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lunedì 31 gennaio 2022

Dopo il Quirinale torna il dibattito sulla legge elettorale. Proporzionale con sbarramento al 5% o maggioritario: chi tifa per cosa

L’ombra del proporzionale puro torna a proiettarsi sul sistema politico italiano. E’ uno degli effetti creati dall’elezione del Presidente della Repubblica. La rielezione a larga maggioranza di Sergio Mattarella ha forse stabilizzato il governo a stretto giro, facendo evaporare il rischio delle elezioni anticipate. Ma a votare prima o poi bisognerà comunque tornare. E in previsione del voto del 2023 si è riaperto il dibattito sulla legge elettorale, fermo al 9 gennaio 2020, quando fu depositato in Commissione alla Camera il Germanicum, sostenuto dall’allora maggioranza giallorossa: si tratta di un proporzionale con soglia di sbarramento al 5%, che lo rende appunto simile al modello tedesco. Come sempre accade, il dibattito si articola tra due scelte di fondo, vale a dire proporzionale o maggioritario, benché le due impostazioni possono essere declinate in vari modi o anche miscelarsi, come per l’attuale legge, il Rosatellum.

Il dialogo viene rilanciato ora, con lo scongelamennto di alcune posizioni che rendevano impraticabile il confronto: il fermo no della Lega e di Forza Italia al proporzionale, perorato invece da M5s, bloccava qualsiasi discussione, come anche le ripetute dichiarazioni di Enrico Letta in favore del maggioritario, che avevano fatto parlare nei mesi scorsi di un asse con Giorgia Meloni. Ora la richiesta di riaprire il dossier fatta dal segretario del Pd e le prime aperture sul proporzionale da parte dei berlusconiani e perfino nella Lega, permettono almeno di riaprire il dibattito. Sullo sfondo c’è appunto il cosiddetto Germanicum, cioè un proporzionale ma con una soglia altissima al 5%, che è la bozza accolta come testo base in Commissione affari costituzionali della Camera, ma fermo da mesi.

Domenica Letta ha inserito la legge elettorale tra le priorità, con l’obiettivo di superare le liste bloccate. Non ha dunque parlato esplicitamente di superamento della parte maggioritaria contenuta nel Rosatellum (il 36% dei seggi) e che spinge a coalizioni definite prima del voto. Ma all’ultima Direzione, quasi tutte le correnti (Base riformista, AreaDem, la sinistra di Andrea Orlando e i Giovani turchi di Matteo Orfini) hanno sostenuto il proporzionale: il segretario si è dichiarato pronto al confronto. La trattativa per scegliere l’inquilino per il Colle, spinge molti esponenti del Pd a insistere su un sistema proporzionale in cui Pd e M5s corrano ognuno per conto suo, senza impelagarsi in dispute sui collegi uninominali. Per questo modello anche Leu, come ha spiegato il capogurppo Federico Fornaro, il quale ha ricordato gli altri punti aperti, come il metodo di selezione dei parlamentari: preferenze o collegi, sul modello del Senato prima del 1994?

Poi ovviamente c’è il problema della soglia. Il 5% del Germanicum, proprio come nel sistema tedesco, freno alla frammentazione, non piace ai piccoli, da Leu a Coraggio Italia, favorevoli a uno sbarramento molto più basso. E’ chiaro che il proporzionale, che non obbliga a dichiarare prima del voto le coalizioni, riapre il cantiere di un Centro. Questo tema interpella in modi diversi Iv e Fi. Matteo Renzi, nelle trattative per il Quirinale, ha viaggiato in sintonia con Letta, come ha sottolineato oggi, ed ora deve decidere se lavorare a una aggregazione di centro con Azione e +Europa che guarda al Pd o ad una più moderata con Toti e Brugnaro, e magari con una Forza Italia a traino di Carfagna-Gelmini-Brunetta. Berlusconi appena due settimane fa, ha confermato a Salvini e Meloni di prediligere il maggioritario, ma la faglia creatasi sul voto per il Presidente della Repubblica ha fatto sì che l’ala vicina ai tre ministri, stia spingendo sul Cavaliere per rivedere la posizione sulla legge elettorale e sulla prospettiva politica. In questo panorama, uno scongelamento sembra poterci essere anche nella Lega. Mercoledì, al terzo scrutinio, quando in nome dell’unità del centrodestra la Lega (così come Fi e Fdi) ha dato indicazioni di votare scheda bianca, ben 26 schede riportavano i nomi di Giorgetti (19) e Bossi (7), come a rivendicare una autonomia. E infatti non sono pochi i parlamentari del Carroccio che sostengono come il proporzionale possa convenire anche alla Lega.

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Di Maio, Repubblica: “Contro di lui un tweet-bombing da account fake Usa”. Ma il software smentisce: “Tutti italiani in carne e ossa”

A scatenare l’ondata di tweet critici verso Luigi Di Maio – accompagnati dall’hashtag #DiMaioOut – sono stati “profili finti“, “pacchetti di account dormienti riattivati apposta per pilotare il dibattito”, molti dei quali attivi dall’estero, in particolare dagli Usa. Insomma, è stato un “tweet bombing“, “chiaramente un’operazione studiata, che viene fatta da chi vuole modificare la percezione su alcuni temi”. È quanto ha sostenuto in un colloquio con Repubblica Pietro Raffa, amministratore delegato della società Mr & Associati (nonché blogger di Huffpost, testata online del gruppo Gedi, lo stesso di Rep). A smentirlo però è un’analisi del software MetatronAnalytics, una delle piattaforme di intelligence di rete più sofisticate al mondo, pubblicata dalla testata specializzata Key4Biz. Negli attacchi social al minitro degli Esteri per il suo comportamento nei giorni dell’elezione del presidente della Repubblica, sostiene il report, “non risulta alcun disegno di bombing, che per essere considerato tale deve affidarsi a dei Bot, ovvero ad account generati da computer. Al contrario, gli account usati sono tutti riferibili a persone in carne e ossa“. Addirittura – nota l’analisi – “tutto nasce dallo stesso tweet di Pietro Raffa pubblicato ieri sera in cui si descrive il presunto tweet-bombing contro Luigi Di Maio”, che “riscuote immediato successo”: è così che il giorno dopo “agenzie e testate si avventano sul tema e inseguono Raffa”, facendo entrare l’hashtag in tendenza.

Il software ha riscontrato e analizzato 884 account per un totale di 2371 tweet. “Non figurano bot – si legge – ma cosiddetti sock puppets, ovvero account usati poco e in un certo senso risvegliati dopo lungo letargo oppure account multipli che appartengono alla stessa persona (si tratta di un fenomeno tipico tra militanti politici). Si tratta, nel nostro caso, di account aperti nel corso degli anni dal 2010 in poi, con solo gli ultimi due account aperti a gennaio 2022. Solo poco meno del 10% degli account coinvolti ha twittato più di 10 tweet, con la punta massima di un account (Simo) che ha twittato ben 128 volte tweet con #DiMaioOut. Quindi, con buona pace del presunto scoop, nessun tweet-bombing, né bot creati da computer, ma azioni di persone vere, magari mobilitate da un ordine concertato, come spesso accade in rete, specialmente in ambito politico e di militanza”. Anche la presunta provenienza dei tweet dall’America, riporta Key4Biz, “non è riscontrabile in alcun modo: al contrario, tutti gli account usati del nostro caso sono localizzati per la quasi totalità in Italia. La controprova sta nel fatto che ad un controllo dell’orario di attivazione degli account, figurano tutti posizionati ad un’ora di differenza da Greenwich”.

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M5s, il nodo del limite ai due mandati sullo sfondo dello scontro tra Conte e Di Maio: Il 30% dei parlamentari fuori dalle liste

Lo scontro è deflagrato pochi minuti dopo la rielezione di Sergio Mattarella: l’ex capo politico ha messo sotto accusa quello attuale sulla gestione le trattative nella corsa al Quirinale. Giuseppe Conte si prende la notte per replicare e il giorno dopo spiega che le “trattative” sono state decise anche da Luigi Di Maio: “Era nella cabina di regia M5s, anche lui chiarirà”. E “non a me, ma agli iscritti”. Un botta e risposta che rappresenta l’inizio dell’attesa resa dei conti tutta interna al Movimento 5 stelle. Un redde rationem che si è allargato ai gruppi parlamentari e ai componenti del governo, divisi tra fedelissimi del ministro degli Esteri e sostenitori dell’ex presidente del consiglio.

Confronti, chiarimenti e iscritti- Tutte le dichiarazioni combaciano solo su un punto: un “chiarimento” si fa sempre più necessario e urgente. D’altra parte già prima della rielezione di Mattarella Conte lo aveva evocato in conferenza stampa rispondendo al Fatto quotidiano. E aveva già sottolineato che il confronto avrebbe coinvolto gli iscritti dei 5 stelle. Gi stessi ai quali potrebbe spettare anche un’altra decisione: la deroga alla regola del secondo mandato che tutti chiedono da tempo. E che più di qualcuno teme. Sullo sfondo di questo scontro tra vecchia guardia e nuova gestione dei 5 stelle, infatti, inizia a proiettarsi un problema antico e mai finora risolto. Ma che diventa delicatissimo in vista delle prossime elezioni politiche, quando molti dei 230 eletti sotto il simbolo del Movimento non faranno ritorno in Parlamento. Non solo per una questione di secondo mandato, ma soprattutto perché il Movimento ha dimezzato i consensi rispetto al 2018. E soprattutto perché alla prossima legislatura spariranno 345 seggi per effetto della riforma sul taglio dei parlamentari. Per preparare le liste delle prossime politiche, dunque, prendere una decisione sui due mandati è fondamentale.

Chi è al secondo mandato – Quasi il trenta percento dei parlamentari – 67 su 230 – che ancora oggi siedono tra i banchi dei 5 stelle sono infatti al secondo mandato- secondo le regole originarie del Movimento – non sarebbero ricandidabili. Sono soprattutto alla Camera dove su 157 eletti, quasi un terzo – e cioè 49 – rischia di avere davanti solo l’ultimo anno in Parlamento. Al Senato, invece, la percentuale è più ridotta: su 73 eletti in 18 sono al secondo mandato. Si tratta, ovviamente, dei volti più noti del Movimento: il presidente della Camera, Roberto Fico, il ministro Federico D’incà, il sottosegretario all’Interno Carlo Sibilia, il presidente della commissione Affari costituzionali della Camera, Giuseppe Brescia, l’ex guardasigilli Alfonso Bonafede, l’ex ministra della Sanità nel governo gialloverde, Giulia Grillo, l’ex titolare delle Infrastrutture nello stesso esecutivo, Danilo Toninelli ma pure l’ex sottosegretario alla presidenza del consiglio Riccardo Fraccaro e Vito Crimi, capo politico ad interim dopo le dimissioni di Di Maio. Nella lista anche le ex presidenti della commissione giustizia Giulia Sarti e Francesca Businarolo o l’attuale presidente della commissione Affari sociali, Marialucia Lorefice. Nell’elenco ovviamente c’è Di Maio, ma pure molti dei suoi fedelissimi come il sottosegretario Manlio Di Stefano, la viceministra Laura Castelli, l’ex tesoriere dei 5 stelle Sergio Battelli. Sono al secondo mandato anche molti di quelli che hanno preso le difese del ministro degli Esteri nello scontro con Conte: da Mattia Fantinati a Dalila Nesci. Al contrario i cinque vicepresidenti scelti da Conte per farsi aiutare nella guida del Movimento sono quasi tutti in grado di ricandidarsi senza deroghe: l’unica al secondo mandato, infatti, è la senatrice Paola Taverna, mentre Riccardo Ricciardi, Mario Turco e Michele Gubitosa sono alla prima esperienza in Parlamento. La viceministra al Mise, Alessandra Todde, invece, ha davanti a sé addirittura due mandati avendo fallito l’elezione all’Europarlamento nel 2019.

Il mandato zero e il caso degli ex consiglieri regionali – Ci sono poi posizioni ibride. Come quelle di Stefano Buffagni e del ministro Stefano Patuanelli, che sono alla prima legislatura a Roma ma in precedenza sono stati eletti nei rispettivi consigli regionali. Anni che sulla carta prefigurano per entrambi un secondo mandato, visto che quello in Regione non viene considerato all’interno del “mandato zero“: è una novità introdotta dai 5 stelle nel 2020, che consente di non contare una prima elezione nei consigli comunali nel computo totale dei due mandati. In quel modo era stato possibile ricandire Virginia Raggi a sindaca di Roma. Poi, però, la questione dei due mandati non è stata più toccata. Nel marzo scorso era stato Beppe Grillo a blindare quella che è una delle norme-bandiera dei 5 stelle. “Il limite dei due mandati deve rimanere, l’ho detto a Conte. Io resterò sempre nel M5s se resta questo pilastro dei 2 mandati“, aveva detto il garante, scatenando non pochi malumori tra i parlamentari. Nei mesi successivi, quando Conte ha preso in mano il Movimento, si era ipotizzato inserire una sorta di “deroga per i meritevoli’. Ma chi dovrebbe decidere chi sono i meritevoli? Il capo politico? E su quali criteri? Quel compromesso, insomma, avrebbe creato ulteriori malumori. E che adesso si allunga sullo sfondo dello scontro tra la vecchia guardia del Movimento e la nuova guida politica. Probabilmente la via d’uscita più agevole sarebbe quella classica: far decidere agli iscritti.

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Scontro Conte-Di Maio, Peter Gomez: “Il M5S deve risolvere la questione della regola dei due mandati. Su questi temi non ci sono vie di mezzo”

“Il Movimento 5 stelle resta in una cosa diverso dagli altri partiti, a un certo punto con la piattaforma votano gli iscritti e questa è la spada di Damocle – dice Peter Gomez durante la diretta quotidiana sul Fattoquotidiano.it -. Perché è ovvio che tutti pensino che la grande questione che resta sul tavolo è la quella del limite dei due mandati“. Poi il direttore continua: “Era stato detto che la questione sarebbe stata ridiscussa, era stato detto che prima o poi avrebbe deciso la base. Si pensava che Conte, con il potere di dare delle deroghe sarebbe stato più forte. In realtà non è così, su questi temi o sei bianco o sei nero, perché una volta che fai una deroga la regola non c’è più. Allora la domanda è, se vanno al voto, voteranno per mantenere i due mandati o per toglierli? Secondo me per mantenerli. La cosa migliore sarebbe che nei prossimi giorni votassero questa benedetta regola dei due mandati. In questo modo tutti i parlamentari che hanno già fatto due mandati potranno decidere cosa fare: se fondare un altro movimento, se iscriversi a un altro gruppo, finire con Toti, e gli altri stanno lì nella speranza di essere rieletti e che serva come segnale per gli elettori. In altro modo questa storia non si risolve. Credo che al di là degli errori commessi, questa sia la questione di fondo, i due mandati”.

Rivedi la diretta integrale

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M5s, Crippa dopo l’incontro con Conte: “Si troveranno spazi e modi per i chiarimenti interni”

“Abbiamo parlato di diverse situazioni anche in vista del prossimo consiglio dei ministri e degli argomenti nel calendario del prossimo mese che è convocato per giovedì. Per i chiarimenti interni si troveranno gli spazi e i modi per poterli fare”. Sono le poche dichiarazioni che il capogruppo del Movimento 5 stelle alla Camera Davide Crippa ha rilasciato ai giornalisti, uscendo dalla casa del presidente Giuseppe Conte questa mattina

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M5s, lo scontro Di Maio-Conte si allarga al Movimento. Di Stefano: “Basta caccia all’uomo”. Todde: “C’è chi lavora solo per sopravvivenza”. E al ministro pure la solidarietà di Brunetta

Lo scontro aperto da Luigi Di Maio contro Giuseppe Conte, già pochi minuti la rielezione di Sergio Mattarella, si allarga a parlamentari ed esponenti del governo. Con i 5 stelle storicamente più fedeli all’ex capo politico che si schierano a difesa del ministro degli Esteri. A cominciare dal suo sottosegretario, Manlio Di Stefano. “Questa ripugnante caccia all’uomo verso Luigi Di Maio deve finire e non è degna dei nostri valori”, scrive l’esponente dei 5 stelle sulla sua pagina facebook. Un post in cui Di Stefano difende Di Maio ma non va all’attacco dell’attuale presidente dei 5 stelle. “Né lui né Giuseppe Conte – scrive – sono mai scappati dalle loro responsabilità, se ne hanno non scapperanno nemmeno questa volta, ma questo non deve essere un processo di piazza tantomeno uno scaricabarile”.

Il fronte pro Conte – Si schiera con Conte, invece, Alessandra Todde, viceministra dello Sviluppo economico e vicepresidente dei 5 stelle. “Ho apprezzato e condiviso il metodo inclusivo e trasparente che Giuseppe Conte ha proposto per il Quirinale coinvolgendo subito i capigruppo di Camera e Senato e costituendo una cabina di regia che ha seguito tutte le fasi della trattativa. Di Maio ha partecipato a tutti gli incontri e le sue posizioni sono state discusse, alla pari delle altre, e sintetizzate da Conte che è il leader politico legittimato“. Praticamente la stessa posizione illustrata ieri dall’ex presidente del consiglio, che per replicare alle accuse di Di Maio sui “fallimenti” nelle trattative per il Quirinale, aveva detto “era nella cabina di regia M5s, anche lui chiarirà”. “In questi anni di governo”, continua Todde, “mi sono convinta che esistono due modi di fare politica: chi lavora alla sopravvivenza, cercando il massimo beneficio, e chi invece porta avanti un progetto lavorando in un contesto inclusivo, senza temere di essere collegiale e meritocratico dimostrando che confronto e dialettica sono ricchezza. Io, come tutti quelli che hanno supportato il percorso in questi giorni, non ho dubbi su quale sia la strada giusta”. Secondo Todde “i personalismi, le fazioni, i continui tentativi di indebolire chi è stato legittimato, minano il progetto. È giusto che Di Maio fornisca chiarimenti agli iscritti e sostenitori del Movimento in merito ai comportamenti tenuti negli ultimi giorni”.

Crippa a casa di Conte per parlare delle “modalità di chiarimento” – Insomma il “chiarimento” si fa sempre più necessario e urgente. Già ieri Conte lo aveva evocato in conferenza stampa rispondendo al Fatto quotidiano. E aveva già rimarcato che il confronto avrebbe coinvolto gli iscritti 5 stelle, tendando così di spostare il piano della discussione. La resa dei conti, che tutti ormai si aspettano, non dovrà essere solo sul piano personale tra i due leader: ognuno rispondere delle sue azioni davanti alla comunità M5s. Ancora non è chiaro il come, ma di sicuro servirà un faccia a faccia collettivo (una vera e propria assemblea) per parlare di quanto avvenuto e soprattutto di quello che sarà: le prossime elezioni amministrative, la posizione da tenere su referendum Cannabis e Eutanasia, la deroga alla regola del secondo mandato che tutti chiedono (o temono). Va forse letta in questa chiave la visita che in mattinata Davide Crippa ha compiuto a casa di Conte. “Sono andato a parlare con il presidente di diverse questioni, tra cui ovviamente anche la situazione del Movimento e rispetto alle modalità e al chiarimento si troveranno sicuramente gli spazi e o modi per poterli fare”, dice dopo l’incontro il capogruppo alla Camera dei 5 stelle.

Quelli che vogliono il “confronto trasparente” – Insiste sul chiarimento interno anche il ministro per i Rapporti col Parlamento, Federico D’Incà. “Se qualcuno all’interno del Movimento ha commesso degli errori, ha espresso dissenso o non ha ben compreso i vari passaggi delle cabine di regia lo verificheremo con un confronto interno, così com’è giusto che sia”, ha detto a Radio Anch’io su Rai Radio1. Le due anime dei 5 stelle riusciranno a rimanere insieme? “L’importante – risponde D’Incà – è che in questo momento cerchiamo di condividere un momento di confronto, questo sicuramente è giusto ed è corretto. Io che ho partecipato ai tavoli di regia ho sempre visto un Presidente Conte trasparente e corretto nei confronti dei capigruppo”. Chiede un “confronto trasparente” pure Carlo Sibilia, sottosegretario al Ministero dell’Interno. “Vanno dissipati i veleni e chiarite le posizioni. Ricordo a tutti che ci sono emergenze in corso nel Paese ed è necessario lavorare uniti: nel M5S e dentro il campo progressista, seguendo il percorso avviato da Conte”.

Il caso #DiMaioout e la solidarietà di Boschi e Brunetta per il ministro – Tra i 5 stelle, però, è esplosa anche un’altra questione: diversi profili, su twitter, nelle ultime ore hanno lanciato l’hashtag #dimaioout. I parlamentari più fedeli al ministro degli Esteri, però, si tratterebbe di una manovra sui social. “Ritengo inaccettabile l’utilizzo di bot e profili falsi contro Luigi Di Maio , a cui va la mia solidarietà. Alimentare una macchina del fango contro chi esprime opinioni critiche e chiede un confronto è uno spettacolo poco edificante e ingenera un clima d’odio che nessuno merita”, attacca il deputato Francesco D’Uva. “Contro Luigi Di Maio è partita un’ignobile macchina del fango. Sui social si è scatenato un clima inaccettabile nei confronti di Luigi, bersaglio di account fake pilotati. Condanniamo fermamente questa gravissima ondata d’odio, che è stata sollevata con una vergognosa campagna mirata. Tutta la nostra solidarietà al Ministro Di Maio. Avanti Luigi, siamo al tuo fianco”, scrive su facebook Dalila Nesci, Sottosegretaria per il Sud e la Coesione territoriale. Pure il deputato Andrea Caso mette sotto accusa una presunta e “tremenda macchina del fango contro Luigi Di Maio” che “va assolutamente fermata. Ingiurie e account fake sui social creati ad hoc per spargere odio sono assolutamente inaccettabili”. E a favore del ministro degli Esteri arriva pure un post di Maria Elena Boschi: “Cambiano i destinatari ma non i metodi. #DiMaio #CinqueStelle”, è il tweet della renziana. Poi è arrivato pure Renato Brunetta: “Solidarietà a Luigi Di Maio. Il nostro ministro degli Esteri ha ben altro da fare che occuparsi (e preoccuparsi) di hashtag e tweetbombing. Il Governo è al lavoro per cambiare l’Italia”. Quindi è toccato a un altro storicamente lontanissimo dai 5 stelle come Andrea Marcucci, ex renziano rimasto nel Pd: “Gli attacchi a Luigi Di Maio lasciano sconcertati per la loro gratuità. La mia totale solidarietà al ministro degli Esteri, vittima di una campagna politica sconsiderata”.

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Quirinale 2022, M5s non ha usato l’elezione per proprio tornaconto. Al contrario della destra

Non era facile unire i pezzi di un puzzle della maggioranza di governo più eterogenea della storia repubblicana. Il M5s, con il suo presidente Giuseppe Conte, sin dall’inizio ha cercato di volare alto, cercando il dialogo con le altre forze politiche, sottolineando l’importanza di convergere verso una figura di alto profilo, in grado rappresentare con disciplina e onore tutti i cittadini. Mai si è pensato da parte nostra di usare questa importante elezione in maniera strumentale, per piantare una “bandierina”, per riceverne un tornaconto elettorale.

Questa postura non è stata la medesima della destra e questo si è evinto da subito. Il centrodestra, invece di dialogare con il fronte progressista e individuare insieme un profilo autorevole, condiviso da tutti, ha imposto il leader politico più divisivo: Silvio Berlusconi. Una candidatura studiata e sponsorizzata da tempo dai giornali di proprietà della famiglia Berlusconi che hanno speso fiumi di parole e inchiostro celando sempre la condanna per frode fiscale, le inadeguatezze morali e persino la sentenza dei giudici della Corte di Cassazione che affermano che Berlusconi ha pagato la mafia per anni. Sarebbe stato davvero inconcepibile che un pregiudicato diventasse (come previsto dalla Costituzione) anche il presidente del Consiglio superiore della magistratura.

Sventata questa opzione il centrodestra guidato da Matteo Salvini ha tentato di imporre addirittura la seconda carica dello Stato: Maria Elisabetta Alberti Casellati. Un altro errore di metodo e di merito.

In un momento così delicato, di contrapposizione, usare la presidente del Senato è stato uno sfregio alle istituzioni. Ma l’errore è anche nel merito: Casellati è chiaramente espressione di una sola parte, dato che è cofondatrice di Forza Italia, che ha sostenuto il presidente Berlusconi difendendo le sue leggi ad personam e persino partecipando “all’occupazione” del tribunale di Milano, dopo lo scandalo di Ruby nipote di Mubarak. Per non parlare della disinvoltura nell’uso dei voli di Stato ad uso privato e la difesa dei privilegi della casta. Dopo aver fallito la candidatura di Berlusconi, Salvini ha infranto anche il sogno della Casellati di diventare presidente della Repubblica e forse sarebbe auspicabile che quest’ultima, che inopportunamente ha partecipato allo spoglio auspicando che prevalesse il suo nome, si dimettesse da presidente del Senato dopo lo smacco riservato alla seconda carica dello Stato.

Dopo un accordo parziale sul nome di una donna (si era ipotizzato quello di Elisabetta Belloni, ma anche Paola Severino) Salvini nella sua foga di perseverare nell’essere incoronato “king maker”, si è precipitato dai giornalisti sostenendo che ci sarebbe stato un presidente donna. Di fatto incenerendo questa opzione e con essa il desiderio del M5s di aprire questa finestra di novità su di un nome di valore.

Il Parlamento dopo queste fughe in avanti e puerili lotte correntizie, era diventato una maionese impazzita. Lo si evinceva dai “capannelli” che si formavano in Transatlantico, dalle facce confuse e infreddolite dei grandi elettori. La scelta di chiedere a Sergio Mattarella di continuare a garantire unità e moralità era l’unica possibile dinanzi alle difficoltà di interloquire in maniera alta, per il bene comune.

Il M5s con i suoi 234 elettori sui 1009 totali, poteva incidere con circa il 23% all’elezione del presidente. In molti ignorano i numeri e forse anche alcuni articoli della Costituzione, di certo ora si dovranno ricredere in tanti (soprattutto alcuni agguerriti fuoriusciti) che da tempo sostengono che il M5s avrebbe optato per la scelta più di comodo e più sponsorizzata dai mass media italiani e internazionali: Mario Draghi. La nostra posizione è sempre stata trasparente: quest’ultimo è stato indicato per aiutare il Paese a superare la crisi sanitaria ed economica da palazzo Chigi e non dal Quirinale.

Ora il Quirinale, dati i pericoli scampati, continua ad essere, con Sergio Mattarella, una garanzia per tutti. Il Paese vive ancora una gravissima crisi sanitaria ed economica, non c’è tempo da perdere: la politica deve correre e fornire risposte; questa è l’unico obiettivo che ogni forza politica dovrebbe sempre perseguire.

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domenica 30 gennaio 2022

Quirinale, Serracchiani: “Dubbi su Conte? No, alleanza Pd-M5s rafforzata. Nostra tattica? Far salire voti a Mattarella dopo spallata su Casellati”

L’alleanza tra Pd e M5s non è in discussione, anzi l’elezione del presidente della Repubblica l’ha rafforzata. Ci sono state tensioni e fraintendimenti, come era normale nella situazione che stavamo vivendo, ma da parte di Giuseppe Conte c’è sempre stata franchezza. Il contributo di Di Maio, di Conte, di tutto il M5s è stato preziosissimo nei momenti più difficili“. Sono le parole pronunciate ai microfoni de “Il caffè della domenica”, su Radio24, dalla capogruppo Pd alla Camera, Debora Serracchiani, che menziona anche la stretta collaborazione con Italia Viva: “Nei passaggi più difficili abbiamo mantenuto la barra dritta. Qualcuno puntava sulle nostre divisioni e invece, alla fine di questa settimana rocambolesca, il campo largo ha preso forma”.

La deputata dem svela poi la strategia usata dal “fronte progressista” durante le votazioni per il presidente della Repubblica: “Quando il centrodestra ha proposto la Casellati, c’è stata la svolta, nel senso che abbiamo cambiato il nostro piano, che si è inclinato nella direzione giusta. Al centrodestra avevamo detto in tutti i modi che non erano nelle condizioni di eleggere da solo il capo dello Stato, avevamo cercato di condividere dei nomi e di aprire un dialogo, ma non ci avevano mai risposto – spiega – Hanno buttato nella mischia il nome della Casellati senza condividerlo con noi e con l’obiettivo di dare una spallata. A quel punto, la nostra strategia è stata quella di far salire i voti per Mattarella. È stato un crescendo che abbiamo costruito con pazienza e con una tattica parlamentare che si è rivelata utile e preziosa, perché ha compattato le nostre posizioni e ci ha permesso di tenere alto il nome del presidente Mattarella. Questo passaggio davvero importante è stato possibile grazie alla capacità dei leader politici di leggere il sentimento nel Parlamento e nel Paese”.

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sabato 29 gennaio 2022

Quirinale, Di Nicola (M5s): “I leader di partito vadano da Mattarella per comunicargli che il Parlamento vuole votarlo per la rielezione”

“È arrivato il momento – francamente prevedibile – in cui per mettere in sicurezza il Paese è necessario che i leader della maggioranza salgano al Quirinale, da Sergio Mattarella, per comunicargli la volontà del Parlamento di votarlo per un secondo mandato“. A dirlo è stato l’esponente del Movimento 5 stelle, Primo Di Nicola, fuori da Montecitorio. “Pier Ferdinando Casini? Si stanno consumando trattative nelle quali ciascun partito mette davanti i propri interessi. Così non può essere eletto un presidente della Repubblica”.

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giovedì 27 gennaio 2022

Quirinale, Conte: “M5s ha cambiato posizione? Non dite fesserie, è sempre la stessa. Sul tavolo abbiamo messo nomi super partes”

“Il M5S si batte per una soluzione di un’alta personalità. È quello di cui ha bisogno l’Italia in una situazione di emergenza. Il M5S dall’inizio ha una posizione lineare. I nomi che abbiamo fatto al tavolo sono super partes, alti profili e sono sempre gli stessi. Ovviamente, siamo disponibili a valutare anche gli altri”. Così il presidente del M5S, Giuseppe Conte, parlando con i cronisti all’arrivo alla Camera. “Non dite fesserie che cambiamo posizione. La nostra posizione è sempre la stessa”, ha aggiunto (SEGUI L’ORA PER ORA)

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mercoledì 26 gennaio 2022

Grillo telefona in diretta a Mentana: “Con Conte non abbiamo mai parlato di votare Draghi al Quirinale. Sintonia sulla linea” – Video

Prima un sms, poi una telefonata in diretta: Beppe Grillo su La7 smentisce ufficialmente la voce circolata nelle ultime ore, dopo un articolo apparso su “Domani”, su un suo colloquio con Giuseppe Conte per eleggere Mario Draghi al Colle.



Nel bel mezzo della sua maratona per il Quirinale, Mentana riceve la chiamata del fondatore del M5s e si intrattiene per diversi secondi. Poi commenta, sorridendo: “Più trasparente di così. Grillo, come me, è un signore del ventesimo secolo, manda gli sms o telefona, nonostante sia stato il grande uomo che ha lanciato i social a uso politico. Però poi di suo fa così. È una strana nemesi“.

Nel corso della trasmissione è poi arrivato un nuovo messaggio di Beppe Grillo che ha invece confermato una nota del Movimento 5 stelle che parlava di una “piena sintonia” tra lui e Conte “sulla linea che il Movimento sta tenendo in questa trattativa per il Quirinale, mirata a garantire piena stabilità all’attuale Esecutivo per continuare a rispondere alle urgenze del Paese e a trovare un candidato autorevole e super partes”.

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Quirinale 2022, Luigi di Maio verso Draghi. È stata la mano di Grillo?

di Carmelo Sant’Angelo

Ancora una volta il M5S si presenta in ordine sparso ad un importante appuntamento istituzionale: l’elezione del Presidente della Repubblica. Mettendo in ordine le tessere del puzzle, incastrando i resoconti giornalistici, le indiscrezioni dei retroscena, le dichiarazioni affidate ai social il quadro che ne viene fuori è di un partito balcanizzato. Nonostante gli appelli unitari promossi dal presidente Conte, è innegabile che i 5 stelle abbiano più correnti della vecchia Democrazia Cristiana. Tante correnti, ma nessuna anima.

Chi un’anima l’ha persa o forse non l’ha mai avuta è Luigi Di Maio, pronto a cambiare idea con la stessa frequenza dei pedalini. Mutare opinione è certamente sintomo di vivace intelligenza, purché ciò avvenga in presenza di un nuovo scenario. Appare, invece, un indizio di opportunismo quando la metamorfosi si realizza “pro domo sua”.

Non avrei sufficiente spazio per descrivere le prove offerte dal suo temperamento a mio avviso proteiforme. Valgano per tutte la solidarietà offerta ai gilet gialli trasformatasi nell’omaggio devoto e deferente al Presidente Macron. Prova che non gli ha valso l’oscar, ma, più umilmente, la Farnesina. Oppure le precipitose scuse espresse all’ex sindaco di Lodi, la cui confessione (di aver favorito un imprenditore nell’assegnazione di un appalto pubblico) non è stata di per sé sufficiente, secondo il giudice di prime cure, ad integrare il reato di turbata libertà degli incanti. Dopo aver, ab origine, il M5S distinto il giudizio politico da quello penale, adesso il ministro degli Esteri si converte al sincretismo politico-giudiziario, che vanta molti adepti nelle fila del garantismo peloso.

Con la consueta ruvida schiettezza, Vittorio Sgarbi ha confermato, nell’intervista a Diego Bianchi, che le condizioni per mandare Draghi al Quirinale siano due: assicurare a Di Maio la permanenza agli Esteri e consegnare il Viminale a Salvini. L’individuazione del premier, in tale partita, sarebbe un fattore subordinato, circoscrivendo la competizione a due soli contendenti: Marta Cartabia e Daniele Franco. Che Luigi Di Maio sosterrebbe la corsa del premier verso il Quirinale è meno recondito da quando l’interessato è stato costretto ad esporsi, con le consuete cautele, nell’ultimo conclave del partito.

Fino a qualche mese addietro il trasformismo del Nostro lo incorniciavo nelle parole di Gaber: “Mi fanno male i politici (…) facce esperte e competenti che crollano al primo congiuntivo. C’è solo l’egoismo incontrollato, la smania di affermarsi (…). E voi credete ancora che contino le idee. Ma quali idee?”. Poi ho visto l’ultimo film di Paolo Sorrentino ed ho capito che il personaggio di Fabietto Schisa è più aderente alla figura di Luigi Di Maio.

La trama del film racconta dell’improvvisa morte dei genitori (nella metafora: fisica di Casaleggio e politica di Grillo) che costringe il ragazzo a fare i conti con la solitudine di chi ancora non ha un suo posto nel mondo. Fino a quando la famiglia era unita Fabio-Luigi godeva della stabilità emotiva della sua posizione di figlio amato e prediletto. Per cui non aveva necessità di essere carismatico, non sentiva l’esigenza di avere un suo punto di vista nitido sul mondo. Poteva permettersi il lusso di non avere contraddizioni, anzi di essere integro (“non disunito”) nel suo fragile candore.

Il grave lutto costringe Fabio-Luigi ad imparare ad accettare i rischi spaventosi di quella tragica e improvvisa libertà. Un evento triste che di colpo accende la solitudine nella vita del protagonista, ma anziché segnarne una parabola discendente, prelude ad un percorso di ascesa, alla crescita, alla scoperta del potere, alla realizzazione delle proprie ambizioni.

Probabilmente “è stata la mano di” Grillo ad impersonare il Fato che spinge il giovane orfano verso il sostegno al premier. Sarà perciò necessario bilanciare questa spinta con un mechanè che metta ordine nel disordine incontenibile delle esistenze umane. Da qui il mio appello: “Gigino, non ti disunire!”.

Il blog Sostenitore ospita i post scritti dai lettori che hanno deciso di contribuire alla crescita de ilfattoquotidiano.it, sottoscrivendo l’offerta Sostenitore e diventando così parte attiva della nostra community. Tra i post inviati, Peter Gomez e la redazione selezioneranno e pubblicheranno quelli più interessanti. Questo blog nasce da un’idea dei lettori, continuate a renderlo il vostro spazio. Diventare Sostenitore significa anche metterci la faccia, la firma o l’impegno: aderisci alle nostre campagne, pensate perché tu abbia un ruolo attivo! Se vuoi partecipare, al prezzo di “un cappuccino alla settimana” potrai anche seguire in diretta streaming la riunione di redazione del giovedì – mandandoci in tempo reale suggerimenti, notizie e idee – e accedere al Forum riservato dove discutere e interagire con la redazione. Scopri tutti i vantaggi!

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martedì 25 gennaio 2022

Quirinale, la strada che porta al presidente passa da una “stanza chiusa”? L’invito del centrosinistra: “Mercoledì giorno chiave”

Che la rosa dei nomi del centrodestra non fosse stata messa lì per eleggere un presidente era abbastanza chiaro fin dall’inizio. Del resto le rose dei nomi si fanno durante le trattative, non in conferenza stampa. E in fondo Matteo Salvini e Giorgia Meloni non hanno perso troppo tempo per stilare quell’elenco di tre nomi: Letizia Moratti, Carlo Nordio e Marcello Pera non avranno tessere di partito, ma sono comunque nomi da sempre connotati a destra. Un po’ troppo per ambire a prendere i voti del Pd e del Movimento 5 stelle. Il rischio era che Enrico Letta, Giuseppe Conte e Roberto Speranza rispondessero con un’altra rosa, altrettanto connotata – ma a sinistra – che avrebbe bloccato ogni dialogo. Sarebbe stato l’impasse.

E invece, evidentemente, i mille incontri degli ultimi giorni a qualcosa devono essere serviti. Se nel week end il segretario del Pd aveva detto che “ulteriori candidature di centrodestra faranno la stessa fine di quella di Berlusconi” – facendo imbufalire il capo dello Lega – nelle ultime ore ha completamente modificato il tono delle sue dichiarazioni. Prima ha detto che i nomi del centrodestra “sono sicuramente di qualità“. Poi, insieme a Conte e a Roberto Speranza, ha deciso di non presentare una contro-lista, contrariamente a quanto era trapelato in precedenza. Certo – hanno detto i capi di M5s, Pd e Leu – sui nomi del centrodestra “non si può sviluppare una larga condivisione“. Però si può ragionare per arrivare a un quarto nome. “In questo modo acceleriamo il dialogo con il centrodestra con l’impegno di trovare nelle prossime ore una soluzione condivisa. L’Italia non ha tempo da perdere. Non è il momento del muro contro muro”, ha spiegato Conte subito dopo.

Una strategia tutt’altro che inaspettata, visto che dopo aver presentato i suoi nomi lo stesso Salvini aveva detto che avrebbe rivisto “presto” sia Letta che Conte. Insomma, dopo settimane di caos, i leader dei partiti maggiori ora sembrano recitare un copione ben delineato. Una sceneggiatura che potrebbe avere come epilogo una stanza chiusa, se vogliamo dare per buona l’ultima dichiarazione del numero uno del Nazareno: “La proposta che facciamo – dice Letta – è quella di chiuderci dentro una stanza e buttiamo via le chiavi, pane e acqua, fino a quando arriviamo a una soluzione, domani è il giorno chiave, giovedì si arriva alla votazione con il quorum al 51%“.

Ora, a parte le facili battute su pane e acqua e la nota passione social di Salvini per il cibo, è altamente probabile che per arrivare al tredicesimo presidente della Repubblica bisognerà davvero passare per quella stanza chiusa con dentro i sei leader. Giorni di vertici e incontri, infatti, non cambiano l’unico dato certo di questa tornata quirinalizia: per la prima volta nella storia repubblicana nessuno schieramento ha i voti per eleggere il capo dello Stato neanche al quarto scrutinio. E dunque, volendo escludere l’ipotesi che vede pezzi di Pd e 5 stelle votare uno dei tre candidati del centrodestra, la soluzione al rebus è rappresentata da questa specie di conclave chiesto da Letta.

Gli interrogativi, però, sono ancora molteplici. Intanto perché manca una risposta del centrodestra all’invito di Pd e 5 stelle nella “stanza chiusa“. E poi perché bisogna capire se i due schieramenti hanno in testa lo stesso identikit di “soluzione condivisa“. Per esempio non è da scartare l’ipotesi che Salvini intende proporre Elisabetta Casellati, che in quanto presidente del Senato vorrebbe considerare come nome super partes. Un’ipotesi simile potrebbe far deragliare di nuovo il dialogo, perché nel centrosinistra sembrano avere un’idea diversa su Casellati. In attesa che si sciolgano tutti questi nodi, dunque, è assai probabile che anche domani, per la terza e ultima votazione che richiede un quorum dei due terzi, si andrà in ordine sparso: probabilmente il centrodestra brucerà uno della sua triade – forse Nordio – mentre il centrosinistra opterà per un nuovo giro di schede bianche.

Su tutto questo ragionamento, poi, permane una variabile gigantesca che risponde al nome di Mario Draghi. Dopo le convulse consultazioni di lunedì sera – molto simili a una campagna elettorale per se stesso – il premier oggi è rimasto sottotraccia. A piantare un paletto nella sua corsa verso il Colle è stato Giuseppe Conte con una efficace metafora: “Abbiamo affidato al timoniere una nave che è ancora in difficoltà ma non ci sono le condizioni per cambiare e il timoniere non può lasciare”. Il timoniere, però, da settimane pare voler cambiare cabina, trasferendosi in quella del comandante. In caso contrario chissà se rimarrà sulla nave.

Sullo sfondo, mai completamente svanite, restano due tracce. Una porta al bis di Sergio Mattarella. Nonostante il suo rifiuto reiterato (il presidente pare essere intenzionato a rimanere a Palermo fino all’elezione del suo successore), alla seconda votazione sono spuntate 39 schede per l’attuale inquilino del Quirinale, 23 in più rispetto a ieri: qualcuno sta usando il nome del capo dello Stato per contarsi? O è un tentativo di tenere viva l’ipotesi di un bis? Prova a restare alla finestra Pier Ferdinando Casini, che da mesi sembrava svanito dalla circolazione per evitare il rischio di essere bruciato. Ricomparso ieri in Parlamento, oggi l’ex capo dell’Udc ha postato una foto da giovanissimo su un palco, scrivendo: “La passione politica è la mia vita“. Sembrava un messaggio ai Grandi elettori, ma in pochi lo hanno recepito. In ogni caso Casini dice il vero: esponente della Dc, del centrodestra e del centrosinistra, sta in Parlamento ininterrottamente dal 1983, cioè quando Salvini aveva dieci anni e Meloni sei. La passione politica è la sua vita: non ha mai fatto altro.

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Quirinale, Taverna: “Perplessità su Draghi. Se eletto consultazione tra gli iscritti del M5s per decidere se entrare nel nuovo governo”

“Ci sono delle preoccupazioni per un eventuale spostamento di una figura così importante, del premier da Palazzo Chigi, in una situazione di emergenza oggettiva e con segnali internazionali allarmanti, ”. A dirlo è Paola Taverna, intercettata al termine di un pranzo con gli altri vicepresidenti del M5s, (eccezion fatta per Riccardo Ricciardi) e con Ettore Licheri. Per la vicepresidente del Senato “sulla rosa dei nomi di centrodestra nessuno pone veti su nessuno”. Resta comunque il nome di Mario Draghi tra i ‘papabili’. Eleggerlo significherebbe per i partiti riaprire le trattative per la formazione di un nuovo governo. “Noi per statuto e storia qualunque passaggio fondamentale, nell’eventualità della nascita di un nuovo governo, deve essere sottoposto ai nostri iscritti”.

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Quirinale 2022 – Inutile aspettarsi risultati positivi: non ci sono più veri leader

Il 9 luglio 1878 veniva eletto presidente della Repubblica italiana Sandro Pertini. Il migliore, ma per davvero, non nel senso fake contrabbandato da giornaloni e partiti allo sbando. L’elezione del presidente, partigiano e per ciò stesso patriota (non nel senso meloniano del termine, ovviamente) rappresentò un risultato storico, sia per l’ampiezza straordinariamente alta dei consensi (82,3%, percentuale mai raggiunta né prima né dopo), sia per la qualità dell’eletto. Un risultato che costituiva il prodotto dell’onda lunga della Resistenza, e, al tempo stesso, del settennio operaio e antifascista (1968-1975).

Tempi ormai lontani. In Parlamento del resto erano presenti allora dei leader veri, espressione di partiti autenticamente di massa. Oggi abbiamo invece una pletora di mestierianti sul cui stendardo è impressa esclusivamente una parola d’ordine: tiriamo a campare, sia nel senso metaforico che in quello letterale del termine.

Inutile quindi aspettarsi risultati positivi dalla votazione del nuovo presidente. Il risultato più probabile è, a questo punto, l’elezione di Mario Draghi, che passerebbe dal ruolo di primo ministro a quello di presidente. Tale circostanza, di per sé, imprimerebbe una forte torsione presidenzialistica al sistema italiano, rappresentando un ulteriore salto di qualità nella tendenza verso il verticismo istituzionale e l’esautoramento del sempre più tenue e patetico ruolo del Parlamento. L’elezione in massa dei Cinquestelle a quest’ultimo ha costituito a ben vedere il colpo di grazia. Opera loro è stata infatti la geniale auto-evirazione del Parlamento che, secondo qualche pio desiderio rimasto ovviamente irrealizzato, avrebbe dovuto accompagnarsi al rafforzamento del ruolo degli organi rappresentativi e all’adozione finalmente di un sistema elettorale proporzionale.

Oggi i deputati eletti coi Cinquestelle, dispersi in parte in varie diaspore, sembrano pronti a tutto pur di prolungare il più possibile quella che, per la maggior parte di loro, costituirà l’unica e ultima esperienza da rappresentanti del popolo. E non sono certo gli unici, dato che il taglio delle poltrone colpirà tutti i partiti, prima fra tutti la pattuglia guidata da Matteo Renzi. Del doman non v’è certezza, quindi, quasi per nessuno.

Paradossalmente, questo riflesso di autoconservazione di un mediocre ceto politico in genere abbarbicato alla poltrona, gioca contro il passaggio di Draghi dal Palazzo Chigi al Quirinale, dato che il venir meno del suo attuale ruolo di presidente del Consiglio potrebbe mettere a repentaglio la sopravvivenza del governo. Rischio per evitare il quale i partiti, primo fra tutti il Pd di Enrico Letta, pretendono che la scelta di Draghi si accompagni a un patto di legislatura che preveda garanzie e prebende per la varia e abbondante compagnia dei comprimari del presunto migliore. Vuoi vedere che ci toccherà di nuovo Matteo Salvini agli Interni, tanto per dirne una? Abbinamento questo, tra elezione del presidente e patto sul governo, che secondo Alessandro Di Battista “dà il voltastomaco”.

Certamente la confusione tra i due livelli e i due ruoli, quello presidenziale di garanzia previsto dall’art. 87 della Costituzione e quello di indirizzo politico governativo, costituisce una violazione del sistema politico configurato dalla Costituzione e in questo senso rappresenta, come accennato, un nuovo passo verso un presidenzialismo all’italiana, praticato nei fatti in attesa di qualche eventuale modifica delle norme, che tanto restano lettera morta in questo come in altri casi.

La carica della polizia che ha provocato due feriti tra gli studenti che manifestavano il loro sdegno per la morte di uno di loro, vittima di un omicidio sul lavoro mentre realizzava un’esperienza cosiddetta di studio-lavoro (altro frutto avvelenato del renzismo insieme al jobs act e altre schifezze del genere) rappresenta in questo quadro un evidente segno dei tempi. Il governo detto dei Migliori, al di là delle chiacchiere e del servile omaggio tributatogli da troppi media, si è infatti caratterizzato a mio avviso fin dal suo sorgere per un netto orientamento contro i giovani e contro la classe lavoratrice.

Basti citare i dati divulgati in questi giorni sull’incremento della quota dei lavoratori poveri, pari ormai al 25% secondo un rapporto pubblicato dal ministero del lavoro. O la mancanza di soluzioni concrete per il problema della disoccupazione giovanile, l’estensione del precariato, l’assenza di interventi sul tema del cambiamento climatico, tema per eccellenza di interesse delle giovani generazioni, che vede anzi il governo attingere ai già scarsi incentivi per le energie rinnovabili lasciando intatti quelli per le fonti fossili, che pure dovrebbero gradualmente essere messe al bando. E per finire, la ciliegina sulla torta della prossima possibile guerra contro la Russia per l’Ucraina, strombazzata dai giornaloni.

Il presidente quindi, chiunque esso sia, non solo sarà un servo della borghesia, come si diceva un tempo, ma della parte peggiore della stessa. Chiunque abbia a cuore le sorti dell’Italia deve quindi prepararsi a un periodo non breve di dura opposizione a scelte come quelle accennate.

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lunedì 24 gennaio 2022

FQChart della settimana – In attesa del nuovo presidente, l’umore degli italiani è altalenante

FQChart è la media aritmetica settimanale dei sondaggi sulle intenzioni di voto degli italiani in esclusiva per Il Fatto Quotidiano. Concorrono alla media tutti i sondaggi pubblicati dai maggiori istituti demoscopici nella settimana appena conclusa.

Settimana dal 17/1 al 23/1/2022

I sondaggi politici, come è noto, fotografano settimana per settimana il gradimento degli italiani per i partiti (e i leader) in quel preciso momento. Una fotografia, come si usa dire, spesso dagli stessi contorni e colori, comune ai diversi Istituti. Nei mesi del Draghi I, però, le differenze tra rilevazioni non sono mancate e, oggi, alla vigilia dell’elezione del Presidente della Repubblica, i sondaggi inseguono gli umori altalenanti degli italiani in un quadro politico incerto.

Prendiamo il Pd per esempio. Col suo 21,3% medio è il primo partito anche questa settimana per tutti gli Istituti. Anzi no. Per Tecnè è tornato primo il partito di Giorgia Meloni, FdI, che però ha una media del 19,4% (in calo rispetto alla settimana scorsa). E che per Bidimedia è solo terzo dietro la Lega. Quest’ultima mantiene un ottimo 18,5%, eppure per il sondaggio Quorum è scesa al di sotto del 18%.

E che dire dei grillini e del M5s? Questa settimana sono al 14,5% ma per Swg e Tecnè sono più vicini al 13%. Per loro fortuna Quorum rialza la media grazie a un sorprendente 16,6% rilevato.

Forza Italia (8,2%)? Per alcuni l’assalto (fallito) di Silvio Berlusconi alla Presidenza della Repubblica ha spinto il partito nuovamente sopra il nove per cento, per Bidimedia invece siamo dalle parti del 6/7 %.

Nel gran magma spunta per tutti la Federazione Azione/+Europa con un ottimo 4,9%, solo che la somma dei singoli partiti più che il cinque sfiorava il sei per cento fino a due settimane fa, a riprova che l’unione è sempre in perdita rispetto al valore.

(Fonte: Swg, Bidimedia, Euromedia Research, Quorum e Tecnè)

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Quirinale, Giuseppe Conte: “Riccardi? Profilo che risponde ai requisiti della figura che stiamo proponendo, ma non al primo scrutinio”

“C’è una diffusa preoccupazione da parte di tutti i grandi elettori che ci possa essere una qualche forma di rallentamento dell’azione del governo”. Così Giuseppe Conte uscendo da Montecitorio dopo la riunione dei grandi elettori M5s. Su Riccardi: “Questo profilo risponde ai requisiti della figura che stiamo proponendo. Sicuramente un presidente autorevole che ci renderebbe orgogliosi come cittadini”. Sulla possibilità di non votarlo al primo scrutinio, l’ex premier: “Abbiamo invitato al confronto anche le forze di centrodestra, sarebbe contraddittorio metterlo in votazione da subito, prima che il confronto si realizzi”. Congedandosi, a chi gli chiedeva se l’indicazione fosse quella della scheda bianca alla prima chiama: “Scheda bianca, ragionevolmente”.

“Stiamo lavorando per un candidato che sia un alto profilo che garantisca unità nazionale e così continueremo a fare. Credo gli italiani meritino una risposta di tutta la politica ambiziosa e responsabile”. Così Alfoso Bonafede all’uscita della riunione dei grandi elettori M5s.

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venerdì 21 gennaio 2022

Grillo indagato, Davide Casaleggio: “Su Moby accuse intollerabili, nessun favoritismo. La mia società? È parte lesa, non ci hanno pagati”

“Lo ribadisco per l’ennesima volta: nessun nostro cliente ha mai avuto dei favoritismi politici grazie a me. È un fatto incontestabile, non un’opinione. Non è più tollerabile dovermi difendere da accuse per fatti che non ho mai commesso”. In un comunicato dai toni decisi Davide Casaleggio, patron della Casaleggio associati, nega ogni responsabilità nell’affaire Moby, l’indagine di Milano sui rapporti tra Beppe Grillo e l’armatore Vincenzo Onorato, accusati di traffico di influenze illecite. La società di strategie digitali – fondata dal padre di Davide, Gianroberto, cofondatore del Movimento 5 Stelle – è coinvolta nell’inchiesta perché i pm sospettano che i contratti da 600mila euro l’anno firmati con Moby tra il 2018 e il 2020 (che il Fatto ha svelato per primo in uno scoop di ottobre 2019) costituissero il prezzo di una mediazione illecita portata avanti da Grillo, nell’interesse di Onorato, con parlamentari e ministri del Movimento. Nonostante la sede della società a Milano sia stata perquisita, però – ricorda Casaleggio junior – “Casaleggio Associati, soci o dipendenti non sono indagati, come d’altronde riportato nelle carte del decreto”.

Nel corso della perquisizione “sono stati ovviamente acquisiti dati e informazioni presenti in azienda, perché frutto delle attività previste nel contratto di consulenza di comunicazione e strategie digitali regolarmente sottoscritto tra due società. Alcuni giornali riportano che è stata acquisita una “mole importante di materiali” perché in effetti tali sono state le attività messe in campo per il cliente. Questo lavoro – precisa il comunicato – non essendo stato pagato dal cliente per diversi mesi, ha causato la sospensione delle attività e l’applicazione di penali“. Per questo Davide Casaleggio sostiene che nella vicenda la propria società non sia altro che una “parte lesa, in quanto oggi i crediti ai quali dovrebbe accedere sono, invece, oggetto di un concordato di continuità di Moby (approvato a luglio 2021, ndr) che sostanzialmente ha portato allo stralcio quasi totale del credito vantato, causando così una condizione di forte tensione finanziaria per la nostra società. Una situazione che le diffamazioni mediatiche non aiutano di certo a risolvere”, lamenta l’imprenditore.

“Casaleggio Associati, come molte piccole e medie imprese – spiega – ha attraversato un momento di difficoltà negli ultimi due anni di pandemia, in particolare per la situazione creditizia di alcuni dei suoi clienti. A questo si sono sommati i costanti attacchi mediatici che sembrano rispecchiare il modo scientifico, che qualcuno suggeriva, di attuare una character assassination contro Davide Casaleggio e la sua società”. Il riferimento è al piano di comunicazione anti-5 Stelle inviato dal giornalista Fabrizio Rondolino a Matteo Renzi e depositato agli atti dell’inchiesta Open. “Questi due aspetti, uniti a una volontà di riorganizzare le modalità di lavoro in un’ottica di smart working, hanno determinato la ovvia e responsabile decisione – che oggi provoca così intenso e surreale interesse – di ridimensionare gli spazi fisici lavorativi e cambiare ufficio”. La società infatti ha intenzione di lasciare la sede di via Visconti di Modrone, in pieno centro milanese, messa in affitto a un canone di quasi ottomila euro al mese.

A dicembre 2019 Onorato aveva spiegato di essersi rivolto alla Casaleggio associati per la campagna “Io navigo italiano” (sulla limitazione dei benefici fiscali alle sole navi che imbarcano personale comunitario) “perché per quel tipo di lavoro sono leader in Italia“. I relativi pagamenti erano stati segnalati come operazioni sospette dalla Banca d’Italia per “gli importi, la descrizione generica della prestazione ricevuta e la circostanza di essere disposti a beneficio di persone politicamente esposte“. “Le cifre pagate sono cifre di mercato”, si giustificava invece l’armatore. “Non mi aspettavo favoritismi e non a caso il Ministro Toninelli, con cui più volte ho duramente polemizzato) ha sempre attaccato, non conoscendo i fatti, la mia compagnia”. “Non penso – conclude il comunicato di Casaleggio – che esista un caso simile, in cui un studio di consulenza sia oggetto da dieci anni di un ossessivo e costante discredito mediatico di tale portata senza alcuna base oggettiva. A questo si somma la campagna di fango sui falsi finanziamenti venezuelani che viene portata ancora avanti da parte dello sciacallaggio mediatico italiano contro mio padre, la cui foto, anche oggi, viene pubblicata e associata alla solita calunnia ormai smentita. Servirebbe il senso della misura”, attacca.

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giovedì 20 gennaio 2022

Elvira Evangelista, la senatrice traslocata a Iv “soffre” il giustizialismo grillino: ma prima elogiava l’ergastolo ostativo e la Spazzacorrotti

“Ho deciso di aderire a Italia Viva per una sofferenza che provavo dentro il Movimento: la mia formazione giuridica, da avvocato, mi porta a valutare le questioni avendo come faro la Costituzione, che è garantista, non giustizialista”. Così Elvira Lucia Evangelista, vicepresidente della Commissione Giustizia del Senato e membro della Giunta per le immunità, spiega alle agenzie il salto triplo che l’ha portata a trasformarsi da grillina in renziana nell’arco di 48 ore. Il 18 gennaio la senatrice aveva comunicato l’addio al gruppo M5S, anticipando però di voler avviare “interlocuzioni” con altri partiti, perché – spiegava – “la mia prospettiva non è quella di rimanere da sola”. C’è rimasta poco, infatti: appena due giorni dopo ecco il trasloco nelle file di Iv. “Non poteva che essere il mio naturale approdo“, commenta. La 53enne nuorese, eletta nel 2018 grazie a 105 voti ottenuti alle parlamentarie sarde, lamenta infatti di aver “provato più volte disagio per quella doppia morale che contraddistingue il M5S in merito alle questioni giudiziarie. Basti osservare l’atteggiamento tenuto sull’indagine che riguarda Beppe Grillo, dove improvvisamente si sono riscoperti garantisti”, attacca.

Per chi segue le vicende parlamentari, in realtà, il cambio di casacca non è del tutto inaspettato. Evangelista è una delle tre senatrici M5S che a dicembre si sono astenute in Giunta per le immunità su due dossier delicatissimi: la proposta di sollevare il conflitto di attribuzioni a favore di Matteo Renzi contro i pm di Firenze e quella di respingere la richiesta di arresti domiciliari per il senatore di Forza Italia Luigi Cesaro, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. L’astensione aveva attirato numerose polemiche, tanto che il leader Giuseppe Conte ha dovuto garantire che il voto in Aula sul caso Renzi (ancora da tenersi) sarà contrario. La neo-parlamentare di Italia Viva aveva espresso posizioni autonome dal Movimento anche rispetto alla riforma Cartabia del processo penale (che ha introdotto l’improcedibilità dopo due anni in Appello e uno in Cassazione), definita “innanzitutto una richiesta dei cittadini” per “una giustizia più snella, veloce ed efficace”, a cui votare sì “convintamente e con coraggio” al fine di rendere l’Italia “un Paese più appetibile dagli investitori”.

Eppure la svolta garantista della senatrice risale più o meno alla nascita del governo Draghi. A riascoltare i suoi interventi di qualche tempo fa invece affiorano toni ben più “manettari“: come quando a ottobre 2019 si scagliava contro la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che aveva bocciato l’ergastolo ostativo ai mafiosi che non collaborano, “con ciò cancellando – diceva Evangelista – anni e anni di straordinari risultati della lotta contro la mafia, e in conseguenza cancellando la memoria dei giudici Falcone e Borsellino e di tutte le vittime”. La Corte di Strasburgo, spiegava in Senato, “dimostra la scarsa conoscenza della nostra legislazione antimafia a livello europeo”, perché si è espressa a favore di “un pluriomicida (il boss Marcello Viola, ndr), noto per aver fatto decapitare il suo nemico e aver giocato al tiro al bersaglio con la sua testa. Se estendessimo i benefici penitenziari anche al condannato all’ergastolo che non collabora, chi mai più collaborerebbe con la giustizia italiana?”, si chiedeva. A gennaio dell’anno scorso invece rivendicava la “lotta senza quartiere alla corruzione e a ogni forma di illegalità” portata avanti dal M5S “con la legge Spazzacorrotti“, non proprio un totem dei garantisti.

D’altra parte per apprezzare l’evoluzione basta leggere il programma del M5S nel 2018, quello con cui Evangelista è stata eletta in Senato: sulla giustizia gli obiettivi erano la riforma della prescrizione (quella di Bonafede, che la bloccava dopo la condanna in primo grado), il Daspo per i corrotti, l’estensione dell’agente sotto copertura e delle intercettazioni tramite trojan ai reati di corruzione. L’eccesso di prescrizioni – recitava la versione estesa – “aiuta delinquenti e corrotti che riescono quasi sempre a sfuggire alle pene”: come avrebbe commentato, la candidata Evangelista, la riforma Cartabia di cui si è mostrata tanto entusiasta una volta eletta? L’afflato garantista è stato soffocato tanto a lungo che la senatrice, in un’intervista a Radio Radicale il giorno dopo l’addio al M5S, lo tira fuori tutto in un colpo: “Non si può più pensare al carcere come la soluzione di tutto“, ha detto, dichiarandosi disposta a “ragionare” sulla proposta di legge di Roberto Giachetti per una liberazione anticipata speciale di centinaia di detenuti. Evangelista ha endorsato anche i referendum radical-leghisti sulla giustizia, in particolare quello sulla separazione delle carriere: “Giusto dare la parola ai cittadini. Il magistrato può svolgere meglio il suo lavoro se è totalmente imparziale”. Chissà cosa ne pensano i suoi elettori.

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mercoledì 19 gennaio 2022

Sgarbi a La Zanzara: “Berlusconi è depresso e vede Mattarella come unico candidato possibile al Quirinale. L’ultima sua speranza è il M5s”

Berlusconi è depresso, specie dopo le dichiarazioni di Salvini. Non è venuto a Roma, non è andato a Strasburgo. Lui, a questo punto, immagina come possibile alternativa solo Sergio Mattarella, perché gli sembra meno pericoloso. Esclude tutti quelli del centrodestra, incluso Gianni Letta. Draghi? Berlusconi non lo vuole affatto al Colle“. Lo rivela ai microfoni de “La Zanzara” (Radio24) Vittorio Sgarbi, che ribadisce lo scenario negativo sulla candidatura dell’ex Cavaliere al Quirinale, assicurando di averci parlato.

Sgarbi aggiunge un altro retroscena: “L’ultima speranza per Berlusconi sono i 5 Stelle ufficiali. È stata indetta una riunione giovedì 21 gennaio alle 10.30: 60 esponenti del M5s si riuniscono per dare un loro nome per il Quirinale. Se Berlusconi garantisce a Di Maio il posto di ministro degli Esteri in cui c’è Salvini al ministero dell’Interno, con un presidente del Consiglio che faccia da garante sul modello di Giuseppe Conte, può nascere qualcosa di imprevisto. Del resto, Di Maio guarda al centrodestra. In questo esecutivo sarebbe escluso il Pd: con 450 voti dal centrodestra e con 60-70 dei 5 Stelle, Berlusconi potrebbe farcela. Sarebbe clamoroso”.

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lunedì 17 gennaio 2022

Imbarazzo al convegno M5s con il nobel Parisi: hacker manda in onda video porno. La senatrice Mantovani: “Segnalato ad autorità”

Un video porno hard Hentai appare all’improvviso sullo schermo: un hacker è entrato nel sistema del convegno, tra l’imbarazzo dei presenti. È quanto accaduto lunedì 17 gennaio durante il convegno “Per una PA trasparente. Dati aperti per il decisore politico”, organizzato dalla senatrice del Movimento 5 stelle Maria Laura Mantovani che vedeva, tra gli ospiti, anche il premio Nobel per la Fisica, Giorgio Parisi.

La scena dura in tutto poco più di un minuto. “Che cosa è questo?”, si domanda la senatrice vedendo comparire le scene porno sul monitor. La regia prova a intervenire ma intanto passano alcuni secondi. “C’è una persona che si è introdotta…. Datemi una mano a estromettere questa persona”, dice la voce dalla regia. Il tutto, appunto, si risolve dopo pochi attimi di imbarazzo e il convegno prosegue indisturbato.

“Sto facendo la denuncia alla polizia postale – assicura la senatrice Mantovani raggiunta dall’AdnKronos – È andato in onda improvvisamente un filmato porno sul monitor del convegno che stavamo tenendo presso Palazzo Giustiniani, al Senato”. L’esponente del Movimento 5 stelle non si sofferma troppo, scrive l’agenzia, perché sta raccontando agli inquirenti quanto accaduto. “Il convegno è andato fino alla fine in modo regolare – spiega ancora la senatrice pentastellata – Sia relatori che pubblico hanno continuato come se non fosse accaduto niente”.

Una nota, poi, conferma il fatto: “Oggi pomeriggio si è verificato un episodio gravissimo, un vero e proprio attacco verso il quale esprimo assoluto sdegno – si legge nel documento della pentastellata -. Nel corso di un convegno online da me organizzato, e non dal collega senatore Mario Turco come erroneamente riportato su alcune testate, qualcuno si è introdotto clandestinamente trasmettendo un video dal contenuto pornografico. Ho provveduto a segnalare il tutto alle autorità competenti affinché procedano a individuare il responsabile”.

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FQChart della settimana – Parte male il 2022 per il M5s: giù nei sondaggi insieme alla Lega

FQChart è la media aritmetica settimanale dei sondaggi sulle intenzioni di voto degli italiani in esclusiva per Il Fatto Quotidiano. Concorrono alla media tutti i sondaggi pubblicati dai maggiori istituti demoscopici nella settimana appena conclusa.

Settimana dal 10/1 al 16/1/2022

La prima media settimanale del nuovo anno (Swg, Noto, Euromedia Research, Index Research e Tecnè i sondaggi considerati) segnala poche novità, eccezion fatta per la crisi del M5s e, in maniera minore, della Lega.

Il Movimento cala fino al poco entusiasmante 14,3%, un punto netto in meno rispetto alla fine del 2021. È chiaro che il risultato è frutto, arrivati a questo punto, della incomprensibile guerra che i detrattori interni di Giuseppe Conte hanno dichiarato all’ex premier. Le continue dichiarazioni alla stampa di sconosciuti senatori e deputati, quelle dei “dimaiani” di ferro, i silenzi sospetti di Grillo, i continui distinguo che confermano retroscena catastrofici, hanno superato i confini della fisiologica dialettica interna di partito arrivando agli elettori grillini, già stanchi e poco soddisfatti dell’attuale governo Draghi, inducendoli, dubbiosi, a rifugiarsi nell’astensione (nessun partito sembra guadagnare dal calo del M5s questa settimana). Peraltro, la delicata partita per il Quirinale non sembra al momento l’occasione giusta per ridare smalto ai 5Stelle.

Non che gli altri partiti siano messi meglio rispetto al Risiko presidenziale.

Il Pd mantiene la prima posizione (21,2%, -0,1) con un punto e mezzo di vantaggio sui Fratelli d’Italia (19,7% medio).

Perde nuovamente mezzo punto la Lega (18,5%), l’altro grande partito dal futuro incerto, la cui leadership si gioca molto con l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Salvini è costretto ad autocandidarsi al ruolo di kingmaker, ma la strada è stretta e impervia e un fallimento del Cdx danneggerebbe lui e solo marginalmente Giorgia Meloni.

Forza Italia è data in recupero (8,4%) ma, al di là dell’interesse acceso dalla candidatura di Silvio Berlusconi, il futuro prossimo rimane precario. Cosa accadrebbe al partito se il leader fosse realmente eletto al Colle? E al contrario, se fosse bocciato anche e soprattutto per il “tradimento” degli alleati?

Rimangono ai margini della partita e anche del gradimento degli elettori tutti gli altri: Azione (3,8%), l’ex cartello tra Articolo Uno e Sinistra Italiana (3,8%) e soprattutto ItaliaViva (2,2%).

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venerdì 14 gennaio 2022

Quirinale, Conte all’assemblea M5s: “Un paletto è che il governo non perda giorni di lavoro. Draghi è idoneo, ma ora è premier in una fase complessa. Dialogo? Anche con Salvini”

Un punto fermo Giuseppe Conte lo ha voluto fissare e non è per niente secondario: “Il governo non perda neanche un giorno di lavoro”. Ovvero nessuno, mentre si tratta per il Quirinale, pensi a “elezioni anticipate” perché la fase economica e sanitaria è ancora troppo complessa. Il presidente 5 stelle, davanti all’assemblea congiunta dei parlamentari M5s, ha aperto il primo vertice ufficiale sul Colle chiedendo un mandato per “l’unità” e garantendo che non sarà lui a lavorare per andare alle urne o scardinare la situazione attuale. E se sulle candidature non ha voluto esporsi cercando (come da rituale) di restare sul metodo, ha comunque lanciato alcuni segnali: non solo ha ridimensionato gli endorsement per il Mattarella-bis e la “ricerca di una figura femminile”, ma ha usato parole molto tiepide sull’ipotesi che sia Mario Draghi ad andare al Colle. “E’ idoneo”, ha detto, “ma ora è premier in una fase complessa”. Che è un modo per rassicurare i suoi che non sarà l’ex presidente della Bce il nome che lancerà il M5s (almeno all’inizio), ma anche un messaggio per gli altri partiti. Ecco proprio sul dialogo con gli altri, Conte ci ha tenuto a fare sapere che l’asse con Pd e Leu è “solido”, ma ha anche informato che parla con il fronte opposto. “Ho instaurato anche un canale diretto con gli esponenti di centrodestra. Questo confronto, in particolare con Salvini, è utile”. Il tutto ribadendo però il veto, inamovibile, su Silvio Berlusconi la cui candidatura rimane “irricevibile”. “Non avrà mai e poi mai i nostri voti”, ha sentenziato.

Il mandato ottenuto da Conte per le trattative è stato pieno, ma, ci tengono a specificare fonti interne, “non in bianco”. “Su 181 partecipanti, visto che ci sono anche i delegati regionali, tutti gli intervenuti hanno riconosciuto piena fiducia a Conte“, si sono affrettate a far sapere alle agenzie le fonti dei vertici. “C’è la consapevolezza che la trattativa la farà il Capo Politico il quale ha già dimostrato di saper affrontare e portare a termini negoziati anche molto impegnativi in Europa”. Questa volta però, il leader non potrà fare tutto da solo come quando era premier e lo sa bene. “Abbiamo una cabina di regia”, ha specificato lui stesso, “che è stata allargata” ed è composta da vicepresidenti, ministri, coordinatori dei 4 comitati politici e dal capo delegazione europea. E inoltre, “quando avremo una prospettiva di soluzione più concreta sul tavolo chiederò una congiunta per informarvi tutti direttamente”.

Il coinvolgimento degli eletti non è e non può essere un dettaglio, anche perché il fronte M5s vive da giorni in stato di confusione e con l’ansia di commettere errori nella partita più decisiva. Del resto le anime all’interno sono tante, così come le spinte e non è un segreto che Conte fatica (e molto) a tenere i gruppi. Ora viene la sfida più importante, anche e soprattutto per la leadership del neopresidente. Stasera ad esempio, è emerso ormai chiaramente che il fronte per un Mattarella-bis esiste e vede in prima linea un gruppo di senatori che a turno hanno preso la parola: Danilo Toninelli, Primo Di Nicola, Antonella Campagna, Simona Nocerino, Vincenzo Presutto e Giuseppe Auddino. A loro si è unito il deputato Luigi Iovino. Sono gli stessi che spingono perché ci sia un voto online degli iscritti e perché i capigruppo siedano al tavolo. Il fronte preoccupa, anche perché su alcuni punti trova l’appoggio dell’assemblea. E pure dei vertici. La guida al Senato Mariolina Castellone ad esempio ha chiesto esplicitamente “la trasparenza, l’ascolto ed il pieno coinvolgimento al processo decisionale”. Così come il collega alla Camera Davide Crippa che ha messo in guardia i suoi: “Questa sarà per il M5s la terza elezione del Presidente della Repubblica, ma stavolta siamo la più grande forza in Parlamento. L’attenzione alle scelte deve essere altissima“. Poi, a riunione chiusa, proprio Crippa è uscito per ribadire che “non siamo spaccati“. Insomma su una cosa sono tutti d’accordo: avanti Conte, ma con un dialogo costante con i suoi parlamentari. E Luigi Di Maio? Seppur attivissimo (incontra leader ed esponenti di tutti i partiti da giorni), oggi era assente per impegni istituzionali. Ma (anche questo lo sanno tutti) le trattative dovranno passare anche da lui.

“Il M5s esprima la sua forza politica e il coraggio morale” – Il leader 5 stelle oggi aveva un’urgenza: avere un mandato pieno e rassicurare chi vuole più partecipazione. “Dobbiamo affrontare questo passaggio, esprimendo la nostra forza politica e il nostro coraggio morale. La forza politica ci deriva dalla solidità dei nostri ideali e dalla consapevolezza dei nostri numeri in Parlamento”, ha esordito. “Il coraggio, invece, dalla capacità di camminare a testa alta e di portare avanti le nostre battaglie anche quando tutti ci ostacolano o ci danno addosso”. Così facendo, ha detto Conte, “noi dimostreremo coi fatti che l’unico sicuro ‘ago della bilancia’ in questa partita sarà proprio il Movimento 5 Stelle, il gruppo di maggioranza relativa in questo Parlamento. Abbiamo l’onore ma anche l’onere di rappresentare 11 milioni italiani“.

Non fa nomi, ma blocca le spinte per le elezioni anticipate – Uno dei paletti di Conte è che l’esecutivo e l’attuale maggioranza non siano messi in discussione. “Non ritengo opportuno scendere nella valutazione di singoli nominativi o rincorrere questa o quest’altra candidatura” per il Quirinale “questo però può essere il momento per fissare qualche punto fermo” e nel momento dell’emergenza pandemica ed economica “io credo che gli italiani pretendano che il governo non perda nemmeno un giorno di lavoro per risolvere tutti questi problemi”. E quindi, “il Movimento 5 Stelle, avendo a cuore l’interesse degli italiani, deve adoperarsi per garantire la continuità dell’azione dell’esecutivo”. Poi, per spazzare via le critiche di chi insinua che possa lavorare per un voto anticipato, ha ribadito: “La congiuntura che stiamo vivendo, sul piano politico, economico e sociale, non permette di andare alle elezioni interrompendo la legislatura. Dobbiamo contrastare, pertanto, quelle dinamiche che rischiano di innescarsi tra le varie forze politiche che potrebbero sfociare in uno scenario elettorale, che in questo momento finirebbe per compromettere tutto il lavoro fatto con il Pnrr e per garantire una pronta ripartenza del Paese”.

“Draghi profilo idoneo per il Colle, ma oggi ricopre il delicato incarico di premier” – Conte ha anche lanciato segnali concreti sulle manovre che gli sono state attribuite negli ultimi giorni, cercando di ridimensionare retroscena e ricostruzioni. E’ partito proprio dall’idea di un Mattarella-bis: “La nostra forza dovrà essere la compattezza”, ha detto. “L’attenzione che riservano al nostro Movimento è spesso condizionata dalla volontà di trascinarci nelle più pretestuose polemiche e di rappresentarci divisi e inaffidabili, sempre pronti a cambiare opinione. Nei giorni scorsi hanno trasformato l’apprezzamento unanime di tutto il Movimento per le qualità morali e la sensibilità istituzionale del Presidente Mattarella, che purtroppo si è dichiarato sin qui indisponibile per il rinnovo del mandato, in un vincolo stringente per le trattative da condurre”. Stessa dinamica, ha detto, sulla spinta per candidare una figura femminile. “Hanno trasformato la nostra spinta per i cambiamenti, che ci porta a sollecitare anche un’adeguata presenza femminile nel novero delle proposte da vagliare, non come un elemento di potenziale innovazione che possa evitare al sistema di viaggiare a velocità diversa da quella del Paese, ma come un’uscita meramente estemporanea, quasi un formale omaggio alle politiche di genere”. E infine, Conte ha deciso di esporsi proprio sul nome più quotato del momento: Mario Draghi. “Hanno cercato di stravolgere persino il nostro pragmatismo sul nome di Draghi: profilo ben idoneo e autorevole per l’alto Colle, ma che oggi ricopre il delicato incarico di premier in una fase del Paese particolarmente complessa, con tutte le implicazioni del caso e i supplementi di riflessione da fare”, ha dichiarato.

“Campo progressista solido, ma allargare il campo”. Resta il veto su Berlusconi – Continuando nel suo intervento, Conte ha poi parlato verso quali assi intende muoversi e ha sottolineato come da una parte l’asse giallorosso sia solido, ma al tempo stesso ha informato di aver aperto comunicazioni con il centrodestra. E pure con Matteo Salvini, ex alleato con il quale si è più volte scontrato frontalmente. “Il dialogo e l’asse nel nostro campo, quello progressista, è solido”, ha detto, “ho avuto incontri con i leader del Pd e Leu. Con i leader di queste forze politiche ho stretto un accordo di consultazione, che vale a rafforzare il dialogo e quindi la forza delle nostre rispettive posizioni, allargando lo spettro potenziale della nostra rappresentatività”. Il confronto con Salvini è utile, ha spiegato “per tre ragioni: a) il presidente deve essere di alto profilo e garante di tutti e il cattivo funzionamento del nostro sistema sul piano dell’alternativa democratica non viene facilitato se procediamo a eleggere presidenti a colpi di strette maggioranze; b) per la situazione che stiamo vivendo, con un governo di unità nazionale che richiede lo sforzo, visto che siamo ancora in piena emergenza, di procedere anche alla elezione del Capo di Stato con una larga intesa aperta quantomeno alle forze che sostengono l’attuale governo; c) per ragioni pratiche, perché nessuno schieramento progressista o di destra ha, in partenza, numeri auto-sufficienti in questo Parlamento”. Resta però il fatto che Conte non intende rivedere il veto M5s su Berlusconi: “La candidatura del presidente di Forza Italia Silvio Berlusconi è per noi una proposta irricevibile. Chiederò pertanto al centrodestra di non schierare il fondatore stesso della coalizione nonché attuale leader di Forza Italia. Se davvero le forze di centrodestra e i loro leader hanno a cuore l’interesse del Paese e la ricerca di una personalità che possa raccogliere la più ampia condivisione: allora accantoniamo candidature che nascono palesemente di parte e che certo non potranno raccogliere mai, e dico mai, i voti del Movimento 5 stelle“. Almeno su questo, non sembrano esserci dubbi. Sul resto invece, la partita è appena iniziata.

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