Che la rosa dei nomi del centrodestra non fosse stata messa lì per eleggere un presidente era abbastanza chiaro fin dall’inizio. Del resto le rose dei nomi si fanno durante le trattative, non in conferenza stampa. E in fondo Matteo Salvini e Giorgia Meloni non hanno perso troppo tempo per stilare quell’elenco di tre nomi: Letizia Moratti, Carlo Nordio e Marcello Pera non avranno tessere di partito, ma sono comunque nomi da sempre connotati a destra. Un po’ troppo per ambire a prendere i voti del Pd e del Movimento 5 stelle. Il rischio era che Enrico Letta, Giuseppe Conte e Roberto Speranza rispondessero con un’altra rosa, altrettanto connotata – ma a sinistra – che avrebbe bloccato ogni dialogo. Sarebbe stato l’impasse.
E invece, evidentemente, i mille incontri degli ultimi giorni a qualcosa devono essere serviti. Se nel week end il segretario del Pd aveva detto che “ulteriori candidature di centrodestra faranno la stessa fine di quella di Berlusconi” – facendo imbufalire il capo dello Lega – nelle ultime ore ha completamente modificato il tono delle sue dichiarazioni. Prima ha detto che i nomi del centrodestra “sono sicuramente di qualità“. Poi, insieme a Conte e a Roberto Speranza, ha deciso di non presentare una contro-lista, contrariamente a quanto era trapelato in precedenza. Certo – hanno detto i capi di M5s, Pd e Leu – sui nomi del centrodestra “non si può sviluppare una larga condivisione“. Però si può ragionare per arrivare a un quarto nome. “In questo modo acceleriamo il dialogo con il centrodestra con l’impegno di trovare nelle prossime ore una soluzione condivisa. L’Italia non ha tempo da perdere. Non è il momento del muro contro muro”, ha spiegato Conte subito dopo.
Una strategia tutt’altro che inaspettata, visto che dopo aver presentato i suoi nomi lo stesso Salvini aveva detto che avrebbe rivisto “presto” sia Letta che Conte. Insomma, dopo settimane di caos, i leader dei partiti maggiori ora sembrano recitare un copione ben delineato. Una sceneggiatura che potrebbe avere come epilogo una stanza chiusa, se vogliamo dare per buona l’ultima dichiarazione del numero uno del Nazareno: “La proposta che facciamo – dice Letta – è quella di chiuderci dentro una stanza e buttiamo via le chiavi, pane e acqua, fino a quando arriviamo a una soluzione, domani è il giorno chiave, giovedì si arriva alla votazione con il quorum al 51%“.
Ora, a parte le facili battute su pane e acqua e la nota passione social di Salvini per il cibo, è altamente probabile che per arrivare al tredicesimo presidente della Repubblica bisognerà davvero passare per quella stanza chiusa con dentro i sei leader. Giorni di vertici e incontri, infatti, non cambiano l’unico dato certo di questa tornata quirinalizia: per la prima volta nella storia repubblicana nessuno schieramento ha i voti per eleggere il capo dello Stato neanche al quarto scrutinio. E dunque, volendo escludere l’ipotesi che vede pezzi di Pd e 5 stelle votare uno dei tre candidati del centrodestra, la soluzione al rebus è rappresentata da questa specie di conclave chiesto da Letta.
Gli interrogativi, però, sono ancora molteplici. Intanto perché manca una risposta del centrodestra all’invito di Pd e 5 stelle nella “stanza chiusa“. E poi perché bisogna capire se i due schieramenti hanno in testa lo stesso identikit di “soluzione condivisa“. Per esempio non è da scartare l’ipotesi che Salvini intende proporre Elisabetta Casellati, che in quanto presidente del Senato vorrebbe considerare come nome super partes. Un’ipotesi simile potrebbe far deragliare di nuovo il dialogo, perché nel centrosinistra sembrano avere un’idea diversa su Casellati. In attesa che si sciolgano tutti questi nodi, dunque, è assai probabile che anche domani, per la terza e ultima votazione che richiede un quorum dei due terzi, si andrà in ordine sparso: probabilmente il centrodestra brucerà uno della sua triade – forse Nordio – mentre il centrosinistra opterà per un nuovo giro di schede bianche.
Su tutto questo ragionamento, poi, permane una variabile gigantesca che risponde al nome di Mario Draghi. Dopo le convulse consultazioni di lunedì sera – molto simili a una campagna elettorale per se stesso – il premier oggi è rimasto sottotraccia. A piantare un paletto nella sua corsa verso il Colle è stato Giuseppe Conte con una efficace metafora: “Abbiamo affidato al timoniere una nave che è ancora in difficoltà ma non ci sono le condizioni per cambiare e il timoniere non può lasciare”. Il timoniere, però, da settimane pare voler cambiare cabina, trasferendosi in quella del comandante. In caso contrario chissà se rimarrà sulla nave.
Sullo sfondo, mai completamente svanite, restano due tracce. Una porta al bis di Sergio Mattarella. Nonostante il suo rifiuto reiterato (il presidente pare essere intenzionato a rimanere a Palermo fino all’elezione del suo successore), alla seconda votazione sono spuntate 39 schede per l’attuale inquilino del Quirinale, 23 in più rispetto a ieri: qualcuno sta usando il nome del capo dello Stato per contarsi? O è un tentativo di tenere viva l’ipotesi di un bis? Prova a restare alla finestra Pier Ferdinando Casini, che da mesi sembrava svanito dalla circolazione per evitare il rischio di essere bruciato. Ricomparso ieri in Parlamento, oggi l’ex capo dell’Udc ha postato una foto da giovanissimo su un palco, scrivendo: “La passione politica è la mia vita“. Sembrava un messaggio ai Grandi elettori, ma in pochi lo hanno recepito. In ogni caso Casini dice il vero: esponente della Dc, del centrodestra e del centrosinistra, sta in Parlamento ininterrottamente dal 1983, cioè quando Salvini aveva dieci anni e Meloni sei. La passione politica è la sua vita: non ha mai fatto altro.
L'articolo Quirinale, la strada che porta al presidente passa da una “stanza chiusa”? L’invito del centrosinistra: “Mercoledì giorno chiave” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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