passaggio dell’editoriale di Marco Travaglio, in edicola mercoledì 15 gennaio, dal titolo Di padre in figlia: “Nel 1974 a Milano si svolgeva un incontro al quale prendevano parte Marcello Dell’Utri, Silvio Berlusconi, Gaetano Cinà, Stefano Bontate, Girolamo Teresi, Francesco Di Carlo e in tale occasione veniva concluso l’accordo di reciproco interesse tra Cosa Nostra e l’imprenditore Berlusconi grazie alla mediazione di Dell’Utri. Queste non sono opinioni, questo lo dice una sentenza passata in giudicato, scritta in nome del popolo italiano”. E ha concluso: “Su Berlusconi in quest’aula sono solo stati citati dei fatti sanciti da sentenze della magistratura, le opposizioni non hanno insultato nessuno”.

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martedì 14 gennaio 2025

“A Brescia ti prenderebbero a testate”: il consigliere della Lega si scaglia contro la collega del M5s. Bagarre in Aula: “Intollerabile”

“Qualche cittadino del Garda che ascolta il suo intervento la prenderebbe a testate“. Con queste parole il consigliere della Lega, Floriano Massardi (cacciatore, presidente della commissione Agricoltura) si è rivolto alla collega del Movimento 5 stelle, Paola Pollini, durante la seduta del Consiglio della Regione Lombardia. L’uscita dell’esponente del Carroccio è stata fortemente criticata dagli esponenti delle opposizioni, a partire da Onorio Rosati di Avs, dal capogruppo del Pd, Pierfrancesco Majorino e naturalmente dal capogruppo del M5s, Nicola Di Marco: “Ho immediatamente preteso le scuse del consigliere Massardi, perché come capogruppo del M5s Lombardia ritengo non siano tollerabili questo genere di intimidazioni nei confronti di una consigliera regionale, la quale legittimamente esprime argomentazioni contrarie a quelle di questa maggioranza. È assurdo portare dentro l’Aula consiliare questo odio, soprattutto da parte di una maggioranza che solo oggi ha presentato due mozioni urgenti per condannare la violenza. Come Movimento 5 stelle siamo, ancora una volta, sconcertati dall’atteggiamento totalmente assente e distratto del presidente del Consiglio regionale, Federico Romani, rimasto in silenzio di fronte alla gravità delle parole del collega di maggioranza Massardi, fintanto che non siamo stati costretti a fagliela notare”. Alla fine del dibattito ha preso la parola la diretta interessata, la consigliera Pollini: “Sono basita di come consiglieri che sono in quest’Aula da anni non sappiano relazionarsi all’interno di un’istituzione come questa. Il dibattito può essere acceso, ma deve essere costruttivo e civile. Sono state usate parole che hanno un significato. Prendere a testate qualcuno è un concetto grave da esprimere. Altrettanto grave è che altri, nel momento in cui il consigliere Massardi ha perso il senso della misura, hanno risposto con delle risatine. Ritengo l’accaduto un fatto grave, in relazione al ruolo che ricopriamo e che imporrebbe ben altri comportamenti”. Massardi si è scusato.

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lunedì 6 gennaio 2025

Antimafia, Colosimo denuncia Ascari (M5s): “Le sue domande su Avola a Santoro violano il segreto”. La replica: “Violazione inesistente”

La presidente della Commissione Antimafia Chiara Colosimo ha inviato una comunicazione alla Procura di Roma per denunciare la violazione del segreto da parte della deputata Stefania Ascari del M5S, procedura prevista dall’articolo 18 del regolamento di Palazzo San Macuto. Secondo l’esponente di Fdi, la deputata avrebbe posto domande a Michele Santoro nel corso dell’audizione del giornalista dello scorso 27 novembre basandosi su atti in precedenza secretati dalla presidente stessa su richiesta dell’avvocato Fabio Repici, audito ormai un anno fa in quattro lunghe sedute, in alcuni passaggi in forma non pubblica, su sua richiesta.

L’audizione di Santoro – Stefania Ascari aveva premesso, prima di fare la domanda a Santoro sul collaboratore di giustizia catanese Maurizio Avola, “dagli atti in possesso di questa Commissione che sono stati consegnati dall’avvocato Repici, che è stato sentito, risulta che Maurizio Avola…”. Colosimo, verificata la forma non pubblica della parte di audizione richiamata da Ascari, ha fatto cancellare dal resoconto pubblicato sul sito e dal video sul sito della Camera quella domanda della deputata M5S su Avola, killer della mafia catanese poi collaboratore di giustizia, tornato alla ribalta nel 2021 per le sue rivelazioni sulla strage di via D’Amelio raccolte nel libro di Michele Santoro e Guido Ruotolo ‘Nient’altro che la verità’. Il video della domanda di Ascari peraltro resta on-line perché Santoro lo ha pubblicato sui suoi canali Facebook e Youtube, corredato da un testo nel quale chiede alla deputata di scusarsi per le sue affermazioni che mettevano nel mirino i rapporti lavorativi di Avola con un imprenditore siciliano. Michele Santoro precisa invece a Il Fatto di non aver inviato nessuna lettera suggerendo ipotesi di reato alla Commissione, come scritto da Il Giornale il 6 gennaio 2025.

La segnalazione di Colonna – È stato l’avvocato Ugo Colonna, difensore di Avola e anche dell’imprenditore citato da Stefania Ascari, nell’interesse di quest’ultimo, ad aver scritto alla Presidente della Commissione Antimafia il 2 dicembre 2024 denunciando la violazione del segreto da parte di Ascari e di fatto richiamando la presidente Colosimo al suo presunto obbligo di comunicare la presunta violazione alla procura di Roma e al presidente della camera. Come ventilato da Il Giornale nell’articolo suddetto, effettivamente la presidente Colosimo ha inviato la comunicazione suddetta alla Procura di Roma evidentemente condividendo la tesi dell’avvocato Colonna sulle presunte violazioni.

Gli altri casi di violazione – Si tratta sostanzialmente di una denuncia alla Procura di un reato compiuto da un parlamentare, denuncia rivestita di particolare forza perché provienente dai vertici di un’autorità parlamentare con autonomi poteri di indagine sulla propria materia. Ci si potrebbe chiedere perché non sia accaduto quando La Verità ha svelato le conversazioni intercettate dai pm di Caltanissetta tra l’ex pm Gioacchino Natoli e il senatore Roberto Scarpinato. Fonti vicine alla presidenza della Commissione sul punto spiegano che quelle carte, trasmesse alla Presidente Colosimo dalla Procura di Caltanissetta, non erano state ancora depositate negli archivi. La presidente insomma avrebbe potuto denunciare solo sé stessa. Di qui la scelta di non denunciare nessuno alla Procura di Roma anche se l’indagine giudiziaria comunque è partita dai pm di Caltanissetta che hanno certamente subito una rivelazione del segreto investigativo. Quando le rivelazioni sui giornali hanno riguardato carte già depositate nell’archivio consultabile da tutti i membri della Commissione, Colosimo non ha esitato a inviare una segnalazione simile alla Procura di Roma per la violazione del segreto. Qui c’è una bella differenza però: stavolta la denuncia riguarda infatti una (presunta) violazione precisa di una sola parlamentare dell’opposizione. Un atto politicamente forte e inedito. Colosimo ha annunciato la sua azione senza incontrare resistenze all’arma bianca in ufficio di presidenza. Il gruppo M5S ha però replicato che la violazione è inesistente perché le carte consegnate alla Commissione dall’avvocato Repici sono libere dal segreto essendo depositate a Caltanissetta ben prima dell’audizione.

La replica di Ascari – Alle contestazioni di Michele Santoro la deputata ha risposto così “non ho violato alcun segreto, né ho mai ‘bruciato‘ un ipotetico pentito, tantomeno ho messo in pericolo presunte coperture di Avola” e poi “Le informazioni che ho riferito in occasione delle domande rivolte a Lei, in particolare sul datore di lavoro di Avola, il suo contratto, i suoi luoghi di lavoro e di abitazione, non sono segrete. Tali dati sono infatti contenuti nel fascicolo del procedimento pendente a Caltanissetta, riguardante Avola e altri soggetti, e sono stati depositati da quasi un anno e mezzo. Tale atto è stato messo a disposizione delle parti in vista dell’udienza tenutasi il 5 ottobre 2023. Pertanto, non esiste alcun segreto su questi atti. Voglio aggiungere che Maurizio Avola non è titolare di alcun programma di protezione. Anzi, molte delle informazioni sono facilmente reperibili nell’audizione in Commissione Antimafia dell’avvocato di Avola, Ugo Colonna”. Argomentazioni che la deputata ripercorre anche nella sua replica a Il Giornale: “Tutte le informazioni che ho riferito nel porre quella domanda a Santoro, in particolare quelle sul datore di lavoro di Avola e sul suo contratto (non avendo nemmeno fatto riferimento ai luoghi di lavoro e di abitazione), non sono segrete perché contenute nel fascicolo del procedimento pendente a Caltanissetta a carico di Avola e di altri soggetti”.

La tesi di Colosimo – La presidente della Commissione ritiene invece che quando un atto giunge alla Commissione non da una Procura ma in audizione da un terzo, non rileva la sua natura di carta ostensibile sul versante giudiziario ma solo lo status stabilito dalla presidenza della Commissione. E in questo caso Colosimo ha apposto il segreto. Secondo il canone Colosimo, se l’onorevole Ascari voleva porre una domanda a Santoro partendo dalle carte depositate da Repici e dalle cose da lui dette in audizione segreta, avrebbe dovuto chiedere a sua volta la seduta segreta. E, sempre secondo questa tesi estrema, facendo la domanda in seduta pubblica (su una carta di per sé pubblica fuori dalla Commissione ma di cui aveva avuto notizia grazie alla Commissione) Ascari avrebbe violato il regolamento.

Ora sarà il procuratore capo di Roma Francesco Lo Voi a sbrogliare l’intricata matassa. Non è servito a far ritornare sui suo passi la presidente nemmeno la missiva inviata dall’avvocato Repici un paio di settimane fa con tanto di posta pec. Dopo le prime contestazioni mediatiche di Michele Santoro e della stampa di destra, avendo fiutato quel che Ascari rischiava per le sue domande, Repici ha scritto alla presidente di aver chiesto l’audizione non pubblica con relativa consegna delle carte solo per evitare che Maurizio Avola potesse calibrare il suo racconto sulla scorta dei dati forniti da Repici. Gli atti consegnati comunque non possono essere considerati segreti perché nel procedimento di Avola e altri sono depositati da settembre 2023. Da tempo quindi indagati, parti offese e difensori li hanno letti e copiati. Per Repici, come per Ascari e per il M5S, non si può pensare che sia segreta una carta depositata in Commissione (in seduta segreta) se quella carta circola senza limiti alla divulgazione. Repici ha chiesto comunque a Colosimo di “sottrarre a ogni vincolo di riserbo l’intera mia audizione … e l’intera documentazione consegnata”. Nella missiva (che non avrà certamente fatto piacere alla presidente Colosimo) difende Ascari dall’accusa mediatica di aver messo a rischio l’incolumità di Avola svelando troppi particolari sulla sua vita privata. Ascari per Repici “non ha fatto riferimenti nemmeno generici a luoghi di lavoro o di abitazione di Avola”. Le domande dell’onorevole Ascari miravano a mettere in cattiva luce l’impresa che ha assunto Avola e a far notare la sequenza cronologica stretta (nel 2020) tra l’assunzione di Avola presso quella società e la scelta di rendere dichiarazioni auto ed etero-accusatorie sulla strage di via D’Amelio.

Lo scontro in Commissione – Sul punto Michele Santoro ha replicato su Facebook difendendo l’impresa che ha assunto Avola e ricordando che è iscritta nella lista delle imprese affidabili per la prefettura anche per le sue plurime denunce contro gli estortori. Inoltre per Santoro “già nel 2018, l’avvocato Ugo Colonna, difensore di Avola e tutore legale del detenuto, ha chiesto al suo amico nonché cliente amministratore della (…) spa di valutare la possibilità di inserirlo lavorativamente nella sua impresa”. Nella sua missiva Repici replica “rimane fermo che dopo la proposta di assunzione del 2018 Avola non aveva rilasciato dichiarazioni e dopo l’assunzione effettiva sì”. Certo, dopo le critiche sul caso Striano contro il vicepresidente della commissione, il M5S Federico Cafiero De Raho, per il suo pregresso ruolo di capo della DNA quando Striano era lì; dopo gli attacchi al senatore Scarpinato, per il suo vecchio ruolo di sostituto quando la Procura di Palermo indagava sul dossier Mafia-Appalti, ora molto in voga in Commissione; l’azione legale contro Stefania Ascari segna un ulteriore innalzamento dello scontro. La domanda che viene da porsi è: non sarà che la Commissione Antimafia sta diventando Anti-M5S?

Certo ormai almeno il focus dal punto di vista mediatico non è più se Striano sia la rotella di un caso enorme di dossieraggio o solo la fonte di un giornale; non è più se l’inchiesta mafia-appalti sia stata trascurata per sciatteria o se possa assurgere a movente della strage di via D’Amelio; non è nemmeno se Avola dica il vero sulla morte di Borsellino, come sostiene Santoro, o se sia un mentitore, come dicono i pm di Caltanissetta. Il punto è chi vincerà la battaglia di San Macuto tra Colosimo e il M5S.

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