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lunedì 4 ottobre 2021

Elezioni 2021, il test dell’alleanza giallorossa alle Comunali: dalla vittoria di Napoli al nodo dei ballottaggi su Roma e Torino

“Si vince se si allarga la coalizione oltre il Pd. Adesso la partita riguarda le elezioni del 2023“. Disegnare il primo orizzonte per il progetto giallorosso, non appena sono iniziati ad arrivare i primi risultati delle amministrative, spetta a Enrico Letta. Perché sarà anche stato uno dei voti locali meno partecipati di sempre, ma non per questo avrà meno effetti sul futuro del laboratorio Pd-M5s. Per l’asse uscito dall’esperienza di governo pre Draghi è stato il primo test ufficiale (almeno da quando Giuseppe Conte è diventato presidente dei 5 stelle) e ora che il debutto c’è stato, gli equilibri si adegueranno di conseguenza. I dem non hanno perso tempo e hanno iniziato subito a rivendicare un “Pd perno dell’alleanza” (parola della vicesegretaria Irene Tinagli) perché “i rapporti di forza sono mutati” (ha certificato il padre fondatore Romano Prodi). Ma i conti non si potranno fare senza il leader M5s, alla cui popolarità finora gli stessi dem si sono affidati ciecamente. “E’ confermata l’enorme potenzialità del nuovo corso e la prospettiva politica seria di lavorare assieme alle forze progressiste”, si è affrettato a dire l’ex premier al Tg1. Insomma: i leader promuovono il progetto, ma sanno che ora la vera sfida sarà posizionarsi e farlo in fretta.

Archiviate le vittorie o le sconfitte nelle città, il pensiero è già a quello che succederà da dopodomani e a partire dai difficilissimi ballottaggi di Roma e Torino. Sul piatto ora pesano i primi risultati e a partire da quelli le parti faranno le loro richieste. Il centrosinistra ha vinto al primo turno in tre delle principali città (Milano, Napoli, Bologna) e lo ha fatto con percentuali nette, sfiorando o superando il 60 per cento dei consensi. Ma non solo: il Pd può fregiarsi di essere primo partito nei quattro centri più importanti al voto (e secondi a Roma). Decisiva la performance del candidato giallorosso per eccellenza: su Gaetano Manfredi si giocavano molto di più delle scommesse dei napoletani e sulla sua campagna ci hanno messo la faccia tutti i leader M5s e pure quelli Pd. Anche Bologna può servire in questa logica: è casa del Pd e i 5 stelle avevano un peso quasi irrilevante, ma l’intesa è stata unitaria e la campagna è andata in quella direzione. L’analisi per i 5 stelle, però è molto complessa e non può fermarsi alle vittorie. Se si guardano le liste, i risultati sono impietosi al Nord (Milano tra le lezioni più dure di tutte), più in linea con i sondaggi al Sud dove cercano di resistere.

I Comuni che hanno testato l’alleanza giallorossaL’alleanza Pd e M5s però non si è limitata a Napoli e Bologna, ma è stata testata in altre 27 città. Hanno vinto in altre 5 città: a Ravenna; a San Nicandro Garcanico e Gallipoli (in Puglia); ad Arzano e Frattaminore (Campania). Sono in vantaggio, ma andranno al ballottaggio in altre 5: a Varese, Sulmona, Spoleto, Assisi, Isernia e Massarosa. Sono in svantaggio, ma vanno al secondo turno a Melito (Napoli) e Cisterna di Latina (Lazio). Hanno perso in 12 città: Pordenone, Grosseto, Cerignola, Nardò, Afragola, Vico Equense, Volla; Carmagnola (Piemonte); Montevarchi (Toscana); Oderzo; San Giuliano Milanese e Busto Arsizio. Ancora non si sanno i risultati di Ruvo di Puglia, Treviglio (Bergamo).

Senza bisogno però di guardare a quello che succederà per le politiche del 2023, scadenza al momento lontanissima, sarà interessante capire come i giallorossi si muoveranno in vista dei ballottaggi. Perché l’alleanza non si è trovata a Roma e Torino proprio a causa delle distanze incolmabili degli apparati di partito a livello locale. Ora che l’accordo è necessario per poter battere gli avversari, riusciranno a superare le resistente? Dal Piemonte sono arrivati i segnali peggiori: subito dopo i primi risultati, sia il candidato dem che la collega M5s hanno rivendicato che “non faranno apparentamenti”. A Roma, ancora si cerca di capire gli equilibri finali, ma la discussione non si prospetta semplice. Lo dimostra il primo commento a caldo della Raggi: “Sottolineo che a Roma sono l’unica che tiene testa alle corazzate di centrodestra e centrosinistra”. Non proprio l’apertura di una prima cittadina che vuole dialogare in vista del secondo turno. Ma da domani si apre una nuova storia e ad avere voce in capitolo non potrà certo essere chi ha perso.

Le vittorie del centrosinistra nelle grandi città – Il centrosinistra che era entrato a brandelli nel governo giallorosso di due ere politiche fa, ora si trova a rivendicare vittorie nelle principali città andate al voto. E i successi non riguardano solo i candidati sindaci, ma anche e soprattutto la lista. Scontata è vero la vittoria a Bologna: Matteo Lepore vince con il 62% e i dem prendono il 36,2% (era stato il 35% nel 2016). Se si pensa che alle Regionali 2020 per un attimo la Lega aveva sognato la conquista di una delle zone rosse per eccellenza, la vittoria di oggi (insieme ai 5 stelle) non è sempre stata così prevedibile. L’altro risultato meno scontato è quello di Milano: la riconferma al primo turno di Beppe Sala, mai come in questa tornata esponente Pd, non era considerata una passeggiata: ha preso il 60% e il Pd è primo partito con il 33,60% (28,97% del 2016 e al 35, delle europee 2019). I dem riescono a uscire in vantaggio anche a Torino, dove però dovranno sfidare il centrodestra al ballottaggio. E qui tornano primo partito ( 27,76 contro il 29,77 del 2016), dopo che cinque anni fa furono scalzati per 800 voti dal M5s. A Roma sono secondi: prendono il 16,4%, mentre nel 2016 erano al 17,2. Sono primi anche a Trieste, dove il centrodestra pensava di strappare la vittoria al primo turno (e non ce l’ha fatta): i dem sono al 17%, davanti a Fdi e Lega. Calabria: Pd al 12,7%.

M5s: débacle al Nord, meglio al Sud Il primo test elettorale per Conte è un test complesso, perché le dinamiche variano da zona a zona e si devono considerare molte variabili. La prima considerazione è che il Movimento, impegnato nella sua rifondazione estiva, è riuscito a presentarsi in 99 su 1.342 Comuni. La botta più grossa è a Torino e Roma: le sindache uscenti M5s furono il simbolo della forza dirompente di un Movimento che viveva il suo periodo di grande espansione, oggi si trovano nella situazione opposta. Però proprio a Torino e Roma, non si è presentata alle urne la linea Conte: il M5s ha deciso di correre da solo, in controtendenza con quanto stava avvenendo a livello nazionale. E le urne non hanno ripagato la scelta. A Roma il Movimento, a spoglio ancora agli inizi, si fermerebbe attorno al 10% (10,62%, secondo i primi dati del Viminale) contro il 35,33% del 2016 e il 17,58% delle europee del 2019. A Torino il M5s prese il 30,01% dei voti eleggendo il sindaco, mentre lo spoglio per ora assegna al Movimento l’8,96%, al di sotto anche delle europee del 2019, quando si fermò al 13,33%. A Milano, città dove non ha mai sfondato, secondo i primi dati dello scrutinio il M5s è al 2,96%, contro il 10,4% del 2016 (8,53% alle Europee del 2019). A Bologna crolla intorno al 3,49% contro il 16,60% del 2016. A Napoli il Movimento, in coalizione con il Pd così come a Bologna, incassa ad ora l’11,19% dei voti, mentre nel 2016 aveva il 9,66%: alle Europee fu primo partito in città, con il 39,86%. In Calabria la lista M5s, anche qui coalizzata con i Dem, è attorno al 5,67%, contro il 6,27% delle Regionali del 2020, quando Pd e pentastellati sostenevano due candidati diversi, e in netto calo rispetto al 26,69% delle europee del 2019. Ma vanno male anche in piccoli Comuni più piccoli e simbolici per il Movimento: a Chioggia, erano uscenti e sono crollati all’8,58% (cinque anni fa vinsero con il 22).

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