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giovedì 15 novembre 2018

Roma, in alcune zone del centro città si va verso il pagamento della sosta auto anche per i residenti

“Se hai i soldi per l’auto, devi mettere in preventivo anche quelli per poterla custodire. Non posso regalarti suolo pubblico per questo”. La polemica è servita. Ma se ultimamente il M5S a tutti i livelli è stato accusato di incoerenza ideologica (vedi le questioni Tav, Tap e condoni vari) a Roma sul fronte della viabilità si procede nella direzione ampiamente annunciata negli anni: la ‘guerra’ alla mobilità privata. Così, l’ultima proposta di Enrico Stefano, presidente della Commissione capitolina Trasporti e – si mormora – prossimo assessore, prende ancora una volta di petti gli automobilisti. In alcune strade “importanti” della Capitale, di forte viabilità o dedicate allo shopping, i residenti di zona pagheranno la sosta sulle strisce blu come tutti (a differenza di quanto avviene oggi). La sperimentazione partirà a breve su viale Libia e viale Eritrea, due vie del II Municipio nello storico quartiere Africano, e poi potrà essere estesa su altre 16 strade, fra cui via Cola di Rienzo, viale Trastevere e un tratto di via Appia Nuova. Si parla, in totale, di appena 9,1 km sui 5.500 km presenti nel Comune di Roma, ma questo non ha impedito di scatenare la rivolta (social) della cittadinanza.

L’ATTACCO DI STEFANO – L’idea è nata nel corso delle ultime settimane, proprio in seguito alle polemiche concernenti la situazione di viale Libia, dove l’installazione di cordoli sulla corsia preferenziale preesistente ha impedito agli automobilisti qualsiasi ricorso alla sosta in doppia fila (molto in uso specie fra i giovanissimi guidatori di auto elettriche) e mandato su tutte le furie i commercianti. Questi ultimi, quindi, hanno preteso che i parcheggi ufficiali fossero in qualche modo messi a disposizione dei clienti. Ecco qui l’idea della rotazione. “Ha senso – si chiede Stefano in posto al vetriolo su Facebook – avere auto di proprietà per usarla due volte a settimana, in zone ben servite dal trasporto pubblico e dai servizi accessori?”. Un’automobile “che costa almeno 10mila euro di acquisto più altri 5mila euro anno di mantenimento”, sostituibile secondo il consigliere con “taxi e car-sharing”. E ancora: “Ognuno può possedere quante auto vuole, ma per il ricovero notturno devi poter provvedere con un luogo privato – attacca Stefano – La scusa del costo non tiene, se ho soldi per l’auto, devo mettere in preventivo anche soldi per poterla custodire. Non posso regalarti (il Comune, ndr) del suolo pubblico che devo poter destinare (anche) ad altri usi”.

CHE FINE HANNO FATTO I PUP – Insomma, il movente ideologico di Stefano è chiaro: meno traffico privato, più mezzi di trasporto collettivi. E l’auto privata, dove si mette? Forse non tutti sanno che il Comune di Roma a metà dello scorso decennio aveva avviato il cosiddetto ‘Pup’, Piano Urbano Parcheggi, in seguito al decreto d’emergenza traffico dichiarato dal Governo Prodi il 4 agosto 2006 (poi prorogato dall’Esecutivo Berlusconi nel 2011). Il piano veltroniano prevedeva ben 389 parcheggi interrati in altrettanti siti per circa 45mila posti auto, da destinare in parte ai residenti e in parte a lavoratori e avventori. Vere e proprie opere immobiliari, commissionate a costruttori vari, che in stragrande maggioranza sono finite lettera morta. Il Piano – approvato con l’Ordinanza 2/2006 e integrato con la n. 31/2007 – prevedeva 7 parcheggi di scambio da finanziare con fondi a valere sul bilancio comunale per un importo complessivo di 24,5 milioni di euro e ben 53 parcheggi da realizzare con finanziamenti non a carico del bilancio comunale, di cui 7 mediante project financing. Con la rimodulazione del luglio 2007, ai 53 parcheggi iniziali se ne sono aggiunti altri 156, per un totale di 209. Si tratta, per la gran parte, di opere proposte fino al 1991. Allo stato attuale, su 257 interventi complessivi, 42 sono stati ultimati, 10 sono in corso di realizzazione, 46 sono stati oggetto di convenzione, per 19 il progetto è stato approvato con ordinanza o con delibera mentre 140 sono solo stati programmati. In alcuni casi – vedi Campo Testaccio – la città di Roma conserva da anni crateri su cui non è mai stata posta la parola fine.

FRA DUE ANNI LA CONGESTION CHARGE – Intanto, confermando questa linea, l’Assemblea Capitolina – dopo la spaccatura in maggioranza registratasi prima dell’estate – ha varato le linee guida sulla ‘congestion charge’, il cosiddetto “ecopass” modello Area C milanese, che – se applicato come da pgtu varato da Ignazio Marino tre anni fa – costringerà gli automobilisti a pagare un ticket ad ogni ingresso nell’anello ferroviario capitolino, conclusi i bonus gratuiti pari a un terzo dell’anno solare. Il provvedimento dovrebbe concretizzarsi entro il 2020 (siamo solo alle linee di indirizzo) ma è condizionato a tutta una serie di fattori, come l’acquisto di almeno una parte dei 700 autobus previsti entro il prossimo biennio e la realizzazione di altre infrastrutture trasportistiche, fra cui il piano delle preferenziali. “O capiamo – ha detto Stefano – che se vogliamo rendere questa città un luogo leggermente migliore, più sano, vivibile, sicuro, ognuno deve rinunciare a un pezzettino (ma proprio piccolo) di comodità individuale a favore della collettività, oppure saremo sempre destinati al degrado, all’individualismo, al caos”.

CAR-SHARING E TRASPORTO COLLETTIVO – Nel frattempo, l’amministrazione capitolina ha intenzione di mettere mano anche al car-sharing e scootersharing. Oggi vi sono tre servizi privati (Car2Go, Enjoy e Sharengo) di auto e due di scooter (Zig Zag e E-Cooltra) che, sebbene si siano stabilizzate nel mercato romano, coprono un’area ancora troppo limitata della città. L’intenzione, a quanto si apprende, è quella di allargare l’area di noleggio e coprire la restante parte con il car-sharing di Roma Servizi Mobilità, che dunque andrebbe a complemento del servizio privato, ritenuto dagli utenti molto più semplice e intuitivo. Stessa cosa per il cosiddetto “trasporto collettivo”, che in seguito al varo della congestion charge potrebbe dare la possibilità ai privati di organizzarsi, tramite permessi, realizzando un vero e proprio trasporto non di linea (un’idea ancora embrionale e la cui fattibilità legale è in forte dubbio).

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