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martedì 30 giugno 2020

Mes, si apre dibattito nel M5s. Di Nicola: “Basta con no ideologico o il governo rischia”. Sibilia: “Se vengono meno clausole, diventa un’altra cosa. Allora prenderemmo i soldi”

“Finiamola con il no ideologico al Mes, altrimenti il governo rischia davvero“. Ad aprire il dibattito anche dentro il Movimento 5 stelle sull’opportunità o meno del ricorso al cosiddetto fondo Salva-Stati è il senatore Primo Di Nicola. Mentre il premier Giuseppe Conte ha ribadito più volte come l’ultima parola spetterà al Parlamento, il M5s, almeno pubblicamente, si è sempre detto contrario. Ma il fronte non sembra così compatto, soprattutto dopo l’appello del segretario Pd Nicola Zingaretti perché i fondi destinati alla sanità siano valutati dalle forze di governo. “Questo strumento”, ha detto Di Nicola in un’intervista a Repubblica, “non è più quello che ha portato allo strangolamento della Grecia. Oggi l’unica condizionalità è legata all’utilizzo in ambito sanitario per fronteggiare l’emergenza coronavirus. Certo, c’è da aspettare che le regole del Mes vengano definitivamente scritte, ma Dio solo sa quanto bisogno abbiamo di quei 36 miliardi. Mi chiedo: se ne abbiamo bisogno e dovesse rivelarsi conveniente, perché no?”. Il senatore M5s, nella sua intervista, ha anche sottolineato le difficoltà della maggioranza in Parlamento: a Palazzo Madama, dove solo la settimana scorsa il M5s ha perso un’altra senatrice, il governo ha un margine molto risicato (circa 10 parlamentari).

Oggi intanto il premier ha sentito Angela Merkel : un confronto arrivato dopo che solo venerdì scorso la cancelliera si era augurata che il Mes non “rimanesse inutilizzato”. Al centro del colloquio, la cui motivazione ufficiale era la presidenza tedesca dell’Ue che parte il primo luglio, anche il dossier caldo del Recovery Fund: l’Italia chiede sia attivato il prima possibile, ma non mancano le difficoltà nelle trattative.

Secondo Di Nicola, l’importante è che i 5 stelle almeno siano disponibili ad aprire una discussione sul tema e non si blocchino a un “no preventivo”. Sul Mes infatti, ha continuato, “i dubbi ci sono e riguardano i problemi che potrebbero crearsi se un Paese non dovesse essere in grado di restituire il prestito. Quindi penso sia necessario chiarire che in ogni caso la sovranità nazionale non si tocca, lasciando ai Paesi che dovessero trovarsi in difficoltà la libertà di individuare le ricette economiche più adatte a fronteggiare le eventuali crisi”. E infine, in merito alle resistenze del Movimento, “dalle posizioni preconcette, ideologiche, occorre passare a una linea ragionata, spiegando all’intero M5s che se si ricorresse al Mes risparmieremmo svariati miliardi di tassi di interesse che potremmo impiegare per le tante altre nostre emergenze”.

Solo nelle scorse ore, i 5 stelle riuniti in assemblea al Senato hanno ribadito il loro no al ricorso al fondo salva-Stati. Ma la discussione è molto accesa. Tanto che oggi a esporsi e a lasciar intravedere possibilità di mediazione è stato anche il sottosegretario all’Interno Carlo Sibilia: “Il M5s ragiona come una famiglia in difficoltà”, ha detto all’agenzia Adnkronos, “come è oggi il nostro Paese duramente colpito dalla pandemia. Se vediamo dei soldi a portata di mano e a buon mercato, non siamo di certo stupidi a non volerli utilizzare. Ma c’è bisogno di avere la certezza che non siano una trappola, studiando con attenzione le clausole in entrata e in uscita. Se quelle vengono meno, allora non ha più senso chiamarlo Mes, è diventato altra cosa. A quel punto, come ogni famiglia ragionevole, li prenderemmo. Ma no a ricatti verbali su quelle che a oggi sono solo delle supposizioni”.

Dentro il Movimento però è in corso un vero e proprio braccio di ferro, tra chi è pronto al dialogo e chi invece pensa che sarebbe un errore cruciale quello di accettare di ricorrere al Mes. “Siamo passati dai penultimatum di Renzi a quelli di Zingaretti“, ha scritto su Facebook la senatrice Barbara Lezzi, ex ministra molto spesso su posizioni critiche verso la linea ufficiale e molto vicina ad Alessandro Di Battista. “Ogni settimana imbastisce un dibattito strumentale. Questa è la settimana del Mes. Quello che credo è che il segretario del Pd debba essere chiaro con gli italiani e dire se il ritorno di fiamma per Berlusconi è così irresistibile. Se è così, significa che vuole in maggioranza Forza Italia concedendo qualche ministero. Magari uno di quelli che Gelmini e Bernini non smettono di pungolare ogni santo giorno”.

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Vitalizi, Paniz: “Per denigrarli si cita Cicciolina. Lei aveva attività professionale censurabile, ma nei 5 anni di Parlamento andava in Aula tutti i giorni”

Vitalizi? A livello mediatico per denigrarli si fa riferimento a Cicciolina. Bisogna ricordare che Cicciolina, nonostante abbia svolto un’attività professionale censurabile da vari punti di vista, nei 5 anni in Parlamento c’è stata tutti i giorni. E le sue presenze sono al massimo dell’indice di presenze di parlamentari in Aula. Questi sono dati che vanno rispettati. Sono dati oggettivi”. Sono le parole pronunciate nella trasmissione “Nautilus”, su Radio Cusano Tv Italia, da Maurizio Paniz, ex deputato e avvocato, il quale, citando il giornalista Marcello Sorgi, prende ad esempio l’ex pornostar Ilona Staller, già parlamentare del Partito Radicale dal 1987 al 1992.

Paniz, che ha difeso la maggior parte degli ex senatori che percepiscono il vitalizio e che hanno presentato ricorso, aggiunge: “Io mi sono mosso in difesa di uno Stato di diritto che valga per tutti, alla faccia di Villarosa, di Di Maio e di coloro che dovrebbero prima imparare a scrivere le leggi e poi a pretendere che vangano rispettate. In camera caritatis mi hanno chiamato alcuni esponenti del M5s. Ho anche parlato con molti di loro, perché ci sono persone ragionevoli, che hanno capito perfettamente che io sono dalla parte della ragione. E non solo io, ma tutti coloro che si muovono in questo modo – conclude – Alcuni del M5s mi hanno anche mandato un messaggio per dire: ‘Per fortuna che lo Stato di diritto, nonostante i proclami, rimane una garanzia della nostra nazione repubblicana’. Altrimenti vige la legge della giungla, vige la legge del più forte”.

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Lombardia, la commissione d’inchiesta non parte: veto della Lega sulla candidatura di Scandella (Pd). Le ipotesi per superare lo stallo

Ieri sarebbe dovuta essere la settima seduta. E invece niente. Da quando è stata approvata dall’Ufficio di Presidenza ed è stata convocata per la prima volta lo scorso 11 maggio, a parte le polemiche per la rocambolesca elezione di Patrizia Baffi di Italia viva e le successive dimissioni, la commissione d’inchiesta di Regione Lombardia sulla gestione della pandemia da Covid-19 non ha prodotto nulla. Maggioranza e minoranza sono spaccate sull’elezione del presidente. E al momento sembra impossibile trovare una mediazione. Così i lavori, da un mese e mezzo, sono fermi.

Alle opposizioni, secondo il regolamento, spetta la candidatura. Così inizialmente Pd e M5s (ma non i consiglieri del gruppo Misto) avevano proposto il nome di Jacopo Scandella, bergamasco della Valle Seriana, epicentro del contagio nel Nord Italia. Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia si erano messi di traverso poiché Scandella, insieme a tutto il Partito democratico e ai colleghi 5 stelle, aveva promosso e poi votato la mozione di sfiducia nei confronti dell’assessore al Welfare, Giulio Gallera. Così il 26 maggio, a sorpresa e scavalcando i dettami dello statuto, la maggioranza compatta aveva eletto Baffi il cui merito, per il centrodestra, era stato quello di non aver preso parte al voto sulla sfiducia. La novità, rispetto a un mese fa, è che tutti i consiglieri di opposizione che fanno parte della commissione (e quindi anche Michele Usuelli di +Europa e la stessa Baffi, che ha accettato nel frattempo di fare un passo indietro) hanno trovato l’accordo sul nome di Scandella. Proposto, pertanto, per la seconda volta.

Il capogruppo del Carroccio, Roberto Anelli, ha più volte ribadito il no nei confronti dell’esponente dem: “Non ho nulla contro di lui, semplicemente non possiamo accettare un presidente che, avendo votato la sfiducia, ha già tratto le proprie conclusioni sull’operato dell’assessorato alla Sanità e di conseguenza su Attilio Fontana. Ribadisco che siamo pronti a votare qualsiasi consigliere che non venga dalle file del Pd“. La speranza delle opposizioni è che i consiglieri di Forza Italia possano cedere: “Il veto lo sta mettendo la Lega”, conferma il capogruppo del Partito democratico, Fabio Pizzul, “avere il sostegno di FI è difficile ma non impossibile. Io faccio appello alla maggioranza perché la commissione parta”. La seconda ipotesi, al contrario, è che a scendere a patti siano proprio le opposizioni: l’unico consigliere presente in commissione e che decise di astenersi sulla mozione di sfiducia all’assessore al Welfare è Usuelli, neonatologo di lungo corso, attivo con Emergency in Afghanistan e in Africa e che incassò il sostegno, rispetto alla propria candidatura, da un nutrito gruppo di medici. Così Pd e M5s, per sbloccare lo stallo, potrebbero ritirare il nome di Scandella e proporre quello di Usuelli. “Non metto i veti nei confronti di nessuno”, commenta Pizzul, “ma il tema è in capo a chi deve garantire i voti necessari per far partire la commissione, cioè alla maggioranza. Se vuole sedersi a un tavolo e dialogare, noi non ci tiriamo di certo indietro“. Più netto il Movimento 5 stelle: “Questa commissione serve per restituire la verità ai lombardi e agli italiani, non per dare pacche sulle spalle a Gallera e Fontana”, commenta il capogruppo Dario Violi, “noi non appoggeremo il nome di qualcuno che ha mostrato segnali di accondiscendenza nei confronti della Giunta e che possa fare comodo alla maggioranza”.

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lunedì 29 giugno 2020

M5s, nel Lazio si dimette il consigliere Marco Cacciatore: “La scissione a Roma è già in atto”. Dal fronte rifiuti ai malumori per un Raggi-bis

“Ormai ho deciso: me ne vado. Una volta votavamo a maggioranza… ora non si vota più nulla. La scissione nel M5s di Roma? È già in atto”. Entro qualche ora, Marco Cacciatore comunicherà le sue dimissioni dal gruppo del M5s in Regione Lazio. Sceglie Ilfattoquotidiano.it per annunciarlo, dopo anni di militanza, mentre ha già pronta la pec indirizzata all’ufficio della presidenza d’Aula. Ma è quella parola, “scissione”, a essere evocata per la prima volta, benché nella Capitale se ne parli silenziosamente ormai da settimane. Almeno dal 16 maggio, data dell’intervista rilasciata a Il Fatto Quotidiano dal reggente nazionale Vito Crimi, che ipotizzava l’abbattimento del vincolo dei due mandati per le sindache Virginia Raggi e Chiara Appendino. Da quel giorno in città è accaduto di tutto. Da un lato il fermento della base, con l’auto-candidatura della presidente del Municipio VII Tuscolano, Monica Lozzi, alle primarie cittadine (fin qui non contemplate) e la sfiducia unanime della minisindaca raggiana del IV Tiburtino, Roberta Della Casa, poi “riciclata” assessore al V Prenestino. Dall’altro, gli endorsement nazionali – da Luigi Di Maio ad Alessandro Di Battista – alla prima cittadina, che sembra aver iniziato la campagna elettorale pur non sciogliendo formalmente la riserva.

La discarica e “l’accordicchio Raggi-Zingaretti” – L’unica che appariva contraria all’idea di un Raggi-bis era proprio Roberta Lombardi, capogruppo nel Lazio e leader dei cosiddetti “ortodossi” (ma fra i fautori dell’alleanza M5s-Pd al governo). In realtà, secondo quanto dichiara Cacciatore – fino a ieri un “lombardiano di ferro” – anche l’ex deputata sembra essersi “adeguata”. “Sono stato lasciato da solo con la mia battaglia per far sì che Roma diventi autosufficiente sul fronte dei rifiuti e non continui a pesare sulla provincia – spiega il consigliere – Ho presentato degli emendamenti al piano rifiuti proposto da Nicola Zingaretti, ma mi è stato chiesto di ritirarli perché, cito testualmente, ‘l’anno prossimo ci sono le elezioni a Roma’. Così per giustificare l’accordicchio Zingaretti-Raggi sulla discarica e sugli ambiti territoriali, messo a punto dai luogotenenti Massimiliano Valeriani e Giuliano Pacetti, stiamo andando contro il nostro programma elettorale”. Aggiunge: “Mi è stato anche detto che stavo favorendo il centrosinistra ma non si rendono conto che ho spaccato la maggioranza, mettendo i consiglieri della provincia, e non solo, contro Zingaretti. O forse è proprio quello il problema?”.

“La scissione è in atto”, ma Raggi (ancora) non rischia – L’uscita di Cacciatore rischia di diventare deflagrante per il M5s a Roma. Non che sia il primo pezzo perso dai pentastellati capitolini, tutt’altro. Ma è l’effetto domino che preoccupa. “Guardo con interesse a Monica Lozzi – dice Cacciatore – che pone un problema democratico interno. Poi ci sono i 15 consiglieri del Municipio IV fuoriusciti e tanti scontenti in giro per i territori. Se c’è il pericolo di una scissione su Roma? Quella scissione è già in atto, basta guardarsi intorno”. I vertici del M5s riconfermerebbero anche il sindaco di Marino, Pasquale Colizza, vicinissimo a Cacciatore. Ma lui fa dei distinguo: “Colizza si è guadagnato la stima unanime della città portando la differenziata dal 25 al 71%. Virginia Raggi cos’ha fatto in 4 anni? Ha messo quattro aiuole sulla Colombo?”. L’uscita di Cacciatore rischia di pesare sulla tenuta della maggioranza Raggi in Campidoglio? La sua compagna è Simona Ficcardi, consigliera capitolina e grande oppositrice del progetto della discarica. Dovesse andare via anche lei, si assottiglierebbe la truppa del M5s in Aula Giulio Cesare, composta da 26 consiglieri contro i 24 necessari per assicurare l’andamento dei lavori, come esplicitato nei giorni scorsi dal ‘raggiano’ Roberto Di Palma, in un lungo post su Facebook. “Ma Simona si è impegnata a completare il mandato nel M5s, a meno di altri grossi sconvolgimenti”, assicura Cacciatore.

“Lozzi candidata nel centrosinistra? Perché no, ma guardiamo anche al nazionale” – Proprio per la sua battaglia sui rifiuti, l’ormai ex lombardiano era già stato sospeso per 30 giorni dai probiviri. La sua “colpa”, aver presentato un esposto in Procura con al centro la delibera Raggi del 31 dicembre, sulla nuova discarica di Roma di Malagrotta 2, portando i magistrati capitolini ad aprire un’inchiesta. “Abbiamo rinunciato ai nostri cavalli di battaglia – dice Cacciatore – dallo stadio della Roma fino a Tav, Tap e tutto il resto. Va bene la metamorfosi invocata da Di Maio, anche auspicabile, ma così è troppo”. E in caso di scissione romana, cosa farebbero i “ribelli”? Dove convergerebbero? I rumors cittadini indicano la possibilità che Monica Lozzi corra alle primarie del centrosinistra. E il consigliere quasi ex pentastellato “benedice” questa possibilità: “Bisogna guardare con attenzione ai progetti civici che si rivolgono a sinistra, per determinare scenari anche nazionali ed evitare l’ascesa delle destre. Mi sono sempre rapportato con figure che possono fare una scelta in questo senso e che si trovano ancora all’interno del M5s. Di Battista? No, ormai lui non lo ritengo più un nome spendibile”.

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Regionali Liguria, la scelta di Massardo spacca la coalizione di centrosinistra. Leu: “M5s si fa dettare la linea da Renzi”

Mancano meno di tre mesi alle elezioni in Liguria e tra Partito Democratico e Movimento 5 stelle il rischio è quello di uno psicodramma politico a tutto vantaggio di altri cinque anni di governo regionale del centrodestra. Eppure, l’asse giallorosso in salsa ligure sembrava partire con il piede giusto. Dopo cinque anni di convergenze dai banchi dell’opposizione contro le politiche del centrodestra, il Pd si era riunito alle liste alla sua sinistra (nella sigla di Campo Progressista) e aveva atteso il via libera di Rousseau all’accordo con il M5s. In queste lunghe settimane di lockdown rappresentanti di Campo Progressista e M5s si erano riuniti al tavolo (virtuale) per la condivisione di un programma unitario alternativo a quello di Lega e centrodestra incentrato su ambiente, salute, lavoro, trasporti e istruzione. Con l’unica vera difficoltà di trovare un accordo che soddisfacesse tutti sul nome del candidato Presidente.

Nel tentativo di sbloccare la situazione, il 9 giugno i delegati regionali di Pd e M5s, principali azionisti dell’alleanza sono scesi a Roma per discutere il nome del candidato unitario coinvolgendo i vertici nazionali. Ritenuto troppo vicino al Pd il nome dell’avvocato e presidente della Comunità Ebraica Ariel Dello Strologo e troppo debole quello dell’ex-preside di ingegneria Aristide Massardo, la due giorni di riunioni di inizio giugno si era sciolta, su proposta del vice segretario del Pd Andrea Orlando, con un’intesa di massima sulla candidatura di Ferruccio Sansa, giornalista del Fatto Quotidiano ritenuto più adeguato e competitivo in vista della contesa elettorale.

Sembrava tutto pronto: alleanza, programma e candidato, restava solo la conferma del Pd a livello regionale, attesa nell’arco di 48 ore. Ma i protagonisti non avevano calcolato le spaccature tra livello nazionale e regionale, guerre tra correnti e delicati rapporti di forza che faticano a trovare sintesi. Così, mentre la sinistra e i Cinque Stelle attendevano il via libera alla candidatura di Ferruccio Sansa, il Pd si è diviso su quattro posizioni inconciliabili tra loro: “Va bene chiunque basta andare uniti”, “Ok a Sansa”, “Chiunque tranne Sansa” e infine quelli che “Andiamo da soli con uno ‘nostro’”. Passano due settimane e non spunta fuori nessun nome “nuovo” capace di risolvere i conflitti interni al Pd e soddisfare le aspettative dei partner di Campo Progressista e M5s. Così, mentre la vicenda sembrava lentamente volgere alla “resa” dei vertici del Pd regionale al nome proposto dal loro stesso vice segretario, a ribaltare il tavolo è arrivato Matteo Renzi venerdì scorso: “Italia Viva sostiene l’alleanza, a patto che il candidato non sia un giornalista del Fatto”. Italia Viva, che sembrava muoversi verso una corsa solitaria con la candidatura dell’ex-pupilla di Toti e Bucci Elisa Serafini, ha così deciso di sostenere Aristide Massardo, che la scorsa settimana aveva deciso di rompere gli indugi autocandidandosi a Presidente nell’estremo tentativo di muovere le acque.

Arriviamo così all’ultimo colpo di scena. Spiazzando completamente gli alleati e senza preavviso, nella tarda serata di ieri sera con una nota il Movimento Cinque Stelle ha a sua volta rilanciato la candidatura di Aristide Massardo. “Preferivamo Sansa ma va benissimo Massardo – hanno spiegato a chi chiedeva delucidazioni – l’importante è che si parta subito senza perdere tempo prezioso”. Un asse inedito a sostegno dell’ex preside di Ingegneria dell’Università di Genova che vede uniti i burlandiani centristi del Pd, Italia Viva e i Cinque Stelle a favore del candidato che, fino alla settimana precedente, veniva ritenuto fuori dai giochi. La fuga in avanti ha provocato l’immediato irrigidimento della sinistra del Campo Progressista: “L’appello del M5s per Massardo è inaccettabile – ha scandito Luca Pastorino, deputato genovese di Leu – se Vito Crimi ha deciso di farsi dettare la linea da Renzi e da Paita faccia pure. Io ho sempre lavorato insieme a tutta l’area di campo progressista per una soluzione larga. Le forzature non portano a nulla di buono, auspico che il Pd convochi un tavolo di confronto”.

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La7, Sorgi a Castaldo: “M5s votò von der Leyen, in cambio lei fu eletto vicepresidente al Parlamento Ue”. “Falso, è successo prima”

Botta e risposta a “L’aria che tira estate” (La7) tra il vicepresidente del Parlamento Europeo, Fabio Massimo Castaldo, e l’editorialista de La Stampa, Marcello Sorgi, sulle divisioni nella maggioranza intorno al Mes. A riguardo, il giornalista osserva sui 5 Stelle: “Dobbiamo prendere atto di una realtà: in Italia un anno fa c’era un governo euroscettico, che postulava anche la possibilità di uscire dalla Ue e dall’euro. Poi è nato un nuovo governo, di cui metà componeva il governo di prima ed è euroscettica. Questa metà euroscettica, che ora è diventata europeista, non è che ha dato grandi prove di convinzione. Sì, hanno votato Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Europea, peraltro ottenendo in cambio un vicepresidente del Parlamento Europeo. Sì, hanno detto che non vogliono uscire dall’euro, però, a stringere, sono sempre ancora in competizione molto forte con Salvini e Meloni, che continuano a postulare l’uscita dalla Ue”.

Non ci sta Castaldo, che ribatte: “Io sono rimasto veramente basito da quello che ha detto il dottor Sorgi. Se fossimo all’università e lui stesse sostenendo l’esame di attualità politica europea, sarebbe stato sonoramente bocciato, perché ha detto una serie di cose che sono assolutamente false e non vere. Io non sono stato eletto vicepresidente per qualsivoglia scambio con la Commissione von der Leyen, perché sono vicepresidente del 2017 e sono stato rieletto il 3 luglio 2019, ben 13 giorni prima dell’elezione di Ursula von der Leyen a presidente della Commissione. E quando sono stato rieletto, si sapeva a malapena, forse da un giorno, che sarebbe stata von der Leyen la candidata alla presidenza”.

E aggiunge: “Sono stato eletto nel 2017 e poi rieletto come vicepresidente del Parlamento Europeo, perché tutti noi parlamentari del M5s abbiamo svolto un estremamente lavoro concreto, costruttivo e molto calato sui temi. E con questo ci siamo guadagnati la stima di tante forze politiche, dai Socialisti ai Popolari ai Verdi. Siamo sempre stati una forza europeista, talvolta di critica costruttiva, ma sempre nell’ottica di migliorare l’integrazione e di colmare alcune evidenti lacune, come le asimmetrie politiche e fiscali, la mancanza di una Europa sociale, le politiche ambientali e digitali – chiosa – Dire che siamo una forza anti-europeista che vuole uscire dalla Ue è proprio una falsità totale. E, se così fosse stato, mai avrei potuto essere eletto due volte vicepresidente del Parlamento Europeo, peraltro da indipendente. Forse Sorgi non lo sa, ma io sono stato eletto da indipendente proprio per la stima dei miei colleghi”.

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Scuola, Azzolina: “Barriere di plexiglas nelle aule? Sempre stata una bufala. Sono stanca di leggere notizie false pubblicate per fare clic”

Le aule scolastiche coi divisori in plexiglas? È una bufala, è sempre stata una bufala dal primo momento. Ci vorrebbe maggiore correttezza e non solo da parte dei giornali, ma in generale. Tutt’oggi qualcuno continua dire che io voglio i divisori in plexiglas nelle scuole. C’è qualcuno che evidentemente vuole creare confusione e ci vive bene, ma, vi prego, guardate i documenti ufficiali del ministero dell’Istruzione o leggete quello che scriviamo sui social del ministero stesso, perché sinceramente sono stanca di leggere notizie false che fanno clic o ascolti“. Sono le parole pronunciate ai microfoni di “24 Mattino”, su Radio24, dalla ministra dell’istruzione Lucia Azzolina, che spiega dettagliatamente la genesi della notizia sulle barriere in plexiglas nelle scuole: “Avevamo fatto una riunione privata con il comitato tecnico-scientifico e stavamo valutando diverse misure per la riapertura delle scuole a settembre. Tra queste ipotesi, c’era quella dei divisori. Qualche minuto dopo, per due giornali quella dei divisori in plexiglas era diventata una notizia di primo piano. E poi è stata ripresa da tutti i giornali. Tre giorni dopo feci un video per dire che non avevamo mai parlato di plexiglas nelle scuole e, come risultato, alcuni giornali hanno titolato: ‘Azzolina fa marcia indietro’“.

La ministra annuncia lo stanziamento di 2,5 miliardi per le scuole, puntualizzando: “Avevo trovato 800 milioni di euro non spesi, che gli enti locali non sono mai riusciti a utilizzare. Quindi, quel miliardo che si cercava, in realtà, c’era già ma nessuno lo aveva visto. Quando feci domanda ad alcuni dirigenti del ministero dell’Istruzione per conoscere i conti e sapere tutto quello che non c’era di non speso, loro mi risposero che ero il primo ministro a fare questa richiesta. Ora abbiamo 2,5 miliardi, di cui 1,5 messi nel decreto Rilancio e adesso un miliardo in più – spiega – Sono fondi molto importanti, destinati a diversi aspetti: banchi singoli che permettono di recuperare spazio e noi dobbiamo mantenere un metro di distanza bocca a bocca in classe, banchi moderni che permetteranno una didattica moderna, nuovi spazi e nuove aule. I fondi serviranno anche per fare patti territoriali per portare gli studenti fuori dalla scuola tradizionale, il che piace molto agli studenti stessi, e ovviamente per l’organico“.

Circa il ritardo nella stesura delle linee guida per la riapertura delle scuole, Azzolina puntualizza: “Prendere delle decisioni a giugno sulla base di un quadro epidemiologico in itinere per settembre non è semplice. Dovevamo pensare a opzioni diverse sulla base del quadro epidemiologico che va cambiando. I documenti del ministero della Salute sono in costante aggiornamento, quindi anche noi dobbiamo aggiornarci di volta in volta. Vorrei ricordare che in altri Paesi europei le linee guida per settembre ancora non sono arrivate, in altri sono arrivate adesso: stiamo procedendo tutti nello stesso identico modo”.

E al conduttore Simone Spetia, che le chiede se si rimprovera qualcosa sulla tempistica, Azzolina risponde: “Penso si possa sempre fare di più, ma la tempistica nasce dal fatto che non decidiamo da soli, ma in primis sulla base delle indicazioni del Comitato tecnico scientifico del ministero. La questione del metro di distanza nelle scuole dipende dal quadro epidemiologico che cambia in continuazione. Noi le decisioni dobbiamo prenderle due mesi prima per due mesi dopo. Ricordo che a maggio avevamo ancora 500 morti al giorno e che avevamo documenti molto pesanti secondo cui, se avessimo riaperto, avremmo rischiato molto. La narrazione, per cui in Europa tutte le scuole riaprono e in Italia no, non è corretta, né veritiera. In Francia – continua – hanno deciso di riaprire le scuole, ma solo il 20% degli studenti è andato a scuola. L’80% è rimasto a casa. Riaprire per il 20% degli studenti è chiaramente molto più semplice, anche perché hai più spazi e non hai bisogno di tanti insegnanti. Ricordo anche che in Francia gli esami di Stato non li hanno fatti, ma solo la media dei voti a fine anno. Noi invece abbiamo riportato mezzo milione di studenti in classe a fare l’esame di Stato, quando tutti ci dicevano che non si poteva fare. Mi hanno addirittura accusato di omicidio colposo. E invece gli esami di Stato sono andati molto bene. Oggi ricevo lettere su lettere di insegnanti e di studenti, emozionati e contenti, che mi ringraziano”.

Appunto finale della ministra sulla chiusura delle scuole prevista per le elezioni regionali e sulle accuse al suo indirizzo, piovute da più parti come dal presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca: “Le scuole riapriranno il 14 settembre per tutti e dal 1 settembre per gli studenti che devono recuperare o potenziare gli apprendimenti. Ricordo comunque che non è il ministro dell’Istruzone a decidere dove si svolgono le elezioni, perché è competenza di altri, come gli enti locali e il ministero dell’Interno. Inoltre, la sanificazione della scuola dura un giorno e non una settimana, come dice qualcuno – conclude – Io sono diventata ministro il 10 gennaio e sono diventata subito ‘il ministro dell’Istruzione dell’emergenza del coronavirus’. Sono stata solo questo finora. Ma avete idea di cosa abbia significato per me, ex docente, dover chiudere le scuole insieme al governo per tutelare la salute di tutti i cittadini italiani? E’ chiaro che per settembre io non voglia altro che la riapertura delle scuole. Io voglio essere il ministro dell’Istruzione anche della normalità, non solo dell’emergenza del coronavirus“.

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Mes, Zingaretti: “Basta con la danza immobile di parole e slogan, concentriamoci sugli investimenti da fare con quel prestito”

“Oggi possiamo avere le risorse mai viste prima per fare quei grandi investimenti che ci permetteranno di migliorare la qualità dell’assistenza e della cura delle persone e, insieme, anche di dare un concreto impulso alla ripresa economica”. In un lungo intervento ospitato dal Corriere della Sera il leader del Pd, Nicola Zingaretti, torna a ribadire la necessità di dire sì alla nuova linea di credito pandemica del Meccanismo europeo di stabilità per coprire le spese del settore sanitario. Un’opzione che continua a vedere contrario il Movimento 5 Stelle. “Le destre sono abituate a cavalcare i problemi e non a trovare soluzioni per risolverli”, chiosa Zingaretti facendo riferimento a chi critica il Mes. Invece, scrive rivolgendosi senza citarli ai pentastellati, “chi sta governando l’Italia ha il compito opposto. Io non credo che possiamo permetterci ancora di tergiversare. La danza immobile delle parole, slogan, furbizie lasciamoli alle destra, noi anche nel nostro partito dedichiamoci a dare risposte”.

Si riapre così un dibattito che era finito sottotraccia – il premier Giuseppe Conte sembra intenzionato a rinviare la decisione a settembre – ma è tornato di attualità dopo che la cancelliera tedesca Merkel ha auspicato che quei soldi “non restino inutilizzati“. Intervistato dallo stesso Corriere della Sera, però, il viceministro M5s allo Sviluppo Stefano Buffagni chiude: “Il Mes? Il Pd dovrebbe prima spendere i soldi che i loro ministri hanno in portafoglio e che i loro presidenti di Regione hanno per la sanità e non stanno spendendo. Oltre i 16 miliardi che ci sono già per gli investimenti. Il Paese ha bisogno di spendere i soldi stanziati per far ripartire l’economia e non di fare campagna su uno strumento che è diventato una bandierina“.

Il segretario dem dal canto suo torna a sottolineare che “la spesa sanitaria e nella scienza è un investimento produttivo decisivo” anche per tornare alla crescita dopo l’emergenza Covid. “Bisogna avere coraggio, visione e concretezza, anche per far uscire la discussione sul Mes dall’attuale confronto ancorato al passato“, cioè a quando il Meccanismo di stabilità faceva rima con forti condizionalità, “e concentrarlo invece sulle opportunità e le cose possibili da fare per il bene comune“.

Il leader del Pd indica dieci “filoni” su cui ragionare. Bisogna puntare sulla “ricerca biomedica e sviluppo delle apparecchiature” e “rivoluzionare e digitalizzare il settore sanitario”, dare “centralità alla medicina territoriale e distretti” e ai servizi “per anziani e malati cronici” fino agli “interventi per la messa in sicurezza e l’aumento dei posti letto, anche in terapia intensiva”, e ancora “aumentare gli investimenti nel personale sanitario”. “Queste sfide – sottolinea – saranno nei prossimi mesi e anni decisive non solo per produrre benessere, ma anche ricostruire fiducia nella capacità dello Stato di essere utile e vicino ai bisogni delle persone. Il Mes è stato criticato e combattuto da molti, ma ora è uno strumento finanziario totalmente diverso da quello del passato”.

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Regionali Liguria, M5s: “Dopo i confronti con il centrosinistra, riteniamo che Massardo sia la scelta migliore”

“Dopo i confronti avvenuti con le forze di centrosinistra, riteniamo che il professor Aristide Massardo possa essere la scelta migliore”. Dopo settimane di discussioni, incontri e veti, il Movimento Cinque Stelle rompe il silenzio e indica il professore Aristide Massardo come il nome ritenuto più idoneo per la candidatura a governatore della Liguria nella sfida con Giovanni Toti.

“Se davvero vogliamo cambiare passo dobbiamo convergere su un candidato presidente che sia espressione della società civile, che possa rappresentare i cittadini liguri che non si rassegnano, prima ancora che le forze politiche che lo sostengono”, ha scritto il M5s in una nota nella serata di domenica spiegando come a loro avviso “dopo i confronti avvenuti con le forze di centrosinistra” la scelta debba cadere su Massardo. “Non si comprende dunque per quale ragione vi siano ancora titubanze e resistenze – aggiunge la nota – È tempo di compiere una scelta e di abbandonare i particolarismi. Uniamo le forze per una Liguria migliore”.

Massardo, professore del Politecnico, aveva annunciato alcuni giorni fa che con o senza l’appoggio della forze di governo avrebbe comunque partecipato alle Regionali liguri. Di fronte all’indicazione del suo nome da parte dei Cinque Stelle, però, arriva subito la presa di posizione di Liberi e Uguali: “L’appello del Movimento 5 Stelle per la candidatura di Massardo alle Regionali in Liguria è inaccettabile”, dice il deputato genovese Luca Pastorino. “Se Vito Crimi, reggente del M5S, ha deciso di farsi dettare la linea da Renzi e da Paita faccia pure. Ma per me non è accettabile – spiega – Io ho sempre lavorato insieme a tutta l’area di campo progressista per una soluzione larga. Le forzature non portano a nulla di buono. Auspico che il Pd, già domani mattina, convochi un tavolo di confronto”.

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domenica 28 giugno 2020

Salvini: “Arrivi dal M5s? Se qualcuno bussa, le porte della Lega sono aperte. Noi non siamo né di destra né di sinistra”

Matteo Salvini è pronto ad accogliere i transfughi al Senato: “Se qualcuno bussa alla porta della Lega e dice ‘vorrei dare una mano per l’Italia’ le porte sono aperte”, dice il leader del Carroccio, ospite a Mezz’ora in più, chiedendo elezioni anticipate a settembre. Nella settimana in cui il suo partito ha dato il benvenuto ad Alessandra Riccardi, senatrice ex M5s che il 26 maggio aveva detto no al processo per l’ex ministro dell’Interno sul caso Open Arms e tre settimane dopo ha deciso di entrare nel partito, Salvini dice sì ad altri arrivi.

“Noi non andiamo a cercare nessuno e a offrire niente. Se qualcuno bussa alla porta della Lega e dice ‘vorrei dare una mano per l’Italià le porte sono aperte”, afferma. Noi non siamo né di destra né di sinistra, per questo gente di tante estrazioni diverse ci viene a dare una mano”, ha aggiunto rispondendo a una domanda sul possibile arrivo nella Lega di altri senatori del Movimento Cinque Stelle. “Indietro non torno, ma – dice – se alcuni parlamentari del M5s dicono proseguiamo la battaglia con la Lega, va bene tutto”.

Durante il suo intervento, Salvini ha attaccato la maggioranza sostenendo che il collante dei partiti che sostengono il governo Conte 2 sia “l’antipatia” nei suoi confronti: “Se Pd e M5S sono fermi su tutto, uniti solo dall’antipatia per Salvini, non è che gli italiani mangino antipatia…”. Ma la spallata al governo non arriverà dal Carroccio, sostiene poco dopo aver lasciato le porte aperte a esponenti di altri schieramenti politici: “Non sarò io, saranno gli italiani a chiedere le elezioni”.

Il voto tuttavia resta il pallino fisso della Lega, anche in tempi brevi: “Io sono molto contento se domani il governo porta in Parlamento il taglio dell’Iva e delle tasse, la Lega lo vota in tre minuti. Se c’è un governo che fa le cose, le faccia – ha spiegato – Ma ditemi una cosa fatta da questo governo in questo anno? Non sarebbe più sano a settembre far votare per avere per 5 anni un Parlamento nuovo? Diamo la parola agli italiani”.

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Un amico come me

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sabato 27 giugno 2020

Elezioni Regionali, Zingaretti: “La destra ripropone candidature bocciate in passato. Pd e M5s possono vincere, facciano passo in avanti”

“Confermo che decidono le Regioni, però un’alleanza che governa l’Italia, e che ha l’ambizione di segnare la prossima elezione del presidente della Repubblica, dovrebbe almeno provare a unirsi nelle Regioni. Anche perché la destra ha scelto spesso candidature del passato, si è unita riproponendo figure già bocciate dagli elettori. Quindi si può vincere e, lì dove è possibile, almeno proviamo a fare insieme un passo avanti per salvare questo Paese”. Così il leader del Pd, Nicola Zingaretti, rispondendo a una domanda sulle alleanze elettorali con il M5s, a margine della Conferenza delle donne democratiche in corso a Roma.

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venerdì 26 giugno 2020

Vitalizi, quando a febbraio Caliendo annunciò che non avrebbe partecipato al voto sui ricorsi: “Mi asterrò in difesa del Senato”

A inizio febbraio, l’ex sottosegretario di Berlusconi e ora presidente della commissione del Senato che ieri ha ripristinato gli assegni per gli ex parlamentari, Giacomo Caliendo, spiegò davanti all’Aula che non avrebbe partecipato alla decisione sui ricorsi di circa 700 ex senatori che rivogliono il vitalizio. Un privilegio che toccherebbe anche allo stesso Calendo. Il quale proprio per questo fu accusato di essere in conflitto di interessi dal Movimento 5 stelle. Meno di 5 mesi fa disse quindi in Aula: “Mi asterrò per difendere il Senato”. Pochi settimane dopo, però, il presidente del Collegio di appello di Palazzo Madama Luigi Vitali (anche lui in quota Forza Italia) precisò di non poter accogliere la sua astensione. Nemmeno per motivi di conflitto d’interessi. E così permise a Caliendo di rimanere al suo posto. Oggi Caliendo difende il ripristino dell’emolumento: “Non è stata una scelta politica” sostiene e non svela il voto. Ma il senatore M5s Primo Di Nicola assicura: “Caliendo ha votato ben sapendo così di mettersi in una situazione di conflitto di interesse. Il ripristino di questo vitalizio porta le impronte digitali di un’unica parte politica, Forza Italia

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giovedì 25 giugno 2020

Legalizzazione cannabis, 15 parlamentari di maggioranza si autodenunciano e scendono in piazza: “Coltivare piccole quantità non è reato”

Quindici parlamentari coltivano la cannabis a casa. Sono deputati e senatori di M5s, Pd e +Europa (a cui si aggiunge il consigliere regionale, sempre di +Europa, Michele Usuelli) che hanno aderito alla campagna “Io coltivo”, che punta a sensibilizzare il Parlamento sul tema della legalizzazione della cannabis. Quattro di loro hanno già postato sui social foto e video in cui piantano il seme ricevuto dal team “Meglio Legale”. Oggi, a Montecitorio, hanno organizzato un sit-in insieme ad alcune associazioni e ad altri colleghi (tra cui Roberto Giachetti di Italia viva e Antonio Tasso del gruppo Misto) per chiedere il rispetto della sentenza della Cassazione, secondo cui non è reato far crescere nella propria abitazione piccole quantità di canapa. Tra i quindici c’è Matteo Mantero (M5s), primo firmatario di una proposta di legge sulla liberalizzazione, Riccardo Magi (+Europa), anch’egli firmatario di una proposta di legge che mira a modificare l’articolo 73 (Testo unico stupefacenti), Leonardo Aldo Penna, sempre del M5s, che ha pubblicato un video sui social in cui pianta il seme di canapa, e Matteo Sodano, primo firmatario di una lettera inviata al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, insieme ad altri 100 parlamentari, in cui si chiedeva di discutere del tema nel corso degli Stati generali.

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Anpal, lettera a Conte da 9 parlamentari dei partiti di maggioranza: “Agenzia bloccata e Parisi in conflitto di interessi, intervenire”

Non c’è più solo Italia viva a chiedere che Mimmo Parisi lasci la presidenza dell’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro. Un gruppo di parlamentari Pd, Leu e M5s ha scritto al premier Giuseppe Conte lamentando lo stallo dell’ente che dovrebbe dare “risposte alle centinaia di migliaia di italiani che hanno perso il lavoro a causa della pandemia“, lo “scandalo relativo ai rimborsi percepiti” dal professore italoamericano per lo svolgimento del suo incarico – 160mila euro in un anno, tra cui 70mila per voli in business class tra Italia e Usa – e il conflitto di interessi tra la carica che ha in Italia e il ruolo ricoperto alla Mississipi University. La missiva, firmata dai dem Chiara Gribaudo, Carla Cantone, Romina Mura e Tommaso Nannicini, dalla deputata M5s Jessica Costanzo, da Stefano Fassina e Nicola Fratoianni di Leu dalla ex 5 Stelle Veronica Giannone e da Annamaria Parente di Iv, si conclude con la richiesta di “adottare quanto prima gli idonei provvedimenti volti a ripristinare il corretto funzionamento dell’Agenzia e dei suoi organi statutari”. E garantire “l’approvazione immediata di un piano di emergenza delle politiche attive”. Una esplicita richiesta di allontanare Parisi non c’è, ma è la diretta conseguenza.

“Nel mezzo della crisi economica più grave che il Paese ricordi dal dopoguerra”, scrivono i parlamentari nella lettera di cui ha dato conto Repubblica mentre Linkiesta l’ha pubblicata integralmente, Anpal e Anpal Servizi sono “totalmente bloccate e inconcludenti rispetto alle risposte che devono dare” a chi ha perso il lavoro o lo perderà nei prossimi mesi dopo la fine del blocco dei licenziamenti. Il piano industriale del presidente è stato “giudicato insufficiente e respinto per ben tre volte dal cda dell’agenzia”. Fatto “tanto più grave se si pensa che dal piano dipende la definitiva attuazione delle misure del Reddito di cittadinanza, varate oltre un anno fa; l’attuazione della piattaforma di incrocio fra domanda e offerta di lavoro, ancora assente nonostante il governo avesse assegnato specificamente 25 milioni di reddito alla sua realizzazione; nonché l’operatività dei cosiddetti “navigator””.

Al piano industriale è collegata anche “una confusa e incerta programmazione della stabilizzazione dei 654 precari” di Anpal servizi che “in molti casi vedranno scadere i loro contratti nel mese di luglio” nonostante siano stati in questi anni “il vero braccio operativo dell’agenzia“, “un patrimonio di competenze di cui qualsiasi politica attiva non può fare a meno” e che sono in attesa di una stabilizzazione “esplicitamente finanziata e indicata dal Parlamento stesso attraverso la legge 128/2019, che per altro non vincola le stabilizzazioni di tutto il bacino dei precari “storici” all’approvazione del Piano industriale”.

Infine c’è lo “scandalo relativo ai rimborsi percepiti” da Parisi, chiamato da Luigi Di Maio alla guida di Anpal, per lo svolgimento del suo incarico, che ha causato “un danno di immagine considerevole per il governo e le istituzioni in genere”. Importi che secondo la direttrice generale di Anpal non sono mai stati rendicontati. A cui si aggiunge il nodo dell’incompatibilità tra l’incarico di Parisi nell’ateneo del Mississipi, dove stando a documenti in possesso del ministero del Lavoro è “senior advisor for European development in Italy and Europe”, e quello di presidente Anpal, che per statuto non può coesistere con altri rapporti di lavoro subordinato pubblico o provato che possa entrare in conflitto con gli scopi e i compiti di Anpal.

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Vincolo di mandato

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mercoledì 24 giugno 2020

La senatrice Riccardi passa alla Lega ed evita le domande. Salvini: “Transfughi da noi? Il governo non dura”. M5s e Pd: “Abbiamo i numeri”

La prima giornata da senatrice della Lega, cui ieri è “approdata con entusiasmo” come da scritto sui propri canali social, Alessandra Riccardi appena uscita da Palazzo Madama la trascorre evitando che le si rivolgessero domande. Esce dal Senato per entrare negli uffici dei gruppi parlamentari, dov’era presente anche Matteo Salvini, poi esce e complice una lunga telefonata dribbla i cronisti. Marcia indietro e rientra in Senato, per riuscirne da un altro ingresso e sempre incollata allo smartphone si rifugia in un altro palazzo dove ci sono alcuni uffici dei senatori. Impossibile. chiederle alcunché. Salvini dal canto suo non mostra tentennamenti: “Imbarchiamo transfughi? Onorato se Riccardi come altri prima di lei vuol continuare le battaglie sulla giustizia nella Lega“. Il punto è che i numeri per la maggioranza iniziano rischiosamente a ballare a Palazzo Madama e il leader della Lega azzarda il suo pronostico: “Questo governo non arriva a fine legislatura”. “Non si balla per niente, fidatevi di me”, afferma il navigato senatore Pierferdinando Casini: “Uno entra, uno esce, è un’illusione ottica quella del problema dei numeri qui in Senato”.

Dal governo e dalla maggioranza si predica tranquillità. Dal ministro per i Rapporti con il Parlamento, passando per il vicepresidente dei senatori Pd, Franco Mirabelli, fino al capogruppo 5 stelle Gianluca Perilli garantiscono: “I numeri ci sono”. Per Federico D’Incà “la maggioranza è coesa”, eppure da casa dem si ammette che “bisogna lavorare di più e meglio per rendere tutti protagonisti all’interno della maggioranza”. Perilli spiega così le 13 fuoriuscite dal gruppo dei senatori M5s da inizio legislatura a oggi (4 da inizio 2020, nrd). “Per un gruppo grande non dico che è fisiologico ma rapportabile al numero complessivo del nostro gruppo“. All’orizzonte c’è il nuovo voto sul nuovo scostamento di bilancio e se Mirabelli afferma “non temo imboscate parlamentari”, il ministro D’Incà auspica una convergenza da parte dell’opposizione: “Ben venga se votassero assieme alla maggioranza, come già avvenuto nei precedenti voti sugli scostamenti”. Riccardi sarà anche determinante anche nella commissione di palazzo Madama che dovrà pronunciarsi sui ricorsi degli ex senatori sulla questione dei vitalizi e dove, ora con il passaggio della senatrice alla Lega, il M5s si ritrova senza nessun componente. Elvira Evangelista, ex membro 5 stelle della commissione (e dove le subentrò proprio Riccardi) è speranzosa: “Il ripristino dei vecchi vitalizi a cui non si applicava il metodo di calcolo contributivo credo che possa essere un problema anche per la Lega che si dichiara così vicina al popolo e ai cittadini”. Sullo sfondo resta la domanda se questa maggioranza riuscirà a essere ancora tale e a indicare il nome del prossimo Presidente della Repubblica. “Spero di no, un altro anno e mezzo con questa governo sarebbe un disastro”, taglia corto Salvini, che negli scorsi giorni si era fatto promotore di una proposta al M5s per il prossimo inquilino del Colle. “Questa maggioranza sicuramente, questo governo non lo so”, è il commento di Casini.

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Senato, come cambiano i numeri dopo l’ultima defezione M5s. D’Incà: “Nessun problema, siamo a 170 senatori della maggioranza”

L’ultima defezione in casa M5s in favore della Lega non solo ha riaperto vecchie ferite tra i 5 stelle, ma ha fatto ripartire la stagione dei pallottolieri in Senato. Ma la maggioranza a Palazzo Madama è davvero in difficoltà? A negare che l’esecutivo rischi di non avere abbastanza sostenitori è stato oggi lo stesso ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà: “Al Senato”, ha dichiarato a SkyTg24, “siamo ben superiori alla maggioranza di 160 che leggo sui quotidiani, siamo a 170 senatori della maggioranza stabili. Non abbiamo un problema di numeri”.

Nelle ultime ore infatti, si è parlato molto del fatto che il governo avrebbe perso in Senato la maggioranza assoluta per un voto (da 161 a 160) con la defezione di Alessandra Riccardi (ex M5s ora alla Lega). Ma in realtà i numeri, stando anche alle ultime votazioni di fiducia, sono più larghi. Sulla carta l’esecutivo può infatti contare di 95 senatori M5s, 35 Pd, 17 Italia viva, 6 Autonomie e 14 del gruppo Misto-Leu. E in totale, al momento sono 167. A questi si devono aggiungere almeno i tre senatori a vita che di solito votano in sostegno del governo Conte: Mario Monti, Liliana Segre e Elena Cattaneo. Per un totale di 170 senatori, come rivendicato dallo stesso ministro M5s D’Incà. In totale sono sei i senatori a vita, ma Giorgio Napolitano, Carlo Rubbia e Renzo Piano partecipano raramente alle votazioni.

Il margine al momento sembra poter far dormire sonni tranquilli all’esecutivo, soprattutto alla luce del fatto che difficilmente i senatori del Misto e di altre componenti minori sono incentivati a far cadere il governo e tornare alle elezioni (senza avere conferma di una nuova candidatura). Tolti i senatori di Leu (Loredana De Petris, Vasco Errani, Pietro Grasso, Francesco Laforgia, Sandro Ruotolo), gli altri del Misto che sostengono l’esecutivo sono: gli ex M5s Buccarella, De Falco, Fattori, De Bonis, Di Marzio e Nugnes; Ricardo Merlo e Cario Adriano (Italiani all’estero); Tommaso Cerno (ex Pd). La preoccupazione più grande per Conte rimangono i 17 senatori di Italia viva: la componente che più spesso negli ultimi mesi ha minacciato di far venir meno il sostegno in Aula è anche quella che potrebbe cambiare le sorti dei provvedimenti e addirittura far vaccilare l’esecutivo. Sempre però che il partito di Matteo Renzi, che a fatica raggiunge il 3 per cento nei sondaggi, abbia davvero intenzione di far tornare il Paese al voto.

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martedì 23 giugno 2020

M5s, la senatrice Riccardi passa alla Lega: fu tra i voti decisivi in giunta per salvare Salvini dal processo sul caso Open Arms

Era stata tra i voti decisivi in giunta al Senato per salvare Matteo Salvini dal processo sul caso Open arms, oggi l’annuncio ufficiale del segretario del Carroccio: la senatrice M5s Alessandra Riccardi lascia il Movimento 5 stelle e aderisce alla Lega. Nonostante, proprio poco dopo il voto del 26 maggio, avesse negato davanti ai giornalisti di aver ricevuto offerte da altri gruppi politici, oggi c’è stata la conferma di quella che fino a poco tempo fa era stata una delle prime ipotesi avanzate. Meno di un mese fa infatti, la giunta per le Immunità di Palazzo Madama si è espressa contro l’autorizzazione a procedere nei confronti del senatore e ora si attende il voto finale dell’Aula. A salvare Salvini in quell’occasione erano stati i voti decisivi in dissenso di Riccardi e Giarrusso. Quella di Riccardi non è l’unica defezione della giornata: anche la deputata M5s Alessandra Ermellino, proprio oggi, ha comunicato il passaggio al gruppo Misto in segno di polemica con il gruppo.

L’arrivo della Riccardi nel Carroccio è stato accolto con entusiasmo dallo stesso Matteo Salvini. ”Porte aperte a donne e uomini perbene e capaci”, ha dichiarato. “Sono felice e orgoglioso che bussino alla Lega da tutti gli schieramenti politici, da Nord a Sud, confermando la nostra crescita: siamo seri, credibili e pronti per vincere le prossime elezioni. A livello locale e nazionale”. Un ingresso che, ci tiene a dirlo il leghista, è solo uno di una serie. “Eletta col Movimento 5 stelle, milanese, classe 1974, avvocata, la senatrice Riccardi è solo l’ultima parlamentare ad aver scelto la Lega: prima di lei, hanno lasciato i 5 stelle per abbracciare Salvini i senatori Stefano Lucidi, Ugo Grassi, Francesco Urraro. Ingressi anche da Forza Italia, come la senatrice Erika Testor (eletta in Trentino Alto Adige) e il deputato siciliano Nino Minardo”.

La deputata Ermellino invece, lasciando i 5 stelle ha dichiarato: “Non vado via dal M5s, ma dalle persone che si sono impossessate di un progetto tradendo le speranze di 11 milioni di cittadini. Ho consegnato la lettera di dimissioni dal M5s senza lasciarmi alle spalle alcun rimpianto”. E, ha accusato: “Il M5s è diventato uno spazio privo di confronto e competenza, dove il rispetto delle regole e dei valori, che ci avevano illusi che un cambiamento fosse finalmente possibile, sono stati calpestati dalle aspirazioni personali. Viviamo tuttora in un sistema politico marcio che necessita di grande coraggio e capacità per essere risanato, tuttavia ho la netta sensazione che il M5s non abbia la forza o la volontà di perseguire realmente questo cambiamento”.

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lunedì 22 giugno 2020

Decreti sicurezza, M5s: “Revisione? Serve riflessione sul rinvio a settembre. Intervento circoscritto e senza cancellare passato”

Al termine del nuovo vertice al Viminale per la revisione dei decreti Sicurezza del governo Conte 1, la maggioranza si è data appuntamento al 30 giugno per un altro confronto. Chi frena è il Movimento 5 stelle: “Abbiamo fatto notare alla ministra e agli alleati che in Parlamento”, si legge in una nota firmata dai grillini Giuseppe Brescia e Vittoria Baldini, “che ci sono già diversi decreti legge in conversione. Altri ne sono stati annunciati. Spirito di concretezza e collaborazione istituzionale impongono una riflessione sul rinvio dell’approvazione di questa misura (la revisione dei decreti Salvini, ndr) a settembre“.

Ma non solo, i due deputati M5s scrivono ancora: “Sull’immigrazione serve un approccio pragmatico e postideologico, come nel dna del Movimento 5 stelle. La revisione dei decreti sicurezza non dovrà essere un’operazione di cancellazione del passato, ma dovrà essere utile per costruire un sistema migliore per il futuro, per governare un fenomeno che rimane globale e su cui serve una forte risposta europea”. Durante l’incontro, hanno aggiunto, “registriamo una positiva volontà di dialogo da parte del ministro, sicuramente mancata al suo predecessore, e dei rappresentanti delle altre forze di maggioranza. I rilievi del Quirinale rappresentano il punto di partenza di un percorso di revisione comunque circoscritto e mirato, da fare in maniera condivisa, senza propaganda e con obiettivi concreti: protezione per chi ne ha davvero bisogno e seria lotta a trafficanti di esseri umani”.

L’orientamento dei 5 stelle, raccontano fonti interne del Movimento, sarebbe quella di rinviare a dopo l’estate. Mentre i partner di maggioranza -pur non giudicando pretestuose le “motivazioni tecniche” dei pentastellati- spingono per tempi più stretti. Magari incardinare il provvedimento in un ramo del Parlamento prima della pausa estiva. In particolare Italia viva vorrebbe accelerare e anche il Pd, comunque, resta per l’approvazione “il prima possibile”. Al di là della valutazione sui tempi, quella di oggi al Viminale è stata una riunione in cui si è entrati nel merito del provvedimento elaborato dalla ministra Lamorgese. “Ed il fatto che ci fosse Brescia per i 5 Stelle, è stato un segnale distensivo per noi…”, ha detto all’adnkronos una fonte presente all’incontro. Pd, Iv e Leu hanno consegnato le loro osservazioni sul testo Lamorgese. M5s lo ha fatto a voce e farà poi pervenire un testo scritto. La prossima settimana, forse martedì, ci sarà un nuovo incontro su un testo che raccolga le osservazioni dei partiti di maggioranza e, riferisce una fonte presente all’incontro, “potremmo avere un testo condiviso, pronto entro 15 giorni”.

“E’ stata una riunione molto positiva”, ha dichiarato il dem Carmelo Miceli. “Si è fatto un grande passo avanti e il fatto che si sia entrati nel merito delle questioni, ne è la dimostrazione. Il testo offerto dalla maggioranza dal ministro Lamorgese è un buon testo che va oltre i rilievi del Colle e che dà il senso di un vero cambiamento. Siamo a un centimetro dal ridare un volto umano a questo Paese e proprio per questo chiediamo a tutti di fare uno sforzo per andare avanti e farlo il prima possibile”. Più stringente sui tempi è Italia Viva: “La nostra richiesta al tavolo sulle modifiche del dl sicurezza è chiara nei contenuti e nel metodo: abbiamo specificato alla ministra Lamorgese che vogliamo il nuovo testo all’ordine del giorno del primo Cdm utile. Basta perdere tempo”, ha commentato Faraone. Per Leu erano presenti all’incontro i capigruppo Federico Fornaro e Loredana De Petris: “E’ importante per noi che il lavoro di revisione stia andando oltre le pur importanti questioni poste dal Presidente Mattarella all’atto della controfirma dei decreti Salvini. Confidiamo che si possa arrivare nei tempi più rapidi possibili a un testo condiviso dalle forze di maggioranza, da sottoporre alla valutazione finale del Consiglio dei Ministri”.

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domenica 21 giugno 2020

Crozza si trasforma in Di Battista: “Far cadere il governo? Sono rompiballe ma non cretino”. E racconta la sua carriera politica e i suoi “sogni”

Maurizio Crozza porta sul palco, nel penultimo appuntamento stagionale di Fratelli di Crozza – in onda venerdì in prima serata sul Nove e in live streaming su Dplay – l’ex deputato del M5s, Alessandro Di Battista, che, dopo la sua discussa proposta di un’assemblea costituente del Movimento e la polemica con Beppe Grillo, si difende: “Sono un rompiballe, ma non cretino. Ci tengo a dire che sono dei 5 Stelle, ma non sono cretino. Di Maio mi aveva detto: ‘Al governo adesso ci vado io, tu aspetta”. Ho aspettato, sono andato in Sudamerica con Sarah. Quando siamo tornati, sono andato da Di Maio e gli ho detto: ‘Gigino, sono pronto’. E lui mi ha risposto: ‘Aspetta a candidarti, non è il momento’. Io gli ho detto che sono un rompiballe, ma non sono un cretino”.

Live streaming, episodi completi e clip extra su Dplay.com

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venerdì 19 giugno 2020

Dl Elezioni, Di Nicola (M5s): “Il voto di fiducia nullo è una pagina nera che mina credibilità internazionale. Non solo un errore tecnico”

“Da queste posizioni non solo ho chiesto invano la parola, ma addirittura non sono riuscito a esprimere il mio voto sul tablet tanto da esser costretto a scendere, a invader l’Aula, per tutelare le mie prerogative e anche l’istituzione parlamentare nel momento più importante del voto. Così si mette a repentaglio la credibilità dell’istituzione parlamentare”. Così il senatore M5s, Primo Di Nicola, intervenendo nell’Aula del Senato durante la discussione sul decreto Elezioni. Il provvedimento è stato al centro di numerose contestazioni perché si è dovuto ripetere due volte il voto di fiducia: il primo è stato annullato il 18 giugno dopo che si è scoperto un errore tecnico nel calcolo dei congedi. Oggi la ripetizione con le accuse incrociate dell’ufficio di presidenza sul di chi fosse la responsabilità. “Quello che è accaduto ieri, l’annullamento di un voto di fiducia, è una pagina nera che mina profondamente la nostra credibilità internazionale. Mi domando – ha aggiunto rivolto alla presidente Casellati – di che tenore sono i messaggi che arrivano alla Farnesina. Anche lei presidente si faccia carico di quello che è successo, non è stato solo un problema tecnico. Per tutto questo, a nome dei 5 stelle, la invito a agire con prudenza perché quello che succede oggi è un pericoloso precedente, tocca assicurare a tutti noi pari diritti”.

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Decreto Rilancio, M5s contro l’emendamento del collega Donno: “Sanatoria per datori di lavoro”. Lui: “Vado avanti come un treno”

Scontro dentro il M5s su un emendamento al decreto Rilancio. Il deputato Davide Tripiedi ha lanciato una campagna, con tanto di foto e banner, contro la richiesta di modifica del collega Leonardo Donno accusato dai suoi di voler introdurre “sanatorie per i datori di lavoro”.

“Rafforziamo la sicurezza sui luoghi di lavoro, no all’emendamento Donno”, si legge in un post pubblicato su Facebook da Tripiedi e accompagnato da una foto con i componenti M5s della Commissione Lavoro in posa, compatti. L’emendamento, scrive Tripiedi, è stato inserito tra “i super segnalati” ossia “tra quelli a cui verrà riservata maggiore attenzione per poter essere approvato” e che “prevede sanatorie per i datori di lavoro, neutralizza i controlli degli ispettori per due anni e prevede l’assunzione di ispettori presso l’Ispettorato Nazionale del Lavoro senza l’obbligo di concorso ma con una procedura semplificata per titoli e colloqui anche in via telematica”. Tripiedi auspica che la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo “non accolga questo emendamento ma che invece approvi quello presentato dalla Commissione Lavoro della Camera che da anni segue con estrema attenzione la tematica”.

Critico anche Claudio Cominardi, ex sottosegretario M5s al Lavoro: “Non posso evitare dal dissociarmi pubblicamente da una proposta emendativa che prevede sanatorie, neutralizza dei controlli per due anni e prevede l’assunzione di ispettori presso l’INL senza un concorso ma con una procedura semplificata per titoli e colloqui anche a distanza (chiamata diretta?). Questo emendamento presentato da un collega in aggiunta all’articolo 95 del decreto Rilancio, andrebbe immediatamente ritirato. Anche perché non ha nemmeno avuto alcun consenso da parte dei colleghi della Commissione di competenza”.

Sempre via Facebook è arrivata la replica di Donno: “Penso sia davvero poco furbo perdersi in polemiche e attacchi strumentali. E comunque, a futura memoria di tutti: ho le spalle larghe, anzi larghissime, e le polemiche da bar (trasposte sotto forma di ‘meme’ ai tempi di Facebook) mi scivolano addosso. Io vado avanti come un treno, sempre a difesa di tutte le categorie di cittadini che bussano alle porte del Movimento 5 Stelle per chiedere aiuto”. Il primo firmatario dell’emendamento aggiunge: “Se qualcuno pensa sia più importante perdersi in discussioni inutili può benissimo farlo, ma non sottragga tempo a chi ha ancora voglia di combattere”.

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giovedì 18 giugno 2020

Fenomenologia di Alessandro Di Battista, il ragazzo smarrito che confidava in Beppe Grillo

A personale parere dello scrivente l’attuale discussione sull’affaire Di Battista, sintomo dei profondi spasmi e contrazioni di un Movimento Cinquestelle in piena mutazione genetica, non può essere interpretata con le categorie del realismo politico.

Qui parliamo di un soggetto creato in base a un messaggio carismatico, che prometteva ascesi sul sentiero di una rivelazione salvifica, e in cui la definizione dell’ortodossia (la vera fede) assumeva e assume le modalità dello psicodramma.

Non conosco personalmente Alessandro Di Battista, ma ho avuto modo di frequentare professionalmente esponenti pentastellati con analogo profilo intellettuale, per cui mi sento di affermare che il giovane oppositore dell’attuale deriva M5S è soltanto uno spirito credente, che si era fidato di quanto diceva il Beppe Grillo delle origini. E ora non ci si raccapezza più.

Uno smarrimento indotto dal fatto che il profeta dei Vaffa – come è sempre stato suo costume -, recitava l’ennesima sceneggiatura scritta dal ghost writer del momento (con GianRoberto Casaleggio ultimo di una sfilza di collaboratori, tra cui spicca il nome di Michele Serra, che nel 1990 scrisse per Grillo la piece teatrale “Buone notizie”). Non a caso, prima di entrare nella fase di “digitalismo ideologico”, con annesso culto di Internet indotto dal suo ultimo suggeritore, il comico di Sant’Ilario era solito fare a pezzi i PC sulla scena, un po’ come Jimi Hendrix con le chitarre.

Gli adepti della prima ora si bevvero la Lieta Novella. E mentre buona parte dei beneficiati dal rapporto con il simil-profeta, produttivo di cariche, visibilità e prebende, si sono smagati e imparano il mestiere – grigio ma confortevole – dei politici di professione, rimane una pattuglia di orfani della palingenesi, che si aggirano smarriti tra le macerie della politica politicante e i cumuli delle sue scatolette di tonno, che gli adepti a cinque stelle avrebbero dovuto aprire in Parlamento. Secondo una ben nota profezia.

Ora Di Battista dà voce a tale smarrimento, raccogliendo un po’ di apostoli mancati. Barbara Lezzi? Max Bugani? Ignazio Corrao? Giulia Grillo?

Figure patetiche, impossibilitate a confrontarsi con la realtà, ad accettare che gli anni delle predicazioni e delle escatologie millenaristiche erano solo uno scherzo di un cinico buontempone.

Uno stato d’animo certamente molto diffuso nella base talebana. Quelli che reclamavano messe all’indice dei post demistificanti. E ora si volgono alla ricerca del Paradiso Perduto. Come la capogruppo M5S in Regione Liguria Alice Salvatore, per anni vestale del verbo grillesco e ora transfuga; candidata alle prossime regionali con una lista che sembra un paradosso: “Il Buonsenso”. Uno dei tanti rivoli nel disgelo dell’iceberg che doveva mandare a picco l’intero ceto politico e ora è alla ricerca di una soluzione di sopravvivenza proprio nell’odiato ceto politicante. Si dice che Grillo punti sul Giuseppe Conte per fungere da levatrice di questo nascituro. Ma è una prospettiva credibile? Il premier si è rivelato un formidabile mediatore, capace di canalizzare gli sfinimenti e i protagonismi di ambiziosi senza le carte in regola. Ha svolto molto bene il ruolo di ambasciatore a Bruxelles di un paese finito ai margini.

Ma ora c’è da affrontare una sfida ancora più difficile: la mobilitazione generale per una rifondazione sociale, economica ma anche morale. Insomma un New Deal. E – come ricorda il pure non ostile Bersani – “Conte non è Roosevelt”, l’epico leader costruttore del nuovo patto sociale. Non lo favorisce la sua natura morotea e la cultura che ha messo in mostra, ingaggiando per i suoi Stati Generali un ricicciatore di stantie fanfaluche neoliberiste come Colao.

Intanto scopriamo l’ennesima volta che esiste nella società italiana un vasto strato di mobilitabili per progetti di cambiamento democratico: dai girotondini alle sardine. I Cinquestelle sono stati il tentativo più organizzato e durevole al riguardo. La dura legge che incombe sull’ineluttabile (?) declino civile del fu Bel Paese, sembra pronta a intonare di nuovo il suo de profundis.

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Venezuela, la bufala dei finanziamenti occulti al M5s è incredibile: noi sì che abbiamo le mani pulite

Come ho spiegato ieri in aula alla presenza del presidente Conte e all’assenza di Salvini, tra tutte le perverse fantasie dei partiti di opposizione e di alcuni giornalisti di destra, quella dei finanziamenti occulti dal Venezuela è la più incredibile bufala che il M5S abbia ricevuto da dieci anni a questa parte.

Da quando il M5S è nato, sin da subito, ha catalizzato il livore della stragrande maggioranza degli editori dei principali mezzi di informazione, dei partiti e delle lobby. Questo perché il programma che via via si è andato consolidando puntava, ieri come oggi, a tutelare i cittadini italiani e a spezzare posizioni ingiustificate di privilegio.

Il risultato elettorale del 2013 prima e del 2018 poi ha intensificato questo odio verso di noi, per la paura che idee come “reddito di cittadinanza”, “servizi pubblici”, “stop alla mangiatoia delle grandi e inutili opere pubbliche”, “basta ai privilegi della politica”, “ no alla corruzione” potessero diventare realtà.

In questi dieci anni finti scoop si sono susseguiti ad un ritmo incalzante, come la boiata dei finanziamenti venezuelani al M5S. Una fake news già smentita nel 2016, poiché si basava su un documento riemerso oggi che presenta tre grossolani errori: timbro, intestazione e indirizzo del ministero venezuelano sbagliati. Si tratta evidentemente di un documento del tutto inventato, con lo scopo di denigrare il Movimento.

Ma non solo. Dietro all’attacco alla maggiore forza politica di governo si cela anche il tentativo di depotenziare il governo e il presidente Conte che in Europa sta acquistando una credibilità e un peso mai avuti prima dall’Italia. Ciò che davvero risulta ancora più vergognoso è il tentativo di screditare la memoria di un uomo perbene, Gianroberto Casaleggio, a cui tutti gli italiani dovrebbero essere grati per la sua visione e la sua onestà intellettuale, autore di un vero e proprio cambiamento di paradigma politico in un paese vittima del berlusconismo.

E’ davvero paradossale che si calunni una forza politica che ha rinunciato a milioni di euro di rimborsi elettorali, che con il taglio degli stipendi dei suoi eletti ha creato un fondo che ha permesso l’apertura di migliaia di partite Iva, che ha sostenuto i terremotati, gli alluvionati. Ad oggi gli eletti del M5S hanno restituito ben 111 milioni di euro, unico caso al mondo. Eppure continuiamo a ricevere fango!

Noi commetteremo errori, ma abbiamo le mani libere e pulite. A differenza di partiti come la Lega che ha contribuito a sfasciare la sanità in Lombardia, che deve al popolo italiano 49 milioni di euro, che è implicata in inchieste tipo il caso Arata e l’inchiesta internazionale sui fondi provenienti dalla Russia. Per non parlare di Forza Italia fondata da Dell’Utri condannato per mafia. Mafia che ha coinvolto diversi esponenti di Fratelli d’Italia.

Il Movimento 5 Stelle si è sempre finanziato grazie al sostegno dei cittadini, ha rifiutato i finanziamenti pubblici, figuriamoci quelli occulti. Noi non abbiamo scheletri nell’armadio, contrariamente a molti che oggi si permettono di calunniarci per aver espresso la nostra contrarietà ad un nuovo intervento militare, dopo i disastri in Afghanistan, Iraq, Libia e Siria.

Noi non abbiamo sostenuto l’ennesima aggressione per procura, non abbiamo riconosciuto una marionetta autoproclamatasi presidente che avrebbe fatto sprofondare il Paese in una guerra civile. Come suggerito anche da papa Francesco, optammo per favorire il dialogo tra le parti, la pace, la sovranità nazionale e il diritto internazionale. E i fatti però ci hanno dato ragione: la figura di Guaidò si è sciolta come neve al sole e i suoi seguaci più stretti devono rispondere di crimini violenti e finanche di sottrazione dei fondi degli aiuti umanitari.

Essere onesti, rispettare il diritto internazionale e non accodarsi immediatamente alle posizioni di altri Paesi (evidentemente interessati alle ingenti materie prime del Venezuela) è stato uno sgarro. Così ci hanno tacciati di essere pro-Maduro, come in passato siamo stati accusati di essere filorussi o filocinesi. La verità è che noi siamo solo filoitaliani. Auspico che anche certi partiti e certa stampa di destra lo possano diventare.

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mercoledì 17 giugno 2020

M5s, dai gazebo alle riunioni carbonare: diario inedito di uno dei primi attivisti a Milano. Di Battista nella prefazione: “Il Movimento ha cambiato pelle, in parte è normale. Ma la base non deve farlo”

C’erano il giorno 1: la prima volta che Beppe Grillo ha parlato di Movimento 5 stelle davanti alla platea di un centinaio di persone e quando trovare qualcuno col coraggio di correre alle elezioni era ancora un’impresa. C’erano per i primi gazebo, le riunioni carbonare nei bar e i tour organizzati con la cordata di volontari per guidare i furgoni. Hanno seguito decine di comizi, partecipato ad altrettanti Meetup e presenziato a tutti i raduni nazionali. Sono gli attivisti M5s: li chiamano “la base” e per regolamento (almeno sulla carta) hanno il potere di ribaltare le decisioni. Sono di fatto gli organi vitali di un movimento che, soprattutto grazie alla loro spinta, è riuscito ad arrivare nelle stanze del potere. Eppure, rimangono un’entità fumosa e ancora dopo dieci anni, facciamo fatica a dire chi sono, indicare un volto o fare dei nomi. In questi giorni, forse tra i più delicati per il futuro del M5s, è uscito il libro di uno di loro: una testimonianza diretta di un pezzo della storia politica di questo Paese. Si chiama “Barra dritta” (Diesis edizioni) e lo firma Simone Abruzzi, attivista di Cormano (Milano) dal 2010. Dentro ci sono i racconti inediti di molti dei momenti cruciali del Movimento e di quelle tappe che hanno permesso di arrivare al governo. E, non è un caso, la prefazione la firma uno dei protagonisti della storia M5s e anche degli ultimi giorni di terremoti in casa grillina: Alessandro Di Battista. L’ex deputato, ormai sempre di più punto di riferimento per chi chiede un ritorno alle origini del Movimento (tanto da far temere ai suoi una scissione), scrive parole che, lette in questi giorni di tensioni, suonano profetiche: “Non sono un nostalgico”, dice, “che una forza politica che passa dallo zero virgola al governo del Paese debba evolversi è più che normale, così come è normale il fatto che debba raggiungere compromessi con altri partiti non potendo governare da sola. Ma perché mai gli attivisti dovrebbero innamorarsi del compromesso?”.

Bastano queste poche frasi per raccontare i dissidi di una base che da Milano a Roma fino a Palermo deve fare i conti con quello che il Movimento è diventato. Da quando (diciamo post 2013 e con le prime ospitate in tv) il M5s si è trasformato in volti e leader identificabili, sapere cosa pensano e cosa vogliono gli attivisti molto spesso è diventato secondario. E ignorarli, forse è l’errore principale che si commette quando si cerca di capire cos’è il Movimento e cosa diventerà. Sono pochi i partiti a poter vantare elettori così “attivi ed esigenti”: volontari che, almeno finché i parlamentari li hanno considerati, organizzavano graticole mensili per interrogare pubblicamente i portavoce sui risultati. Chi ha mai assistito di persona a una di quelle vere e proprie interrogazioni, sa quanto fossero diverse rispetto a un qualsiasi altro incontro di un partito tradizionale. Poi all’improvviso hanno smesso di farle, in molti casi uno dei primi sintomi di crisi, ma in pochi se ne sono davvero accorti. “Ultimamente”, scrive ancora Di Battista, “si parla poco degli attivisti del Movimento. Vuoi perché molti di loro sono stati eletti nelle Istituzioni ed occupano ruoli prestigiosi, vuoi perché altri hanno abbandonato il Movimento, e tra l’altro sarebbe opportuno chiedersi il perché, vuoi perché alcuni si sono via via trasformati in tifosi e questo, francamente, rende il loro ruolo meno essenziale”. Dice Di Battista che “un tifoso”, uno che “venera i portavoce” “non serve a nulla”: “Un vero attivista riduce la possibilità di normalizzazione della forza politica che sostiene. E badate bene, normalizzarsi resta sempre il pericolo più grande per chi decide di fare politica”. Un rischio che per i 5 stelle ormai, nolenti e volenti, è realtà. Quindi l’ex deputato sembra appellarsi agli attivisti perché siano loro a riportare il Movimento sulla via che ha smarrito: “La qualità”, scrive ancora, “e di conseguenza la durata di una forza politica è direttamente proporzionale all’inflessibilità, al rigore ed alla severità di quella che viene definita base”. E chiude con quello che suona come una benedizione per chi dissente con la linea ufficiale: “Il Movimento ha cambiato pelle, ripeto, è normale che in parte ciò avvenisse. Ma gli attivisti non devono farlo”.

La cronaca di Abruzzi è la storia di quei pochi che la pelle, se l’hanno cambiata, l’hanno fatto a fatica. Inizia dal giorno 1 del Movimento, ma quello vero. Non il 2013 e l’entrata in Parlamento, come è stato per tanti. Parte dagli spettacoli di Beppe Grillo al Teatro Smeraldo di Milano nel 2010 e arriva ai giorni nostri. Passando per le prime esperienze degli orti botanici cittadini, fino al bagno di folla con Dario Fo a battezzare i 5 stelle sotto il Duomo di Milano. “Questo è il diario di un attivista”, scrive. Un resoconto preciso delle tappe fondamentali della sua militanza che, naturalmente, inizia con lo show del fondatore: “C’era la famosa stampante 3D portata e usata sul palco”, dice. “La politica non era mai stata così attraente e affascinante come quella sera. Era anche semplice capirla”. Quindi ci sono i primi incontri del Meetup nel bar di Cormano, insieme alla compagna poi diventata europarlamentare Eleonora Evi: “Non importava avere una sede con il nostro simbolo in bella mostra per farci vedere in città”, scrive. Poi “venne il tempo del gazebo”, i banchetti per raccogliere nuove adesioni “ad agosto quando fa caldo e rischi l’insolazione, o d’inverno quando nevica e senti che le dita dei piedi quasi ti si staccano”: “Per molti è la cosa più importante per un attivista”. E’ così importante che, “molti non considerano attivisti coloro che non ne fanno”. E’ una delle accuse che, dalle parti dei Meetup, viene fatta più spesso: i parlamentari non fanno più i banchetti, uno dei compiti ritenuto da sempre fondamentale: “Devi essere preparato per rispondere alle tante domande, osservazioni e critiche che ti verranno poste su molteplici argomenti e devi saper parlare, comunicare bene, controbattere e dialogare”.

Abruzzi c’era in tutti i momenti più importanti degli ultimi anni e soprattutto, c’era alla vigilia dell’ingresso in Parlamento nel 2013. Così racconta una delle riunioni segrete (ah quanto i giornalisti avrebbero pagato per esserci in quel momento) che portarono a quella vittoria: “Di sera, dentro un negozio a serrande abbassate, eravamo tantissimi, tutti appiccicati. La sensazione era quella di una riunione carbonara con la differenza che noi non avevamo nulla da nascondere ma semplicemente le condizioni in cui ci trovavamo erano quelle di cittadini che provano ad autorganizzarsi senza strutture e senza soldi pubblici. Nell’aria si respirava qualcosa di magico”. Da quella magia molte cose sono cambiate e a dirlo è lo stesso Abruzzi. Che nella conclusione scrive: “Questo progetto è diventato grosso e lo è diventato molto in fretta. Forse troppo. Non è stato in grado di creare i giusti anticorpi per evitare storture, errori, passi falsi”. Abruzzi però c’era all’inizio di tutto e (per ora) non ha mollato. Lui si aggrappa al senso di fare politica per cambiare la società. Ma finito il libro rimangono tante domande: quanti come Abruzzi sono rimasti ancora nel Movimento e a quanti tra i leader fa davvero comodo, come dice Di Battista, che gli attivisti li spingano a tenere “la barra dritta”? E soprattutto, quanta autonomia vitale può avere un M5s senza attivisti?

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