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venerdì 31 maggio 2019

De Luca: “M5s può far la fine dell’Idv. Salvini? Lo inviterò al Festival della Letteratura, così sta lì appollaiato col rosario”

M5s, la battuta di Cancelleri nel giorno del suo compleanno: “L’anno scorso nasceva il governo, un anno dopo cade”

Alla riunione degli eletti M5s regionali, dopo la Lombardi, arriva anche Giancarlo Cancelleri accolto dagli auguri dei colleghi pentastellati nel giorno del suo compleanno: “L’anno scorso facevo il compleanno e nasceva il governo e un anno dopo cade” dice loro ridendo. “Era una battuta – poi precisa Cancelleri – questo non cadrà perché ha una grande popolarità tra le persone”. Per Cancelleri il Movimento “deve crescere per cambiare, strutturando un livello sul territorio e propone un ‘modello Sicilia’ da applicare a tutte le regioni d’Italia, come struttura di supporto a Luigi Di Maio”.

Intanto tiene banco anche la vicenda dei rapporti di forza all’interno del governo tra M5s e Lega: “Se le proposte di Salvini sono fuori dal ‘contratto di governo’ – spiega Cancelleri – per me non se ne discute neanche, però se la vedrà Di Maio, ma non dobbiamo stare al governo a tutti i costi, dobbiamo starci al costo dei patti che abbiamo sottoscritto”. Salvini però dice che né lui né il Paese ha più tempo da perdere: “E se allora non c’è più tempo da perdere Salvini poteva evitare di presentare emendamenti lo ‘Sblocca cantieri’ ed il codice degli appalti su cui sono contrario – e conclude – se non dobbiamo perdere tempo, allora Salvini non perda tempo neanche lui a fare i giochetti dove va in tv a dire che non vuole i ministeri e poi nelle Aule parlamentari blocchi tutti i lavori”.

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Flat tax, relazione Bankitalia spinge Salvini: “Discutiamola subito”. Ok M5s. Ma Conte: “Non ho ricevuto progetto”

Rousseau salva Di Maio. Peccato

M5s, Lombardi: “Spero si riaprano i meet up. Non ho votato perché il problema del cumulo di cariche a Di Maio rimane”

M5s, cambiano i probiviri. Lasciano Fraccaro e Catalfo. Di Maio: “Sostituti magari tra chi ha già svolto i due mandati”

Decisioni collegiali, assemblee regionali, Meetup: la ripartenza dal basso del M5s finora solo promessa

giovedì 30 maggio 2019

Governo, sottosegretario alla Difesa Tofalo rimette il mandato dopo post contro la Trenta. Di Maio: “Decide Conte”

Mentre il capo politico Luigi Di Maio incassa la fiducia degli iscritti al Movimento, nel M5s scoppia il caso Tofalo. Il sottosegretario alla Difesa mercoledì sera, nel corso dell’assemblea congiunta degli eletti, ha rimesso il mandato nelle mani di Di Maio. E, secondo l’Adnkronos, nonostante alcuni esponenti del Movimento si siano schierati con lui i vertici sarebbero favorevoli ad accettare le dimissioni del parlamentare campano. Che nel pomeriggio sul suo blog ha attaccato frontalmente la “sua” ministra, Elisabetta Trenta: “Ho cercato per un anno di stare accanto al ministro Trenta e di spiegarle che il nemico non è Salvini, o chissà chi altro ma chi, all’interno dell’apparato, vuole continuare ad agire senza l’indirizzo ed il controllo politico. Purtroppo, consigliata male, ha deciso di fare valutazioni diverse”. “Le dimissioni di Tofalo da sottosegretario non sono formali, io non ho dimissioni formali tra le mani e in ogni caso decide Conte”, ha frenato Di Maio. “Io non ho mai espresso le mie intenzioni neanche su quello che Tofalo ha detto ieri” in assemblea, “in ogni caso decide Conte. A lui vanno rassegnate le dimissioni, non a me”.

Nel suo post su facebook Tofalo scrive di essere “entrato nelle istituzioni per spezzare le catene dei vecchi poteri che ostacolano l’ammodernamento dello Stato” ma di essersi “ritrovato ad assistere a scelte, quasi mai coordinate politicamente, che hanno solo rafforzato, a causa di errori grossolani, l’influenza di capi e capetti del passato. Il tutto, purtroppo, a discapito del Paese. Ho tenuto duro per un anno”. Dichiarazioni subito censurate da fonti M5s che con le agenzie hanno preso le distanze parlando di “una iniziativa personale del sottosegretario, che ci ha sorpreso e che non rappresenta in alcun modo la posizione dei vertici del Movimento, tantomeno degli eletti in parlamento e nelle rispettive commissioni Difesa di Camera e Senato”.

Hanno preso le su difese Giovanni Russo, capogruppo M5S in commissione Difesa della Camera, e i senatori Dino Mininno e Francesco Castiello. “Apprendo da alcune agenzie che ‘fonti del Movimento 5 stelle’ avrebbero riferito di una presa di distanza da parte della commissione di cui faccio parte rispetto ad alcune dichiarazioni del sottosegretario Tofalo”, ha fatto sapere Russo. “Ritengo che nei periodi difficili sia necessario lavorare compatti ed invito apertamente tutti ad abbassare i toni e a concentrarsi sulle sfide che abbiamo davanti. Il mio sostegno va ad Angelo, che conosco da anni e che lavora da sempre per il bene del Paese e del movimento con competenza e rispetto delle Istituzioni”. Anche se “in questo momento non penso sia intenzione o interesse di nessuno di noi attaccare il ministro Trenta che con grande abnegazione sta svolgendo un delicatissimo lavoro“.

“Non si possono chiudere gli occhi su evidenti criticità alla Difesa, qualcosa va migliorato”, commenta dal canto suo Mininno. “Completo sostegno al sottosegretario Angelo Tofalo, esempio nel Movimento 5 Stelle per lavoro quotidiano e correttezza istituzionale”. Secondo Castiello, poi, Tofalo “aveva espresso riserve sull’assetto organizzativo del Ministero di appartenenza. Nulla di più e di meno rispetto ai dubbi manifestati durante l’assemblea congiunta dei Parlamentari del M5S tenutasi ieri notte, assemblea nella quale sono emerse alcune criticità di stampo organizzativo che, se non rimosse, alla lunga ridondano con effetti non positivi per il Movimento. Ad Angelo Tofalo, persona di grande competenza e di elevata probità, vada la mia più piena e profonda solidarietà“.

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Dl Calabria, la deputata Dalila Nesci (M5s) si dimette: “Sempre corretta, decreto va convertito con urgenza”

Salvini: “Rousseau? Attesa bizzarra, Lega non ha tempo da perdere”. E sfida M5s: “Stop a codice Appalti per due anni”

La batosta del M5s non ne intacca il valore. Ma al suo interno ci sono personalità ben diverse

Sto partecipando con personale e profondo dispiacere al disastro del Movimento Cinque stelle dopo le recenti Elezioni europee. Premetto che ho 81 anni suonati, non ho mai fatto politica attiva anche se me ne sono sempre interessato e ho pure cercato di dare contributi in denaro (alla fondazione del Pd) e in riflessioni, che pubblico sul Fatto Quotidiano da tre anni a questa parte.
Aggiungo, per chiarirci, che da tre anni cerco di parlare (ormai una sessantina i miei post) di una proposta di politica industriale manifatturiera per il nostro Paese: si tratta di una “idea-forte”, come si usa dire nel gergo manageriale, che fatica a passare in un mondo fortemente condizionato da culture basate sui libroni dei dotti, ma molto di meno sulla freschezza delle idee. Non è mio costume chiedere qualcosa in cambio.

La fine del Pd, la vergognosa parabola di Matteo Renzi (che io ho sostenuto a lungo, e che mi ha molto amareggiato quando ho dovuto riconoscere ciò che amici fiorentini mi dicevano da tempo su di lui), la “musica” nuova e frizzante suonata con vigore da Beppe Grillo, l’avallo di persone dello stampo intellettuale e morale di Dario Fo, l’arrivo sulla scena di personaggi assolutamente apprezzabili come Luigi Di Maio, Roberto Fico, Alessandro Di Battista, l’impronta gagliarda e innovativa data al Movimento e, soprattutto, le forsennate campagne dei giornaloni contro il M5S (segno di forte paura da parte delle classi “bene”; non diversamente, nel 1921, fu questo il vero e più forte terreno di coltura del fascismo: ma, di grazia, su quale altro terreno ha lavorato Matteo Salvini?), tutto l’insieme agitato e shakerato hanno fatto di me un sostenitore di questa novità.

Avevo capito che la scommessa non era facile: questi ragazzi hanno dovuto buttarsi in politica e, allo stesso tempo, costruirsi una macchina politica che non esisteva: niente radicamento sul territorio, niente assessori e consiglieri comunali (vera sede, oggi, del potere), niente strutture e uomini preparati: al massimo suscitavano curiosità, ma anche tanti risolini. Ma avete visto la campagna sulla non-laurea di Di Maio? Qualcuno si è mai ricordato se, per caso, Benedetto Croce avesse avuto uno straccio di laurea?

La reazione della gente alla novità grillina fu forte: sapevamo che mancava di stabilità, ma se ne raccoglieva il messaggio di richiesta di aiuto, di Sos che la società italiana lanciava nell’etere, come quelli del Titanic, consci che la nave andava a fondo. In grande fretta e furia i grillini furono costretti a racimolare una ciurma, darsi parvenza di struttura politica, disegnarsi un programma da raccontare agli elettori, cercare di consolidare la fiducia di tanti che chiedevano un cambio, un profondo cambio, e, nel contempo, a gestire una situazione nazionale molto pericolosa. Il tutto sotto una campagna resa forsennata dalla fifa un poco cianotica del ceto al potere. Ebbene, esprimo una mia opinione: sono stati non bravi, strabravi, e seri: hanno parlato un linguaggio politico, fatto di temi politici, di cui da decenni non si sentiva il timbro. Un linguaggio, come diceva il mio nonno comunista doc che aveva fatto la scelta della vita povera, da “uovo fuori dal cavagnolo”.

Una novità assoluta: e uno stile, quello di Di Maio, assolutamente di classe, di grande classe. E tuttora, nonostante la batosta colossale, dico “bravo, bravissimo Di Maio”: sei un politico a tutto tondo, sei – e qui è la sua stupefacente particolarità – un “politico nuovo”. Hai sbagliato, certo, hai sbagliato, ma di colpa si tratta, non di dolo. Diceva papa Pio X: “chi fa falla, chi non fa falla sempre, appunto perché non falla mai’. Capito Salvini? Ma le persone intelligenti, che sbagliano come tutte le altre, sanno trarre insegnamenti preziosi: sì, oggi una sberla, ma lavorano per essere vincenti domani, mentre i mentecatti restano tali e sempre al palo.

Nel frattempo questa nuova classe politica era costretta a raccogliere la ciurma in quattro e quattr’otto. Ce ne vogliamo rendere conto? E qualche opportunista ha colto l’occasione. Pur di rimediare magari una breve comparsata televisiva per la gente di bocca buona. Questa è stata la sensazione negativa che ho avuto nel vedere questi interventi con prua su Di Maio. No: così non si va lontano.

Uno degli errori più grossi di Di Maio è stata la tecnica adottata nella comunicazione: pur avendo (oltre a Rocco Casalino – cui qualche domandina dovrà pure essere indirizzata…) un laureato in scienza della comunicazione come Gianluigi Paragone, che ha nel suo passato qualche cambio di casacca. E che non mi risulta sia intervenuto, nel momento giusto, a cercare di correggere gli errori del capo: perché errori ce ne sono stati, senza dubbio. Tirerei una conclusione: fra un Di Maio (che sbaglia ma come tutti noi) e un Paragone (che sbaglia perché leggermente a mio parere motivato da un complesso di opzioni personali) non ho dubbi: Di Maio.

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Monti: “Lega e altri partiti non rappresentano i meno abbienti. Flat tax? Schiaffo in faccia alle classi subalterne”

E’ singolare come in Italia le classi subalterne non riescano a trovare rappresentanza. Certamente la flat tax della Lega è uno schiaffo in faccia proprio alle classi subalterne“. Sono le parole del senatore a vita, Mario Monti, ospite di Otto e Mezzo, su La7.

E aggiunge: “Il Pd ha fatto anche delle cose buone nell’ultimo ciclo dei suoi governi, ma ha fatto di tutto per non sembrare un partito di sinistra, quindi si è scagliato contro ogni ipotesi di patrimoniale e di imposizione più progressiva. Povere classi subalterne. Adesso la Lega può essere vista volentieri dalle classi subalterne solo per l’aspetto di protezione e di chiusura, ma non per quello economico. Quindi – continua – per qualche ragione, l’Italia non riesce a occuparsi veramente dei meno abbienti e dei più debilitati, salvo il reddito di cittadinanza, che però è stato messo a carico non di chi sta meglio oggi, ma dei figli degli italiani attraverso il debito pubblico. E se l’Italia va avanti così, quelli saranno un po’ più subalterni e un po’ più poveri degli italiani di oggi”.

Monti chiosa: “Gli elettori hanno sempre ragione? In una democrazia sono loro che scelgono l’indirizzo del governo. Quindi, sì. Se poi ci domandiamo se l’elettore agisce sempre nell’interesse suo e del suo Paese, la risposta è: assolutamente no. Tantissime volte è successo che l’elettore abbia fatto delle grandi danze, preferendo solitamente il politico empatico del momento. Lo abbiamo visto con Berlusconi e Renzi e ora con Salvini. E comunque, con buona pace di Salvini, non è che un capo o vicecapo di governo può dire alla Ue: ‘I vostri principi non valgono più perché ho ottenuto X milioni di voti’. Non è che si modifica un trattato europeo a seguito dei voti ottenuti da un politico”.

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M5s, De Falco: “Lavora solo per il potere. Voto su Di Maio? Esito scontato, quesito ricorda quello su caso Diciotti”

Il voto relativo alla leadership di Di Maio sulla piattaforma Rousseau? L’esito è abbastanza scontato. Attorno a lui hanno costruito un comitato di conciliazione di 4-5 persone. Peraltro, la stessa stessa formulazione del quesito ricorda quello della vicenda Diciotti, quindi è già scontata nella domanda la risposta“. Sono le parole del senatore Gregorio De Falco, ex M5s, nel corso de “L’Italia s’è desta”, su Radio Cusano Campus.

E puntualizza: “Ma comunque non ha senso quel voto, perché alla fine mettere un’altra persona al posto di Di Maio non è che risolva i problemi. Cosa direi a Di Maio? Non di scendere dalla nave, ma di stabilire la rotta della nave. Questo è il punto. La rotta si pianifica prima a tavolino e si immagina quale possa essere la destinazione della nave. Se poi ci sono degli accidenti e degli elementi che perturbano la rotta, allora si prendono provvedimenti in via tattica, volta per volta. Ma la strategia da seguire e la pianificazione della rotta devono essere fatte a tavolino. Dove si vuole andare con questa nave?“.

De Falco parla della sua espulsione dal M5s e analizza la crisi del movimento: “Nell’azione di governo c’è stato un appiattimento abbastanza rilevante del M5s sulle posizioni della Lega intorno ai temi che non si potevano discutere perché appartenevano all’alleato. Lo ha detto anche Alessandro Di Battista? Il punto è che negli ultimi due mesi lo hanno detto tutti. Questo modo di ‘remare’ significa semplicemente voler tenere il potere per sé. Il potere, cioè, non è più lo strumento per garantire il benessere dei cittadini, ma è il fine. Anche il reddito di cittadinanza è giusto e importante – continua – ma, fatto così, rimane un’affermazione di principio. Cioè non è un provvedimento compiuto e la gente se n’è accorta, come dimostra il risultato elettorale. Se tutto quanto è stato sacrificato al reddito di cittadinanza, il risultato è molto modesto. E quindi cosa rimane? Soltanto la gestione del potere“.

E aggiunge: “La stessa questione immigrazione ha visto il M5s lasciare immediatamente da parte la propria idealità, tra le quali ci sono quelle costituzionalmente fissate: l’umanità e la solidarietà sono principi fondativi sia del M5s, sia di ciascuno di noi. C’è un barcone che sta naufragando con 90 persone a bordo e nessuno lo soccorre, nonostante ci sia una nave militare a non più di 15-20 miglia di distanza. Quella nave impiegherebbe 45 minuti di navigazione per raggiungere il barcone. Ebbene, perché quelle persone non vengono salvate? La verità è che le autorità italiane sembrano paralizzate. Il M5s ha aperto un Mar Rosso tra sé e i propri elettori proprio con la questione Diciotti“.

De Falco prosegue: “Ricordo che il motivo fondante del M5s è ‘nessuno rimanga indietro’. E’ quello che ha ispirato il reddito di cittadinanza. Ma questo principio è da affermare in tutti i campi. Anche la stessa teoria secondo cui non esistono destra e sinistra è una sciocchezza. Dicendo questo, il M5s ingloba in sé chi è di destra e chi è di sinistra, diventando un corpaccione amorfo. In realtà non è possibile così avere una linea politica. Bisogna prendere una via. All’opposizione può avere senso dire che non esistono destra e sinistra, perché così raccogli l’intera protesta. Ma quando sei al governo, devi scegliere una strada“.

E conclude: “Il contratto di governo? Non è la strada adatta. Se si hanno alla base valori condivisi è un conto, ma se il contratto tratta 4-5 punti lascia scoperto tutto il resto. Gli stessi elettori non sanno cosa farà il governo in certi frangenti. Gli interessi pubblici non si trattano coi contratti di governo. Io guardo ancora con affetto al M5s, ma io, come gran parte di coloro che si sentono nel movimento, provengo da un’area di sinistra. Però purtroppo non troviamo rappresentanza. E quindi vien meno una rappresentanza per gran parte degli italiani”.

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Di Maio contro Di Maio, una foglia di fico per un Movimento ancora vivo

Rixi, è il giorno della sentenza. Siri: “Salvini non accetterà sue dimissioni”. Di Battista: “Impensabile una crisi”

M5s, Spadafora: “Indebolire Di Maio vuol dire indebolire Movimento”. Ma Ruocco : “Troppi incarichi”

M5s, oggi gli iscritti al voto su Di Maio. Fico in assemblea: “Problema non è Luigi, dobbiamo lavorare insieme sul territorio”

I parlamentari hanno rinnovato la fiducia a Luigi Di Maio e al governo, ora tocca al voto degli iscritti al Movimento 5 stelle. Oggi, dalle 10 alle 20, sulla piattaforma Rousseau sono chiamati a confermare il loro capo politico. Che intanto ha superato positivamente l’esame dell’assemblea. “Non sono emerse criticità, abbiamo deciso che il governo deve andare avanti“, ha affermato il capogruppo M5s a Montecitorio, Francesco D’Uva, al termine della riunione durata sei ore. Uno degli ultimi interventi, significativo e atteso, è stato quello del presidente della Camera, Roberto Fico: “Il problema non è Luigi, ma siamo tutti e dobbiamo lavorare insieme. Serve più lavoro sul territorio“, ha affermato.

All’assemblea degli eletti hanno partecipato tutti i big del M5s, incluso Alessandro Di Battista. Segno di un’assemblea fondamentale per le strategie future. Di Maio d’altronde, prendendo la parola, è stato chiaro: “Volete ancora sostenere questo governo? Conte vuole saperlo”. Alla fine qualche critica c’è stata ma sempre in clima di rinnovo della fiducia al capo politico. “È da vecchia politica mettere in discussione il leader dopo una sconfitta. Almeno abbiamo un vertice, il problema è che mancano gli altri“, ha detto Fico ai parlamentari. “Dobbiamo riprendere i nostri valori e capire quali sono quelli fondanti“, ha esortato il presidente della Camera. “Vogliamo provare a diventare un partito politico classico oppure vogliamo fare il Movimento 5 stelle, che è molto più difficile? Non ho soluzioni, penso che dobbiamo trovare una via“, ha aggiunto Fico.

La riforma dell’organizzazione interna è il tema su cui molto si è discusso all’interno dell’assemblea, dove per al prima volta nella storia recente del M5s, al termine del discorso di Di Maio lo staff della comunicazione è stato fatto uscire. Serve “una strutturazione migliore” del Movimento, che “non sarà un compito solo in capo a Di Maio, ma la fiducia a Luigi va ribadita”, è la sintesi che fa Alessandro Di Battista ai cronisti al termine dell’assemblea M5s. Troppi incarichi a Di Maio? “Il nostro limite è che siamo brave persone e quindi abbiamo scelto i ministeri più complicati e abbiamo fatto i provvedimenti più complicati”, ha spiegato l’ex parlamentare.

“Luigi, scusa se non ti ho aiutato abbastanza”, avrebbe invece detto Di Battista durante la riunione, spingendo per una riorganizzazione più “movimentista” dei Cinquestelle. Anche il senatore e giornalista Primo Di Nicola, fresco di dimissioni da vicecapogruppo, ha ribadito “fiducia piena in Di Maio, ha fatto un miracolo. Alla fine, le critiche su cui lo stesso vicepremier ha voluto calcare la mano – “Anche io ho una dignità e negli ultimi due giorni mi sono sentito dire di tutto” – si sono ridotte alle sole uscite di Luigi Paragone. Il senatore nel suo intervento ha spiegato  che “le mie parole sono state fraintese” e ha chiesto a Di Maio: “Hai ancora fiducia in me?”. Confermando invece i dubbi sul fatto di dare due ministeri alla stessa persona.

Più seguito ha avuto invece l’intervento del deputato Emilio Carelli che ha parlato della necessità di “valutare se sia necessario un cambio della compagine ministeriale”. I suoi dubbi sull’attuale squadra di ministri (peraltro tutti presenti) sono stati condivisi da molti e la richiesta di una cambio è all’ordine del giorno. Prima però, serve la fiducia piena a Di Maio per tornare al tavolo con il premier Giuseppe Conte e Matteo Salvini e definire le prossime tappe dell’esecutivo.

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mercoledì 29 maggio 2019

Di Maio all’assemblea: “Riorganizzare? Sì ma prima fiducia nel leader. Si decida se governo continua, Conte lo vuole sapere”

“Sì a una riorganizzazione del Movimento 5 stelle, ma si deve partire dalla fiducia nel capo politico o da un nuovo capo politico. Dobbiamo decidere se sostenere o no questo governo, Conte vuole saperlo”. Luigi Di Maio si è presentato da dimissionario all’assemblea dei parlamentari 5 stelle e, stando alle ricostruzioni delle agenzie, come prima cosa ha chiesto al gruppo di prendere posizione sulla vita dell’esecutivo. Carroccio e 5 stelle devono continuare a stare insieme e terminare la legislatura? Il primo round dello scontro Di Maio contro tutti è andato in scena questa sera davanti agli eletti di Camera e Senato. Il secondo è previsto per domani mattina 30 maggio, quando il capo politico del Movimento, per la prima volta nella storia M5s, chiederà di essere riconfermato dalla sua stessa base con un voto online.

L’assemblea è iniziata intorno alle 21. Presenti, oltre al capo politico Luigi Di Maio, i ministri Alfonso Bonafede, Giulia Grillo, Riccardo Fraccaro ed Elisabetta Trenta. Presente il presidente della Camera Roberto Fico che, già in giornata, ha garantito che interverrà. E’ presente anche l’ex deputato 5 stelle Alessandro Di Battista. Non escluso che al termine ci sarà una votazione.

Di Maio davanti ai suoi ha ripercorso alcune delle scelte fatte negli ultimi mesi di campagna elettorale. “Il momento per differenziarci dalla Lega è stato il Congresso delle famiglie di Verona”, ha detto. “Ho chiesto la fiducia agli iscritti perché anche io ho una dignità e negli ultimi due giorni mi sono sentito dire di tutto. A me non me ne frega nulla della poltrona. Non sto attaccato al ruolo di capo politico, ci ho sempre messo la faccia e continuerò a mettercela. Molti pensano sia bello stare in prima linea, ma il punto è che quando va tutto bene e vinciamo il merito è di tutti, giustamente, il problema è che se si perde prendo schiaffi solo io“. Il vicepremier ha anche per e domani vengo riconfermato non restiamo fermi, dobbiamo cambiare delle cose. Dobbiamo avviare una nuova organizzazione. Il M5S non perde mai, o vince o impara, io la vedo così, questa è la nostra storia e da qui dobbiamo ripartire”.

Sono le ore più lunghe per il vicepremier: deve fare i conti con la sconfitta alle Europee e cercare di trovare una via d’uscita per far andare avanti l’esecutivo perché, così ripetono tutti, “alla sua leadership per il momento non c’è alternativa”. E’ l’ora delle prime volte per i 5 stelle: la prima ammissione di “una scoppola senza precedenti” (parole di Alessandro Di Battista), la prima volta che il capo politico chiede ai suoi se può continuare a essere la guida, la prima volta che sia Beppe Grillo che Davide Casaleggio intervengono in sua difesa. La situazione è talmente delicata che lo stesso premier Giuseppe Conte ha deciso di rinviare qualsiasi vertice di governo a dopo il voto online: una scelta che può sembrare suggestiva dal momento che gli iscritti non devono scegliere sul ruolo di Di Maio nel governo, ma l’importanza della fiducia espressa dagli attivisti è talmente importante, almeno per il M5s, da poter determinare le sorti del governo.

La scelta di Di Maio di anticipare l’assemblea con l’annuncio della votazione in mattinata ha spiazzato qualcuno, ma non tutti. Le ore subito dopo la sconfitta sono state concitate e i pensieri sono andati velocissimi: c’è stata la conferenza stampa davanti ai giornalisti, il vertice con alcuni fedelissimi che sembravano difenderlo a spada tratta, poi le prime dichiarazioni degli stessi che chiedevano di mettere in discussione la sua posizione. Insomma gli eventi sono precipitati e Di Maio ha avuto bisogno di ripartire da zero. La strada su come muoversi gliel’ha mostrata e suggerita uno che nel Movimento è molto ascoltato per esperienza, seppure non sia proprio nella cerchia dei più vicini ai vertici: Primo Di Nicola. Nello stallo dello scorse ore è stato lui il primo a esporsi: ha rimesso l’incarico di vicecapogruppo al Senato, con la motivazione che partire dalla necessità di rinnovare la fiducia nei leader è il primo atto dopo una sconfitta. Così Di Maio ha fatto: ha anticipato la resa dei conti ricordando a tutti i parlamentari che lui deve prima rendere conto agli iscritti e poi ha beneficiato della corsa di chi ha già apertamente ribadito la sua tutela. Blindato da Grillo e Casaleggio, è pronto ora per la prima storica graticola davanti alla sua base.

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“Lega e Fratelli d’Italia senza Forza Italia sarebbero maggioranza in Parlamento”. Simulazione basata su voti alle Europee

Se la Lega decidesse di capitalizzare il 34,3% appena raccolto nelle urne alle Europee, facendo cadere il governo per tornare subito al voto, l’Italia potrebbe ritrovarsi sotto la guida di un esecutivo sovranista composto dal Carroccio e da Fratelli d’Italia, forte di una maggioranza solida alla Camera e al Senato. È il risultato di una delle simulazioni effettuate da Quorum, Youtrend e Istituto Cattaneo sulla base dei risultati del 26 maggio applicati collegio per collegio, così da comprendere come verrebbero assegnati i posti in Parlamento assegnati in quota uninominale.

Se i partiti di Matteo Salvini e Giorgia Meloni corressero insieme, Forza Italia e M5s andassero da soli e il Pd riuscisse a trovare un accordo con +Europa ed Europa Verde, la coalizione sovranista otterrebbe 328 seggi su 618 alla Camera e 162 seggi su 309 al Senato. Un margine rassicurante per governare, potendo contare su 18 deputati e 7 senatori in più rispetto al minimo necessario. La seconda forza in Parlamento sarebbe il centrosinistra con una pattuglia di 149 deputati e 72 senatori, seguito dal Movimento Cinque Stelle con 101 eletti alla Camera e 54 al Senato.

A Forza Italia spetterebbero 36 deputati e 19 senatori, mentre al Svp andrebbero 4 rappresentanti a Montecitorio e 2 a Palazzo Madama. Il partito di governo dell’Alto-Adige, tra l’altro, al momento amministra la provincia di Bolzano con la Lega e quindi non è da escludere che i 6 eletti nella simulazione sostengano Lega e Fratelli d’Italia ampliando la solidità della maggioranza virtuale ipotizzata da uno dei quattro scenari elaborati da Quorum, Youtrend e Istituto Cattaneo.

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M5s, Morra e Fattori: “Si faccia l’assemblea in diretta streaming”. Senatore Endrizzi: “Non serve”

Sanità, Pd e FI accusano Nesci (M5s) di conflitto d’interessi e scoppia la bagarre in Aula: Carfagna riprende sottosegretario Bartolazzi

Un collaboratore della relatrice che ha in mano il decreto sulla sanità in Calabria candidato a diventare commissario della Asl di Vibo Valentia. E, dunque, un conflitto d’interessi per la deputata in questione. È l’accusa che diversi parlamentari delle opposizioni (Pd, Forza Italia e LeU) hanno rivolto a Dalila Nesci (M5s), che coordina per la maggioranza, alla Camera, i lavori sul cosiddetto decreto Calabria.

A sollevare la questione è stata Enza Bruno Bossio, seguita da Enrico Borghi, che ha puntato il dito contro Gianluigi Scaffidi, collaboratore della parlamentare pentastellata. “Il fatto è che ancora non sono state fatte le nomine” si è difesa Nesci, “ribadisco che, dalle indiscrezione uscite, la persona indicata non è mai stato un mio collaboratore stipendiato. E io non sono titolata a fare alcuna nomina”. Parole giudicate insufficienti da Jole Santelli, di Forza Italia, che ha chiesto l’interruzione dei lavori fino a un chiarimento da parte della ministra Giulia Grillo. Il capogruppo del Pd, Graziano Delrio, ha invitato il sottosegretario Armando Bartolazzi, presente in Aula, di escludere che Scaffidi verrà nominato. La richiesta, tuttavia, non è stata accolta.

Bartolazzi, in un secondo momento, ha preso la parola: “Sono sorpreso per lo scadimento di questo dibattito” ha esordito. “Non spetta a lei stabilire se gli interventi dei parlamentari sono convenienti o meno” lo ha ripreso la presidente di turno, Mara Carfagna.

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Parlamento Ue, Zanni (Lega): “Stiamo per chiudere accordo con Farage”. Ma leader Brexit Party: “Sono per restare con M5s”

È iniziato il corteggiamento delle formazioni sovraniste ed euroscettiche a quello che, dopo il voto del 26 maggio, si è imposto come il primo partito europeo per numero di seggi conquistati: il Brexit Party dell’ex leader di Ukip, Nigel Farage. A dare inizio al botta e risposta europeo è stato il responsabile esteri della Lega, Marco Zanni, dichiarando che l’incontro con Farage “è andato bene, stiamo lavorando” e “vediamo di chiudere per la settimana prossima con lui”. Una notizia che, se confermata, rafforzerebbe il nuovo fronte sovranista guidato da Matteo Salvini, ma indebolirebbe i Cinque Stelle in Europa, visto che fanno parte della stessa fazione che faceva parte del gruppo Efdd. Ma l’euroscettico britannico ha voluto subito abbassare i toni, spiegando di essersi “incontrato” col M5s “ed è andata in modo molto amichevole anche se abbiamo problemi interni da risolvere“.

Alla domanda dei reporter se stesse per abbandonare il gruppo condiviso con i pentastellati e con l’unico partito della nuova coalizione messa in piedi da Luigi Di Maio che ha passato la soglia di sbarramento, i croati di Zivi Zid (1 seggio), Farage ha risposto con una battuta: “Sono un Leaver, ma in questo caso sono per restare“. Dichiarazioni in contrasto con quelle di Zanni che ha invece fornito conferme sulle trattative con il partito britannico pro-Brexit: “Siamo a buon punto. Siamo convinti di poter chiudere. È ovvio – ha spiegato – che lui deve dichiarare che ha più opzioni, ma è un buon accordo ed è un beneficio comune stare insieme. Sono confidente che possiamo chiudere settimana prossima, al di là di quello che viene dichiarato pubblicamente”. Parole rispedite al mittente dallo stesso Farage: “La speculazione è una cosa straordinaria nella vita”.

Rimane da capire quanto il grande numero di seggi garantito da un’alleanza con il Brexit Party possa effettivamente portare giovamento e maggiori energie a un gruppo politico. Se il termine stabilito per l’uscita del Regno Unito dall’Unione venisse rispettato, i 29 britannici euroscettici peserebbero sugli equilibri europei solo fino al 31 ottobre, con scarse possibilità di poter intervenire nel processo di discussione e nomina delle alte cariche dell’Unione.

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M5s, Bonafede: “Assoluta e totale fiducia a Di Maio. Dopo sconfitte giusto non fare finta di niente e fare riflessione”

M5s, De Luca: “Toninelli? Mettiamolo su uno di quei treni giapponesi a 800 km/h, così lo mandiamo in orbita”

Il ministro delle Infrastrutture Toninelli vorrebbe che i treni camminassero a 50 km all’ora, il che significa che per andare da Sorrento a Napoli si impiega un’ora e mezza. Si tratta di una decisione tecnica che riguarda le norme di sicurezza. Se vogliamo stare ancora più sicuri, ce ne stiamo a casa a letto. Ma che razza di ragionamento è?”. Sono le parole del presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, ospite di “Barba & Capelli”, su Radio Crc.

“Questa decisione – spiega – rischia di dimezzare il trasporto pubblico locale su ferro. La norma è conseguente al disastro avvenuto in Puglia, dove ovviamente non c’erano sistemi di controllo elettronico e si lavorava a mano ancora sui passaggi a livelli. Siccome poi siamo un Paese che ragiona per ondate emotive, adesso il governo per salvarsi l’anima fa l’eccesso opposto. Noi garantiamo condizioni di assoluta sicurezza ma, se dobbiamo rallentare a 50 kmi, non campiamo più e ingolfiamo le strade. Così la mobilità diventa un inferno. Chiediamo quindi al ministro Toninelli una proroga per poter avere il tempo necessario ad avere anche sistemi di controllo più sofisticati. In realtà, sono tutte palle demagogiche che mettono in piedi per salvarsi l’anima“.
E ironizza sul ministro M5s: “In Giappone ci sono treni che viaggiano a 800 km/h. Potremmo mettere Toninelli su uno di quei treni e così lo mandiamo in orbita. Sarebbe una meraviglia“.

Finale j’accuse di De Luca ai 5 Stelle campani sui vitalizi e suo immancabile riferimento ad Alessandro Di Battista: “Non mi rompano più le scatole con queste palle propagandistiche. Se vogliono rinunciare allo stipendio, lo facciano e basta. E ci dicano poi come campano, perché io non ho ancora capito come fa Di Battista a pagarsi 8 mesi di ferie nelle spiagge equatoriali. Io, quando vado in ferie due settimane ad agosto, devo fare i conti con l’euro”.

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Europee 2019, gli errori di M5S sono stati vari ma ce n’è uno più grave degli altri

Europee 2019, la colpa della catastrofe M5S è soprattutto dei media

M5s, Di Maio: “Voto su Rousseau sul mio ruolo di capo politico”

“Non sono mai scappato dai miei doveri e se c’è qualcosa da cambiare nel Movimento lo faremo. Se ci sono strutture o luoghi decisionali da creare: lo faremo. Prima di ogni altra decisione, oggi però ho anche io il diritto di sapere cosa ne pensate voi del mio operato. Voglio sentire la voce dei cittadini che mi hanno eletto capo politico qualche anno fa. Quindi a voi la parola. Chiedo di mettere al voto degli iscritti su Rousseau il mio ruolo di capo politico, perché è giusto che siate voi ad esprimervi. Gli unici a cui devo rendere conto del mio operato”. Lo scrive in un post sul Blog delle Stelle Luigi Di Maio.

“Sarà tutto il Movimento 5 Stelle a scegliere. Se il Movimento rinnoverà la fiducia in me -aggiunge- allora ci metteremo al lavoro per cambiare tante cose che non vanno. Io personalmente con ancora più impegno e dedizione. La domanda a cui rispondere è: confermi Luigi Di Maio come capo politico del Movimento 5 Stelle? Le votazioni saranno aperte dalle 10 alle 20 di domani 30 maggio”.

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martedì 28 maggio 2019

M5s, Scanzi: “Di Maio doveva dimettersi. Ha quattro incarichi e lui non è Adenauer. Possibile leader? Vedo solo Di Battista”

Di Maio avrebbe dovuto dimettersi? Secondo me, sì, anche perché a oggi ha quattro incarichi. Neppure Adenauer si sarebbe potuto permettere quattro incarichi e fino a prova contraria non mi sembra che Di Maio assomigli ad Adenauer”. Così, a Otto e Mezzo (La7), il giornalista de Il Fatto Quotidiano, Andrea Scanzi, risponde alla conduttrice Lilli Gruber, che menziona le passate dimissioni di Matteo Renzi.

Scanzi osserva: “L’esempio di Renzi è il meno indicato, tenendo conto che, dopo aver perso il referendum del 4 dicembre 2016, promise più o meno 70 volte che avrebbe smesso con la politica. E oggi è ancora lì. Anche quando perse il 4 marzo 2018, fece una sorta di dimissione rallentata e posticipata. Prendo invece come esempio D’Alema, che nel 2000 si dimise per molto meno, perché perse le elezioni regionali”.

E torna su Di Maio: “Come fai a 32 anni a svolgere il ruolo di vicepresidente del Consiglio (che forse ha più potere del presidente del Consiglio) e ad avere due ministeri difficilissimi? Di Maio si è pure sopravvalutato, perché ha preso due ministeri che sono i più difficili di tutti gli altri e che esigono immediatamente delle risposte. In più, è leader politico. E’ chiaro che, come minimo, Di Maio non è più leader politico nel M5s. Il movimento non ha perso, ma ha straperso. Ha preso una batosta che ne bastava la metà”.

Poi aggiunge: “Se mi metto nella ottica dei 5 Stelle, vedo un problema duplice. Da una parte, loro sono in una sorta di cul-de-sac, cioè non appena si muovono, sbagliano. Se fanno saltare il banco, ed è l’unica strada che io vedo, comunque passeranno per coloro che sono stati irresponsabili per salvare se stessi. Dall’altra parte – continua – per avere le dimissioni di Di Maio, sono necessarie delle alternative. Io non vedo dietro il M5s un esercito di leader che possono rivestire il ruolo di capo di partito. Nel Pd, bene o male, qualcuno c’era. Nella Lega no, perché è il partito più monocratico che esista. Nei 5 Stelle mi viene in mente soltanto Di Battista. Non ne vedo altri”.

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M5s, Cacciari: “Deve affrontare Salvini sui propri temi. Di Battista leader? Ma fa così schifo la competenza?”

Io non godo affatto per la sconfitta dei 5 Stelle. Sia chiaro. I 5 Stelle hanno rivestito un ruolo socialmente molto importante in questo Paese: hanno tenuto rispetto a una marea potenziale di destra, che adesso però si sta concretizzando”. Sono le parole del filosofo Massimo Cacciari, ospite di Otto e Mezzo, su La7.

L’ex sindaco di Venezia aggiunge: “In situazioni di sconquasso sociale e di indebolimento del ceto medio, sempre cresce la “destra-destra”. Ed è quello che Salvini ha capito, a differenza del Pd che non ha compreso per nulla. I 5 Stelle hanno tenuto, non perché siano particolarmente intelligenti ma perché si sono collocati in una situazione che gli permetteva di fare da contenimento alla destra. Ora questa dighetta sta saltando. Auguri. Non sono affatto contento della cosa”.

E sottolinea: “Mi auguro che il M5s capisca e si riprenda. Come? Mettendo sul tavolo questioni importantissime di carattere sociale ed economico e dicendo alla Lega: ‘Volete la flat tax di Berlusconi? Ma scherziamo, neanche per idea. Vogliamo una patrimoniale seria perché così potremo affrontare i 40 miliardi di manovra. Salvini, non ci stai? Ti saluto”. Così sarà il M5s a mollare il governo. Questo devono fare i 5 Stelle. Ma devono farlo. Se non lo fanno, certamente alle prossime elezioni prendono il 7%”.

Circa la leadership di Di Battista nel M5s, Cacciari è tranchant: “Sarebbe forse l’uomo giusto per fare l’opposizione. Ma non si capisce che bisogna tornare a dare qualche valore alle competenze in politica? Se uno fa il ministro dei Trasporti, magari è il caso che sappia che cosa sia un tram. Fa proprio schifo la parola ‘competenza’ in politica? E’ meglio che un leader venga dalla strada? E’ chiaro che Di Battista non abbia proprio competenze. In Italia avremmo bisogno di grandi statisti, figurarsi Di Battista – continua – Sono d’accordo con Scanzi: certo, adesso i 5 Stelle, se continuano a essere succubi di Salvini in questo governo, scompaiono e, ripeto, non mi farebbe affatto piacere. Ma dovranno anche loro mettersi in testa di formare una classe politica decente. Non Di Maio, eccetera. Dovranno anche loro ragionare su questo aspetto, se vogliono continuare a esistere”.

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M5s, Fattori: “Di Maio? Non ha forza come leader, non è Berlinguer. Ha troppi ruoli senza farne bene nessuno”

Comunali 2019, la mappa del voto nei 27 capoluoghi: 11 eletti, 16 ballottaggi. Il M5s tagliato fuori: c’è solo a Campobasso

Salvini: “Lega si tiene pronta per governare Roma. Ultimatum di 30 giorni a Di Maio? Non l’ho mai dato”

Livorno, M5s fuori dal ballottaggio. La vice di Nogarin: “Scontato contratto con la Lega, perso elettori di sinistra”

M5s, il senatore Di Nicola si dimette da vicecapogruppo: “Atto necessario per discutere democraticamente tra noi”

Primo Di Nicola ha presentato le dimissioni da vicepresidente del gruppo parlamentare del Movimento 5 stelle al Senato. “E’ una decisione che ritengo necessaria”, ha scritto su Facebook il senatore e giornalista, “non solo alla luce del risultato elettorale ma anche e soprattutto delle cose che ci siamo detti in tanti incontri e assemblee. Mettere a disposizione del Movimento gli incarichi. È l’unico modo che conosco per favorire una discussione autenticamente democratica su quello che siamo e dove vogliamo andare”.

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Europee 2019, per superare il 30% basta non lavorare e farsi selfie in giro per il Paese

Europee 2019, la grande falla nella comunicazione dietro al tracollo 5 Stelle

lunedì 27 maggio 2019

Europee 2019, Travaglio: “M5s? Con questo esito apocalittico gli conviene forse tornare all’opposizione”

M5s? Sono talmente sconfitti che potrebbe davvero convenirgli un periodo di opposizione, durante il quale tentare di organizzarsi in una forma diversa, di recuperare i territori che sono stati completamente abbandonati, di prendere in mano quel progetto di riorganizzazione di cui si parla da almeno 3 anni e che non viene mai attuato. E di lasciare ad altri la responsabilità del governo”. Sono le parole del direttore de Il Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, nel corso di Otto e Mezzo, su La7.

E spiega: “Salvini, se vuole far cadere il governo, può farlo quando vuole. Se invece decide di non farlo cadere, almeno fino alla prossima primavera per scavallare la finanziaria e per evitare il caos estivo dello spread, dovrebbe diventare lui il garante della responsabilità e della stabilità di governo. I 5 Stelle potrebbero fare quello che ha fatto l’altro ieri Salvini – continua – cioè comportarsi in maniera più irresponsabile e fare i giamburrasca. A quel unto potrebbero scegliere loro il tema su cui far cadere il governo. E naturalmente se sono abili scelgono un tema che li riporti alla loro identità perduta, visto che il M5s nasce come movimento civico-ambientalista“.

Riguardo alle dimissioni del capo politico del M5s, Luigi Di Maio, Travaglio osserva: “Di fronte a questo risultato apocalittico, in un partito normale le dimissioni sarebbero anche poco e forse Di Maio, se potesse, preferirebbe restare ministro o vicepremier e lasciare la guida di un partito completamente da ricostruire sui territori a qualcun altro. Il problema è che non credo che possa, perché il M5s non è un partito normale. E’ una specie di monarchia elettiva a tempo che elegge un capo politico per 5 anni e quindi, essendo lui la faccia del disastro, adesso deve raccogliere i cocci e cercare di incollarne qualcuno”.

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Parlamento Ue, ecco gli italiani: rieletti e new entry, prof no Euro e il gestore del Papeete. Fino a cambiacasacca e indagati

Europee, Cattaneo: “Elettorato volatile. Il M5s perde verso non voto e Lega. Il Pd ha fermato emorragia ma non attrae”

Il Pd tiene, ma non attrae “nuovi voti”. Per esempio: le perdite del M5s non vanno verso i democratici ma verso l’astensione e verso la Lega. E se vorrà avere qualche chance di allargare il proprio elettorato il Pd – così come la Lega e i Cinquestelle – dovrà fare i conti con un arbitro “inflessibile”: l’elettorato del Sud. Sono le conclusioni dell’istituto Cattaneo di Bologna che come a ogni tornata elettorale ha effettuato l’analisi dei flussi elettorali, in questo caso dalle Politiche del 2018 alle Europee di due giorni fa.

Il Cattaneo sottolinea intanto che il primo partito è cambiato in tutte e tre le ultime tornate elettorali di livello nazionale: 2014 (Pd), 2018 (M5s) e 2019 (Lega). “Un dato – dicono i ricercatori coordinati da Marco Valbruzzi e Pasquale Colloca – che dimostra ancora una volta l’estrema volatilità dell’elettorato italiano e la disponibilità a cambiare il proprio comportamento di voto da un’elezione all’altra e da un leader all’altro. I segnali di maggiore turbolenza e incertezza elettorali arrivano in particolar modo dalle regioni del Sud, e non soltanto per l’aumentato divario nell’astensionismo, ma soprattutto per la loro estrema mobilità nelle scelte di voto”. Ne emergono indicazioni per le varie forze. “Se il Pd vorrà recuperare consensi, se la Lega vorrà radicarsi e diventare definitivamente un partito nazionale, se Forza Italia vorrà resistere al ‘fuoco amico’ della concorrenza elettorale interna alla coalizione (da parte di Salvini così come di Meloni) o se il M5s vorrà mantenere una sua quota rilevante di consensi, è al Sud e al suo elettorato difficilmente mobilitabile e fortemente mobile che dovranno prestare particolare attenzione”.

In un’altra analisi, curata da Rinaldo Vignati, il Cattaneo ha preso in considerazione alcune aree di Torino, Firenze, Napoli, Palermo e Brescia. Emerge che il partito sotto la nuova gestione di Nicola Zingaretti ha tenuto rispetto all’astensione e ha interrotto l’emorragia che negli anni scorsi aveva portato molti voti del suo bacino elettorale del M5s. Rimane però sostanzialmente isolato: il suo attuale elettorato è composto nella quasi totalità da elettori consolidati, eccezion fatta per l’apporto di Liberi e Uguali. Ma la capacità di penetrazione in altri bacini elettorali è quasi nulla: non si registrano, infatti, significative riconquiste di elettori Cinquestelle. L’analisi, secondo i ricercatori del Cattaneo dimostra due cose: la prima è che “il Pd è ancora vivo e ha una sua posizione consolidata”, l’altra è che “non è ancora tornato ad essere competitivo e non lo sarà finché non riuscirà a riconquistare i voti che oggi sono del Movimento 5 Stelle”.

Il Cattaneo ha poi analizzato vari collegi elettorali, da Nord a Sud, e rileva che circa un terzo degli elettori del M5s delle Politiche dell’anno scorso ha confermato il proprio voto, in molti hanno scelto l’astensione, qualcuno in meno è andato alla Lega, quasi nessuno è andato al Pd. Le perdite verso il non voto, soprattutto nella zona di Napoli, si aggirano attorno al 50%, mentre il “travaso” nei confronti della Lega è stato un fenomeno più consistente al Centro e al Nord che non al Sud. Fenomeno visibile anche a occhio nudo e con le percentuali, peraltro. La Lega, in compenso, ha pescato molto di più fra gli elettori di Forza Italia, che si sono diretti verso la Lega in una misura che va, a seconda dei collegi analizzati, tra il 20 e il 40 per cento dell’elettorato berlusconiano di un anno fa.

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Europee, Di Battista: “Atteggiamento dell’ultimo mese e mezzo andava assunto prima. Non farlo è stato un errore”

Dopo tre ore di vertice al Ministero dello Sviluppo economico, tra gli esponenti del Movimento 5 stelle c’è poca voglia di parlare. “Non ci sono novità da comunicarvi” si è limitato a commentare Luigi Di Maio. “L’atteggiamento dell’ultimo mese e mezzo andava assunto prima. Questo è stato senz’altro un errore” sono le parole di Alessandro Di Battista. Che ha aggiunto: “Il governo deve andare avanti”.

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Europee, la Sicilia rimane ai 5 stelle ma la Lega prima a Lampedusa e nel Messinese. L’appoggio dei Genovese? È un flop

L’ex partito del Nord è il più votato nell’estremo Sud d’Italia. A Lampedusa il partito di Matteo Salvini incassa il primato siciliano: il 45,85 % ha votato Lega. Cinque anni fa, in tutta l’Isola, il Carroccio aveva ottenuto lo 0,86%, alle politiche aveva preso il 5, ora passa al 20,77 perceto. La Sicilia, però, resta a trazione M5s che ottiene il 31,18 per cento, ed è il primo partito in tutte e 9 le province siciliane.  Il movimento di Luigi Di Maio contiene l’avanzata leghista in Sicilia, lasciando, infatti, il partito di Salvini secondo a Catania, Palermo, Caltanissetta, Ragusa, Siracusa e Trapani, e staccandolo ad Agrigento, Messina ed Enna, dove al photofinish si piazzano in seconda posizione, sempre dietro il M5s, Forza Italia nelle prime due province e il Pd ad Enna.

Uno smacco doppio, però, Salvini lo assesta nel Messinese dove la Lega è il primo partito a Brolo, paesino sui Nebrodi di 5700 anime (e regno del parlamentare di Fi, Nino Germanà), che ha da poco eletto per la quarta volta a sindaco, l’ex consigliere regionale del Pd, nonché vero e proprio ras del consenso, Pippo Laccoto. La piccola Brolo da sempre divisa tra i Germanà e Laccoto, alle europee registra Lega come primo partito, sebbene di un soffio, ovvero in vantaggio di 30 voti sul Pd e di 127 su Fi, incassando il 25,51 per cento delle preferenze. Rivincita di Salvini su Pd ed Fi, anche a Gela . Dopo la sconfitta alle Amministrative, infatti, la città del Petrolchimico torna alle urne, gratificando stavolta la Lega che risulta il primo partito solo due settimane dopo aver bocciato il candidato del Carroccio, Giuseppe Spata a favore di quello di Pd e Forza Italia. L’ex referente sul territorio di Libera, passato con Salvini, aveva perso la sfida a sindaco contro Lucio Greco. Ancora nel Messines, invece, il Carroccio vede irrobustirsi il consenso a Graniti, paese natìo del parlamentare Carmelo Lo Monte, politico di lungo corso, già vice presidente della Regione nel 1998. Nato politicamente nella Democrazia Cristiana, Lo Monte è salito sul Carroccio di Salvini solo dopo un lungo peregrinare tra i Popolari, i Socialisti e con il Movimento per l’Autonomia di Raffaele Lombardo. Approdato alla Lega già per le politiche del 2018, quando la Lega incassò  il 37,25 per cento: adesso segna il 44,97.

La Valle del Mela premia invece i 5 stelle che risultano primi in quasi tutti i comuni in cui ricadrebbe l’inceneritore bocciato dal ministro dell’Ambiente, Sergio Costa. Il M5s è infatti il primo partito a Milazzo, Pace del Mela, San Filippo del Mela, Gualtieri Sicaminò e Santa Lucia del Mela. Non un granché sembra invece aver fruttato l’appoggio elettorale di Francantonio Genovese al candidato del carroccio Angelo Attaguile, che nel Messinese, dove l’ex parlamentare gode di una pluridimostrata forza elettorale, raccoglie consensi restando, salvo rare occasioni, sempre dietro l’avvocata 40enne di Licata, Annalisa Tardino.

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Elezioni europee 2019, il direttore dell’Osservatore Romano: “La paura rende pazzi e spezza i legami”

Livorno, il candidato del Pd apre alla sinistra: “Più forti al ballottaggio”. Romiti (centrodestra): “Noi il cambiamento”

Elezioni Europee 2019, a Taranto il M5s resta primo partito (27,8%): nella città dell’ex Ilva perde consensi ma non crolla

Il Movimento 5 stelle resta il primo partito a Taranto. Nella città dell’ex Ilva, il “tradimento” del Governo sulla chiusura delle fonti inquinanti genera una perdita di consenso rispetto alle elezioni politiche del 2018, ma non il crollo che in tanti immaginavano. Alle Europee nel capoluogo ionico il M5s raccoglie 17845 voti che valgono il 27,77%. Il confronto rispetto a cinque anni fa è positivo: solo tre preferenze in meno. Diverso, invece, è il paragone con il 4 marzo 2018: in quella occasione con un plebiscitario 50% i Cinquestelle avevano fatto incetta di voti eleggendo ben 5 parlamentari. Ciò che è accaduto dopo è noto: le promesse di chiusura delle fonti inquinanti che avevano raccolto consensi si sono scontrate con le difficoltà, una volta al governo, e una parte delle associazioni tarantine si sono rivoltate contro quelli che definiscono “traditori”. Ed è principalmente per questo che nell’opinione pubblica Luigi Di Maio era destinato a registrare un clamoroso tonfo che, tuttavia, non c’è. Il Movimento, come detto, cala ma non crolla.

Forse il peso elettorale di associazioni ambientaliste e dello stesso “Comitato cittadini Liberi e pensanti” non è quello ipotizzato finora. Del resto anche i Verdi a Taranto, nonostante l’impegno costante degli anni scorsi di un leader come Angelo Bonelli, non sono mai riusciti a sfondare e nell’ultima tornato hanno ottenuto il 7%. Un’altra ipotesi è che la visita di Di Maio a Taranto lo scorso 24 aprile nel quale ha annunciato le azioni che saranno compiute per diversificare l’economia ionica, al momento legata mani e piedi all’industria siderurgica, sia stata efficace.

Quel giorno, accompagnato da ben quattro ministri, Di Maio definì tre percorsi: il primo su “Innovazione, lavoro e imprese” che sarà coordinato proprio dal Mise e dal ministro Lezzi. Il secondo sulla “riqualificazione urbana” a cura del ministro Bonisoli e infine quello su “Salute e ambiente sociale” che sarà gestito dai ministri Costa e Grillo. In quell’occasione promise di tornare il 24 giugno, a prescindere dal risultato elettorale delle europee.

Infine un dato di non poco conto è la percentuale dei votanti. A Taranto, ancora una volta il vero vincitore è l’astensionismo: alle urne si è recato solo il 42% degli aventi diritto. Una buona parte della città, rassegnata o indolente, ha scelto di non esercitare il proprio diritto di voto.

Nella terra dell’acciaio, la seconda notizia eclatante è il 25% della Lega che diventa il secondo partito della città. Un fenomeno non del tutto inatteso visto che anche la famiglia Cito ha abbracciato Matteo Salvini. Eppure c’è stato un tempo in cui Giancarlo Cito, ex sindaco e parlamentare poi condannato definitivamente per concorso esterno in associazione mafiosa, con la sua lista civica combatteva – anche fisicamente – la Lega Nord di Umberto Bossi che a Chioggia chiedeva la secessione. Pochi giorni fa, invece, Mario Cito, figlio ed erede di Giancarlo, pubblicava sui social il selfie con il ministro dell’Interno mentre la stessa Lega si affannava a smentire qualunque alleanza con i Cito.

L’ultima nota dal capoluogo ionico, infine, è il risultato del Partito democratico: i dem di Zingaretti pagano ancora i danni collaterali dell’inchiesta su Ilva “ambiente svenduto” che pur non avendo ufficialmente coinvolto esponenti del partito, ha svelato la rete di contatti su cui i Riva potevano contare anche nel Pd. Alle urne il Pd supera di poco il 17%: un esito imparagonabile con il 36% conseguito nel 2014, ma che è un piccolo segnale di ripresa rispetto al 13% delle politiche 2018.

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Europee 2019: per salvare il salvabile nel M5s, Di Maio deve farsi da parte

M5s, Paragone: ‘Non minimizziamo, capire senso sconfitta’. Buffagni: ‘Ripartire con umiltà e più partecipazione’

Elezioni Europee 2019, M5s resta senza i numeri per il nuovo gruppo: tra alleati, solo i croati hanno preso un seggio

Se il Movimento 5 stelle vorrà creare un nuovo gruppo nel Parlamento europeo, dovrà cercare altri alleati. Infatti, dei quattro partiti che avrebbero dovuto farne parte oltre al M5s, solo i croati di Zivi Zid porterà un eurodeputato a Strasburgo. Gli altri non hanno superato le soglie di sbarramento e sono rimasti senza seggi: in Polonia il partito nazionalista Kukiz15 resta fuori con il 3,69% delle preferenze, il finlandese Liike Nyt dell’imprenditore Harry Harkimo non ottiene seggi, così come gli estoni di Elurikkuse Erakond. Neanche Akkel, partito greco guidato da Evangelios Tsiobanidis, supera la soglia di sbarramento del 3 per cento. Il progetto originario è fallito, come ha ammesso lo stesso Luigi Di Maio in conferenza stampa al Mise: “Nelle prossima ore avvieremo una interlocuzione per capire in che Gruppo andare”. Il capo politico M5s ne parlerà con Fabio Massimo Castaldo, importante esponente Cinquestelle a Strasburgo, dove è anche vicepresidente del Parlamento Ue.

Era stato proprio Di Maio a girare l’Europa in cerca di nuove alleanze, per permettere al M5s di uscire dal gruppo di cui attualmente fa parte: quel Efdd dove oltre al Brexit Party di Nigel Farage, c’erano i francesi di Debout La France e Les Patriotes, il Partito dei Liberi Cittadini ceco e l’ultradestra tedesca di Alternative fuer Deutschland. Un gruppo di cui non si conosce ancora il destino, visto che Farage potrebbe cedere alle lusinghe di Matteo Salvini e Marine Le Pen. Così come anche i populisti di Germania potrebbero confluire nei sovranisti.

Dar vita a un nuovo gruppo per coloro che “non si riconoscono nella destra e nella sinistra, per coloro che parlano di democrazia partecipata“, diceva Di Maio nel febbraio scorso presentando i dieci punti del manifesto degli alleati. Al centro dovevano esserci democrazia diretta, lotta alla burocrazia, sostegno al “made in”, lotta alla corruzione, sovranità nazionale. Ma solo Zivi Zis, il partito croato cresciuto con le occupazioni delle proprietà pignorate dalle banche, è riuscito a superare la soglia di sbarramento, ottenendo comunque appena un seggio. Per formare un gruppo a Strasburgo servono 25 europarlamentari (il M5s ne avrà 14) che siano però in rappresentanza di almeno 7 Paesi.

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Europee, analisi dei flussi Swg: “La Lega prosciuga M5s e Forza Italia. Il 40% degli ex elettori 5 stelle si è astenuto”

Il boom della Lega alle elezioni Europee arriva soprattutto da due fonti: il Movimento 5 stelle e Forza Italia. Il partito di Matteo Salvini, infatti, cresce ovunque da Nord a Sud grazie ai voti sottratti agli alleati di governo e a quelli del centrodestra. Almeno secondo l’analisi dei flussi del voto realizzata da Swg che delinea un quadro in cui il Carroccio è il nuovo partito della Nazione. La Lega, infatti, guadagna 3 milioni di voti contro i 6 milioni di voti persi dal M5S. Un tracollo per i grillini che subiscono un travaso di preferenze verso il Carroccio e, in parte minore, verso il Pd. Inoltre, i 5 Stelle perdono anche l’elettorato che finora li aveva premiati maggiormente: i giovani che stavolta invece hanno scelto la Lega e il Pd.

Il partito di Salvini, che passa dal 17,4% delle politiche 2018 al 34,3, “prosciuga M5S e Fi, convince gli astenuti”, si legge nell’analisi Swg. Il Pd invece che recupera passando dal 18,7 al 22,7%, guadagna voti dai 5 Stelle (7%), da Leu (6%) e dall’astensionismo (10%) ma nonostante il buon risultato i dem perdono circa 114mila voti rispetto al 2018: il 4 marzo, infatti, si votava per le politiche e dunque l’affluenza era più alta del 56% di ieri. Il Movimento 5 Stelle subisce un drastico ridimensionamento (32,7% del 2018 al 17,1%) e i delusi M5S vanno verso l’astensionismo (38%), verso la Lega (14%) e verso il Pd (4%).  Forza Italia – che dal 14,4% scende al 8,8 – viene spinta sotto il 10 percento dall’astensionismo e dal richiamo leghista (20%).

Per quanto riguarda l’affermazione sul territorio la Lega guadagna ovunque, il M5S “frana decisamente al Sud, in calo netto in tutto il Paese”, il Pd cresce solo a Nordest, mentre cala nelle altre aree, continua sempre l’analisi Swg. Guardando alle fasce di età gli over 50 vanno in massa verso la Lega, si allontanano da M5S e Fi. Tra i quarantenni c’è un travaso di voti da M5S alla Lega che piace anche ai Millennials: i 5 Stelle perdono il 15% dei voti tra i giovani e vanno a -25 percentro tra i neovotanti. Guadagnano Lega e anche il Pd. Sempre il partito di  Salvini va bene sia tra gli operai (quasi la metà vota Lega) e anche tra i professionisti.

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Zingaretti: “Pd non aumenta voti? Bipolarismo Lega-M5s finito. Primo passo per alternativa”. E provoca i 5 Stelle

Salvini: “Su autonomia e Tav il mandato degli elettori è chiaro: ‘andate e fate’. Esiste già cronoprogramma”

Europee 2019, la lezione di Salvini a chi si aggrappa a striscioni e a finti Zorro

Elezioni europee 2019, crescono sovranisti ma si prospetta una maggioranza a tre con Popolari, Liberali e Socialisti

sabato 25 maggio 2019

Parlamento Ue, M5s è il più “ribelle”: solo il 54% delle volte ha votato come il suo gruppo. Pd il più fedele

I 5 Stelle sono i più “ribelli” degli italiani al Parlamento europeo: hanno votato nel 99% dei casi rimanendo fedeli al partito nazionale ma solo il 54% delle volte hanno espresso una posizione comune con il gruppo di appartenenza in aula (Efdd in questa legislatura). Lo evidenzia il report di Openpolis, che evidenzia anche presenze, assenze e influenza di europarlamentari nel corso dell’ultima legislatura. Nell’analisi tra la fedeltà al gruppo europeo e la fedeltà al partito nazionale, il dossier evidenzia differenze ampie. Pur tenendo presente che i parlamentari sono liberi di votare come ritengono opportuno visto che non c’è vincolo di mandato, quando un eletto vota diversamente dalle indicazioni del gruppo politico di appartenenza, il suo voto viene definito “ribelle” da Openpolis. I più fedeli al gruppo di appartenenza sono gli eurodeputati Pd (95,15%) seguiti da Forza Italia (91,35%) e Lega (63,69). Ultimi, cioè primi in classifica dei ribelli, gli eletti a Bruxelles dei 5 Stelle. Sono loro però, tra questi quattro partiti, quelli che hanno votato rimanendo aderenti alle scelte del partito nazionale, percentuale che diventa del 98,81 per il Carroccio, del 97,32 per gli eurodeputati forzisti e 97,03 per i dem.

Complessivamente gli eurodeputati italiani sono molto fedeli al partito nazionale (97,8%) e molto meno al gruppo del parlamento europeo (82,13%). Tuttavia, è il dato relativo a Lega e M5s ad abbassare notevolmente la media della fedeltà al gruppo: la percentuale di voti fedeli al gruppo è infatti pari rispettivamente al 63,69% e al 54,04%. Per fare un esempio – scrive il report – “il 17 settembre del 2015, in occasione del voto per il ricollocamento urgente di 120 mila migranti, i parlamentari del M5s hanno votato compatti a favore della misura, dunque contro il proprio gruppo, l’Efdd. Un caso più recente – si legge ancora – è quello della riforma sul copyright: in questo caso gli europarlamentari di Lega e 5 stelle si sono astenuti, mentre Efdd, il gruppo a cui appartiene il M5s, aveva dato indicazione di votare contro, e il gruppo a cui appartiene la Lega, Enf, aveva dato indicazione di votare a favore. La fedeltà al partito è invece sempre alta, superiore al 97%, fino a toccare il 99,34% per il M5s.

Per quanto riguarda le presenze alle sedute, oltre la metà degli eurodeputati italiani ha partecipato ad almeno il 90% delle votazioni. Tuttavia, quasi il 7% è stato presente a meno del 70% dei voti. I più presenti sono gli esponenti del Sudtiroler Volkspartei, seguiti da Movimento 5 Stelle e Sinistra italiana. Ultimi Unione di centro, Forza Italia e Fratelli d’Italia.

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M5s, Di Maio: “Unico nostro alleato è il contratto di governo. Ora basta schiaffi, siamo stati troppo buoni”

Europee, M5s chiude la campagna a Roma. Ma nel momento clou in piazza non c’è il pienone: le immagini dall’alto

Lega, tra Giorgetti e Maroni scambi di accuse e messaggi incrociati sui 49 milioni

venerdì 24 maggio 2019

M5s, Casaleggio: “Con l’esempio siamo riusciti ad arrivare al governo, ma la marcia ancora lunga”

“Con l’esempio siamo riusciti ad arrivare al governo. Il vero cuore del M5s siete voi, noi, con le nostre proposte dal basso. Le persone che si svegliano la mattina per cambiare un mondo che non ci rappresenta. Lo facciamo noi, in prima persona, non prendendo privilegi che non ci appartengono, non cercando di pensare che siamo al di sopra delle regole”. Lo ha detto il presidente dell’associazione Rousseau, Davide Casaleggio, parlando dal palco in piazza Bocca della Verità a Roma, per la chiusura della campagna elettorale per le Europee del M5s.

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Europee, bagno di folla per Di Battista: “Governo? Dopo voto non cambia nulla”. Poi scherza: “Senza donazioni, no selfie”

Accolto tra l’euforia dei militanti pentastellati, l’ex deputato Alessandro Di Battista si è presentato a Roma alla chiusura della campagna elettorale del M5s. “Dopo il voto delle Europee non cambierà nulla. Le opposizioni non vogliono il voto, noi non lo vogliamo di certo, abbiamo tante cose da fare, dal reddito minimo al conflitto d’interessi”, è convinto l’ex deputato. E ancora: “Se Salvini decidesse di far saltare il governo? Non commento i ‘se’, vedrete che dopo che sarà votato il taglio dei parlamentari nessuno vorrà tornare al voto”, ha insistito.
E sull’assenza di Beppe Grillo per la chiusura della campagna elettorale del M5s ha tagliato corto: “Lo avete sempre sentito dire che il M5s sarebbe andato avanti con le proprie gambe…”. Poi, pressato dai militanti, Di Battista si è dedicato a selfie e autografi. Scherzando con gli stessi simpatizzanti M5s che lo hanno seguito allo stand dei gadget del Movimento: “Senza donazioni, niente selfie”.

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De Luca: “Di Maio? Sua massima responsabilità vendere chinotti e noccioline allo stadio con Genny La Carogna”

“Cosa succederà nel governo dopo le europee? Ma li avete visti in faccia questi? La mia previsione è che continueremo ad avere un governo di squinternati“. Così, nel suo consueto appuntamento settimanale su Lira Tv, il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, si pronuncia sull’esito delle imminenti elezioni europee.
“Ci saranno ovviamente spostamenti elettorali – continua – Ma se devo ragionare sulle prove di coerenza, visto che gli esponenti di questo governo hanno fatto della coerenza l’ultimo dei requisiti, mi aspetto che non cambi assolutamente niente. Sarà una palude peggio di prima. Però, siccome l’Italia è un Paese creativo, abbiamo perlomeno il diritto a non rinunciare alla speranza. E che vi devo dire?”.

De Luca è un fiume in piena contro il governo gialloverde: “Ci troviamo di fronte a questo straccio di governo che ci fa vergognare davanti al mondo intero. Nelle istituzioni abbiamo gente che ci fa vergognare. Non è questa l’Italia per la quale è morto Giovanni Falcone. Questi esponenti di governo stanno dando uno spettacolo indecente ormai da mesi. Quello che mi sconvolge è la mancanza di dignità di Salvini e di Di Maio. Nella politica puoi essere di centro, di destra, di sinistra, di niente, ma l’unica cosa che non ti puoi consentire è la mancanza di dignità. Bisognerebbe spiegare anche a questi litiganti che la cafoneria non ha mai cambiato il mondo“.

Il politico dem si sofferma sulla querelle tra Salvini e Di Maio circa la revisione della norma sull’abuso d’ufficio: “Devo dire che il cittadino Di Maio si è immortalato per la quantità di idiozie che è stato capace di dire in una sola dichiarazione. Noi oggi abbiamo la legge Severino: a mio parere, dà una lettura dell’abuso in atto d’ufficio che configura la norma più a difesa della casta e più ostile nei confronti delle persone perbene. L’attuale normativa sull’abuso in atto d’ufficio prevede che per una condanna in primo grado un funzionario pubblico riceve automaticamente il dimezzamento dello stipendio, il demansionamento, lo spostamento a settori non operativi – continua – Un amministratore locale, invece, viene sospeso per un anno e mezzo. La cosa incredibile è che questa norma non vale per i ministri, i viceministri, i sottosegretari, i parlamentari. Quindi, è una legge a favore della casta. Pensate che qualcuno dei 5 Stelle abbia avuto la decenza di proporre l’applicazione della legge anche agli altri? No. Essendo gente malata di ipocrisia nel midollo, fanno finta di fare i moralisti, ma intanto si mantengono i privilegi della casta per una legge demenziale, che è una idiozia”.

E rincara su Di Maio: “Il cittadino Di Maio oggi è il principale difensore dei privilegi della casta. Questa è gente che non ha mai lavorato e non ha mai amministrato seriamente, quindi si può consentire il lusso di continuare a raccontare scemenze. Su questo il Di Maio si è coperto di gloria. Chi è che fa la battaglia di moralizzazione? Nientedimeno che il cittadino Di Maio, che, quando viene in Campania, vive in un appartamento abusivo di 150 mq, condonato per 3mila euro – prosegue – E un altro signore dei 5 Stelle (Alessandro Di Battista, ndr), quello che si fa 8 mesi di ferie al sole delle spiagge equatoriali, è col padre co-titolare di una società che ha fatto evasione fiscale e lavoro nero. Siccome in Italia c’è una fase di narcotizzazione, che per fortuna si sta diradando, questi soggetti si permettono perfino di fare i moralizzatori da 4 soldi. La morale la si pratica, non la si predica”.

De Luca aggiunge: “Fare i moralisti quando nella vita si sono spesi gli anni solo per parlare è semplice. E’ complicato mantenere il proprio rigore e la propria dignità quando sei impegnato nel lavoro vero di trasformazione della realtà. Ma questi non hanno mai fatto niente. Il massimo di responsabilità che hanno avuto alcuni di loro è quello di vendere gassose, chinotti, noccioline americane in qualche stadio insieme a Genny la carogna. Questo è il massimo impegno lavorativo che hanno prodotti questi giovanotti”.

Monito finale al capo dei 5 Stelle: “Ho visto cosa ha detto il cittadino Di Maio sul presidente della Regione Lombardia. Vorrei dire a questi signori: ma per voi la Costituzione vale o non vale? Un cittadino italiano, secondo la Costituzione, è innocente fino a giudizio definitivo. Quindi, dovete avere il garbo, la buona educazione di rispettare i cittadini italiani. Attilio Fontana è una persona perbene. Lasciamo che siano i magistrati a giudicare la moralità delle persone, non i politicanti da 4 soldi. Dietro a una persona ci sono dei figli, una famiglia, delle relazioni umane. Questa persona va rispettata. Sono principi di garbo istituzionale e perfino di sensibilità umana, che è inutile chiedere ad alcuni di questi sedicenti governatori del Paese”.

De Luca chiosa: “Gli ultimi dati Istat danno quest’anno un incremento del 75% di cassa integrazione. La propensione al propagandismo è diventata veramente insopportabile. Quante volte abbiamo sentito parlare della legge Sblocca Cantieri? Questa legge non è ancora operativa. Bisogna approvare decine di regolamenti e di norme attuative. Non c’è niente. E’ fumo con la manovella“.

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Europee, Di Maio: “Dopo il voto non cambia nulla. Il M5s ha la maggioranza in Parlamento e al governo. Così rimarrà”

Niente rimpasto dopo il voto. Lo ha detto due giorni fa Giancarlo Giorgetti, lo ribadisce oggi Luigi Di Maio. “Non ho mai capito perché le elezioni europee dovrebbero cambiare il Parlamento italiano. M5S ha il 36% del Parlamento italiano, ha la maggioranza assoluta in Consiglio dei ministri e così rimarrà, io non intenzione di parlare di poltrone da lunedì ma di chiedere abbassamento delle tasse per le imprese e per le famiglie, salario minimo orario da realizzare, il decreto Famiglia, la legge sul conflitto di interessi per aiutare gli imprenditori onesti, che sono la maggioranza di questo Paese”, ha detto il leader del Movimento 5 stelle nell’ultimo giorno di campagna elettorale.

Stesse parole, più o meno, di quelle usate dal potente sottosegretario leghista. “Se cambiano gli equilibri (tra Lega e M5s, ndr) la mia priorità è la flat tax”, aveva detto Giorgetti il 22 maggio. E infatti Di Maio è alla Lega che lancia un messaggio: “Se ogni giorno la Lega minaccia la crisi di governo allora devo pensare che stia chiedendo il voto per aprire la crisi lunedì”, attacca il ministro dello Sviluppo Economico. Secondo il quale, la pace all’interno dell’esecutivo può tornare “se la Lega assume posizioni più ragionevoli. Sulla corruzione non si può chiedere al M5s di stare zitto se il sottosegretario Siri era indagato. E’ da lì che sono nate le tensioni. Come non ci possono chiedere di abolire l’abuso di ufficio”. Dichiarazioni alle quali Matteo Salvini risponde con una smentita: “Se voglio fare cadere il governo? Sono fantasie, io rispondo coi fatti, col lavoro“, dice il ministro dell’Interno ai giornalisti che gli chiedono se voglia portare più voti possibili alla Lega per buttare giù il governo. “Non rispondo al nulla”, dice.

Le accuse di Di Maio, infatti, sono circoscritte:  “Qualcuno pensa che da lunedì cambi tutto da un punto di vista dei rapporti, io invece dico che per me questo governo deve andare avanti ma, se un ministro dice ‘aboliamo il reato di abuso d’ufficio e ha il governatore della Lombardia della Lega indagato per abuso d’ufficio, qui sembra di tornare all’epoca della leggi ad partitum. Prima erano ad personam adesso si vogliono fare ad partitum“. Di Maio ha anche immaginato – provocatoriamente – un futuro senza 5 stelle al governo: “Immaginate per un attimo come sarebbe l‘Italia senza il MoVimento 5 Stelle: avremmo Berlusconi ministro della Giustizia, ci sarebbero ancora i condannati nella pubblica amministrazione e i parlamentari avrebbero uno stipendio più alto come aveva proposto il Pd”. Così su Facebook il vicepremier e leader M5S Luigi Di Maio. “Per fortuna – aggiunge – è una situazione che possiamo solo immaginare, e vi prometto una cosa: abbiamo ancora 4 anni di lavoro al governo, non li faremo tornare”.

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Radio Radicale, Salvini: “Non cambio idea, sarebbe sciocco chiuderla dalla sera alla mattina”. E attacca ministro Costa

Radio Radicale? Chiudere una testata giornalistica con un emendamento dalla sera alla mattina mi sembra sciocco. Almeno diamo del tempo“. Sono le parole del ministro dell’Interno, Matteo Salvini, intervistato su Radio Radicale dal direttore Alessio Falconio.

E spiega: “Se credo in qualcosa, lo dico prima, durante e dopo il voto. Vale per l’autonomia, per le tasse, per i migranti e anche per l’informazione. Razionalizzare è giusto, però abbiamo un’azienda di servizio Radio televisivo con 13 mila dipendenti, molti dei quali fanno il loro lavoro ma alcuni dei quali sono strapagati per fare poco e niente. Gradirei partire da lì per un ridimensionamento dei costi perché ogni giornale locale, ogni radio, ogni televisione privata che chiude è un pezzo di storia che se ne va“.

Stoccata al ministro dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio, non solo sul caso Radio Radicale, ma anche sulla revisione della la norma relativa all’abuso d’ufficio, più volte auspicata dallo stesso Salvini: “Di Maio è contro il presidente del Consiglio Conte, ma anche contro il presidente presidente dell’Anticorruzione Cantone. Un conto è mettere in galera i ladri, i mafiosi, i corruttori, i corrotti, un altro conto è bloccare l’intero Paese. Ormai c’è la paura a firmare qualunque atto, qualunque autorizzazione, qualunque bilancio perché non si sa mai”.

E attacca il ministro M5s dell’Ambiente, Sergio Costa: “Io voglio un’Italia che corre e che fa. Per me gli imprenditori, i sindaci, gli amministratori e i presidenti delle società sportive sono persone perbene. Se qualcuno sbaglia, va in galera. Ma non è che possiamo bloccare tutto. Vi pare normale che oggi il ministro Costa abbia mandato uomini per bloccare la Pedemontana in Veneto? E’ la più grande opera pubblica in costruzione con migliaia di posti di lavoro e finanziata dai privati. Ragazzi, non possiamo essere il Paese dei no, dei blocchi, dei forse”.
Salvini conclude: “Spero che da lunedì tutti ritrovino serenità e si torni a lavorare come abbiamo fatto nei mesi passati”.

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Europee, l’appello per La Sinistra dei 5 stelle delusi: “Soluzione per alleanza M5s-Pd. No al governo con la Lega”

Hanno sostenuto il Movimento 5 stelle pubblicamente. Ma sono rimasti delusi dal governo con la Lega. E adesso lanciano un appello: alle europee gli elettori grillini delusi votino per La Sinistra. È un vero e proprio invito al voto quello di Aldo Giannuli, politologo e storico, Domenico De Masi, sociologo del lavoro, e Ivano Marescotti, attore e regista teatrale. I tre ormai ex sostenitori de 5 stelle hanno scritto una dichiarazione pubblica per spiegare i motivi della scelta per le elezioni europee.

“Noi – scrivono – abbiamo sostenuto, militato o anche semplicemente collaborato con il M5s, convinti che potesse essere una valida via d’uscita dal sistema della seconda Repubblica ed il portatore di interessi popolari da troppo tempo disattesi. Dopo, l’innaturale alleanza di governo con la Lega ha spento – almeno per ora – queste speranze e ne fanno fede i troppi cedimenti alle imposizioni leghiste (citiamo per tutti il caso Diciotti, il voto alle leggi in materia di sicurezza e legittima difesa). Nella attuale conformazione del sistema politico c’è una sola possibile alleanza alternativa a quella attuale: quella fra M5s, Pd e Sinistra, ma tanto il M5s quanto il Pd non sembrano affatto orientati in questo senso. D’altro canto una alleanza fra M5s e Pd non è oggi praticabile sin quando essi resteranno come sono”.

L’obiettivo dei tre, dunque, è lo stesso ventilato subito dopo le politiche del 4 marzo 2018: un governo tra Pd e M5s. “Si rende necessario – continuano Marescotti, De Masi e Giannuli – che il Pd faccia una severa autocritica del suo corso neo liberista e delle sciagurate leggi che ne sono derivate e cancelli ogni residuo del renzismo e che il M5s adotti un approccio più meditato e realistico ai problemi politici ed economici del Paese, che torni ad essere il M5s di Roberto Casaleggio e sia più democratico al suo interno – aggiungono -. Un successo della lista La Sinistra (unica formazione che ritenga possibile questa alleanza) avrebbe la funzione di spingere in questa direzione e di creare un gruppo di pressione per il rinnovamento dei due partiti. La stessa dichiarazione di voto di Fiorella Mannoia a favore de La Sinistra, che rimette in discussione la sua scelta precedente per il Movimento 5 Stelle, incoraggia noi e ci auguriamo molti altri, a dare un segnale esplicito nella direzione di un cambiamento radicale. Per queste ragioni invitiamo gli elettori del M5s, e quelli insoddisfatti dell’attuale stato di cose, a riflettere sull’opportunità di contribuire conseguentemente con il proprio voto a questa svolta politica”.

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