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venerdì 31 gennaio 2020

M5s, espulsa deputata Frate: ‘Vogliono esercito di silenti esecutori. Hanno spocchia da salotti’. Nel 2019 non si è mai tagliata stipendio

Passate le elezioni Regionali, il capo politico reggente del M5s Vito Crimi ha riaperto il dossier sanzioni per le mancate restituzioni dello stipendio da parte degli eletti del Movimento. Oggi è stata comunicata l’espulsione della deputata Flora Frate, parlamentare al primo mandato eletta in Campania, che a inizio gennaio aveva giustificato il suo ritardo nei rimborsi dicendo di volere “trasparenza” sulla destinazione e sulla gestione della piattaforma Rousseau. Secondo il sito tirendiconto.it, nel 2019 Frate non si è mai tagliata l’indennità percepita mensilmente. “Mi è stata comunicata l’espulsione dal Movimento 5 stelle.”, ha scritto in queste ore sul suo profilo Facebook. “Ne prendo atto e mi spiace. Per loro, si intende. Devo al M5s un atto di fiducia nei miei confronti, che io ho provato a ricambiare portando nel Movimento proposte, contributi, argomenti, sensibilità. Ma questo, mi pare palese, non è servito ad essere considerata una risorsa; si preferisce, credo, un esercito di silenti esecutori“.

Frate ha anche risposto a chi ne criticava le “assenze”: “Trovo disgustoso che, tra le motivazioni a sostegno del provvedimento di espulsione, si annoverino mie presunte assenze”, si legge ancora nel post. “E non solo per una specifica condizione di diritto che mi consente di fruirne, ma, ancor di più, per la totale mancanza di rispetto del nostro lavoro. Un parlamentare non è un dipendente del partito, ma rappresenta la Nazione intera. Il nostro dovere è quello di non perdere il contatto coi territori, non abbandonare la gente, irrobustire il confronto e sperimentare ostinatamente la ricerca della sintesi. Qualcuno, invece, ritiene che si debba starsene rintanati negli uffici romani. E gli effetti si vedono”. Secondo Frate, il problema del M5s è quello di aver abbandonato i territori: “Da circa due anni il M5s perde sistematicamente voti, in modo irreparabile. Forse non bastano quei tanto sbandierati 40 provvedimenti se poi, come sulla #scuola, si lancia una crociata ideologica contro i precari, additando i sindacati di colpe e responsabilità inesistenti. Avessimo ascoltato di più i cittadini, rinunciando a tanta spocchia salottiera, proponendoci di risolverli i problemi piuttosto che imporre la nostra visione, si sarebbe potuta arrestare questa inesorabile china”. Frate ha quindi concluso dicendo di essere stata attaccata dai suoi colleghi: “C’ho provato a fare la differenza, ce l’ho messa davvero tutta, anche sopportando pesanti aggressioni verbali. Solo pochi giorni fa ho espresso le mie idee in vista degli Stati Generali, auspicando un confronto autentico ed inclusivo. Mi sono sbagliata. Evidentemente, alcune decisioni sono già prese e non si vuole ascoltare chi ha una posizione alternativa”. E ha chiuso: “Da oggi potrò sostenere le mie tesi con ancora più forza e convinzione. A cominciare dalla scuola e dalla #lotta dei #precari. Provo rammarico per alcuni compagni di viaggio coi quali ho lavorato bene e che forse, chissà, incontrerò in percorsi nuovi e più stimolanti”.

Dopo l’esame del dossier “rendicontazioni” da parte del collegio dei probiviri sarebbe passato all’attenzione del nuovo capo politico a cui spetta il compito di controfirmare i provvedimenti. L’intento di Crimi sarebbe quello di cercare di ricomporre la spaccatura che si è creata nel M5s con chi si è detto restio a “rendicontare” per ragioni di principio. In molti tra quelli finiti nel mirino hanno iniziato a saldare il loro debito, ma sono ancora una manciata i parlamentari M5s che non hanno versato nulla per tutto il 2019, oltre quelli che sono già passati al gruppo Misto. Per loro sarebbe in arrivo l’espulsione mentre dovrebbero essere solo un paio quelli che sono ancora nei gruppi M5s e a cui dovrebbe arrivare la sanzione massima. Per gli altri l’ipotesi è di far ricorso a misure alternative, come la sospensione o il richiamo. Tra chi non ha versato nulla figurano ancora i deputati Nicola Acunzo, Paolo Niccolò Romano, Andrea Vallascas e al Senato Alfonso Ciampolillo e Mario Michele Giarrusso.

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Prescrizione, se il M5s ci rinuncia si condanna a sparire

di Andrea Taffi

Il Movimento 5 stelle, dopo il disastroso risultato elettorale dell’Emilia Romagna, è sempre più al centro dell’attenzione: il tema (peraltro non nuovo) è di quelli sostanziali, nel senso che si parla (e straparla?) in continuazione della loro stessa futura esistenza, della continuità politica dei 5 stelle e del loro bagaglio morale.

Del resto (suvvia, facciamo gli onesti) che fare di diverso? Il loro capo politico si dimette, gli elettori li lasciano, e, nella migliore delle ipotesi, tornano a votare i vecchi partiti di origine. I deputati e i senatori 5 stelle o vengono cacciati o se ne vanno per conto loro (e non importa che talvolta siano addirittura messi davanti alla necessità di farlo). Insomma, vecchie, antiche dinamiche, mai morte, di un movimento di fatto diventato partito che (tra tante difficoltà e qualche incoerenza) prova a governare dando (per quanto consentito) cose legislativamente buone a un Paese che ne ha veramente bisogno.

Un buon esempio (secondo me) di questa buona legislazione è dato dalla legge di riforma della prescrizione, entrata in vigore il primo gennaio scorso, fermamente voluta dai 5 stelle e da subito criticata e osteggiata da tutti i loro alleati di governo, passati e presenti, convinti o presunti che siano stati o che siano. Ma non voglio qui parlare della bontà della legge di riforma della prescrizione. Quello che voglio dire è che questa legge, dopo la nuova sconfitta elettorale del Movimento 5 stelle, rischia di diventare l’agnello sacrificale che i 5 stelle potrebbero dover immolare per rimanere al governo.

Infatti, adesso che il Partito Democratico sembra più forte di una settimana fa e adesso che il partito di Renzi (attratto dal “sangue elettorale” versato dai 5 stelle) si fa pericolosamente aggressivo, il fronte anti-riforma della prescrizione, fronte che secondo me non disdegna strizzatine d’occhio all’opposizione di destra, diventa più consistente. E il pericolo è che (grazie anche alla mediazione in buona fede del presidente del Consiglio Giuseppe Conte) la legge sulla prescrizione salti.

Beh, se questo dovesse accadere, se il Movimento 5 stelle cedesse alla nuova forza elettorale del Pd, allora sì che si autosuonerebbe la messa funebre, condannandosi all’autodistruzione, dandosi quella spallata che altri vorrebbero dargli.

La legge sulla prescrizione è (secondo me) l’ultima bandiera, quella sotto la quale si organizza la resistenza. E non importa se quella resistenza rischia di essere l’ultima, perché il Pd (o chi altro) farà cadere il governo. Perché resistere sulla prescrizione da parte dei 5 stelle significa una sola cosa: salvare la propria purezza, la propria dignità. Poi, se qualcuno proprio non sopporta una legge sacrosanta come quella di riforma della prescrizione, dovrà dirci perché quella stessa legge fa più paura di Salvini e delle destre al governo.

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giovedì 30 gennaio 2020

Sono le Venti (Nove), Di Nicola (M5s): “Senato restituisce i vitalizi? Uno scandalo. L’organo che decide è in conflitto d’interessi”

L’organo che decide di restituire i vitalizi ai politici è in conflitto d’interessi, perché è composto da persone che ne beneficerebbero. Quei vitalizi sono un autentico scandalo“. A parlare a Sono le Venti, il programma di Peter Gomez in onda sul Nove dalle 19.55, è il senatore del M5s, Primo Di Nicola. Il riferimento è alla decisione della commissione Contenziosa di Palazzo Madama, rivelata in esclusiva da Il Fatto Quotidiano, che ha già pronta una delibera per ripristinare l’assegno per 700 senatori.

SONO LE VENTI, il nuovo programma di Peter Gomez, è prodotto da Loft Produzioni per Discovery Italia e sarà disponibile anche su Dplay (sul sito www.it.dplay.com – o scarica l’app su App Store o Google Play) e su sito www.iloft.it e app di Loft. Nove è visibile al canale 9 del Digitale Terrestre, su Sky Canale 149 e Tivùsat Canale 9

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M5s, smettiamo di guardarci allo specchio e coinvolgiamo la società civile. In Campania è iniziato un vero confronto

È il momento di accendere i motori elettrici ed ecologici per il M5s e continuare a coinvolgere le migliori professionalità, esperienze e passione della società civile e della politica in tutte le regioni e in tutti i comuni in cui andremo al voto. Scegliere parole e azioni coraggiose per promuovere uno choc di partecipazione di cui l’Italia ha nuovamente bisogno per cambiare radicalmente la vita di tutti noi, condizionata dalle scelte della politica marcia nelle Regioni e nei Comuni in cui viviamo. Il momento di sofferenza collettivo è un dato permanente di questo momento storico all’interno di quasi tutte le comunità locali e globali.

Bisogna quindi ricostruire la fiducia reciproca e scoprire profondamente quali sono le straordinarie battaglie, gli irrinunciabili bisogni per ripartire, riaccendere il nostro moto e il nostro sguardo.

È chiaro che vogliamo lasciarci dietro un passato deludente, corrotto e bloccato. Se non iniziamo adesso avremo blocchi di potere per altri cinque anni che ci incateneranno ad un nuovo fermoimmagine. Pensiamo alla Campania: Caldoro Vs De Luca o De Luca Vs Caldoro. Per 15 anni lo stesso film come se stessimo intrappolati in una pellicola cinematografica che riparte sempre dal principio.

Smettiamo per un attimo di guardarci allo specchio e proviamo a lanciare lo sguardo oltre lo specchio. I cittadini hanno bisogno del nostro entusiasmo, non delle nostre paure. I cittadini sceglieranno nuovi sogni e non vecchie pellicole, soprattutto al Sud.

Tutto questo non dobbiamo farlo da soli, ma rilanciando proposte concrete: penso agli impianti di compostaggio che devono essere costruiti in tante Regioni per abbattere il 50% dei rifiuti, penso a protocolli di legalità, a partire dalla sanità, per azzerare la corruzione e gli sprechi e rinvestire in medici e infermieri. Penso poi agli investimenti nei trasporti pubblici locali che sono stati fermi in questi anni, con grave danno per i pendolari, per gli studenti e per il turismo. Un settore capace di generare nuovo lavoro.

Alziamo, quindi, l’asticella della politica, sfidiamo le altre forze politiche di governo sulle liste pulite, sulla cancellazione dei carrozzoni che gestiscono l’acqua pubblica, sugli investimenti, sul lavoro, sull’enogastronomia.

Sono certo che mettendo prima di tutto al centro del dibattito i temi, la realizzazioni dei sogni per cui abbiamo speso un pezzo della nostra vita, non sarà difficile lavorare insieme per la nostra terra, costruendo orizzonti concreti. È il momento in cui le forze politiche di governo devono dare un segnale di discontinuità, devono rassicurarci sulla volontà di radicali e forti cambiamenti, capaci di mettersi in gioco per generare nuovo entusiasmo.

Partiamo da un confronto reale con tutti in un nuovo momento di partecipazione iniziato nel M5s, da poche settimane, con un vero cambio di rotta, come sta accadendo per la regione Campania. Tutti i livelli istituzionali, insieme agli iscritti del M5s, si stanno interfacciando finalmente in un vero confronto. Le contrapposizioni che stanno raccontando i giornali non sono attendibili. Le diversità ci arricchiscono e ci arricchiranno se perseguiamo tutti il bene comune.

Dobbiamo essere generosi con la nostra terra, come lo siamo sempre stati.

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Salvini: a forza di baciare il rosario, a Capitan Fracassa è riuscito il miracolo

A forza di baciare il rosario, a Matteo Salvini è riuscito il miracolo: la moltiplicazione dei pesci. Sono stati i pesci infatti, le Sardine, che mobilitandosi hanno decretato la sua sconfitta in Emilia Romagna; e per questo rapido e cospicuo incremento ittico, il Capitano non può che ringraziare una sola persona: se stesso.

Le uniche ad aver sentito forte e chiaro il richiamo del citofono – non solo l’ultimo ma anche i simil citofoni precedenti – sono state le Sardine, che a loro volta hanno costituito un richiamo per quegli elettori tra l’astenico e il nichilista, che solo un paio di mesi fa non avrebbero messo piede al seggio.

Le Sardine, pur non essendo candidate e non ricoprendo alcun ruolo politico, hanno svolto una funzione precisa: i conduttori di calore. Sono intervenute a scaldare la temperatura di un popolo intirizzito, veicolando quel calore che i partiti di sinistra avevano isolato in loro, senza più riuscire ad accendere nessuno: un’operazione che ha fatto compiere il percorso inverso a quei democratici intiepiditi che si erano rifugiati nell’astensione.

La conduzione di calore ha ottenuto anche un altro obiettivo, quello di portare il voto disgiunto dei Cinque Stelle a Stefano Bonaccini, grazie alla creazione di un ponte di mobilitazione civile che ha accorciato le distanze tra le sponde pentastellate e quelle democratiche: c’è da dire infatti che anche il Movimento Cinque Stelle aveva, dal canto suo, cominciato a trasformarsi in materiale isolante, proprio come la sinistra, non riuscendo più a infiammare gli animi come in origine.

Gli elettroni delle Sardine sono stati risvegliati dalle azioni scomposte di un Capitan Fracassa, convinto di aver trovato la pietra filosofale del successo politico in un situazionismo belligerante che lo ha portato a calcare eccessivamente la mano. Così all’azione salviniana sono seguite reazioni varie e molteplici che hanno finito per ribaltare la scena elettorale: la polarizzazione infatti ha contribuito a motivare la schiera dei tiepidi, già oggetto d’interesse delle Sardine, riaccendendo in loro un desiderio di partecipazione. E nel frattempo ha spiazzato e allontanato i moderati, tutt’altro che galvanizzati da questo modus operandi.

Rimanendo in metafora, il segretario della Lega, conduttore di calore per antonomasia, così abile nell’aizzare i suoi sostenitori, ha alzato tanto la temperatura da finire col bruciarne una parte; ma soprattutto, costringendo i Cinque Stelle ad attaccarsi alle sottane del Pd per scongiurare il “metodo Matteo”, ha accelerato il ritorno in auge di quella rassicurante percezione di bipolarismo alla quale il Paese non vede l’ora di tornare.

Lo scenario bipolare Lega-Pd, su cui già sono partite disamine e speculazioni, se in parte conviene ai Dem, unica realtà forte nell’orbita progressista, non conviene senz’altro alla Lega, che nella coalizione di centrodestra, invece, non è affatto sola e si vede costretta a fare i conti con alleati pronti a insidiarne la leadership alla prima occasione buona.

Ma preso dalla fregola, il Capitano sembra non accorgersi di nulla. E mentre i segni delle ustioni non sono ancora passati, già vaticina dell’amazzone Susanna Ceccardi governatrice della Toscana e di Don Casanova, patron del Papeete, alla guida della Puglia.

Agli avversari conviene approfittare di questo momento d’ebbrezza, prima che un trillo di citofono arrivi a svegliarlo dall’incantesimo.

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mercoledì 29 gennaio 2020

Legge post-mortem, via libera definitivo: da oggi si può donare il proprio corpo alla ricerca

Da oggi si potrà donare il proprio corpo, dopo la morte, per finalità di studio, formazione e ricerca scientifica. La commissione Affari sociali della Camera infatti ha dato oggi il via libera definitivo alla legge Sileri, la cosiddetta “legge post-mortem”, in materia di disposizione del proprio corpo e dei tessuti dopo la morte. Il testo, proposto in Senato su iniziativa del sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri del Movimento 5Stelle, è stato definitivamente approvato a Montecitorio all’unanimità.

Fino a questo momento, la donazione dei singoli organi alla ricerca era possibile a patto che venissero espiantati poco dopo la morte accertata, senza seguire le procedure tecniche e normative previste per il trapianto. Per la donazione del cadavere invece era sufficiente la volontà del donatore – espressa nel testamento – e che non vi fossero interessi giudiziari sul corpo, come ad esempio l’autopsia. Per colmare questa lacuna, dal 2014 si sono susseguite numerose iniziative parlamentari sollecitate da istituzioni scientifiche, universitarie e associative, che lamentavano la mancanza di cadaveri su cui i giovani chirurghi potessero esercitarsi. Un disegno di legge che si era reso necessario, perché la normativa vigente non era “del tutto chiara né esaustiva – si spiega nel testo del ddl – perché non disciplina né il percorso della donazione dal donatore alla struttura fruitrice, né la salvaguardia del principio dell’autodeterminazione e delle modalità attuative fino al momento del decesso”. Con la legge approvata oggi la donazione del proprio corpo e dei tessuti potrà essere fatta con una dichiarazione di consenso, sotto forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata, utilizzando il sistema informativo già in vigore per la donazione degli organi.

“Quello compiuto dalla legge – spiega Vito De Filippo, capogruppo di Italia Viva in Commissione Affari sociali della Camera – è un passo significativo per il sistema medico e scientifico, che permetterà alla ricerca di allargare il suo campo di applicazione e anche i suoi avanzamenti. Inoltre offre agli aspiranti medici un decisivo strumento di formazione, nel rispetto della volontà del ‘donatore’ che potrà esprimere il proprio consenso”. Nel 2015 infatti la Società italiana di neurochirurgia (Sinch) aveva denunciato la mancanza di cadaveri su cui potersi esercitare. I cosiddetti “preparati anatomici” cioè specifiche parti di cadavere, dovevano essere importati dall’estero, spesso con alti costi: una testa, insieme alla colonna vertebrale, può costare anche 10mila euro. Tanto che molti chirurghi italiani sono andati a fare pratica in Francia, Germania, Austria. Soldi che avrebbero potuto essere risparmiati con la donazione del corpo per fini scientifici e didattici, finora poco usata: solo a Torino la donazione è in media una l’anno.

“Oggi la scienza, la ricerca ed i giovani medici hanno un’arma in più – ha commentato Domenica Castellone di M5S – Da oggi per i chirurghi sarà possibile fare molta più pratica ed i pazienti avranno medici sempre più preparati”. L’approvazione ha ricevuto il plauso di tutte le forze politiche: “Ci sono volute quasi due legislature – ha commentato Elena Carnevali, capogruppo Pd in commissione Affari Sociali alla Camera – Ora è necessario che si compia un lavoro di promozione dell’informazione e della conoscenza di questa legge. Abbiamo bisogno di un’alleanza tra istituzioni e professionisti perché vi sia la consapevolezza diffusa che il dono del corpo e dei tessuti per questi fini è un gesto che permette la crescita della ricerca e della formazione di tanti futuri professionisti”. Per il deputato di Forza Italia Andrea Mandelli è una legge “volta a sanare un vulnus legislativo, consentendo finalmente lo sviluppo della ricerca e dello studio in ambito sanitario”.

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Regionali, M5s apre candidature su Rousseau: “Fase vincolata alle decisioni politiche sui territori”. Spadafora: “Si valutino alleanze”

Neanche tre giorni dopo la débâcle alle elezioni Regionali in Emilia-Romagna e Calabria, i 5 stelle hanno iniziato a raccogliere le “disponibilità” a candidarsi “per le regionarie come consiglieri regionali di Campania, Liguria, Marche, Puglia, Toscana, e Veneto in vista delle prossime elezioni previste nella primavera del 2020”. L’annuncio è stato pubblicato sul Blog delle Stelle. “Tutti gli iscritti certificati residenti nelle regioni Campania, Liguria, Marche, Puglia, Toscana, e Veneto che intendano proporre la loro candidatura come consiglieri regionali potranno farlo rigorosamente entro le ore 12 del 10 febbraio 2020″.

Il reclutamento è arrivato in un momento molto delicato per i 5 stelle, non solo per il risultato alle Regionali, ma anche per le dimissioni del capo politico Luigi Di Maio. Sempre nel post pubblicato sul Blog si specifica infatti: “La fase tecnica di acquisizione delle disponibilità degli iscritti a candidarsi come consiglieri regionali rimane in ogni caso collegata ad ogni eventuale decisione politica assunta per i singoli territori regionali”. In questo modo si vuol specificare che la scelta dei candidati M5s non preclude eventuali intese con altre forze politiche o della società civile.

Nel M5s il dibattito è aperto. Il ministro 5 stelle dello Sport Vincenzo Spadafora, intervenendo a Porta a Porta ha chiesto ai suoi di evitare di andare soli alle prossime elezioni: “Oggi si presentano le candidature per il M5s alle regionali ma questo non esclude che si possa decidere di fare alleanze, anche con delle liste civiche. Si deve valutare l’opportunità, laddove ci fossero le condizioni, di allearsi con altre forze”.

Una linea che viene condivisa anche dagli altri alleati che sostengono l’esecutivo Conte 2. “Se si è alleati nel governo nazionale”, ha detto il ministro della Salute Roberto Speranza all’agenzia Adnkronos, “e insieme si fanno scelte che riguardano milioni di italiani persone, è naturale cercare convergenze nelle Regioni che vanno al voto. Mi auguro che tutte le forze politiche che stanno insieme al governo provino a ragionare per stare insieme alle Regionali, alle amministrative e alle suppletive”.

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Elezioni regionali, siamo in una nuova fase. E ciò che si sta delineando è una democrazia su due livelli

Le valutazioni sul voto regionale in Emilia Romagna e Calabria sono tanto varie quanto è indefinita la politica dei nostri giorni. Come racconta Thomas Kuhn nel saggio La struttura delle rivoluzioni scientifiche – dove analizza le rivoluzioni scientifiche -, quando un nuovo paradigma si affaccia sulla scena, quello vecchio tenta di annientarlo oppure di assorbirlo nella tradizione. Se il nuovo si mostra forte e capace, si instaura una vera e propria lotta tra paradigmi confliggenti che rende incomprensibile la realtà.

Bastano alcune considerazioni. Matteo Salvini ha perso in Emilia Romagna ma, in realtà, ha preso una valanga di voti dove nemmeno poteva immaginare di esistere solo pochissimo tempo fa (questo vale anche per la Calabria). È ritornata la polarizzazione tra destra e sinistra, anche se tale dicotomia è per tutti venuta meno. Il Pd ha vinto le elezioni ma, in verità, ha messo a rischio la sua roccaforte politica. Il Movimento cinque stelle perde un sacco di voti, ma è fortissimo in Parlamento.

Il governo sente di essere uscito più forte dalle elezioni perché ha evitato la spallata della Lega in Emilia Romagna, ma dovrebbe essere molto più destabilizzato dal crollo della forza principale che lo sostiene. Tutto sembra il contrario di se stesso. Una tale ambiguità non dipende dalla natura bifronte delle singole componenti del reale, ma dallo schema che è mutato e, come insegna Kuhn, nel periodo di transizione si guarda al nuovo con gli occhi del vecchio, non comprendendo così il reale.

La democrazia dell’alternanza e i partiti sono entità giuridiche e sociali che non trovano più riscontro nella realtà. La democrazia come campo di gioco, in cui si muovono le forze politiche che, a seconda dei flussi di voto, governano oppure vanno all’opposizione, si va estinguendo. Si vota ancora ma lo schema classico di costruzione della politica è soppiantato, nei fatti. La contemporaneità ha trasformato la democrazia classica in pura doxa, cioè apparenza, illusione, sentito dire.

La nuova democrazia, che sta vincendo sul vecchio paradigma, propone una trasformazione definitiva. Esistono ormai due piani politici paralleli: c’è chi governa ed è vincolato a regole tecniche, contabili e sovranazionali e chi è profondamente extragovernativo e spinge le forze governative a modificare ciò che viene imposto ed è più schiettamente istituzionale. Chi governa è sempre più simile a se stesso e le forze extragovernative sempre più fluide e biodegradabili (secondo la definizione di Beppe Grillo sul Movimento cinque stelle).

Assai probabilmente, entro pochi anni, gli Stati occidentali saranno caratterizzati da una oligarchia governativa (una sorta di Partito della Nazione di renziana memoria) composta da contabili e ragionieri della pubblica amministrazione. Fuori da questo schema governista vi è (e vi sarà) sempre più il trionfo di movimenti e raggruppamenti biodegradabili, che però rappresentano e raccolgono le pulsioni della gente.

Questi movimenti non vanno visti come inutili, velleitari o privi di capacità politica concreta. Anzi, la loro funzione è (e sarà) sempre più determinante e propulsiva. Questa realtà deriva dalle forme di linguaggio tipiche del nostro tempo: un mondo fatto di concetti semplici, immediati e in “stile social network”. Si tratta di una oggettività radicalmente politica e sociale che non può essere spocchiosamente delegittimata dal cosiddetto “establishment”. Senza questo movimentismo, le forze governiste sarebbero immobili e incapaci di governare e questo perché radicalmente lontane dalla gente.

Ciò che si sta delineando è dunque una democrazia su due livelli: uno governista e l’altro movimentista. Il primo si muove nel Palazzo e il secondo si muove sulle piattaforme sociali, nei raduni e nel sentire profondo della gente. L’elemento nuovo e determinante è che non può esistere una forma politica che svolga entrambi i ruoli. L’equilibrio tra questi poli dialettici è dato infatti dall’impossibilità dell’uno di vivere senza l’altro e, contemporaneamente, di dover restare distinti.

La sconfitta deriva dalla trasformazione dei movimenti extragovernisti in governisti oppure nell’assenza di una sponda extragovernista per una forza governista, relegandola così in mondi troppo lontani dalla gente. Il grande dilemma politico della contemporaneità è scegliere se essere governisti o forza propulsiva del sentire della gente.

La caduta del Muro di Berlino ha spalancato le porte alla rivoluzione della forma classica di democrazia, in quanto ha liberato ogni genere e forma di proposta ma, al contempo, le regole europee e della globalizzazione hanno costretto le politiche dentro schemi spesso incomprensibili e inaccettabili dalla gente.

In Italia è stato più facile e dirompente l’avvento del nuovo paradigma perché nel Belpaese sono stati abbattuti due muri di Berlino: oltre alla fine della Guerra Fredda, l’esperienza di Tangentopoli ha infatti raso al suolo ogni vecchio baluardo di “classicità”.

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martedì 28 gennaio 2020

Elezioni Calabria, Parentela (M5s): “Morra ha detto che non ha votato il Movimento? È grave, ha violato lo Statuto e ci ha mancato di rispetto”

Nicola Morra ha detto che non ha votato in Calabria per il M5s? Non condivido assolutamente quello che ha fatto. È grave che un senatore portavoce del M5s non sostenga il Movimento“. È il duro commento rilasciato da Paolo Parentela, deputato del M5s e componente della Commissione Agricoltura, ai microfoni di Lanfranco Palazzolo per Radio Radicale.
Il portavoce calabrese dei 5 Stelle stigmatizza l’intervista odierna del senatore pentastellato Nicola Morra al Corriere della Sera, dove ha dichiarato di non aver votato per il M5s (“Sono il presidente della commissione parlamentare Antimafia e non potevo votare una lista con anche una semplice ambiguità. Per questo mi è stato impedito, di fatto, di votarla. Se ci si vuole presentare a tutti i costi e ci si fa trascinare dall’entusiasmo senza mettere in campo i classici filtri che ci contraddistinguevano dalle altre forze politiche, allora non ci si deve stupire se arrivano risultati del genere”).

Parentela dissente: “Magari sono stati commessi degli errori, ma tutto quello che è stato fatto doveva indurci ad andare avanti tutti insieme, conducendo le nostre battaglie sul territorio. Non si abbandona il territorio, non si abbandona il M5s, anche nei momenti di difficoltà. E’ stato fatto un grande danno anche all’interno del Movimento con le dichiarazioni di Morra, perché il nostro Statuto parla chiaro. E quindi ci sono anche violazioni nel nostro Statuto. Naturalmente non sta a me dire cosa deve essere fatto – continua – Ma quello che è successo dovrebbe far riflettere i vertici. Io osservo semplicemente che, se un portavoce non dà una mano, non appoggia il M5s sul territorio e addirittura dichiara di non averlo votato, secondo me, è grave. E’ una mancanza di rispetto nei confronti dei candidati e degli attivisti che in Calabria ci hanno messo la faccia ed erano in trincea”.

Il parlamentare M5s poi spiega: “Qui in Calabria abbiamo una legge elettorale assurda, forse incostituzionale, con una soglia di sbarramento troppo alta. E inoltre non c’è nemmeno il voto disgiunto. Non meritavamo di non entrare in Consiglio regionale. E’ grave che una forza politica come il M5s non sia presente. Noi dovevamo esserci, il M5s serviva all’interno del Consiglio regionale, anche per migliorare la qualità della politica. Ci siamo rimasti male, ma è stato fatto il massimo possibile nella peggiore situazione possibile. Abbiamo avuto poco tempo per fare campagna elettorale, perché quella vera è durata solo venti giorni – conclude – C’è stato poco tempo per spiegare ai calabresi quanto è stato fatto a livello nazionale e quanto si poteva fare a livello regionale. E soprattutto far loro capire che le responsabilità politiche delle emergenze calabresi non sono del governo nazionale, ma dei governi regionali precedenti. Non siamo riusciti a parlare agli astenuti, e l’astensionismo è un dato preoccupante sul quale tutti i partiti in Calabria dovrebbero ragionarè”.

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Elezioni regionali, Feltri: “Godo per M5s finito. Sardine? Finiranno in padella”. E denuncia: “A ‘Libero’ fregano i sedili del wc e le merendine”

Elezioni regionali? A me sinceramente non frega un cazzo. Mi fa godere invece che i 5 Stelle siano finiti, come godrò quando le Sardine finiranno in padella. La cosa che mi diverte di più è che abbiamo un governo sostenuto da un partito morto. È bellissimo e comico. Ormai non beccano più un voto, anche se si vota in un condominio“. Sono le parole pronunciate ai microfoni de “La Zanzara” (Radio24) dal direttore editoriale di Libero, Vittorio Feltri, che, a suon di epiteti non esattamente cortesi, si rende protagonista di un effervescente scontro con uno dei conduttori, David Parenzo.

Tutto parte da un aneddoto che lo stesso Feltri ha narrato lo scorso 23 gennaio nella trasmissione “Dritto e Rovescio” di Paolo Del Debbio, su Rete4. E ripete il racconto anche nel programma radiofonico: “Due anni fa, non si sa per quale strano e arcano motivo, a un certo punto dai bagni della redazione di “Libero” sono mancati i sedili del water. Non si è mai scoperto chi è stato. Ma è successa poi un’altra cosa ancora più comica: c’è stato qualcuno che rubava le merendine dai distributori automatici“.
“E’ un ambiente incredibile – ironizza Parenzo – Si fregano le tavolette del cesso, si fregano le merendine, scommetto pure che si fregano la carta igienica”.
“Ah, beh, è molto probabile – risponde Feltri – Io però a quel coglione di Parenzo vorrei dire che io qui a “Libero” ho un bagno tutto mio con la chiave e non ci può entrare nessuno“.
“Cioè, tu non vai mai al giornale – rincara Parenzo – E c’hai pure il cesso con la chiave”.
“Tu sei veramente una enorme testa di cazzo”, ribatte, piccato, Feltri, che si lamenta con Cruciani per gli interventi di Parenzo.

La polemica prosegue anche sui discutibili titoli di “Libero” e sul Coronavirus, sul quale il direttore di Libero osserva: “Non vado mai ai ristoranti cinesi, perché non amo il cibo cinese. Però ho molta simpatia per i cinesi. Anzi, segnalo che non c’è mai nessun episodio di razzismo nei loro confronti, perché lavorano più di noi. E questo significa che l’Italia non è affatto un Paese razzista, come sostengono i comunistelli e Parenzo. Però anche questo virus a me non spaventa. Se muoiono alcuni cinesi, non me ne fotte niente. Mi rassegno, mi dispiace, ma basta. Anche se morisse Parenzo, a me, tutto sommato, non fotterebbe niente. Se invece mi morisse il gatto, ne sarei addoloratissimo“.

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Prescrizione, Cancelleri (M5s): “Dichiarazioni di Orlando? Ho passato ore a cercare di capire cosa volesse dire. Noi andiamo avanti”

Ho passato il pomeriggio di ieri a cercare di capire che cosa volesse intendere Orlando“. E’ l’ironico commento pronunciato ai microfoni di “24 Mattino” (Radio24) da Giancarlo Cancelleri, viceministro delle Infrastrutture e dei trasporti del M5s, circa le dichiarazioni rese ieri dall’ex ministro della Giustizia Andrea Orlando sulla sconfitta elettorale dei 5 Stelle alle elezioni regionali e sulla loro battaglia per lo stop alla prescrizione (“ll M5s, dopo questa severa sconfitta, dovrebbe rinunciare a un armamentario che non paga elettoralmente e che rende difficile l’attività di governo”).

Cancelleri puntualizza: “Non torneremo assolutamente al modello di prescrizione di Orlando. La riforma della giustizia va avanti. Ricordo a Orlando, con grande simpatia, che il M5s è il partito di maggioranza relativa e che, anche se abbiamo preso una batosta alle elezioni regionali, questo non cambia i numeri nel Parlamento. Ovviamente facciamo sempre un confronto e non siamo mai chiusi, ma questa cosa era stata concordata da tempo. E si va avanti”.

L’esponente del M5s si sofferma anche sullo stato attuale del Movimento: “Conte federatore di un’area progressista in cui potrebbe essere incluso il M5s? Io sinceramente ora lo vedo come presidente del Consiglio. Il punto è che in questo momento noi 5 Stelle abbiamo un problema di identità che dobbiamo ritrovare. Quindi, prima di parlare di federazione di movimenti, dobbiamo prima capire come e cosa continueremo a fare, perché dobbiamo rimettere a fuoco il nostro orizzonte. Troppe battaglie portate a casa in questi anni, battaglie che sono diventate leggi dello Stato, hanno svuotato di contenuti un Movimento che ora deve fare i conti con se stesso. La grande sconfitta in queste elezioni regionali è stato chiaramente un nostro fallimento politico – continua – Dobbiamo prenderci la giusta responsabilità di quanto è accaduto, ma dobbiamo anche ripartire e rifondarci a cominciare dai temi. Prima ci prendiamo una identità alternativa, che è quella che appartiene propriamente al M5s, e poi decideremo se appartenere a un campo riformista o continuare a essere un movimento. Il rapporto con le altre forze politiche di maggioranza? In politica niente è facile, ma continueremo a dibattere per trovare soluzioni migliori. Con il Pd, con Italia Viva e altre forze di governo c’è sicuramente un dibattito spesso molto acceso, che non è uno scontro ma grande confronto su temi come le concessioni autostradali e la prescrizione“.

E sulle concessioni autostradali chiosa: “E’ possibile che non si arrivi alla revoca? Per noi no, però, per carità, potrebbe sempre accadere. Spingo per la revoca della concessioni, ma la convinzione in politica conta poco. Dobbiamo batterci per dare ai cittadini una risposta seria. Il governo è ancora seduto al tavolo e nessuna decisione è ancora stata presa”.

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lunedì 27 gennaio 2020

Vito Crimi e la stella mancante del Movimento: “Acqua pubblica, ambiente, connettività, trasporti e…”. Il capo M5s non ricorda l’ultima

Sarà stata l’emozione oppure la tensione dovuta al nuovo incarico. Durante la conferenza stampa organizzata in Senato, il nuovo capo politico dei 5 Stelle, Vito Crimi, ha mostrato qualche difficoltà a ricordare la quinta stella del Movimento. Rispondendo alla domanda di un cronista, che gli chiedeva un giudizio sulle parole di Conte e Zingaretti dopo i risultati delle Regionali, Crimi ha ricordato le origini del Movimento. “Le 5 stelle non sono né destra, né sinistra” ha detto prima di iniziare l’elenco dei temi associati alle 5 stelle, i pilastri del Movimento. “Acqua pubblica, ambiente, connettività, trasporti…”. Alla quinta Crimi si è fermato qualche secondo imbarazzato, prima di ritrovare la parola. “Innovazione! Ecco, la quinta stella è l’innovazione, che stiamo portando avanti facendo un ministero ad hoc”

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Nomine, alle Entrate torna il renziano Ruffini e alle Dogane arriva Minenna. Restano aperte le partite Anac, Privacy e Agcom

Il governo scioglie finalmente le riserve sui nuovi vertici delle agenzie fiscali. Con tanto di colpo di scena finale: se all’Agenzia delle Entrate tornerà come da indiscrezioni Enrico Maria Ruffini, le altre due nomine decise lunedì pomeriggio dal consiglio dei ministri sono invertite rispetto alle ipotesi della scorsa settimana. Al Demanio arriva infatti il funzionario di palazzo Chigi Antonio Agostini, attualmente incaricato dell’ufficio di segretariato del Cipe. Mentre il direttore dell’ufficio Analisi quantitative della Consob Marcello Minenna, che era dato in corsa per il Demanio, va a guidare l’Agenzia delle Dogane e Monopoli. Dopo l’infornata di fine novembre in Cassa depositi e prestiti, il prossimo appuntamento ora è quello di marzo con i rinnovi dei consigli delle partecipate del Tesoro.

Ruffini, vicino a Matteo Renzi, era stato nominato direttore dell’Agenzia delle Entrate nel 2017, ma il governo giallo-verde l’aveva sostituito. Da tempo si parlava della possibilità di un suo rientro all’Agenzia, ma il suo nome non era visto di buon occhio dal Movimento 5 Stelle che non gradiva la sua vicinanza al leader di Italia Viva. Dopo un lungo braccio di ferro, il manager è riuscito a spuntarla per tornare a un incarico particolarmente delicato: l’Agenzia è infatti uno dei pilastri del programma governativo di recupero di denaro dall’evasione fiscale. Denaro sostanziale per mantenere gli impegni presi con Bruxelles sui conti pubblici.

Alle Dogane approda invece Minenna, master in matematica finanziaria alla Columbia university e Ph.d all’università degli studi di Brescia, che nel 2016 è stato assessore al Bilancio nella giunta di Virginia Raggi e un anno fa è stato anche in corsa per la presidenza dell’autorità di vigilanza sui mercati dove lavora dal 1996. Su quella poltrona si sarebbe poi insediato l’ex ministro Paolo Savona.

Chiuso il capitolo delle Agenzie fiscali, l’esecutivo dovrà ora occuparsi delle tre autorità di vigilanza che da tempo attendono i nuovi vertici: Anticorruzione, Privacy e Agcom. Da tre mesi ormai l’anticorruzione è guidata dal consigliere anziano Francesco Merloni che sta sostituendo il dimissionario Raffaele Cantone, mentre i consigli di Privacy e Agcom, scaduti in estate, sono stati rinnovati per due volte fino al 31 marzo 2020. All’Agcom, in particolare, il futuro consiglio dovrà anche nominare il nuovo segretario generale visto che a dicembre è scaduto il mandato di Riccardo Capecchi, ex tesoriere del think tank Vedrò di Enrico Letta. Con ogni probabilità il Parlamento dovrebbe votare su Privacy e Agcom il prossimo 18 febbraio.

Infine, l’esecutivo dovrà mettere mano alle poltrone delle partecipate pubbliche: con le assemblee di bilancio 2019 scadono infatti i consigli di amministrazione di Enel, Eni, Poste, Finmeccanica e Terna. Il numero uno di Enel, Francesco Starace, confida in un rinnovo. Ma potrebbe giocare contro la sua posizione sulla controllata Open Fiber. La rivale Tim, di cui è socio Cdp, vorrebbe acquisirla, ma Starace non ha intenzione di vendere. Se non ad una cifra più che congrua. Un discorso logico per l’ad di Enel, ma che di fatto ha generato uno stallo sulla partita per la costruzione della rete a banda ultralarga. Per questa ragione, Starace potrebbe andare all’Eni, sostituendo Claudio Descalzi che non piace ai 5 Stelle, mentre al suo posto potrebbe andare Stefano Cao, che è attualmente alla guida di Saipem. Più probabile il rinnovo di Matteo Del Fante i cui progetti per le Poste sembrano allineati con le idee del governo. Su Finmeccanica, la partita si giocherà tutta sulle intenzioni dell’esecutivo per il comparto della difesa. Il numero uno Alessandro Profumo è contrario ad un’aggregazione con il gruppo cantieristico Fincantieri, guidato da Giuseppe Bono. La sua figura sarebbe quindi di intralcio qualora il governo volesse invece mettere in cantiere la creazione di un campione nazionale della difesa attraverso le nozze fra i due gruppi. Un caso particolarmente spinoso, che testimonia quanto sia complessa la trattativa sul tema nomine fra i due alleati di governo.

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Giornata della memoria

E tu? Te li ricordi i cinque stelle?
#GiornatadellaMemoria2020#27gennaio#EmiliaRomagna#EmiliaRomagna2020#m5s#dimaio#vignetta#natangelo

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Il voto in Emilia Romagna insegna che gli slogan non pagano sempre

C’è un’opera d’arte di una talentuosa artista abruzzese, Emanuela Giacco, che rappresenta in maniera plastica la situazione politica attuale. Rappresenta il vuoto che prende il sopravvento sulla pienezza della vita, dove la società è manovrata da individui privi di contenuti. Il padrone di casa, collezionista della materia, osserva il teatro della vita esternamente all’opera (il titolo del quadro è Pieno di vuoto). È egli stesso dietro la sedia in primo piano e da lì osserva un processo di svuotamento in atto su una figura, icona di ingenuità, quale Cappuccetto rosso.

Infatti, se il potere è in mano a chi non possiede virtù, le masse (Cappuccetto rosso) vengono svuotate del soffio vitale. Un’immagine perfetta che ci descrive quello che è accaduto in questi anni. Le Elezioni regionali appena concluse, soprattutto quelle in Emilia Romagna, aprono vari spunti di riflessione su questo tema.

Per prima cosa dimostrano, per fortuna, che alla lunga i vuoti slogan privi di reali contenuti non pagano sempre. La Lega ha subito una decisiva sconfitta in un luogo dove Matteo Salvini aveva investito tutto il suo tempo e la sua energia. Il Movimento 5stelle è praticamente scomparso.

Luigi Di Maio e Salvini rappresentano l’emblema del vuoto politico. La parabola dei grillini lo fa in assoluto. Hanno soffiato per anni contro ogni cosa. Hanno rinnegato la scienza, la competenza, la preparazione e hanno esaltato il vuoto più totale. Hanno fatto credere che la cultura e la preparazione non servissero. Hanno sdoganato l’ignoranza e il linguaggio più becero e feroce sui social. Hanno utilizzato qualsiasi argomento per cercare facile consenso. Hanno illuso le masse togliendo loro pian piano la voglia di imparare e acculturarsi. La storia di Di Maio verrà ricordata per questo.

Salvini ha seguito l’onda, ma con una cattiveria politica più strutturata e che è ancora molto forte. Di certo i cittadini emiliani e romagnoli gli hanno dato una bellissima lezione di civiltà democratica. In questo caso il merito principale, però, deve essere riconosciuto ai giovani che hanno risvegliato la voglia di partecipazione e non si sono arresi al vuoto della solita politica urlata e denigratoria. Una società, la nostra, che in questi anni ha subito sempre più un’involuzione pericolosa ed estrema.

Linguaggi usati solo per solleticare le masse su argomenti delicati e pericolosi. Oltre a ciò, paga anche, e soprattutto, il buon governo. Stefano Bonaccini questo dimostra. La politica è riconosciuta vincente quando lavora per la comunità nell’interesse generale, e non particolare. Il voto in Emilia Romagna questo insegna. I vuoti elenchi di Salvini, dove c’è cultura e competenza, non attecchiscono. E questo dovrebbero capirlo tutti i partiti.

La gara e la competizione dovrebbero essere su questi temi. Siamo da anni in una campagna elettorale permanente, ma siamo assuefatti dal modo grezzo e privo di contenuti di fare politica, dove anche le regole e il fantomatico silenzio elettorale per Salvini non contano.

In questo quadro generale, si spera che la sconfitta della Lega in Emilia Romagna possa essere da insegnamento a tutti. Di certo, oltre alla Lega, il Movimento 5stelle rischia veramente più di tutti. Sia in Calabria sia in Emilia Romagna i grillini sono praticamente scomparsi. Il partito che in Parlamento detiene la maggioranza relativa è completamente in fase di dissolvimento. Le dimissioni preventive di Di Maio sono poi sintomatiche. Evitare di intestarsi la pesante sconfitta e cercare di sopravvivere più possibile.

Quando mancano i valori, le virtù e gli argomenti, la politica e la società questo producono. Insomma, Cappuccetto rosso ogni tanto ci sorprende e non si fa mangiare dal lupo di turno.

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Elezioni Regionali, Orlando: “Si è modificato l’asse politico del governo”. E con Marcucci spinge su giustizia. Salvini: “Non li vedo bene”

I risultati elettorali in Emilia-Romagna e in Calabria non stoppano solo l’avanzata della Lega, ma aprono anche nuovi scenari per l’esecutivo guidato da Giuseppe Conte. Rapporti di forza in evoluzione, con il Partito Democratico a rivendicare la vittoria di Stefano Bonaccini, il risultato della lista in entrambe le regioni e pronto a sottolineare lo scivolone del Movimento Cinque Stelle, alleato di governo incapace di superiore la soglia del 5%. Con Matteo Salvini che profetizza “non li vedo bene” e Conte che punge: “Il voto delle regionali è significativo. C’è chi ha tentato di renderlo un referendum sul governo. È rimasto deluso”.

Di fronte a questi dati è il vice-segretario Andrea Orlando a metterla giù senza giri di parole: “È giusto che oggi si usi questo risultato per modificare l’asse politico del governo su molte questioni. Ad esempio il M5S, dopo questa severa sconfitta, dovrebbe rinunciare a un armamentario che non paga elettoralmente e che rende difficile l’attività di governo”. Ad esempio, spiega, “sulla questione della giustizia dovrebbe esserci una disponibilità al confronto superiore a quella che c’è stata finora”. La giustizia, insomma, sembra essere l’argomento cerchiato in rosso dai dem. Lo sottolinea anche il presidente dei senatori Pd, Andrea Marcucci: “Il voto in Emilia-Romagna ci insegna che il buon governo alla fine prevale e che il leader della Lega può anche perdere male. Per questo oggi, con più forza, dobbiamo ogni ora del giorno, fare bene all’Italia. Un governo serio e coraggioso, com’è stata seria e coraggiosa la legge di Bilancio. Basta bandierine, amici 5 stelle”.

Ad iniziare proprio dalla giustizia: “La prima cosa in agenda è la disastrosa riforma Bonafede sulla prescrizione, non a caso, votata dalla Lega. Il premier Conte è chiamato subito ad una prova di responsabilità sulla giusta durata dei processi. Serve risolvere il problema, non inventarsi scorciatoie. Il Pd ha il proprio disegno di legge, va usato nel caso”, dice Marcucci aprendo anche alla “revisione integrale” dei decreti sicurezza che “deve essere il secondo tema”.

Ad agosto, ricorda Marcucci, “con Matteo Renzi, Dario Franceschini e Graziano Delrio, sono stato uno dei più convinti sostenitori di un governo che servisse anche a frenare l’arroganza di Salvini. Molti amici, molti tesserati del Pd, mi dicevano: ma chi te lo fa fare? Salvini crescerà, il Pd sarà ridotto ai minimi termini. Ed invece non sta andando così”, conclude. Una visione condivisa da Orlando: “Il governo è più forte e Salvini è più debole. In qualunque parte del mondo in cui si vede uno che fa un numero come quello dello scampanellamento si pensa che siamo a un centimetro dalla follia. Il fatto che la follia sia stata respinta credo aiuti anche quelli che vogliono venire a investire in Italia”.

Della tenuta del governo parla anche Matteo Salvini: “Decideranno in Consiglio dei ministri. Non la vedo facile né per il Pd né per i Cinque Stelle. Al governo c’è una forza in enorme difficoltà”, sottolinea. “È chiaro che c’è stato uno spostamento a sinistra, si prende atto, non vediamo l’ora di confrontarci con le nostre proposte per le famiglie e l’economia. Ci aspettano – assicura – settimane appassionanti”. Sia in Calabria che in Emilia la coalizione di centrodestra, conclude, “ha dato prova di assoluta compattezza, se si fosse votato a livello nazionale il centrodestra avrebbe stravinto. Ma quando si voterà a livello nazionale è nelle mani del buon Dio saperlo”.

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sabato 25 gennaio 2020

Beppe Grillo annulla il tour dello spettacolo “Terrapiattista” in programma da febbraio: “Devo sottopormi a intervento chirurgico”

Beppe Grillo ha annullato il tour dello spettacolo “Terrapiattista” che sarebbe dovuto iniziare a febbraio. A sorpresa e proprio nei giorni in cui il Movimento 5 stelle si trova a dover affrontare l’addio del capo politico Luigi Di Maio, il fondatore del M5s ha annunciato che dovrà fermarsi per farsi operare.

“Ciao a tutti”, si legge nel post pubblicato sul suo blog, “devo purtroppo comunicarvi che sono costretto ad annullare le date del mio prossimo tour” a causa di “un problema di apnee notturne che negli ultimi tempi non mi sta permettendo di riposare e lavorare correttamente. A breve mi dovrò sottoporre a un intervento chirurgico e, fra degenza e convalescenza, non sarò in condizione di portare il mio spettacolo in giro per l’Italia. Avremo sicuramente modo di recuperare il tour in futuro”. E ha concluso utilizzando provocatoriamente la sua ormai tradizionale firma: “Ciao, a presto! L’Elevato“.

Per il garante del Movimento 5 stelle sono giorni molto tesi sul fronte politico. Mercoledì 23 gennaio Di Maio ha fatto un passo indietro lasciando un vuoto di potere senza precedenti per i grillini. Il comico non ha commentato ufficialmente, ma 48 ore dopo il discorso ha deciso di fare un semplice tweet di ringraziamento: “Grazie Luigi per come hai gestito la situazione”, ha scritto. Il M5s ora si prepara ad affrontare gli Stati generali del 13-15 marzo durante i quali si scriverà una nuova carta dei valori per i 5 stelle e si deciderà a chi passerà il testimone di capo politico (e soprattutto come verrà eletto). In questa fase la figura di Grillo è fondamentale in quanto garante del Movimento e sarà richiesta una maggiore presenza nella gestione ordinaria dei 5 stelle.

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venerdì 24 gennaio 2020

De Luca: “Dimissioni Di Maio? Grande rispetto per il travaglio interno al M5s”. E precisa: “Miei detrattori? I cani abbaiano, la carovana passa”

Elezioni regionali? Siamo nati per soffrire. Fino a domenica dovremo sorbirci in ogni notiziario televisivo la prima mezz’ora dedicata alle elezioni in Emilia Romagna e molto meno alla Calabria. Abbiamo assistito anche a episodi di folklore. C’è stata una politicizzazione incredibile delle elezioni in Emilia. Sembra che si debba votare per le elezioni nazionali o l’elezione diretta del capo dello Stato“. Così esordisce, nel suo consueto appuntamento settimanale su Lira Tv, il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, che, con aplomb insolitamente “zen”, come lui stesso ironicamente lo definisce, aggiunge: “Forse l’episodio più interessante sul piano della politica nazionale è rappresentato dalle dimissioni di Di Maio da capo politico del M5s. Già l’espressione ‘capo politico’ mi è sempre parsa esagerata. Credo che dobbiamo guardare con rispetto al travaglio interno del M5s e alla sua crisi di consenso. Mi auguro che questo travaglio odierno sia la presa d’atto di una esperienza che è stata fatta e che, come capita a tutti, dà degli insegnamenti che vanno accolti. Quindi, grande rispetto per il M5s, ma anche grande richiamo al principio della realtà“.

E spiega: “Parliamoci chiaramente: i 5 Stelle hanno avuto anche una funzione positiva, per la scossa che hanno dato al sistema politico italiano e per l’innovazione, anche se con esagerazioni e sbavature nel linguaggio politico. Ci sono state anche provocazioni che hanno richiamato i partiti a una maggiore dinamicità e a una modernizzazione. Poi queste spinte, che erano anche positive per quanto radicali e discutibili, hanno finito con l’assumere un connotato tutto ideologico, dall’ambientalismo a posizioni francamente irragionevoli nella gestione di un movimento politico. Ma veramente – continua – qualcuno può immaginare che un movimento che assume quel rilievo possa essere governato con una piattaforma informatica? Si sono avuti elementi di inesperienza e di infantilismo politico che sono crollati alla prova dei fatti. Un conto è parlare, un altro conto è governare, fare delle scelte, fare i conti coi bilanci, assumere posizioni che non siano dannose per l’Italia. Ricordo le prime posizioni del M5s sulla Ue, sulle grandi opere, sui vaccini. Sono state posizioni dannose. E così anche l’eccesso di aggressività che nel corso degli anni ha avvelenato il dibattito pubblico del nostro Paese”.

Il politico campano prosegue: “Questa volta sono d’accordo con Di Maio, che nel suo discorso ha detto che l’uno non vale l’altro. Mi pare evidente che sia sicuramente così, non ci voleva molto a capirlo. Noi ci eravamo già arrivati dieci anni fa. L’uno non vale l’altro nella politica, come nella vita, nell’economia, nell’università”.

Battuta finale sui suoi detrattori: “Avrete notato che io sto usando un linguaggio neutro e tenue. È come se avessi raggiunto il Nirvana. Mi sono perfino imposto di non fare qualche battutaccia, come mi capita spesso. In Campania manterremo questo orientamento: non ci faremo distrarre dalle chiacchiere della politica politicante. Ogni tanto sento qualche piccolo personaggio politico parlare anche della Campania. Si tratta di personaggi flebili, improbabili che non sarebbero in grado di amministrare neanche il loro condominio. Ma di questo avremo modo di parlare senza lasciarci distrarre. Tutto il resto è noia e, come dicevano alcuni vecchi militanti, i cani abbaiano, la carovana passa“.

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‘M5s deve rifondarsi. Basta con il modello verticistico e la visione romanocentrica’. L’intervento del deputato 5 stelle Gallo

di Luigi Gallo*

“Oggi si chiude un’era. È giunto il tempo di rifondarsi”. Sono queste le parole di Luigi Di Maio che prendo in prestito per avviare la nuova era che come Movimento 5 stelle ci aspetta. È un’era diversa da quella di dieci anni fa, ma ciò che non deve essere diverso è il nostro sguardo focalizzato sull’interesse ultimo del cittadino più fragile, quello senza voce, quello delle comunità alla periferia del sistema di potere.

Ancora oggi è il M5s l’unica forza con le mani libere, onesta, post-ideologica ma non post-identitaria, capace di rivoluzionare un Paese che ha ancora bisogno di tante rivoluzioni.

La nostra lotta per i diritti e la dignità di tutti i cittadini è ancora in corso, le nostre battaglie per salvare le nostre fonti di vita come acqua, cibo e terra sono appena iniziate con i primi 4,2 miliardi per le imprese ecologiche del nostro Paese. La riforma epocale del reddito di cittadinanza è attiva da soli sei mesi, eppure è contestata da almeno quattro anni da un sistema mediatico, industriale e intellettuale che, in fondo al velo delle ipocrisie, odia i poveri: li considera immeritevoli, fannulloni, furbastri e delinquenti, non vittime di un sistema economico e politico profondamente ingiusto e da riformare.

Le misure sul lavoro e sullo sviluppo economico di cui Di Maio è stato artefice e per le quali è stato troppo poco ringraziato hanno ribaltato il sistema economico. L’occupazione in crescita su base annua dell’1,2% con 285mila unità in più, la galoppante riduzione della povertà grazie al reddito di cittadinanza e la pensione di cittadinanza ci dicono che per la prima volta in Italia sta avvenendo la ridistribuzione della ricchezza.

Tutto questo abbiamo visto che non basta: non basta governare bene per avere il Paese e i cittadini dalla tua parte – o comunque avere cittadini consapevoli e informati capaci di continuare a battersi per le conquiste di civiltà che mese dopo mese stiamo compiendo. Abbiamo bisogno di un M5s forte, energico, entusiasta anche nei territori per continuare e ritornare ad essere un patrimonio pubblico di questo paese per tutti i cittadini liberi.

In questi due anni il modello verticistico ha dimostrato di essere inadeguato a dare tutte le risposte necessarie alla comunità del M5s, che nel 2018 è arrivata a contare 11 milioni di cittadini italiani. La sovrapposizione dei ruoli di governo e capo politico ha prodotto gravi disfunzioni nella gestione interna del M5s, cosicché le grandi riforme storiche varate per il nostro Paese come la legge anticorruzione, che finalmente porta anche i colletti bianchi in carcere e non solo i ladri di polli, sono state oscurate dalle disfunzioni sul funzionamento interno del M5s e dalle scelte politiche, che non sono state capaci di rilanciare il M5s nei Comuni e nelle Regioni.

Quello di cui abbiamo bisogno è l’intelligenza collettiva, una leadership decisionale con diverse menti a confronto, capace di un salto evolutivo nella politica, perché il futuro ci parla di rete di persone connesse che cambiano il mondo; mentre l’uomo forte al comando – come Matteo Salvini – puzza di Ventennio, di secolo scorso, in un’epoca in cui anche le più grandi e innovative aziende multinazionali hanno abbandonato questo modello.

Ore le più imminenti sfide sono i governi del territorio. La prima cosa da cambiare nel M5s è la visione romanocentrica. In dieci anni abbiamo generato una forza propulsiva in tutto il Paese che ci ha portato al governo dell’Italia; ora dobbiamo costruire e produrre il cambiamento anche sui territori. Bisogna sconfiggere la criminalità in tante regioni e città del Paese, dobbiamo realizzare il modello rifiuti zero, dobbiamo estirpare mafie e politici malati dalla sanità, dobbiamo proteggere case e cittadini dalle frane e le alluvioni prodotti dal dissesto idrogeologico, dobbiamo procedere alle bonifiche delle nostre terre violentate dai rifiuti tossici.

Per fare questo bisogna mobilitare un popolo per cambiare i governi delle regioni. Dopo dieci anni possiamo dire con certezza che non possiamo realizzare questa impresa epocale da soli, così come abbiamo avuto la certezza di non poter governare da soli. Ancora una volta siamo solo noi del M5s che possiamo cambiare la cultura politica sui territori, come stiamo facendo e abbiamo fatto al governo del Paese (a proposito, ricordate gli indagati e i condannati al governo?). Ci sono nuove sfide da raccogliere: è ora di riprendere l’elmetto che avevamo messo nell’armadio.

* M5s, deputato e presidente della Commissione Cultura della Camera

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M5s, cosa può succedere dopo le dimissioni di Luigi Di Maio: tra totosuccessori, lotte interne e l’ipotesi di un collegio eletto dagli iscritti

Il primo giorno serve per riprendersi dalla botta. Al secondo inizia a circolare la domanda fatidica: e adesso? Trentasei ore dopo le dimissioni di Luigi Di Maio da capo politico del Movimento 5 stelle, la risposta che tutti cercano riguarda il futuro. Parlamentari, consiglieri locali e semplici attivisti si chiamano e scambiano messaggi per capire quali saranno le prossime mosse. Si prova a interpretare il gesto del leader: “Fa sul serio?“, è il punto intorno al quale ruotano tutti. E, ancora una volta, la mossa divide le varie anime. E’ un proliferare di opinioni: per alcuni è stato solo un “maldestro tentativo” di farsi da parte pensando già al rientro; per altri un’occasione irripetibile per azzerare tutto. E mentre provano a decifrare le reali intenzioni dell’ormai “solo” ministro degli Esteri, iniziano a riposizionarsi: critici, moderati, polemici lievi, progressisti e dissidenti. Ma pure ex fedelissimi ora senza bussola. Sembra un po’ il famoso “gioco delle sedie” delle feste del liceo: all’improvviso si è spenta la musica, quella che faceva girare la baracca in modo sempre meno ordinato, e tutti corrono per cercare di trovare il posto migliore ed evitare di restare in piedi con il cerino in mano. “Adesso si trema”, commenta qualcuno. Nel caos generale, le certezze sono poche: il reggente è il viceministro Vito Crimi, componente anziano del collegio di garanzia e uomo di fiducia del M5s; lui e i membri del team del futuro (scelti, ricordiamolo, dallo stesso Di Maio solo poche settimane fa) traghetteranno il Movimento verso gli Stati generali del 13-15 marzo. Da statuto le nuove elezioni in rete si dovrebbero convocare entro 30 giorni dalle dimissioni del capo politico, ma l’intenzione è di applicare una deroga per superare prima l’assemblea generale. Basta per placare le tensioni? No. Prima si dovrà riuscire a superare il fossato delle Regionali: domenica, salvo sorprese, prenderanno una batosta durissima in Calabria ed Emilia-Romagna e dovranno farlo in apnea sperando di arrivare all’altra sponda senza ulteriori scosse interne. Sarebbe già qualcosa.

Un punto fisso: gli Stati generali di marzo – Nell’orizzonte così poco chiaro che si delinea per i 5 stelle c’è una data limite, anzi è un weekend: dal 13 al 15 marzo i 5 stelle si vedranno per ridiscutere chi sono e dove vogliono andare. Sarà un altro passaggio storico, anche perché molto simile a quelle assemblee di partito che in passato hanno sempre disdegnato. Il luogo non è ancora stato reso noto: “Dovrà essere simbolico, perché segnerà l’inizio di una nuova fase e sarà ricordato per sempre nella storia del Movimento”, commenta chi sta lavorando all’organizzazione. Cosa succederà in quella tre giorni ancora non è chiaro. Agli Stati generali, “dovremo essere onesti con noi stessi, dirci cosa possiamo realizzare per questo Paese e per cosa invece oggi non ci sono ancora le condizioni”, ha detto Di Maio. Gli eletti si chiedono nella pratica cosa voglia dire: ci saranno i portavoce? Saranno aperti a tutti? Chi gestirà la discussione? “Insieme discuteremo la nuova carta dei valori del Movimento. Discuteremo su progetti e temi”, ha chiuso Di Maio. Di certo si preannuncia come uno spartiacque per il nuovo Movimento: lì si deciderà cosa dovrà diventare la nuova creatura politica, se avrà un capo o più di uno e come sarà scelto. L’errore che non possono permettersi? Lasciare che sia l’ennesimo incontro per ratificare decisioni già prese dall’alto. Perché la pazienza di quello che è rimasto della base è terminata.

L’incognita Luigi Di Maio – Il capo politico dimissionario dove sarà? L’ormai ex leader ha detto che non ha nessuna intenzione di farsi totalmente da parte. “Non ci penso per nulla di mollare”, ha detto sempre nel suo discorso di addio. “Ci sarò e porterò le nostre idee”. I più vicini al ministro degli Esteri in queste ore assicurano che non vuole ricandidarsi e che d’ora in poi lavorerà con un altro ruolo. E’ una versione che all’interno discutono in tanti. “Pensa che ci crediamo davvero?“, commenta una fonte a ilfattoquotidiano.it. “Tutto quello che ha fatto è per riuscire a restare ed evitare di essere completamente esautorato nei suoi poteri. Non aveva altra scelta”. Ed effettivamente il discorso che ha fatto al Tempio di Adriano a Roma è un discorso di attacco ai nemici interni e ancorato a tutti i risultati che il Movimento ha ottenuto sotto la sua guida. “E’ stato molto distruttivo”, è un’altra delle riflessioni. “Se ne è andato mostrando che d’ora in poi non farà più il mediatore e lavorerà da fuori soprattutto per se stesso. Solo che ora sarà costretto a far vedere da che parte sta. Non sarà più sufficiente mostrarsi come il democristiano, vedremo il suo vero volto”. In quali vesti si presenterà agli Stati generali è difficile da prevedere. “Al momento si possono fare solo congetture”, continuano. “Ma è chiaro che è lui ad aver apparecchiato il tavolo per quello che verrà e che il suo potere d’influenza è ancora forte”. Resta da vedere se riuscirà effettivamente a tenere il controllo sulla struttura, anche dalle retrovie.

La caccia alle persone: tandem sì o no? – Neanche aveva finito di togliersi la cravatta, che già intorno era iniziata la caccia. E’ presto. Neppure hanno deciso se la piattaforma Rousseau potrà essere ancora il luogo di confronto idoneo per il Movimento e già si parla del volto da sostituire alla figurina di Luigi Di Maio. Se ne sono sentite di tutti i tipi. Si è parlato di tandem: una coppia di parlamentari apprezzati da parlamentari e base che possa gestire il M5s. I nomi fatti sono stati quelli di Stefano Patuanelli, ministro e apprezzato dai gruppi, e Paola Taverna, vicepresidente del Senato e 5 stelle della prima ora. “Impossibile, hanno già altri incarichi importanti”, è però il commento di alcuni. “Li mandano avanti per bruciarli”. Il nome più quotato di tutti rimane quello della sindaca di Torino Chiara Appendino: voce pacata e molto stimata dai vertici, l’hanno citata in tanti in queste ore, anche se lei ha già espresso le sue perplessità. Ma questa volta, se certi ragionamenti si faranno, dovranno tenere in considerazione anche il Nord, troppo spesso trascurato: quindi gente come Stefano Buffagni o Riccardo Fraccaro. “Sono tutte supposizioni, nessuno sa niente e si sparano nomi nel mucchio”, tagliano corto. Senza dimenticare che, se Giuseppe Conte starà fuori dalla partita perché volutamente concentrato sul governo, un’altra figura potrebbe essere tirata in causa: Roberto Fico. Non sarà lui a offrirsi, ma se lo dovessero reclamare non si tirerà indietro.

L’ipotesi comitato eletto dagli iscritti – In questo clima di grande confusione, c’è sempre sul tavolo la proposta dei tre senatori Primo Di Nicola, Nicola Dessì e Mattia Crucioli. Proprio il loro documento, presentato a inizio gennaio e sottoscritto da un gruppo consistente di parlamentari, è stata una delle gocce che ha fatto traboccare la pazienza di Luigi Di Maio. Il documento chiede di eliminare il ruolo del capo politico e sostituirlo o almeno affiancarlo con “un organismo collegiale democraticamente eletto”. Ma soprattutto mette sul tavolo anche la difficilissima questione della piattaforma Rousseau che, chiedono, non deve più essere nelle mani di Davide Casaleggio. Ecco, i promotori del documento puntano a discutere la loro proposta proprio agli Stati generali. Sulla carta è la mozione, se potessimo usare i termini dei partiti tradizionali, più difficile da discutere perché richiede una forte maturità del Movimento: capacità di evoluzione e un cambio strutturale. Eppure secondo alcuni potrebbe essere interesse dello stesso Di Maio evitare di incoronare una singola persona, ma rendere “collegiali” le decisioni per continuare così ad avere un’influenza da fuori. Al momento le difficoltà stanno a monte: riuscire a calendarizzare la discussione del documento per un’assemblea senza programma né scaletta.

E Alessandro Di Battista? – E’ la carta che potrebbe stravolgere tutto. L’ex deputato, uno dei volti più simbolici del Movimento e uno di quei leader capace ancora di risvegliare le piazze dei 5 stelle. Parla alla base, allo zoccolo duro e, essendo fuori da tutte le dinamiche, può dire di non essersi “sporcato” con i compromessi di governo. Attualmente è in viaggio in Iran e, nel mentre, tutti nel M5s aspettano che dia una segnale. Faccia un cenno, si esponga. Dica un sì o un no. Per alcuni basterebbe un “nì”. Il rapporto con Di Maio va avanti da sempre tra alti e bassi. Il capo politico dimissionario lo ha sempre sofferto, ma c’è addirittura chi non esclude che i due possano trovare una nuova intesa ed essere loro il tandem che guiderà il Movimento. Perché di fatto, nello spirito, hanno molte similitudini e se trovassero un equilibrio, ora che Di Maio è un portavoce semplice (seppur ministro per carità), potrebbero raggiungere un punto di incontro e fare strategia comune. C’è nel Movimento chi è pronto a scommettere che almeno ci abbiano pensato. Insomma tante ipotesi e al momento pochissime: le prossime settimane saranno decisive per capire dove vuole andare il M5s. E se ci arriverà intero.

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giovedì 23 gennaio 2020

Milleproroghe, ammissibili le 4 “trappole” dei renziani per il governo. Mille emendamenti cancellati, anche quello pro cannabis light

Restano tutt’e quattro le mine seminate da Italia Viva lungo il percorso del decreto Milleproroghe su cui voteranno la prossima settimana le commissioni Affari costituzionali e Bilancio della Camera. Tra gli emendamenti ritenuti ammissibili ci sono sia il rinvio dell’entrata in vigore delle microtasse verdi – plastic tax e sugar tax – inserite in manovra sia il rinvio della riforma Bonafede (già in vigore dal primo gennaio) sia le modifiche alle norme volute dal governo sulle concessioni autostradali, attraverso le quali si dà più forza allo Stato nei confronti dei concessionari privati. Si tratta di testi che potrebbero mettere in difficoltà la maggioranza su temi centrali sia per il M5s che per il Pd.

In votazione non ci sarà invece l’emendamento per la liberalizzazione della cannabis light, firmato da una trentina di parlamentari di M5s, Pd e Liberi e Uguali più altri di +Europa. La proposta di modifica è stata ritenuta inammissibile così come l’emendamento presentato dall’ex ministro Luca Lotti che avrebbe modificato governance e finanziamento a Coni e Sport e Salute, “controriforma” delle decisioni del governo gialloverde per mano del sottosegretario leghista Giancarlo Giorgetti.

Gli emendamenti inammissibili sono stati 1024, quasi la metà dei presentati. “È il risultato di un lavoro condotto con metodo serio e rigoroso, con terzietà e imparzialità, come si impone a chi ricopre incarichi istituzionali di garanzia” ha detto il presidente della commissione Affari costituzionali Giuseppe Brescia. In particolare è stato dichiarato inammissibile circa il 60 per cento degli emendamenti di M5s e Pd. Tra le proposte di modifica del centrodestra sono state ammesse quelle per la cancellazione totale di sugar tax e plastic tax e sono state bocciate anche la richiesta di un esponente di Forza Italia di abrogare il via libera alla circolazione dei monopattini e quella del Pd per rivedere la concessione alla Sat per la gestione e i lavori di costruzione delle tratte dell’A12. Su quest’ultimo tema è in fase di istruttoria anche un emendamento del governo.

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M5s, De Luca su dimissioni Di Maio: “Non mi fate dire niente, mannaggia. Come è dura la vita senza fare mezza battuta”

“Abbiamo problemi drammatici in Italia. Si sarà dimesso? Non mi fate dire niente, mannaggia”. E’ la battuta pronunciata ieri pomeriggio dal presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, sulle dimissioni di Luigi Di Maio dalla guida del M5s.

Durante la presentazione delle agevolazioni per il commercio a Salerno, il politico dem ha ironizzato sulla notizia, aggiungendo: “Non posso parlare. Come è dura l’esistenza quando non puoi fare più una mezza battuta. Io mi farei tagliare una mano per una battuta. E ora non posso fare più niente”.

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M5s, Travaglio su La7: “Discorso Di Maio? Fischieranno le orecchie a Di Battista e a Paragone”. Battuta di Gruber su cravatta tolta

Di Maio si è dimesso adesso perché credo che sia arrivato a un livello di saturazione ormai insopportabile“. E’ il commento del direttore de Il Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, durante “Otto e Mezzo” (La7), sulle dimissioni di Luigi Di Maio dalla guida del M5s, notizia già anticipata proprio sul Fatto dal giornalista Luca De Carolis lo scorso 10 gennaio e seccamente smentita dallo staff dell’ex capo politico pentastellato.

Travaglio spiega: “Nel M5s c’è uno stillicidio di uscite da parte di parlamentari, c’è una cacofonia che è sempre stata una caratteristica del movimento, ma adesso è a livelli parossistici. Ci sono coloro che quotidianamente spiegano che cosa si dovrebbe fare e soprattutto contestano regole, a suo tempo accettate da tutte, quelle stesse regole che hanno consentito a molti di questi miracolati di essere eletti. E quindi non si capisce perché non abbiano contestato quelle regole subito, facendosi così eleggere da qualcun altro. Credo che sicuramente – continua – fischieranno le orecchie anche a Di Battista e a Paragone, ovviamente per ragioni diverse. Di Maio, infatti, ha parlato di quelli che preferiscono dire “l’avevo detto” anziché “facciamo qualcosa e lavoriamo insieme”. Credo anche che Di Maio ce l’abbia soprattutto con questo ronzio di fondo che ha permesso ai media di oscurare i successi che, dal punto di vista di Di Maio, ha ottenuto il M5s. Quando lui cita una ventina di leggi, non sta raccontando bugie. E ogni volta che esaltava quei successi, anziché esultare anche un po’ patriotticamente, all’interno del M5s c’era sempre qualcuno che segnalava qualche difficoltà, anche nei casi rari in cui quelle difficoltà non c’erano. Quindi, oggi Di Maio si è levato un po’ di sassolini tutti insieme“.

Travaglio è convinto che il M5s non sia finito, perché non è nato con Di Maio. E aggiunge: “Certamente se i 5 Stelle riuscissero a parlare di più come parla Grillo e meno come parlano gli incravattati, potrebbero avere un ruolo anche in futuro“.
Battuta finale della conduttrice Lilli Gruber: “Alla fine del suo discorso Di Maio si è tolto la cravatta e ha detto che per lui è sempre stata simbolo di rispetto delle istituzioni. Forse si è dimenticato che è comunque ancora ministro degli Esteri e quindi la cravatta forse doveva tenersela“.

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Virginia Saba, la dedica al fidanzato Luigi Di Maio dopo le sue dimissioni: “L’uomo migliore che potessi incontrare, infinita stima e infinito amore”

Infinita stima per Luigi, ed infinito amore, perché è l’uomo migliore che potessi incontrare“. Con queste parole Virginia Saba ha commentato il passo indietro fatto dal fidanzato Luigi Di Maio che mercoledì ha lasciato il suo ruolo di capo politico del Movimento Cinquestelle. A poche ore dal discorso del compagno, la giornalista sarda ha condiviso sul suo profilo Facebook il video integrale della sua conferenza, dedicando a Di Maio parole d’affetto e stima. “Basta ascoltare ogni parola scelta ed ogni pensiero espresso in questo suo discorso per capire quanto è bello quando la politica si riempie allo stesso tempo di concretezza e virtù. Virtù, presupposto essenziale per chiunque voglia dedicarsi al bene comune”, ha scritto Virginia Saba.

Infine, ha voluto fare un in bocca al lupo “al Movimento, e a tutti quei cittadini di buona volontà che sanno cosa sia anteporre l’interesse di tutti ai propri egoismi e da tempo lottano per questo. Mai lasciare i sogni a metà. Coraggio”. Ieri Luigi Di Maio nel suo discorso le aveva dedicato un ringraziamento speciale: “Virginia mi è stata vicino in un anno davvero difficile“.

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mercoledì 22 gennaio 2020

M5s, il reggente Crimi: “Nessun impatto sul governo. Luigi non sarà più capodelegazione nell’esecutivo, decideremo il sostituto”

Nel giorno in cui Luigi Di Maio ufficializza le sue dimissioni come capo politico M5s, viene nominato reggente, come da regolamento, il membro più anziano del collegio di garanzia, ovvero Vito Crimi. Già primo capogruppo alla Camera nella storia pentastellata, al termine del discorso di Di Maio, lo abbraccia e poi rivendica: “Non ci sarà alcun impatto sul governo, confermerò la squadra dei facilitatori che sarà il futuro del Movimento”. E poi rivela: “Di Maio lascerà anche il ruolo di capodelegazione M5s al governo, valuteremo sostituto”. In attesa degli Stati generali, invece, Crimi ha tagliato corto su quale sarà l’assetto futuro del M5s: “Di Maio sarà l’ultimo a rivestire il ruolo di capo politico perché sarà soppiantata la figura? Non occupiamoci di chi, ma del cosa,degli obiettivi che vogliamo realizzare”.

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M5s, Di Maio saluta e si toglie la cravatta: “È stato il mio simbolo. Un modo per onorare la serietà delle istituzioni”

“Gianroberto Casaleggio, per tutti gli anni in cui l’ho conosciuto, mi ha fatto un solo e unico regalo: un libro che si intitolava L‘elogio della cravatta di Mariarosa Schiaffino. Era stato colpito dal fatto che la indossassi sempre, ogni volta che andavo da lui. E mi propose di approfondire il significato del tipo di nodo, perché anche il nodo della cravatta per lui e per quel libro era comunicazione. Tutto per Gianroberto poteva essere un modo per arrivare alla gente”. Così Luigi Di Maio, dal palco del Tempio di Adriano, dove ha annunciato le dimissioni. “La cravatta per molti in questi anni ha contraddistinto il mio operato da capo politico. Ora la portate tutti, ma all’inizio non era così… Per me ha sempre rappresentato un modo per onorare la serietà delle istituzioni della Repubblica e il contegno che deve avere un uomo dello Stato. Oggi simbolicamente la tolgo qui davanti a tutti voi. Grazie a tutti. Vi abbraccio. E vi voglio bene. Buona fortuna. Ne avremo tutti bisogno”, ha concluso Di Maio. Alla fine del discorso, il capo politico uscente ha abbracciato il reggente del M5s, Vito Crimi, con la standing ovation della platea sulle note di ‘Fix Yoù dei Coldplay

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