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lunedì 31 dicembre 2018

M5s, espulso De Falco e altri tre eletti. Lui: “Incostituzionale”. Ma Di Maio: “Scelte dure e giuste, nessuno indispensabile”

I probiviri del Movimento 5 stelle hanno stabilito quattro espulsioni: sono da considerarsi fuori dal M5s i senatori Gregorio De Falco e Saverio De Bonis, così come gli eurodeputati Giulia Moi e Marco Valli. E’ stato invece deciso un richiamo per il senatore Lello Ciampolillo. Sono ancora pendenti i procedimenti disciplinari nei confronti di Elena Fattori e Paola Nugnes. Archiviate invece le posizioni di Matteo Mantero e Virginia La Mura. La decisione è stata pubblicata sul Blog delle Stelle nel primo pomeriggio del 31 dicembre: il procedimento era stato aperto per tutti e quattro nei mesi scorsi, ma per motivi diversi. La data di chiusura del procedimento non era stata stabilita e dipendeva dal tempo ritenuto necessario dagli stessi probiviri.

“Tutti sono importanti, nessuno è indispensabile”, ha commentato il vicepremier M5s Luigi Di Maio. “Sono provvedimenti duri e giusti. E se ci sono altri senatori o deputati che non intendono più sostenere il contratto di governo, per quanto mi riguarda sono fuori dal Movimento, anche a costo di andarcene tutti a casa. Il rispetto degli elettori viene prima di tutto. Quando i candidati del Movimento 5 stelle entrano nelle liste accettano alcune regole, poche e chiare, che sono vincolanti per la loro candidatura. Tutti gli eletti del Movimento in Parlamento hanno quindi firmato e accettato anche la regola presente nel Codice Etico, per cui i nostri parlamentari sono tenuti sempre a votare la fiducia ad un governo in cui il Movimento è parte della maggioranza. Nel Codice c’è infatti scritto che i portavoce eletti si impegnano ‘a votare la fiducia, ogni qualvolta ciò si renda necessario, ai governi presieduti da un presidente del consiglio dei ministri espressione del MoVimento 5 Stelle’. Qualcuno dopo aver ottenuto l’elezione, ha cominciato a rinnegare regole e programmi. Qualcuno crede che per il solo fatto di essere senatore allora sia indispensabile per il governo e per questo possa trasgredire le regole che ha firmato. Non è così. Noi siamo gente seria che rispetta gli impegni presi con i cittadini”.

L’espulsione destinata a far più discutere è quella di Gregorio De Falco, il comandante della Guardia costiera diventato famoso per aver intimato a Schettino di risalire a bordo della Costa Concordia. “Mi dispiace molto e non me lo aspettavo”, è stato il suo primo commento. “E’ una decisione abnorme e incostituzionale“, ha poi aggiunto. “Confidavo nel fatto che ci fosse uno spazio di democrazia che invece, a quanto pare, non c’è”. Secondo De Falco, l’espulsione è stata dovuta alla sua decisione di astenersi durante la fiducia sulla Manovra: “La mia espulsione è illegittima”, ha detto. “Avrebbero voluto che la votassi a scatola chiusa”. A lui i probiviri contestano “reiterate violazioni” dell’articolo 11 dello Statuto, appunto l’articolo che regola le sanzioni disciplinari a cui può andare incontro un portavoce dei 5 stelle, e dell’articolo 3 del codice etico, ovvero quello che parla degli obblighi per i portavoce eletti con il M5s. I probiviri non entrano nel dettaglio di queste presunte “violazioni”. Negli ultimi mesi, la rottura più significativa del senatore De Falco con il Movimento è avvenuta durante il voto sul decreto Sicurezza: in quel caso, al momento della votazione, ha deciso di uscire dall’Aula. Proprio contro il provvedimento fortemente voluto dal Carroccio, il senatore ha rilasciato numerose interviste in cui ne condannava i contenuti: “Non defletto sui principi”, aveva dichiarato ribadendo di non voler togliere i suoi emendamenti nonostante le pressioni dello stesso Luigi Di Maio. Un altro episodio che aveva creato numerosi malumori dentro il Movimento, risale alla discussione in commissione sul decreto Genova: il 13 novembre scorso infatti, De Falco ha votato a favore di un emendamento di Forza Italia che di fatto avrebbe annullato il condono per Ischia e per la prima volta la maggioranza è andata sotto.

Diversa la situazione per il senatore Saverio De Bonis, eletto in Basilicata per il suo primo mandato in Parlamento. Il portavoce M5s nel 2017 è infatti stato condannato in appello dalla Corte dei Conti a un risarcimento per la Regione di 2800 euro più le spese legali. L’accusa era quella di aver dichiarato di essere un “giovane imprenditore (ovvero attivo da meno di 5 anni)” per poter ricevere fondi pubblici, mentre in realtà la sua azienda era nata 8 anni prima. Sul fronte penale, De Bonis era invece stato accusato per falso ideologico e rinviato a giudizio per truffa. Entrambi i casi si sono risolti con la prescrizione. I 5 stelle hanno sempre detto, ufficialmente, di non essere a conoscenza di queste vicende e, dicono, De Bonis non le aveva comunicate prima della candidatura. Per questo i probiviri, richiamando l’articolo 11 dello Statuto e il 6 del Codice etico, hanno stabilito la sua espulsione dal Movimento.

I probiviri hanno quindi deciso l’espulsione di due eurodeputati che invece si erano già autosospesi per motivazioni diverse. La prima è Giulia Moi, eletta cinque anni fa in Sardegna. La parlamentare europea ha avuto molti problemi dentro il gruppo e da febbraio 2018 si era autosospesa. A ottobre scorso è stata sanzionata dal Parlamento Ue per “molestie psicologiche” nei confronti del suo assistente. Infine Marco Valli: l’europarlamentare eletto in Lombardia è stato da sempre considerato uno degli esponenti di punta del Movimento a Bruxelles, salvo poi finire al centro delle polemiche per aver dichiarato di essere laureato in Economia alla Bocconi, mentre all’istituto non risulta mai esserci stata una sua iscrizione.

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Anticorruzione, tra luci e ombre. Il mio bilancio della legge ‘divisa’ tra M5s e Lega

Il sedicente “governo del cambiamento” ha chiuso il 2018, anno primo dalla sua nascita, con fuochi d’artificio sul versante dell’anticorruzione. Ma anche, come par condicio, sul fronte della corruzione. Le due anime di questo esecutivo sembrano aver trovato almeno in questo campo un armonico bilanciamento: il Movimento 5 Stelle, quello dello slogan “onestà onestà”, passa all’incasso intestandosi una legge cosiddetta “spazzacorrotti” che – secondo le accorate parole del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede – “porta una vera rivoluzione nella lotta alla corruzione”, ed “è motivo di orgoglio e commozione. Si apre una prospettiva di onestà per il Paese e ci permette di andare a testa alta nel mondo”. Ma l’alleato leghista dalle casse pignorate, forte dell’esperienza nel far svanire nel nulla i fondi pubblici, ha rilanciato in contropiede all’ultimo minuto, facendo inserire nella legge finanziaria blindata un codicillo che apre un varco alla deregolazione nell’assegnazione dei contratti pubblici da parte delle stazioni appaltanti, quadruplicando (circa) la soglia di valore degli affidamenti diretti di lavori pubblici, forniture, servizi, senza gara e quindi a più alto rischio di malaffare.

Proviamo allora a tracciare un bilancio provvisorio in questo scenario in chiaroscuro.

Di certo la legge approvata in via definitiva il 18 dicembre 2018 introduce alcune innovazioni dalla valenza positiva. Si pensi in particolare alla trasparenza delle donazioni a partiti, fondazioni e associazioni politiche; la previsione di condizioni di non punibilità per i corrotti che collaborano; la possibilità di perseguire anche in assenza di querela la corruzione tra privati; e – fin troppo enfatizzata rispetto alle sue potenzialità nel discorso pubblico – l’introduzione dell’agente sotto copertura nei reati contro la pubblica amministrazione. Convince di meno l’ennesimo inasprimento delle pene, che si accompagna a una specie di “ergastolo professionale” (il cosiddetto “Daspo a vita” per i corrotti), peraltro facilmente aggirabile per le imprese tramite prestanome o modificando i propri rappresentanti legali. Can che abbaia sempre più forte, lo Stato, contro i corrotti, ma nel mordere non risulta minimamente credibile: quelle pene in astratto ormai severissime non le sconta praticamente alcun “colletto bianco”, cancellandone qualsiasi effetto deterrente. Così come improvvisato e presumibilmente inefficace risulta il nuovo regime della prescrizione, per quanto ancora da interpretare nella cornice di un’annunciata “riforma di sistema” dell’ordinamento giudiziario, tutta da delineare: a che vale “congelare” il procedimento giudiziario dopo il giudizio di primo grado se quasi tre quarti delle prescrizioni si realizzano prima ancora di arrivare al dibattimento, con le carte che riposano – un eterno riposo, tombale – sul tavolo del pubblico ministero?

Insomma, nessuna delle misure tanto sbandierate sembra in grado di far diventare l’Italia un “faro” per l’Europa e tanto meno di “spazzare via” la corruzione, se non facendola scivolare come polvere sotto il tappeto, rendendola ancor più difficile da scoprire. Mentre brillano, anzi abbagliano per la loro assenza provvedimenti necessari, e raccomandati da molte organizzazioni internazionali: ad esempio, nessuna norma per limitare lo strapotere delle lobby, che spesso non hanno più bisogno di pagare per indurre i funzionari a violare le norme visto che riescono a comprarsi direttamente il contenuto delle leggi e dei principali provvedimenti governativi, con forme di “corruzione legalizzata” ormai invulnerabili all’azione dei magistrati – facile leggere in questa prospettiva i trattamenti di assoluto privilegio assicurati (e secretati) alle concessionarie autostradali, ad esempio. Silenzio tombale sul ruolo dell’Autorità anticorruzione, giovane istituzione che anziché allevata e sostenuta nei suoi passi come presidio di prevenzione sarà depauperata di competenze, secondo quanto si prospetta nella futura riforma del codice degli appalti. Forse una punizione per farle scontare una presunta contiguità con gli avversari politici che l’hanno istituita, alla faccia della natura bipartisan della lotta alla corruzione? Neanche un comma per rafforzare o favorire un impiego più esteso degli strumenti di trasparenza, partecipazione e accesso civico dei cittadini ai processi decisionali della pubblica amministrazione.

Purtroppo creare grandi aspettative – mettendo una spunta in più nella lista dei “fatto!” – su un fronte complicato come quello della lotta alla corruzione può forse portare effimeri consensi nell’immediato, ma accresce esponenzialmente il rischio che di fronte alle perduranti manifestazioni di un fenomeno in Italia ben radicato in troppe aree di attività politico-amministrativa, e che non si debella lanciandogli contro l’hashtag #spazzacorrotti, si alimenta la disillusione rabbiosa e irredimibile di larghe fasce dell’elettorato nei confronti delle istituzioni pubbliche e della classe politica. Un rancoroso livore nei confronti delle “élite corrotte” da tempo terreno di caccia dei leader neo-populisti, per ora in Italia regno quasi incontrastato degli abili propagandisti della Lega.

E proprio a una “manina” leghista si deve il capolavoro criminogeno della legge finanziaria: l’innalzamento per tutto il 2019 (poi si vedrà) a 150mila euro della soglia entro la quale le stazioni appaltanti potranno procedere tramite affidamento diretto dei contratti pubblici, senza pubblicità né trasparenza, col solo vincolo di “consultare” tre operatori. Gli effetti sarebbero deflagranti: secondo le prime stime il 40% dei contratti per lavori pubblici e l’80-85% di quelli per servizi andrebbero assegnate tramite affidamento diretto, con la massima discrezionalità. Non è chiara la giustificazione di un provvedimento capace di sollevare voci critiche che spaziano dal presidente dell’Anticorruzione Cantone al presidente della Commissione antimafia Morra (pentastellato, per inciso). Che la matrice vada rinvenuta nell’operosità degli amministratori padani frustrata dalla burocratizzazione indotta dal nuovo codice degli appalti, entrato in vigore nel 2016, così da liberare dagli impicci delle regole (e della concorrenza) e recuperare efficienza e velocità nella spesa? Tesi suggestiva, ma falsa, in quanto smentita dai dati.

Superata la fase fisiologica di adeguamento alle nuove norme, il mercato dei contratti pubblici appare oggi in rigogliosa ripresa – tra gennaio e aprile 2018 registra un +41,7% rispetto a un anno prima, proseguendo nel trend positivo del quadrimestre precedente. Altri dati (relativi ai lavori pubblici nei Comuni tra il 2009 e il 2013) di un recente studio della Banca d’Italia completano il quadro, mostrando che la crescita della discrezionalità nell’assegnazione degli appalti in Italia si è accompagnato a un aumento di parentela e contiguità politica delle imprese vincenti, oltre che (come prevedibile) dalla loro scarsa produttività – che si traduce in costi più alti per la collettività e cattivo impiego delle risorse pubbliche. Potremmo aggiungere altri prevedibili effetti di queste disposizioni: le professionalità dei funzionari in alcune amministrazioni faticosamente acquisite in questi anni frustrate dalla deresponsabilizzazone dell’affidamento diretto; la facilità di penetrazione nel settore delle imprese mafiose, visto l’allentamento dei controlli; il fiorire di pratiche clientelari, specie nei piccoli comuni; e naturalmente un generoso maneggio di tangenti, così come il proliferare di altri favori e opache cointeressenze. Sembrano queste le condizioni ambientali perfette affinché l’invocazione “onestà, onestà” debba tornare nuovamente a levarsi forte e chiara. Resta da capire invece chi potrà ancora intonare credibilmente – o almeno, senza vergognarsi – quello slogan.

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domenica 30 dicembre 2018

Post su blog M5s, Fico: “Nessun attacco alla democrazia, opposizioni hanno diritto a opporsi a legge di bilancio”

“Da presidente della Camera dico che la democrazia non è sotto attacco. Tutti si esprimono in modo libero, le opposizioni fanno il loro lavoro: è loro diritto opporsi alla legge di bilancio”. Lo sottolinea il presidente dell’Assemblea di Montecitorio, Roberto Fico, parlando del post pubblicato sul blog delle Stelle. ”Non c’è nessun attacco delle lobby, ognuno fa il suo lavoro e io lo difenderò sempre, qui dentro e fuori di qui”, precisa Fico

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M5s: “Democrazia sotto attacco di lobby. Pd e Fi complici”. Opposizioni insorgono e il post scompare dal blog delle Stelle

“Siamo sotto attacco. Il Governo, la Manovra del popolo. La democrazia è sotto attacco. È in corso una delle più violente offensive nei confronti della volontà popolare perpetrata in 70 anni di storia repubblicana”. E le opposizioni sono “complici” ed “eterni zerbini dei potenti”. In più, c’è anche la “longa manus della stragrande maggioranza dei media”. Un post pubblicato sul Blog dell Stelle alle 11.03 scatena la bagarre alla Camera, con le opposizioni che insorgono e chiedono al ministro Riccardo Fraccaro di prendere le distanze mentre il presidente della Camera, Roberto Fico, difende il lavoro di Pd e Forza Italia: “La democrazia non è sotto attacco, è loro diritto opporsi alla legge di Bilancio”.

Il day after della fiducia incassata a Montecitorio e le ore precedenti l’approvazione finale scatenano una nuova bagarre in Aula. La causa è un post sul Blog delle Stelle comparso alle 11.03. Duro, durissimo: “La democrazia è sotto attacco”, scrive il Movimento. A sferrarlo, secondo i pentastellati, “sono grandi lobby, poteri forti e comitati d’affari” che “lottano per sopravvivere, per mantenere i propri privilegi, benefit, prebende, che si sono arbitrariamente assegnati in questi anni sulla pelle degli italiani”. Il tutto, continuava il post ora non più raggiungibile, “con l’indegna complicità del Pd e di FI, eterni zerbini dei potenti” e “con la longa manus della stragrande maggioranza dei media, ipocrita cassa di risonanza di questi interessi corporativi”.

I contenuti del post hanno provocato, pochi minuti dopo la pubblicazione, la reazione delle opposizioni durante la discussione degli ordini del giorno prima del voto finale alla Manovra. La prima a prendere le distanze è Mara Carfagna, vicepresidente di Montecitorio: “La presidenza manifesta disappunto per queste affermazioni, giudicando quantomeno improprio paragonare il legittimo lavoro delle opposizioni ad un atto di terrorismo“. E a stretto giro insorgono anche il Partito Democratico e Forza Italia. “Il ministro Fraccaro si alzi e dica che non condivide quelle parole”, dice Claudio Borghi del Pd. Durissimo anche Giorgio Mulè, che contesta il fatto che nel post si parli di ‘pizzini’: “Invece di fare l’analisi grammaticale, pensate al peso delle parole”, attacca.

Con il post, aggiunge, “è stato sparato contro l’Aula di Montecitorio l’equivalente di un colpo di fucile alla libera determinazione di chi in Parlamento sostiene con la faccia, le parole e gli atti le sue ragioni. Siamo in presenza di un’aggressione alle opposizioni e alla libera informazione, che è stata già umiliata nelle forme e nella maniera previste dalla legge di Bilancio. Quello del M5S è un atteggiamento vigliacco e offensivo nei confronti di qualsiasi componente della Camera”.

Deve intervenire direttamente Roberto Fico per provare a riportare l’ordine: “Da presidente della Camera dico che la democrazia non è sotto attacco. Tutti si esprimono in modo libero, le opposizioni fanno il loro lavoro: è loro diritto opporsi alla legge di Bilancio”, dice. Poi prende le distanze in maniera netta dal contenuto: “Non c’è nessun attacco delle lobby. Ognuno fa il suo lavoro e io lo difenderò sempre, qui dentro e fuori di qui”, conclude.

Il post apparso sul Blog delle Stelle, infatti, continuava: “I vertici delle banche, assicurazioni, i grandi gruppi editoriali in perenne conflitto di interesse stanno inquinando il dibattito democratico con un vero e proprio terrorismo mediatico e psicologico. Giornali, Pd e FI da giorni continuano a ripetere: le banche saranno costretti ad aumentare i mutui, le assicurazioni le tariffe, i Comuni (la maggior parte di Pd e FI) aumenteranno l’Imu e le tasse locali, dai concessionari ci saranno rincari dei pedaggi. Sostengono che queste sono le conseguenze della Manovra del popolo, del governo del cambiamento”.

Per il Movimento, questo sarebbe “un vero e proprio ricatto morale. Il Pd e FI, l’eterno patto del Nazareno, sono complici di tutto ciò”. “In sostanza ci hanno mandato questo pizzino: attenzione a non colpire le banche, le assicurazioni, i concessionari, ovvero i nostri amici, perché vi scateneremo contro gli italiani con rincari generalizzati – si leggeva ancora nel post poi scomparso – Talmente sono collusi con questo sistema che Pd e FI hanno barattato la difesa degli italiani con la difesa dei propri interessi“. Poi la rivendicazione: “Noi non siamo così. Stiamo scardinando decenni di privilegi. Non cederemo ai ricatti. Andremo avanti a testa alta, con il coraggio e l’ambizione di sempre: cambiare in meglio l’Italia. Sempre dalla parte del popolo”.

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sabato 29 dicembre 2018

Pd, Sala: “Il mio futuro è in bianco. Renzi? Prima o poi se ne andrà”. E su m5s: “Avevano più bisogno di noi che della Lega”

Duro con Renzi, con il partito democratico e con la legge di bilancio gialloverde. Più aperto e possibilista quando si parla del suo futuro e del movimento 5 stelle. Intervistato dal Corriere della Sera il sindaco di Milano Giuseppe Sala, non nega le aspirazioni a un ruolo nazionale ma, pragmaticamente, le subordina a un gradimento personale tutto da dimostrare. Il contrario, di fatto, di quanto imputato all’ex segretario e premier del suo partito che per il primo cittadino “prima o poi uscirà dal Pd”. “Non è facile  – dice – restare in un partito se sei mal sopportato. La mia perplessità su Renzi è sempre la stessa, non aver mai creduto nella pluralità. Siamo in epoca di proporzionale. Senza capacità di allargare e trovare un consenso non sei un valore”. Di sé, al contrario, dice: “Non ho un percorso politico tracciato. Le pagine della mia agenda sono bianche. Vedremo”. Di certo il Pd deve cambiare, sottolinea il primo cittadino: “Penso che con le Europee alle porte, non bisogna rischiare di apparire disfattisti o usare parole che suonino come un liberi tutti. La politica è un prodotto fatto di uomini, donne e marchio, che non è solo una bandiera ma quello che contraddistingue contenuti e valori. Se il nuovo segretario del Pd sceglierà uomini, donne e contenuti giusti si potrà salvare la baracca, altrimenti saranno gli elettori a far capire che bisogna andare oltre”.

A proposito di allargamenti, il giudizio si fa più attendista quando si parla del m5s: “A differenza della Lega all’interno dei Cinque Stelle c’è un’anima sociale più accentuata. Che si possa governare insieme è tutt’altra cosa”, dice Sala. Che, tuttavia, torna in questo criticare le scelte Pd: “Continuo a pensare che sia stato arrogante andare sull’Aventino durante la formazione del governo. Non dico che siano meglio i Cinque Stelle, dico che i Cinque Stelle avrebbero avuto più bisogno di noi che della Lega perché per certe cose siamo più vicini. Non sono uno che si astiene dalla lotta politica e dal fare opposizione, però evito gli insulti e sconsiglio tutti, anche quelli della mia parte, di cadere in giudizi sprezzanti nei confronti dei Cinque Stelle”.

Il primo cittadino rivendica la buona gestione della città e lancia un appello al premier Conte con cui, dice, dall’inizio della legislatura non c’è stato alcun contatto: “Vuole essere un messaggio di incoraggiamento – dice – fatevi avanti per il bene del Paese. Se hai una cosa che brilla a livello internazionale e se sei a capo di un Paese che ha qualche problema di reputazione all’estero, perché non valorizzare Milano?”. Lapidario e in questo allineato al Pd, il giudizio sulla manovra: “Non è contro Milano, ma contro i comuni. Lo dimostra il fatto che i soldi per il prolungamento del metrò a Monza sono arrivati e che anche i precedenti governi hanno penalizzato i comuni. Con questo governo il problema si è fatto più intenso. Quando Salvini dice che non ho capito la manovra e me la manderà, confonde la parte corrente con gli investimenti. I comuni hanno problemi sulla parte corrente ed è chiaro che questa manovra toglierà circa un miliardo ai comuni. Aspetto fiduciosamente. Se ho torto mi scuserò, altrimenti spiegherò la situazione in trasparenza ai milanesi. Non posso stampare soldi. Se non li recupero devo intervenire sui servizi, cosa particolarmente dolorosa”. Ancora più duro sul taglio delle agevolazioni Ires su cui lo stesso governo ha già annunciato la marcia indietro: “È uno dei provvedimenti più sbagliati di questa manovra. È un gesto di arroganza. Sono il sindaco di una città ricca e ogni giorno ripeto che senza l’aiuto del Terzo settore non ce la farei, figuriamoci il resto del Paese. Ora dicono che correggeranno, vediamo”.

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venerdì 28 dicembre 2018

Sondaggi, Lega cresciuta di 14 punti dalle elezioni: è al 31%. Il M5s ha perso un punto al mese: giovani i più delusi

Dal 4 marzo a fine 2018: la Lega è la regina dei consensi e negli ultimi 8 mesi ha guadagnato 14 punti, pescando voti tra M5s, Forza Italia e pure astenuti, ed è passata dal 17,4 delle elezioni al 31% rilevato il 21 dicembre. Sorte inversa per il partner di governo: il Movimento 5 stelle ha perso circa un punto per ogni mese dalle politiche a oggi, scendendo dal 32,6% al 24,8. Questo racconta l’ultimo sondaggio sulle intenzioni di voto realizzato dall’istituto Ixè per Huffington Post. Un rilevazione che registra anche il consolidamento di Forza Italia appena sotto il 10%: il partito di Silvio Berlusconi sembra essere riuscito a mettere un argine alla diaspora di elettori. Anche il Partito democratico ancora non è riuscito recuperare i consensi persi dopo il già misero 18,7% raccolto il 4 marzo scorso e resta stabile al 17,9%, mentre cresce leggermente Fratelli d’Italia portando tutto il comparto di centrodestra al 46 per cento.

Chi riconfermerebbe il voto al M5s
Il presidente dell’istituto Ixè, Roberto Weber, nella sua analisi per Huffington Post evidenzia “una tendenza alla meridionalizzazione del voto al M5s”. Solo il 67% degli elettori che scelsero i pentastellati il 4 marzo oggi confermerebbero la loro scelta. Ma, stando ai tassi di riconferma rilevati da Ixè, i più delusi sembrano essere i giovani: tra gli intervistati dai 18 ai 34 anni, solo il 58% metterebbe ancora la croce sul simbolo del M5s. Percentuale che invece sale al 78% nella fascia di età sopra i 55 anni. Mentre molto più pronosticabile che siano soprattutto gli elettori del Nord a “mollare” i Cinquestelle: il tasso di riconferma più basso nel Nord Ovest (59%), il più alto nelle regioni del Centro (77%) seguito dal Sud al 73 per cento.

L’analisi dei flussi: la Lega diversifica
“L’unica forza a crescere e a diversificare il proprio elettorato potenziale è la Lega”, scrive sempre Weber. Il Carroccio raccoglie un 4,3% di elettori del M5s, ma anche un 3,9 da Forza Italia e un rilevante 3,8 dagli astenuti. Inoltre, sempre rispetto al partner di governo, ha un tasso di riconferma altissimo dei voti raccolti a marzo. La crescita del partito di Matteo Salvini è certificata anche dall’assenza di un flusso in uscita dalla Lega a favore di altri partiti.

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giovedì 27 dicembre 2018

Salvini, quali sono i rischi della sua comunicazione. E di quella del governo

Ho già elencato un mese fa i punti di forza della comunicazione del governo Conte e di Matteo Salvini in particolare, che del governo è il front-man, quello sempre in prima linea. Punti di forza che i media mainstream – non solo gli oppositori – si ostinano a non capire o non ammettere, ma che sono tuttora confermati dai sondaggi, che continuano a registrare un altissimo consenso ai due partiti di governo.

Tutto bene, dunque? Non direi: anche il più abile comunicatore di turno, in Italia, sconta purtroppo una mediocrità di cui prima o poi rischia di pagare lo scotto. È accaduto a Matteo Renzi, e ne avevo scritto abbondantemente quando ancora il suo consenso era altissimo (si vedano questo articolo, questo e questo, ad esempio). Può accadere a Salvini, ora, perché è lui oggi a giocare il ruolo del bravo comunicatore che, prima del crollo, toccò per un paio d’anni a Renzi. E allora vediamo cosa rischia Salvini.

1. La prova dei fatti

È il rischio principale non solo di Salvini, ma di tutto il governo Conte. Una comunicazione che punta moltissimo – molto più di quanto abbiano fatto gli ultimi governi – sul mantenimento delle promesse e sul patto con gli elettori rischia di inciampare alla prima delusione concreta. Per fortuna del governo, ci vuole tempo affinché la delusione sia percepita dai più, non solo perché occorrono diversi mesi per tradurre le parole in fatti, non solo perché la speranza è dura a morire, ma perché tutti sanno che ci vuole tempo per cambiare e questo governo si autodefinisce, appunto, del cambiamento. In più, Salvini è bravo (ma anche Di Maio lo è) a insistere ogni giorno sul fatto che stanno lavorando per noi, che ancora sono passati pochi mesi, eccetera. Tutti modi per allungare la luna di miele con l’elettorato.

2. I toni aggressivi

Come ho già scritto, Salvini ha una bonomia, una paciosità e una capacità di rassicurare, con il corpo e le parole, che i media mainstream e i detrattori non gli riconoscono. È vero tuttavia che è capace di combinare questi tratti, anche in questo caso con insistente ripetizione, con l’aggressività e con le parole “contro”: contro i migranti e l’Europa, che sono i suoi bersagli preferiti, ma anche contro le mafie, i ladri e tutti coloro che minacciano la nostra sicurezza. Ciò inevitabilmente alza l’aggressività complessiva del dibattito pubblico, soprattutto perché i media selezionano solo i toni forti di Salvini, trascurando il Salvini del “bacione” e del “vi voglio bene”. Il risultato è che tutti urlano, sui media e all’opposizione, oggi più di ieri, di solito a vuoto e spesso più dello stesso Salvini.

3. Salvini “fascista” e “razzista”

Purtroppo i media e gli oppositori di Salvini continuano dargli del “fascista” e “razzista”. Lo fanno ovviamente per denigrarlo, ma in realtà finiscono per normalizzare il discorso sul fascismo e sul razzismo e addirittura per valorizzarlo, per farne un’abitudine e persino una moda. Un po’ come accade al turpiloquio, che a furia di essere usato non impressiona più nessuno, tanto che spesso diventa un vezzo. Lo dimostrano il numero di dibattiti televisivi sul fascismo e razzismo, che puntano a fare audience cavalcando l’onda. E si pensi a quanti libri sul fascismo (tutti contro, per carità) stanno uscendo in questi mesi, nella speranza di vendere cavalcando sempre la stessa onda. Il rischio in questo caso è soprattutto nostro, non solo di Salvini e del governo: ci toccherà assistere alla normalizzazione del discorso sul fascismo e sul razzismo (se non ai due fenomeni), com’è accaduto al turpiloquio in politica? Speriamo di no: le implicazioni sarebbero ben più gravi.

4. Salvini mangia. Troppo

Sembra un’inezia ma non lo è. Salvini ha l’abitudine (anche in questo caso, quasi tutti i giorni) di twittare il piatto che sta mangiando, a colazione, a pranzo o a cena. Serve a mettere in scena la sua normalità, il suo essere uno come tanti, come tutti quelli che condiscono la pasta col sugo Star perché non hanno tempo o non sono capaci di farne uno fresco, che mangiano pesante e se ne fregano di colesterolo e dieta, che amano la Nutella. Lo scivolone sulla Nutella del giorno di Santo Stefano è solo il primo sintomo di un problema grave: non puoi pretendere di dar voce ai poveri, ai bisognosi, a “quelli che non arrivano a fine mese”, ingozzandoti più volte al giorno e ingrassando visibilmente. Perché allora sei comunque élite, non stai davvero con la “gggente” come dici. Specie se sciorini marche: Star, Barilla, Baci Perugina eccetera. Tutte marche popolari, certo. Ma Salvini dimentica che in Italia oggi ci sono 5 milioni di poveri assoluti che mangiano poco e niente, magari alle mense di carità (quando riescono), e 9 milioni di poveri relativi, che fanno la spesa al discount dove le marche sciorinate da Salvini non ci sono proprio. In quest’Italia, ostentare cibo a ripetizione non è solo di cattivo gusto, ma fuori luogo e, alla lunga, diventa un boomerang.

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lunedì 24 dicembre 2018

Giuseppe Conte al Bambin Gesù suona la chitarra “bloccata”, ma la foto social è una fake news. Morani (Pd) la rilancia. M5s: “Chieda scusa”

Una foto immortala il presidente del Consiglio Giuseppe Conte intento a suonare la chitarra ma qualcosa non quadra nello scatto: c’è infatti il capotasto prima della sua mano con l’accordo in “la minore”, cosa che rende impossibile far suonare lo strumento.”Fare finta di suonare la chitarra equivale a fare finta di essere il presidente del Consiglio. Falso come il governo”, scrive qualcuno su Twitter condividendo lo scatto, che diventa presto virale. Ma è un fotomontaggio. Succede tutto dopo la visita del premier ai bambini dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma, dove si è intrattenuto con i piccoli degenti e ha suonato per loro: la scena è stata immortalata con una foto pubblicata dallo stesso presidente del Consiglio sul suo profilo Instagram. Ma nella foto originale la tastiera della chitarra è libera.

A notare il “ritocchino” nella foto è stato il blogger David Puente, specializzato nello smascherare le bufale, che subito ha fatto notare la cosa sul suo blog. Ma nel frattempo lo scatto falsificato viene condiviso anche dalla deputata del Partito Democratico Alessia Morani, che ha scritto su Twitter: “È tutto meravigliosamente finto. D’altronde #Conte finge di fare il presidente del Consiglio e può fingersi anche chitarrista”, dando così grande visibilità alla cosa. Immediata la reazione del Movimento 5 Stelle: “Morani vergognati e chiedi pubblicamente scusa. Chiedeteglielo anche voi utilizzando l’hashtag #MoraniChiediScusa”, ha scritto il capogruppo alla Camera Francesco D’Uva.

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Conte: “M5s e Lega uniti, i cittadini non capirebbero il contrario. Conti in ordine e manovra espansiva: sono orgoglioso”

Il governo non ha problemi perché sia il M5s sia la Lega “hanno interesse a proseguire in questa direzione e sanno che i cittadini non capirebbero una inversione di rotta“. Sulla durata dell’esecutivo, nonostante qualche tensione interna diventata in certi momenti quasi lite, l’assicurazione arriva dal più alto garante, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Alla Stampa il capo del governo ribadisce che “le forze che sostengono il governo hanno dato prova di responsabilità e il lavoro proseguirà nell’interesse degli italiani”. Nell’intervista Conte torna anche sul dibattito azzerato in Parlamento, trasformato per necessità in un ratificatore delle decisioni del governo sulla manovra, ma non c’è stata – insiste il presidente del Consiglio – “nessuna deliberata volontà di comprimere il vaglio del Parlamento”, i ritardi sul testo sono piuttosto dovuti, spiega, “al negoziato con Bruxelles, davvero complesso”.

Sulla legge di Bilancio, sottolinea Conte, “il grande risultato è una manovra espansiva con dentro reddito di cittadinanza e quota 100, con i conti in ordine e l’ok dell’Europa. Di questo sono orgoglioso“. “La manovra – continua il presidente del Consiglio – nasce con un segno chiaramente espansivo e lo mantiene anche dopo le modifiche effettuate a seguito del negoziato con Bruxelles. Le risorse destinate agli investimenti restano invariate nel prossimo triennio, per un valore complessivo di circa 15 miliardi”, “il taglio agli investimenti – precisa comunque – sarà riequilibrato da fondi europei“. Quanto alle nuove tasse, quelle “sui servizi digitali e quelle sui giochi d’azzardo sono state inserite per ristabilire un po’ di equità”.

Sul piano politico, alla domanda se sarà in grado di tenere unito il governo dopo che i due vice Matteo Salvini e Luigi Di Maio hanno fatto capire che a gennaio comincerà la campagna per le Europee, Conte risponde: “Le forze politiche che sostengono il governo hanno dato prova di grande responsabilità in questi primi mesi e sono certo che il lavoro proseguirà nell’interesse dei cittadini italiani. Da parte di tutti c’è una profonda condivisione di quel desiderio di cambiamento che è scritto nero su bianco nel contratto di governo: entrambe le forze politiche hanno interesse a proseguire in questa direzione e sanno che i cittadini non capirebbero una inversione di rotta”.

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domenica 23 dicembre 2018

Terzo valico, la rabbia degli attivisti: “M5s ci ha raccontato palle per anni. Sacrificati sull’altare del patto di governo”

“Il movimento 5 Stelle ci fa schifo perché ha raccontato palle per anni. Hanno sacrificato tante opere come il Tap e il Terzo Valico sull’altare del patto di governo”.  A una settimana di distanza dalla pubblicazione dell’analisi costi benefici che ha dato il via libera al Terzo Valico, gli attivisti del movimento contrario alla grande opera che dovrebbe collegare Genova e Milano puntano il dito contro il partito pentastellato e contro la decisione del ministro alle Infrastrutture, Danilo Toninelli, e del governo: “Ci saremmo aspettati che un’analisi seria considerasse il problema dell’amianto che invece non è citato all’interno dell’analisi costi benefici” spiega l’ingegnere Francesco De Milato che in una conferenza stampa ha evidenziato alcune criticità dello studio presentato dal Ministero. “Hanno sbagliato i punti di partenza e di arrivo per calcolare i tempi di percorrenza della linea aumentando del 50% i benefici della linea grazie solamente ad un errore di calcolo”.

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sabato 22 dicembre 2018

Con Salvini e Di Maio hanno vinto la furbizia e la menzogna

di Paolo Bagnoli

In un Paese nel quale la menzogna è assurta ad arte di governo bisognerà pure che si alzi – per quanto isolata, molto isolata – qualche voce di protesta e di denuncia. L’Italia è un Paese poco abituato indignarsi; non è nella sua indole a dimostrazione di quanto forte sia ancora il suo stacco dalla modernità. I nostri succhi gastrici sono immensi, sempre pronti a giustificare, a pietosamente comprendere, ad aspettare che venga il meglio, a cercare comunque di salvaguardare l’interesse privato e, così, tirare avanti. E pure, quasi sempre e comunque, ad avere simpatia per i furbi poiché da noi la furbizia è sintomo di bravura. Ma la furbizia, applicata alle cose pubbliche, alla politica, provoca – e nemmeno tanto alla lunga – danni seri, sia a chi la pratica che a chi la subisce. È chiaro che nelle pratiche pubbliche occorra un pizzico di furbizia, ma si tratta di un qualcosa di diverso rispetto a quella cui assistiamo oggi, poiché l’uso dell’accortezza corrisponde per lo più a conoscenza del mestiere e anche al senso di responsabilità. Quando la furbizia è un tutt’uno con la menzogna vuol dire che solo a quest’ultimo fattore è ridotta la pratica politica: al realismo si sostituisce la truffa e siamo alla bancarotta della gestione politica.

L’Italia sovranista-populista-demagogica che ha legittimato questo governo – peggiore di ogni possibile immaginazione – è, infatti, sull’orlo della bancarotta non solo metaforicamente. Una compagine di governo – improvvisata e ridicola nella componente grillina, arrogante e nevroticamente autoritativa in quella leghista – sta incartando il Paese in una lunare drammaticità iperbolica e irrealistica per affermare, in un continuo braccio di ferro, il prevalere del messaggio demagogico dell’una rispetto a quello, altrettanto demagogico, dell’altra. E poiché la realtà mediatica costituisce il campo di estrinsecazione di tale duello, bisogna riconoscere che la sua gestione da parte leghista è ben più efficace di quella grillIna; tanto ansiosa di essere efficace nello spasmo continuo di rubare il tempo a tutti e primeggiare incurante se si possono creare dei danni. Salvini, l’uomo che le televisioni riprendono sempre in cammino, di felpa vestito o in camicia e sempre con il telefono attaccato all’orecchio, è il vero grande protagonista di questa rappresentazione. Attraverso la collezione di felpe che ha, indossa il costume di scena. A un popolo, quale quello italiano, che ama il melodramma, viene trasmette il messaggio del gesto e della parola che lo accompagna.

Il pensiero gli è materia estranea; ciò che conta è la suggestione e il coinvolgimento emotivo che poi diviene consenso politico. (…) Salvini non è Mussolini, ma le sue innumerevoli felpe hanno lo stesso significato simbolico che avevano le tante divise della buonanima. In fondo è la stessa Italia provinciale, sagraiola e un po’ ridicola. I leghisti, nati come antitaliani, sono oggi i più fedeli rappresentanti dei mali storici della nostra indole. (…) Rispetto a Salvini, Di Maio fa tenerezza; con lui tutti i suoi. La ricaduta sul Paese del loro fallimento avrà ripercussioni pesanti. Infatti, oltre ai danni materiali, occorrerà cercare di risanare quelli morali e culturali. In questi mesi di governo Di Maio è stato l’alfiere degli annunci, dichiarazioni e rappresentazioni che non avevano né babbo né mamma. La falsificazione della realtà è stata assunta a canone dell’agire grillino.

Un esempio per tutti: il 27 settembre la compagnia pentastellata gridava – a dimostrazione che l’insegnamento di Beppe Grillo non è stato invano – con squadristica rappresentazione di conquista del palazzo irrompendo sul balcone della sede del governo, che la manovra sarebbe stata al 2,4%. Il governo del popolo, tramite la manovra del popolo, con un presidente del consiglio avvocato del popolo, aveva sconfitto la miseria. Di conseguenza, giù a testa bassa e lancia in resta contro l’Europa; lui e Salvini spargenti dichiarazioni irridenti e maleducate contro la Comunità. Si sono viste come sono andate le cose. Hanno fatto come i pifferi di montagna che andarono per suonare e furono suonati. Tria e Conte sono sembrate come due partite Iva nello studio gialloverde “Salvini-Di Maio”; chissà se bisognerà fare pure un decreto dignità? Ragionando in termini pietosi, il presidente del Consiglio e il ministro del Tesoro ne avrebbero bisogno. (…) Il popolo, la storia ce lo dice, si rovina spesso con le sue stesse mani. La democrazia però, è superiore a ogni altro reggimento politico poiché permette di rimediare agli errori; permette di ritornare sui passi sbagliati che sono stati compiuti. Bisogna volerlo, naturalmente. Certo che in un Paese senza opposizione le cose sono maledettamente complicate.

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venerdì 21 dicembre 2018

Manovra, slitta il maxi-emendamento e le opposizioni insorgono. Pd: “Occupiamo l’Aula”. M5s: “Solo problemi tecnici”

“La maggioranza è nel pallone più totale, il Senato è paralizzato, il maxi emendamento non è mai arrivato. Ora arriverà forse domani alle 14. “. Ad attaccare è il Partito democratico, attraverso il capogruppo Andrea Marcucci, dopo lo slittamento dell’arrivo in Aula del maxi-emendamento sulla manovra. Con tanto di annuncio: “Non siamo d’accordo, occuperemo l’Aula”. A difendersi il M5s, attraverso le parole di Patuanelli: “Problemi politici? No, soltanto tecnici”, ha tagliato corto, di fronte agli attacchi delle opposizioni.

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M5s, Sibilia a Berlusconi: “Se arriveranno offerte ai nostri, andremo in procura”

Dopo l’avvertimento del vicepremier Luigi Di Maio, arriva anche quello del sottosegretario al Viminale, Carlo Sibilia: “Se dovessero arrivare ‘offerte’ a qualcuno dei nostri, non esiteremo ad andare in procura per denunciare questa indecenza”. Il destinatario è Silvio Berlusconi e la sua chiacchierata “operazione scoiattolo“, lanciata secondo le cronache dal leader di Forza Italia durante il brindisi di Natale con i suoi senatori: avvicinare gli scontenti e i delusi del Movimento 5 stelle e preparare il terreno per quando il Governo gialloverde finirà la sua corsa.

“L’epoca del mercato delle vacche è finita”, dice Sibilia all’Adnkronos. “A Berlusconi dico una cosa molto semplice: giù le mani dai nostri parlamentari, no al ‘mercato di riparazione’ del fantacalcio a gennaio”. “Chi fa parte del M5S crede nelle idee“, ripete il sottosegretario M5s. Che poi minaccia di denunciare eventuali avance del leader di Forza Italia. Mentre giovedì Di Maio spiegava: “Ho detto ai miei di fingersi interessati e registrare. E questa mattina, ospite ad Agorà, ha annunciato: “Abbiamo raccolto informazioni importantissime”.

Berlusconi avrebbe lanciato la sua operazione scoiattolo dopo lo scontento per l’approvazione della spazza corrotti che lui, imputato per corruzione in atti giudiziari per il processo Ruby, prescritto dal reato di corruzione impropria nel processo sulla compravendita dei senatori, condannato in sede civile a risarcire De Benedetti per il caso del Lodo Mondadori, ha definito “una legge pericolosissima, mette ogni cittadino italiano nelle mani di qualunque pm”. Ma, già da settimane, si parla di un suo “interessamento” ai pentastellati, cominciato con la polemica per il passaggio del deputato Matteo Dall’Osso dal M5s a Forza Italia.

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Manovra, Bottici (M5s): “Senatori Pd sono macchiette”. Esplode la bagarre, Marcucci: “Si vergogni”

“Mi ricordo leggi di Bilancio arrivati all’ultimo minuto, emendamenti a cui mancavano dei pezzi e per la maggioranza andava tutto bene. E ora parlate di dignità del Parlamento, ma non siete credibili e così facendo lo sarete sempre meno”. Lo ha detto la senatrice del Movimento 5 Stelle, Laura Bottici, intervenendo nell’Aula del Senato nel corso dell discussione generale sulla manovra, definendo poi i colleghi del Pd delle “macchiette”. “Inaccettabile” ha replicato il democratico Marcucci

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giovedì 20 dicembre 2018

Angelo Tofalo indossa la tuta da Top Gun e annuncia: l’F-35 è irrinunciabile

Angelo Tofalo passerà alla storia non per la sua sbandierata competenza di intelligence e servizi segreti (ha fatto parte per anni del Copasir, il comitato parlamentare di controllo sui servizi) ma per il suo entusiasmo un po’ naif con cui affronta il suo incarico. Dimenticavo: l’ingegner Tofalo è attualmente sottosegretario alla Difesa in quota cinquestelle. Fa da spalla alla ministra Elisabetta Trenta, anch’essa pentastellata, che era stata sua tutor alla Link Campus University.

Perché parlo di entusiasmo naif? Le gesta del Tofalo lo spiegano più di millanta parole. Soldato di strade sicure, paracadutista del reggimento Tuscania (di cui nel suo blog rilancia il motto arditamente fascisteggiante “Se il destino è contro di noi, peggio per lui”), infiltrato in un network un po’ pulcinellesco di trafficanti internazionali di armi. E adesso intrepida testuggine (copyright Di Maio) che rinnega anni di critiche e vituperii dei grillini per finalmente abbracciare con la convinzione del parvenu quello che fino a pochi attimi prima era il male assoluto, il caccia F-35.

Per vedere l’effetto che fa, Tofalo ha scelto la cornice solenne di una sala della Camera dei deputati. Di fronte a un parterre se non de rois almeno di grecati (c’erano tutti i capi di stato maggiore e probabilmente anche qualche attento orecchio americano) ha ribadito con enfasi un concetto che aveva già espresso in precedenza: l’F-35 mi piace, piace molto anche all’Aeronautica militare e noi non possiamo privarcene. Ergo, lo compreremo.

Tofalo, tra le sue deleghe, ha anche quella per trattare l’affaire F-35, dunque se parla lo fa a nome del Governo, non dell’ingegner Angelo. Con che potremmo anche dire che la storia finisce qui, come previsto. D’altronde la cosa era evidente sin dal viaggio a Washington del signor Giuseppe Conte. Il nostro presidente del Consiglio pro-tempore prese atto che Trump non avrebbe gradito un ritiro italiano dal programma del caccia delle meraviglie e ritornò in Italia portando la lieta (per la Lockheed) novella.  In cambio gli ammericani ci hanno dato un contrattino da 2,4 miliardi di dollari per 84 elicotteri di Leonardo. Mentre il vero contratto del secolo, quello per l’addestratore Tx, lo hanno assegnato alla svedese Saab e all’americana Boeing. Inizialmente saranno 350 gli aerei che Saab costruirà, ma il numero finale potrà essere di circa mille. E pensare che noi sciocchi andiamo in giro per il mondo dicendo che Leonardo produce il miglior addestratore possibile, il 346. Un vero scambio alla pari: 2,4 miliardi quando noi per l’F-35 pagheremo a Zio Sam almeno una quindicina di miliardi solo per cominciare. Salvo poi dipendere dagli Usa per i prossimi 30-40 anni di vita operativa dell’aereo. E il verbo dipendere qui è usato nel suo significato proprio: essere in potere, in facoltà di qualcuno (cfr. dizionario Treccani). Perché l’F-35 è progettato per essere “prigioniero” di Lockheed fino a quando vorrà Lockheed stessa. Il sistema Alis che ne dovrebbe garantire la manutenzione in realtà è un Grande Fratello a cui l’aereo è permanentemente collegato e che ne monitora tutte le attività. Se ci stacchiamo, o se gli americani decidono di staccarlo, l’F-35 si ferma. Si dice che in realtà ci sia una sorta di periodo di grazia, si parla di 30 giorni, durante i quali l’aereo può funzionare anche “scollegato” da Alis. Poi bye bye my darling. Indubbiamente un magnifico aereo.

Una meraviglia per chi ha a cuore gli interessi nazionali (degli americani). C’è poi il problema, non piccolo, del software di missione. Cioè di quello che consente all’aereo di volare e, se necessario, combattere. Nonostante non se ne parli quasi più, l’F-35 continua ad essere pieno di problemi. In primis il software che non funziona. Che continua a non funzionare, nonostante l’Aeronautica militare italiana (la nostra) quattro mesi fa abbia dichiarato il raggiungimento dell’Ioc, Initial Operational Capability, la capacità operativa iniziale. In realtà solo una panzana propagandistica, tant’è che l’Ufficio del Pentagono responsabile del programma ha negato il via alla produzione su larga scala. Ci vorranno ancora anni perché l’F-35 sia in grado di operare come un caccia. E per quanto riguarda i 13 velivoli già consegnati all’Italia si porrà allora anche il problema di aggiornarli allo standard costruttivo finale (o quasi). Secondo fonti statunitensi, il maggior costo per l’Italia dovrebbe essere tra i 40 e i 50 milioni di dollari ad aereo. Mezzo miliardo e passa la paura.

Inutile comunque continuare a ripetere cose che i miei cinque o sei lettori sanno benissimo. E che solo il buon Tofalo dice di non vedere, dopo che per anni ha condiviso gli anatemi del suo capo e corregionale Luigi Di Maio. Sono convinto che l’Angelo dei gialli non abbia agende inconfessabili a parte i suoi entusiasmi da convertito sulla via di Fort Worth (dove ha sede la Lockheed). E non penso neppure che per convincerlo gli abbiano dovuto promettere qualche beneficio inconfessabile. D’altronde non hanno spazzato via i corrotti e abolito la povertà (e qualche migliaio di anni fa forse si sarebbero intestata man che l’immacolata concezione)? Probabilmente all’Angelo dei gialli basta l’idea che un giorno, presto, potrà occupare il cockpit di un F-35 con una tuta di volo da top gun e dire, in favore di telecamera, “si avvera oggi un sogno per chi, come me, porta gli occhiali. Uno vale uno anche nel blu dipinto di blu”. Una bella photo opportunity da mostrare ai suoi nipotini.

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Sondaggi: Lega resta primo partito ma cala (31,4%), mentre il M5s sale al 27,9%. Accordo con Ue percepito come vittoria

La Lega frena la sua corsa, i Cinquestelle ricominciano a salire. Lo dice un sondaggio di Emg Acqua presentato oggi ad Agorà (su Rai3) che misura le intenzioni di voto in vista delle elezioni europee. Secondo la rilevazione il partito di Matteo Salvini resterebbe primo ma al 31,4 per cento (in lieve calo dello 0,7 rispetto alla settimana scorsa) mentre il M5s si assesterebbero al 27,9 per cento, in aumento di 1,5 punti. Per le forze di governo indice di gradimento al 59,3 (in aumento dello 0,8).

Secondo l’istituto diretto da Fabrizio Masia in leggero aumento anche le forze d’opposizione di centrodestra: Forza Italia 8,5 per cento, (in aumento dello 0,1 rispetto a settimana scorsa), Fratelli d’Italia 4,1 per cento (+0,1) e Noi con l’Italia 0,9 (stabile rispetto alla settimana scorsa). Nel centrosinistra invece il Partito Democratico otterrebbe il 18 per cento, in leggero aumento di 0,3% rispetto alla settimana scorsa, con Mdp più Sinistra Italiana, più Verdi, Civica Popolare e Svp al 3,7. 2,1% e 1,9% rispettivamente per Più Europa e Potere al Popolo, entrambi in calo di 0,1 punti.

L’accordo con l’Ue – Per il 44% degli italiani un eventuale accordo con l’Europa (poi raggiunto mercoledì 19 dicembre) sarebbe una vittoria di Salvini e Di Maio. Tra gli elettori Cinque Stelle, in particolare, il 76% crede che in caso di un’intesa con Bruxelles, i due vicepremier avrebbero difeso gli interessi degli italiani. Per il 39%, invece, un accordo con l’Ue rappresenterebbe una sconfitta perché Di Maio e Salvini avrebbero ceduto alle richieste europee. Alla domanda se alzando i toni con l’Europa, il governo abbia fatto gli interessi degli italiani, la maggioranza degli intervistati (47%) ha risposto “No, ci abbiamo rimesso”. Il 36% degli elettori ha risposto invece che dallo scontro con l’Unione Europea ci abbiamo guadagnato.

Le primarie Pd – La rilevazione di Emg Acqua ha sondato anche gli umori interni al Partito democratico in vista del Congresso. Innanzitutto, il 63% degli intervistati e il 66% degli elettori democratici vorrebbero che il partito rimanesse da solo e rifondasse il centrosinistra, anche a costo di restare minoranza, piuttosto che cercare alleanze con il M5s e tanto meno con il centrodestra (opzione che piace solo all’8% degli intervistati). Passando invece ai candidati segretari, Nicola Zingaretti resta nettamente in testa anche se, rispetto a una settimana fa, perde due punti e si attesta proprio al 50% che gli servirebbe per vincere le primarie. Intanto cala anche il suo avversario più temibile, Maurizio Martina, fermo al 29%. A tutti gli altri, per ora, restano le briciole, compreso il candidato della minoranza renziana Roberto Giachetti che guadagna due punti ma è comunque al 9 per cento.

Il partito di Renzi – Tra le rilevazione presentata ad Agorà non manca anche un tentativo di stimare quale base elettorale avrebbe un nuovo partito fondato da Matteo Renzi. L’ex premier non ha mai smentito categoricamente questa opportunità, ma secondo precedenti sondaggi di altri istituti si attesterebbe per ora al 6,1%. Anche tra gli intervistati da Emg Acqua solo il 4% sarebbe certo di dargli un voto, ma la percentuale di eventuali consensi si alza al 10% se si considera anche chi ha risposto “probabilmente sì”. Come aveva già rilevato Ipsos, la maggior parte dei nuovi elettori di Renzi verrebbe comunque dal Pd.

Il leader che conta di più – Resta invece Matteo Salvini l’esponente di governo che conta di più. Alla domanda “Chi conta di più nel governo?”: il 56% ha risposto per il leader della Lega (in calo comunque di 6 punti rispetto a settimana scorsa), il 20% Conte (+3%) e il 12% Di Maio (+3%). Inoltre, gli intervistati da Emg Acqua preferirebbero sempre avere Salvini come ospite al pranzo di Natale, anche se sarebbero molto contesi anche Silvio Berlusconi e il presidente del Consiglio. Infine, il 68% degli italiani, voterebbe lo stesso partito che ha scelto il 4 marzo scorso. Il 43% crede che il 2019 sarà l’anno del ritorno alle urne mentre il 41% ha risposto, invece, che non si andrà a votare.

 

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mercoledì 19 dicembre 2018

Roma, Comellini (Sindacato Militari): “Esercito a tappare le buche? Lo faccia il M5s, così mostra volontà di cambiamento”

L’emendamento M5s alla manovra sull’intervento del Genio Militare per aggiustare le strade di Roma? I militari a tappare le buche a Roma assolutamente no. Il ministro della Difesa Trenta ha detto che dovranno intervenire solo su quelle strade ad alta mortalità e in casi di assoluta emergenza. No, i militari, per la loro funzione, intervengono solo quando c’è una calamità naturale, uno stato di emergenza dichiarato”. Sono le parole pronunciate ai microfoni de “L’Italia s’è desta” (Radio Cusano Campus) da Luca Marco Comellini, giornalista e segretario del Partito per la Tutela dei Diritti dei Militari e Forze di Polizia.

E aggiunge: “Il Comune di Roma abbia allora il coraggio di dichiarare lo stato di emergenza, così i militari sono legittimati a intervenire. Qua dovremmo dichiarare lo stato di emergenza per una marea di motivi, dai rifiuti alle buche per le strade, ma anche per la gestione del Comune. Io ricordo che Roma qualche anno fa era un po’ diversa. Io, comunque, sono contrario a far intervenire i militari, significherebbe stirare la norma. Perché, allora, l’intervento del Genio Militare, che è un reparto altamente specializzato dell’esercito, non è stato richiesto per lo smantellamento del ponte Morandi di Genova? Era stato dichiarato uno stato di emergenza e l’esercito poteva intervenire per ripristinare la viabilità sul Polcevera, l’avrebbe fatto in 15 giorni” – continua – “Perché non l’hanno fatto? Non so, forse per questioni economiche, forse perché bisognava fare una gara per dare un appalto. Io so solo una cosa e la vedo costantemente tutti i giorni: non è possibile che chi vuole governare il Paese abbia molte idee e molto confuse. Bisogna che i parlamentari facciano pace con se stessi“.

Comellini commenta poi le dichiarazioni del viceministro dell’Economia, Laura Castelli, secondo cui l’emendamento M5s, già bocciato in Commissione Bilancio, sarà presentato in un secondo testo: “Errare è umano, perseverare è diabolico. Io suggerirei ai parlamentari 5 Stelle, che sono più di 300, di rimboccarsi le maniche e di riparare le buche, così in una quindicina di giorni Roma la risistemano. Almeno fanno vedere la vera volontà del cambiamento. Sarebbe anche un bellissimo esempio di politica costruttiva”.
E puntualizza: “Noi siamo fermamente contrari ad un uso snaturato della funzione dei militari. Il governo attuale e quelli futuri devono capire che i militari tuttofare non vanno bene. Il militare ha una funzione ben precisa, che è stabilita dalla Costituzione. E’ inaudita questa sparata alla grillina maniera “mandiamo i militari a riparare le buche”. Castelli parla di protocollo di intesa tra Comune di Roma e Genio Militare? Se loro portano avanti questa scempiaggine, noi saremo pronti a tutelare in tutte le sedi la dignità dei militari”.

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Giorgetti scommette sul rilancio del Totocalcio: ecco come cambierà la schedina (che non ci sarà più)

Addio al Totocalcio, viva il Totocalcio: più che cancellarlo, il governo vuole rilanciarlo. Anche se questo vorrà dire cambiarne sicuramente le tipologie di giocate, abbandonando la vecchia schedina, magari anche il nome. Quella del sottosegretario Giancarlo Giorgetti è a metà fra l’ “operazione nostalgia” e la rivoluzione: ma con un montepremi più alto e il coinvolgimento diretto degli sportivi la scommessa potrebbe anche essere vincente. L’uomo forte della Lega, che ha in mano la delega allo sport, è partito da una constatazione: “Il Totocalcio è in crisi irreversibile da anni, così com’è non ha più senso di esistere. O troviamo un’altra forma oppure può anche chiudere”. Oggi, infatti, non è più il gioco più amato dagli italiani: basti pensare che la raccolta dai 275 milioni di euro del 2006 ai miseri 17 totalizzati nel 2017. Ecco il perché della rivoluzione, inserita nella legge di bilancio.

Tante le novità in cantiere, solo abbozzate dal testo dell’emendamento. La principale sarà l’aumento del montepremi, visto che proprio le scarse probabilità di vincita legate all’alta difficoltà della giocata sono alla base del declino: l’ultimo concorso (quello di domenica scorsa) ha visto 714 vincite da 407 euro ciascuno, “spiccioli” che non interessano più quasi a nessuno. In futuro il cosiddetto “pay out” sarà molto più alto: sia perché il montepremi passerà dal 50 al 75% della raccolta, sia perché cambierà anche la formula di gioco. Niente più 12, 13 e 14, Totogol e quant’altro: ci sarà un “unico nuovo prodotto di gioco”, più divertente (si spera) e sicuramente più appetibile. Il testo aggiunge che la “riforma” può passare “attraverso la sospensione o chiusura definitiva” di specifici concorsi, di qui l’allarme sulla possibile “abolizione”: più facile però che ciò riguardi il Totogol del Totocalcio, ad esempio. Di sicuro la schedina come la conoscevamo in passato non esisterà più. Ma d’altra parte era già cambiata da un pezzo, e non se n’era accorto nessuno.

Dalla prossima stagione calcistica cambierà tutto, a partire proprio dal gestore: non più l’Agenzia delle dogane e dei Monopoli (che mantiene ovviamente la competenza), ma attraverso un apposito contratto di servizio la nuova Sport e salute spa, società governativa che nei piani della maggioranza gialloverde strapperà al Coni il controllo del sistema sportivo italiano. Il coinvolgimento del mondo dello sport è uno dei cardini della riforma: per finanziare il rilancio il governo stanzia infatti 2 milioni di euro l’anno, tolti proprio ai fondi della Sport e salute; in cambio, la società incasserà l’11% delle entrate. Il saldo sarà sostanzialmente in pari se la raccolta dovesse rimanere stabile, negativo in caso di ulteriori perdite ma anche positivo se invece il rilancio andasse a buon fine: ecco perché la Sport e salute sarà particolarmente motivata in quest’operazione. Il governo immagina campagne promozionali con testimonial d’eccezione e iniziative sociali per ricostruire vecchio legame dei tifosi col Totocalcio. È la scommessa di Giorgetti.

Twitter: @lVendemiale

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Massimo Boldi: “Salvini? È un mio amico, lo voterei se non fosse affiliato al M5s. Grillini? Impreparati e timorosi”

Chi voterei oggi? Nessuno, sono apolitico. Mi piace Salvini, è un mio amico. Lo voterei se non fosse affiliato ai Cinque Stelle“. Così, ai microfoni de La Zanzara (Radio24), l’attore Massimo Boldi risponde a Giuseppe Cruciani circa le sue attuali preferenze politiche. “I grillini? Li vedo timorosi e impreparati” – continua – “Ma non vedete che in tanti vorrebbero andare dall’altra parte? Di Maio invece ha una bella dialettica, lo vedrei in un nostro film, magari in un nuovo “Yuppies”“.
L’attore, poi, commenta il rinnovato sodalizio con Christian De Sica, assieme a lui protagonista del nuovo cinepanettone “Amici come prima”: ” Ma quali litigi, abbiamo sempre scherzato. E lo sapete anche voi, per 13 anni abbiamo fatto finta di litigare. ‘Amo scherzato, come si dice a Roma. E probabilmente io e Christian ci faremo seppellire insieme”.

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Ma sì, Matteo Salvini for president

di Maurizio Donini 

“Con la Ue tratto io” e “La Lega è il primo partito”, questi sono i sempre più ripetuti mantra con cui il leader della Lega occupa gli spazi mediatici. Le dichiarazioni del vice-premier appaiono sicuramente fuori dalle righe ed improprie, non rientra certo tra le attribuzioni del ministro degli Interni trattare temi economici ed esteri, ma l’avere scavalcato sia il premier Conte che i ministri Tria e Moavero non è altro che la presa d’atto della realtà attuale. Una realtà ribadita dalle dichiarazioni di Silvio Berlusconi più volte diffuse in questi giorni di confronto tra governo e Commissione Ue in cui pronostica la caduta dell’attuale governo ed il rientro di Salvini nell’ambito della coalizione di centrodestra per instaurare un nuovo Esecutivo.

Entrato al governo come stampella del vincitore Movimento 5 Stelle, Matteo Salvini, con l’abilità da consumato animale della politica, si è presto ritagliato uno spazio di visibilità ben superiore ai voti ricevuti. Complice una compagine pentastellata che non ha finora brillato per competenza, ha dato spazio a personaggi con visioni casomai discutibili, quali Savona e Giorgetti, ma dall’indiscutibile background tecnico.

Il movimentismo di Forza Italia con gli annunci di parlamentari Cinque Stelle pronti a cambiare casacca aderendo alla campagna acquisti del ex Cavaliere, si è concretizzato nella dolorosa e sanguinosa defezione di Matteo Dall’Osso, uno dei più fedeli pentastellati della prima ora e molto ben visto nella platea grillina. Evidentemente il nome Matteo risulta particolarmente indigesto al Movimento fondato da Beppe Grillo. Ma se il Matteo leghista ha avuto buon gioco nel rubare spazio al Movimento 5 Stelle, il peccato originale deve essere fatto risalire ad un ideale spartiacque che ha diviso la prima ondata di grillini – dotata di indubbie competenze e capacità – da una seconda di matrice più spiccatamente casaleggiana. Gli storici promotori sono stati ben presto emarginati, portando in primo piano esponenti strettamente fidelizzati alla Casaleggio, con risultati pratici non esattamente pari alle aspettative.

Bisogna quindi stupirsi se Matteo Salvini parla come premier in pectore? Se nascono comitati “Per Salvini premier”? Se l’attuale vice-premier leghista incontra Berlusconi per un caffè? Non si dimentichi che alle elezioni lo schieramento vedeva unite Lega e Forza Italia nella coalizione di destra. Le dichiarazioni di Salvini non fanno altro che mettere ancor più in evidenza i molteplici punti di attrito tra i due alleati di governo. Lo studio dell’Università di Bologna post elezioni di marzo mise in chiara evidenza, con sondaggi sull’elettorato pentastellato, come le idee degli elettori grillini coincidessero al 47% con quelle degli elettori di sinistra, e solo il 23% aderiva a quelle di destra.

E’ vero che tutti i sondaggi testimoniano la buona tenuta dell’attuale coalizione, complice l’idiosincrasia dell’elettorato per i tradizionali media a cui preferiscono i nuovi social su cui la compagine governativa è fortissima. Ma cosa bisogna aspettarsi per il futuro? Concordando perfettamente con l’acuta disamina del professor Cacciari che ho recentemente intervistato, nulla accadrà prima delle elezioni europee, ma è praticamente impossibile che la legislatura si concluda con questa coalizione. Risulta quanto mai probabile che dopo le la tornata elettorale comunitaria, ed il prevedibile successo della Lega, si vada verso la caduta del governo attuale con la venuta al potere di una coalizione di destra capeggiata da Matteo Salvini.

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