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venerdì 30 settembre 2022

Il M5s mi pare l’unica forza in grado di parlare all’area del disagio presente nel Paese

di Pietro Francesco Maria De Sarlo

Probabilmente, anzi sicuramente, mi sbaglio. Però la mia sensazione è che a partire da Cacciari per finire a tutti i giornali dei salotti buoni, passando per quelli che una volta erano definiti ‘intellettuali organici’ della sinistra, si ripetano più o meno gli stessi ragionamenti che si facevano prima del voto. Tra le poche novità c’è l’ossequio forzato al nuovo interlocutore del potere Giorgia Meloni, ossequio apparente in realtà: perché se devierà dal solco arato da Draghi sono già pronti gli stessi cannoni mediatici che erano puntati su Conte. Su cui c’è un atteggiamento appena appena meno aggressivo, ma che rimane l’oggetto più odiato dalla politica con la P maiuscola, ossia quella di Damilano, sigh!

Continua anche l’odio viscerale nei confronti dei poveri, che sono in gran parte al Sud, come se questi non esprimessero interessi legittimi da salvaguardare e come se gli unici interessi legittimi fossero quelli di chi paga le tasse in Olanda. Come posso dimenticare che quando crollò il ponte Morandi con i suoi lutti e Toninelli disse che voleva togliere la concessione ai Benetton ci fu la levata di scudi del ‘sistema’, Pd compreso, che accusò il M5S di incompetenza perché aveva fatto crollare il titolo in borsa di Atlantia?

Sicuramente tutti questi signori, Cacciari in testa, hanno ragione, e a me che sono solo un povero ingegnere non resta che cercare di capire dai numeri i miei errori.

Il centrodestra, nella configurazione del 2018, prese 12.152.345 voti. Oggi 12.299.648, 147.303 voti in più. Dove c’è stata la valanga dei consensi per la destra? Il centrosinistra, nella configurazione del 2018, prese 7.506.723 voti. Oggi 7.337.624, 169.099 voti in meno. Dove è stato il crollo? Il M5S prese nel 2018 10.732.066 voti. Oggi 4.333.748, 6.398.318 voti in meno e i votanti sono stati 5.836.768 in meno. Tutto il resto è noia.

L’analisi dei flussi di YouTrend ci dice che il vaso comunicante maggiore c’è tra il M5S e l’area del non voto. Certo tra i 10 milioni di voti del 2018 e il voto di oggi c’è stata anche una quota che è andata a Meloni e una al Pd, compensata però anche da un movimento inverso, ma è indubbio che la madre del successo della destra è stata il passaggio tra chi nel 2018 aveva votato il M5S e che ora si è astenuto. Questi sono i numeri; il resto sono opinioni, ma queste non possono prescindere dai numeri.

Dal 2018 c’è stato un fuoco di fila dei media volto a minare ogni cosa fatta dal M5S: reddito di cittadinanza, bonus 110, accuse di incompetenza, di essere degli scappati di casa eccetera. E poi Conte come zelig, uomo dei penultimatum e persino l’incomprensibile fuoco amico di Grillo. Il vero crollo, a mio modo di vedere, di fiducia nel Movimento c’è stato con l’appoggio a Draghi, voluto con una capriola incomprensibile – altro che zelig – di Grillo. In aggiunta il fatto che qualche genio Pd+Draghi ha pensato che Di Maio con la sua mutazione genetica fosse in grado di portare alla causa dei quartieri vip i voti del Movimento.

Il recupero di fiducia c’è stato grazie alla campagna elettorale di Conte che ha fatto una sola cosa: parlare a quell’elettorato a cui fa schifo a tutti parlare. Qual è la percentuale dei voti del M5S a Scampia? E del Pd? Insomma mi pare che il M5S, forse sarebbe meglio dire Conte, oggi sia l’unica forza politica in grado di parlare all’area dell’enorme disagio presente nel Paese e di parlamentarizzare le istanze dei ceti in maggiore difficoltà invece di farle sfociare in tumulti di piazza.

Ho infine una notizia per Calenda e Renzi: i poveri sono in misura maggiore dei ricchi e hanno gli stessi diritti di voto. Il suffragio universale sarà poco chic ma è la base della democrazia e, per fortuna, nel nostro paese la draghicrazia non è contemplata dalla Costituzione. Non so se Giorgia Meloni leggerà mai questa mia riflessione, ma ci pensi bene prima di dimenticarsi che la maggior parte del paese è sull’orlo del baratro.

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Rosy Bindi a La7: “Pd si metta a disposizione anche col M5s per rifondare sinistra. I 5 Stelle si sono collocati dalla parte giusta”

“Se il Pd non si mette a disposizione per superarsi, è molto difficile che si riesca a costruire un campo progressista. Naturalmente tutto questo richiede anche la responsabilità dei 5 Stelle, che penso si siano collocati dalla parte giusta, dopo aver affermato per anni che non erano né di destra, né di sinistra”. È l’auspicio di Rosy Bindi, che, intervistata a “Piazzapulita” (La7), non fa nessun sconto al partito di cui è stata presidente.

Per Bindi l’unica soluzione è resettare tutto: “Sono molto preoccupata del fatto che ancora una volta ci si affidi a una sorta di normalizzazione attraverso i riti congressuali. Io credo che il Pd debba rimettere a disposizione se stesso insieme ad altre forze politiche del campo democratico progressista per rifondare la sinistra in questo Paese. Penso che dovrebbe avere il coraggio di uno scioglimento. Il congresso non è sufficiente. Non credo che un congresso già annunciato come una conta di autocandidature sia in grado di risolvere una crisi così profonda. Non vedo prospettive. Mi sembra un accanimento terapeutico“.

E sottolinea: “Si è passati da un congresso all’altro e da una segreteria all’altra, magari attraverso il sostegno delle stesse classi dirigenti e delle stesse componenti delle correnti, senza mai un’analisi vera e profonda di quello che era accaduto. Un esempio su tutti: in questa campagna elettorale ho sentito che il Jobs Act non era più accettabile dal partito. Ma è lo stesso partito che lo ha approvato. Capisco sempre quello che dice la destra e non lo condivido. Spesso faccio fatica a capire che cosa dica il centrosinistra“.

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giovedì 29 settembre 2022

Cacciari a La7: “Se Pd e M5s ora non trovano una intesa matura sono spacciati. Nuovo segretario dem? Per me Giuseppe Provenzano”

“Tra Pd e 5 Stelle o c’è ora una qualche forma di intesa matura e anche di compromesso in vista di una futura azione di governo oppure sono spacciati, perché gli uni sono al 15%, gli altri sono al 18%. Devono intendersi se vogliono salvarsi. I 5 Stelle sono stati dimezzati, è una illusione ottica il loro successo elettorale, perché sono passati dal 33% al 15%. Si sono salvati la pelle grazie al fatto che hanno recuperato in campagna elettorale determinati temi”. Sono le parole del filosofo Massimo Cacciari che, ospite di “Otto e mezzo” (La7), pronuncia una lunga critica sferzante sia contro il M5s, sia contro il Pd.

Cacciari comincia con l’analisi impietosa del Pd: “È un partito che non è mai nato. Non c’è mai stato un confronto nel Pd, si è passati sempre da segretario a segretario pensando così di risolvere la cosa, alla caccia del lider maximo che funzionasse. Qui la vera questione riguarda un gruppo dirigente che deve rimettersi radicalmente in discussione e fare un congresso aperto – spiega – presentando la sua idea. Per me questa idea può essere soltanto quella di una rivisitazione di tutto il patrimonio socialdemocratico in politica interna, una revisione dei fondamenti del welfare sociale, una discussione sulla politica estera del partito riprendendo le grandi idee della socialdemocrazia soprattutto tedesca fino alla caduta del muro di Berlino”.

La conduttrice Lilli Gruber osserva che il campo del welfare sociale è stato occupato dal M5s di Conte, ma Cacciari non ci sta: “Cosa c’entra? Il welfare sociale secondo lei è assistenzialismo? Il welfare sociale sono politiche fiscali e sociali organizzate. È anche reddito di cittadinanza amministrato e organizzato bene, ma non come è stato fatto in Italia dove ha combinato sciagure. Il reddito di cittadinanza è una roba sacrosanta, ma non come è stato fatto in Italia. dove è puro assistenzialismo“.

L’ex sindaco di Venezia infine si pronuncia sul futuro leader del Pd: “Deve essere una persona che non sia parte integrante del caminetto che ha diretto il Pd finora, spartendosi i posti di capilista e altro e massacrando forze locali come è stato fatto sciaguratamente. Vuole un nome? Provenzano“.

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Pd, Cerno a La7: “L’unico governo che ha scaldato gli elettori di sinistra, da Gentiloni in poi, è stato il Conte Due”

“Lo dico con molta chiarezza e mi fischino finché vogliono: l’unica cosa che ha scaldato gli elettori di sinistra negli ultimi governi, da Gentiloni in poi, è stato il Conte Due. E tu Pd per un voto di fiducia non dato al governo Draghi dici ‘basta’?”. Lo afferma a “L’aria che tira” (La7) Tommaso Cerno, ex senatore del Pd ed ex direttore dell’Espresso, che pronuncia un durissimo j’accuse contro il suo vecchio partito, definendo al contempo “terrificante” il governo Draghi (“Cosa c’entra con la politica quella roba lì”?).

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Chiara Ferragni ha votato il M5S di Giuseppe Conte? Su TikTok si scatena il dibattito, lei replica: “Mi piacciono le stelline sugli indumenti”

Scelte di moda e scelte politiche, se ti chiami Chiara Ferragni c’è da fare attenzione. Facciamo un passo indietro. Siamo al giorno delle elezioni, il 25 settembre. L’imprenditrice digitale pubblica un TikTok ed esordisce così: “Ecco il fit-check (controllo dei vestiti, ndr) per andare a votare e poi prendere i bambini dai nonni”. Poi Ferragni aggiunge: “Questi sono i pantaloni della tuta, queste sono le nuove scarpe stupende. Ora mettiamo la felpa, tutta stellata“. “Tutta stellata”. Lo ha detto. Apriti cielo. Pioggia di commenti (assurdi) per sottolineare un presunto nesso tra l’outfit e il Movimento 5 Stelle: “TUTTA STELLATA messaggi top secret”, “Il voto è segreto”, “Hai dato un indizio”, “Ma le stelle sono un caso?”, “Tutte queste stelle mi dicono che Chiara ha fatto la scelta giusta”.

Sono passati due giorni e solo ieri, 28 settembre, la Ferry (così ama chiamarla il marito Fedez) ha deciso di replicare. “Ragazzi solo adesso leggo i commenti su questo TikTok, lo avevo perso ogni tanto mi succede”, ha iniziato a dire nella clip che conta 116.5 mila ‘mi piace’. Poi l’influencer 35enne ha spiegato: “Erano solo stelline su una tuta. Mi piacciono le stelline su indumenti, non hanno un significato politico. Assolutamente”. Numerosi, anche in questo caso, i commenti dei fan. “Ma davvero bisogna specificare?”, “L’educazione e la calma di questa ragazza è qualcosa di stupendo”, “A me non era nemmeno passato per la testa”, “Ma poi, se anche fosse?”, hanno scritto i fan. Effettivamente in questo caso non sembra che Chiara Ferragni si sia voluta esporre. Lo aveva fatto, invece, poco prima del voto. Via Instagram stories, Ferragni aveva lanciato un appello a recarsi alle urne per esercitare il diritto di voto: “Tanti diritti di cui oggi godiamo non sono un dono, ma una conquista – scriveva l’influencer -. E per quanto ci sembrino ovvi e scontati, possono essere messi in discussione, minacciati, ridotti, cancellati in qualsiasi momento. Il voto è uno dei pochi strumenti di cui disponiamo per proteggerli, per crearne di nuovi, per estenderli a chi oggi se li vede negati. E per decidere in che direzione debba andare il nostro Paese: se in avanti o indietro di decenni”.

Infine Chiara Ferragni aveva concluso: “[..] Anche se non ci sentiamo perfettamente rappresentati, anche se siamo delusi, sta a noi scegliere se proteggere ed estendere quei diritti o abbandonarli nelle mani di chi vuole ostacolarli. E’ una nostra responsabilità e non votare significa delegare ad altri ciò che sta a noi decidere. Andate a votare domenica 25 settembre”.

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Ormai l’unica rappresentanza popolare viene dal M5s: il Pd deve solo sciogliersi

di Monica Valendino

C’è solo una cosa che il Pd può fare dopo la seconda disfatta consecutiva alle politiche: sciogliersi. Lasciare il campo largo, anzi aperto a tutti gli esodati di accasarsi pure di qua e di là nel centrodestra, come del resto sono già allenati a fare da tempo. Una cosa però sia chiara: nessuno di lorsignori può avere l’arroganza di definirsi di sinistra. Da quando il Pds nel 1994 perse contro Berlusconi con la “gioiosa macchina da guerra” che riuniva davvero l’ala sinistra del parlamento per la prima volta dal dopoguerra, c’è stato un terrore endemico all’interno del partito che l’ha portato fino alla surreale situazione di oggi, ovvero inseguire talmente i voti delle destre fino a parlare come chi di destra è nato.

Il peccato originale fu l’Ulivo. Pur di vincere Veltroni e compagnia decisero di aprire le porte ai sopravvissuti della Dc (la Margherita): è vero, vinsero anche le politiche, ma il germe oramai era entrato in casa e da allora ha via via spodestato quel che c’era di sinistra per portare avanti quello che la vecchia guardia democristiana è sempre stata, ovvero un partito nato per il potere che non ha ideologia se non quella di governare a ogni costo. I vecchi elettori del Pci si sono fidati creando quello zoccolo duro che anche oggi consente di arrivare al 20 per cento. Ma mentre si acquistava consenso nei centri storici distanti dalle realtà, si perdeva l’identità, ovvero la cosa più importante che un partito ha da offrire.

L’idea veltroniana di essere dalla parte degli operai ma anche dei banchieri, dei pensionati ma anche degli imprenditori, ha fallito miseramente. L’aver inglobato i liquidatori dei beni dello stato ha fatto il resto: Prodi con le privatizzazioni, poi Ciampi, Monti, Renzi, fino a Draghi, ovvero quello che più lontano ci può essere rispetto al popolo che il Pd avrebbe dovuto rappresentare e rappresentava con il vecchio Partito comunista. Pensare che se il comunismo aveva fallito in Russia allora era ora di dismetterlo è stato un crimine, verso i propri elettori prima di tutto: perché ha lasciato l’Italia di fatto senza una identità di genere nel Parlamento.

Perché i crimini sovietici, così come i crimini dei socialisti nostrani emersi con Tangentopoli, nulla hanno a che fare con quello che l’idea rappresentava. Abbandonarla, addirittura tradirla compensando il tutto con qualche battaglia per dei diritti ha portato l’Italia a non avere dei rappresentanti capaci di lottare per i diritti di operai, lavoratori, pensionati, insomma quelle classi sociali che stanno pagando una crisi nata già a inizio secolo e ingrossatasi negli anni. La reazione isterica contro quel Movimento 5 Stelle che ha preso il posto in quell’area fin dal 2013 fa comprendere come oramai il Pd sia un partito del sistema e per il sistema. Inutile quindi cambiare segretario o pensare che un’alleanza elettorale con Verdi e Sinistra Italiana possa cambiarne le sorti.

Conte, che ha pagato proprio gli sbandamenti del Movimento da quando ha deciso incautamente di appoggiare il governo dei migliori, ha capito che la strada per dare all’Italia una vera rappresentanza di classe è schierarsi senza esitazione da quella parte, senza sotterfugi. In soli due mesi è riuscito a convincere molti elettori, anche quando oramai sembrava davvero una missione impossibile superare il 10 per cento. Ora: che si chiami sinistra, Movimento o altro, non ha più importanza: l’importante è che ci sia una rappresentanza popolare che può solo crescere. A patto che non faccia l’errore di appaiarsi ancora col Pd, chiunque lo guidi in futuro. Come detto, per quel partito l’unica strada è sciogliersi e buon viaggio con i “compagni” prediletti, Calenda, Renzi, Berlusconi.

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De Masi a La7: “Pd dice di essere di sinistra senza esserlo, 5 Stelle sono di sinistra senza dirlo. Di Battista? Con lui M5s avrebbe preso meno voti”

“Il M5s avrebbe preso più voti se ci fosse stato anche Di Battista? Secondo me, no. Anzi, il M5s ha preso più voti perché Di Battista non c’era“. Lo afferma a “Tagadà” (La7) il sociologo Domenico De Masi che analizza l’esito elettorale raggiunto dai 5 Stelle, sottolineando: “Il M5s ha fatto una politica elettorale di classe, una metodologia di un vecchio sociologo dell’800 ancora di gran lunga valida. Cioè ha puntato sulla classe svantaggiata e questo l’ha premiato. Oggi siamo in una situazione bellissima: il Pd dice di essere di sinistra senza esserlo, i 5 Stelle sono di sinistra senza dirlo. Però in effetti le cose hanno fatto i 5 Stelle sono le uniche cose di sinistra fatte in Italia negli ultimi 15 anni”.

De Masi infine osserva: “Credo che sia finita o che perlomeno si vada attenuando l’epoca del neoliberismo. In tutti Paesi dell’Occidente sta riprendendo fiato l’idea keynesiana che dallo Stato si debba pretendere di più. Bisogna tener conto che, accanto ai poveri che chiedono il reddito di cittadinanza, da almeno due anni ci sono imprenditori e commercianti che chiedono bonus e ristori. E questa richiesta di aiuto allo Stato – conclude – ricorda il New Deal. Quindi, quello che è successo nel Sud in qualche modo anticipa le richieste che prenderanno piede nei prossimi mesi e credo nei prossimi anni, cioè un ritorno a una visione keynesiana dell’economia”.

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mercoledì 28 settembre 2022

M5s e reddito di cittadinanza, la “scoperta” di politica e giornali: i poveri votano chi li aiuta

La narrazione accomuna grandi giornali, politici e intellettuali di Twitter: il consenso del Movimento 5 stelle al Sud è drogato dal reddito di cittadinanza, ottenuto furbescamente con la promessa di non toccare l’assegno, in poche parole voto di scambio. C’è chi prova a dimostrarlo in modo zoppicante, come l’economista (!) e deputato di Iv Luigi Marattin, che posta un grafico con una presunta correlazione tra percettori di Rdc nelle singole regioni e consenso per il M5s usando i numeri assoluti, condizionati dalla popolazione (e guadagnandosi persino lo sfottò del suo ex professore). Ma anche chi, come l’editorialista del Corriere Dario Di Vico – che riprende una tabella pubblicata dal Sole 24 Ore – sottolinea più correttamente la correlazione, che esiste anche se non implica causalità, tra densità di beneficiari del reddito e percentuali del Movimento nelle urne. In tutti i casi, però, il sottotesto è che in questo legame esista qualcosa di sbagliato e di torbido, mentre non sfiora la mente dei commentatori l’idea che le fasce di elettorato più in difficoltà abbiano premiato l’introduzione di una misura che ha salvato, dice l’Istat, un milione di persone dalla povertà assoluta.

La denigrazione del consenso elettorale ottenuto da determinate fasce di popolazione grazie a vantaggi economici loro riconosciuti, peraltro, è un’assoluta novità per gli editorialisti “che contano”. Non si ricordano condanne dai grandi giornali per il 40% alle Europee del 2014 ottenuto da Matteo Renzi subito dopo aver aumentato di 80 euro le buste paga di milioni di italiani, né qualcuno trova strano il fatto che le classi più agiate votino per chi promette di non alzare loro le tasse. E a far notare l’incongruenza sono numerosi utenti social: “Si potrebbe riparametrare in modo un po’ più “elegante” considerando che M5s è percepito come il partito che si interessa di più (a prescindere dagli strumenti) della popolazione in condizioni di difficoltà economica“, è uno dei commenti al tweet di Di Vico. Più duro Paolo Gerbaudo, sociologo del King’s College di Londra: “Adesso può provare a fare lo stesso con il numero di auto di lusso e elettori di Azione. Pensi un po’, la gente vota in base a interessi economici, dove è povera vota per chi propone di aiutare i poveri”, scrive.


“Provate a mettere in relazione i dati su evasione fiscale e i voti a Lega, Forza Italia, FdI, Italia viva e Azione?”, provoca Stidolf. Valentina ironizza: “Che i poveri non abbiano votato Calenda è uno scandalo, in effetti”. Mentre Enzo fa notare che il commento di Di Vico “è utile, anzi utilissimo, a chi vuole strumentalizzare i dati e fomentare ulteriore classismo in un Paese con le disuguaglianze più alte e i salari più bassi in Ue”. A chiarire meglio la questione è però un tweet di Valentino Larcinese, professore di politiche pubbliche alla London School of Economics: “Chiariamo una cosa: il voto di scambio è personale. Tu mi voti, io ti pago. Ad esempio con un posto di lavoro (un classico). Beneficiare un gruppo sociale (con RdC, regime forfettario autonomi, abolizione Imu prima casa etc) che ricambia con voto è normale processo democratico“, spiega.

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La destra trionfa ma non potrà toccare la Carta senza referendum: l’abbiamo scampata bella

I risultati delle elezioni tenute domenica scorsa hanno largamente confermato i pronostici e le aspettative; ciononostante alcune considerazioni meritano di essere reiterate:

1) La coalizione di destra, col 44% dei voti, ottiene una maggioranza parlamentare molto ampia: di poco sotto il 60% sia alla Camera che al Senato. Questa maggioranza, fortunatamente non basta per modificare la Costituzione senza ricorrere al referendum confermativo (sempreché non si raccolgano in Parlamento voti esterni al cdx). La legge elettorale ha trasformato una ampia minoranza in maggioranza e ha dato vantaggio alle coalizioni pre-elettorali, note agli elettori, come si desiderava che facesse al tempo in cui fu scritta, ma se ne vede oggi un grave difetto imprevisto: il premio di maggioranza è risultato esagerato. E’ infatti un ovvio e pericoloso errore che il premio di maggioranza anziché fermarsi a garantire la governabilità possa rendere possibile la modifica della Costituzione ad una coalizione che non rappresenta il 67% degli elettori. Da questo punto di vista è il caso di dire che l’abbiamo scampata bella (se l’abbiamo scampata).

2) La categoria sociale di appartenenza dell’elettore ha scarsa rilevanza nella sua scelta politica. Il 26% ottenuto dal partito di Giorgia Meloni e il 44% ottenuto dalla coalizione di destra, per la quale la definizione di centro-destra è un eufemismo, non rappresenta certo la percentuale di italiani “ricchi”. Di conseguenza non è possibile, se mai lo è stato, identificare la sinistra e la destra sulla base del censo dei loro elettori. Questo naturalmente era ovvio da tempo: poiché i veri ricchi sono una minoranza nel paese, nessun partito può sopravvivere se è votato soltanto dai membri di questa categoria sociale. Si conferma che il concetto di classe sociale in senso marxista, cioè di categoria socio-economica ideologicamente coesa è un errore storico: i “poveri” ripartiscono i loro voti tra tutti i partiti.

3) Non ci sono voti a sinistra del Pd, a meno di non considerare sinistra il M5S, un soggetto politico nato come partito-azienda, scalato e trasformato in qualcosa d’altro da Giuseppe Conte. Unione Popolare si ferma all’1,5%, l’alleanza Verdi-Sinistra raggiunge il 3,7% ma soltanto sotto lo scudo protettivo del Pd. L’accusa comunemente ripetuta secondo la quale gli insuccessi del Pd sarebbero dovuti all’aver abbandonato la classe sociale di riferimento è sbagliata e strumentale, perché la “classe” si è frammentata tra tutti i partiti e comunque non ha granché votato né UP né VS.

4) E’ difficilissimo costruire un partito “nuovo”: tutti i fuoriusciti hanno ottenuto risultati modestissimi: non solo Di Maio e Paragone, ma addirittura, in passato, Bersani. L’unica eccezione in questo senso è il M5S che ottenne il suo successo grazie alle sapienti alchimie mediatiche di Gianroberto Casaleggio, e alla notorietà precedente di Beppe Grillo. Per contro, una volta che un partito è stato in qualche modo costruito ed ha acquisito una “storia” anche recente, che gli dia visibilità, possiede anche una inerzia che lo protegge dagli sbandamenti più vistosi. Renzi e Calenda che hanno ottenuto un rispettabile 7-8%, sembrano costituire una eccezione, che però deriva dalla somma di due risultati relativamente modesti.

5) L’attacco concentrico sul Pd ha funzionato: il Pd è stato il nemico indicato non solo dalla coalizione di destra, ma anche dal M5S e dal duo Renzi-Calenda. Il campo largo di Letta è stato smantellato dalle defezioni: del M5S prima, quando ha votato contro il governo Draghi, di Calenda poi. Se una coalizione rischia di non ottenere il premio di maggioranza che viene dalla vittoria nei collegi uninominali, la tentazione di fare ciascuno per sé e cercare di cannibalizzare l’ex alleato diventa irresistibile. Ciononostante un partito che ha la tradizione del Pd non scompare facilmente e resta il secondo partito dell’arco costituzionale, in parte per inerzia, in parte perché per fortuna ci sono ancora elettori per i quali la responsabilità politica fa premio sulla demagogia populista.

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Prodi: “M5s ha preso i voti dei ceti disagiati, serbatoio lasciato vuoto dal Pd. Meloni non ha stravinto? Frenata da ascendenze politiche”

“Nelle ultime settimane sono stati i Cinque stelle a definirsi progressisti, sia pure in modo strumentale ma per i loro obiettivi molto intelligente. Per raccogliere i voti degli scontenti e dei ceti più disagiati, i Cinque stelle si sono spostati a sinistra, anche perché hanno trovato un serbatoio lasciato vuoto. E questa è una responsabilità anche del Pd“. A dirlo è l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi analizzando i risultati delle elezioni politiche in un’intervista alla Stampa. Quanto al Pd, la campagna rosso-nero, buoni-cattivi non ha funzionato perché “Letta ha condotto una campagna di ragionamento e non di slogan. Forse non era il momento”. Prodi smentisce che sosterrà la vicepresidente dell’Emilia Romagna Elly Schlein come candidata alla segreteria del Partito democratico. “Una invenzione totale! Non appoggerò nessuno, non farò endorsement, non entrerò assolutamente nel congresso che farà il Pd, ma che personalmente chiedo dal 2019. Sono passati tre anni! Pensavo allora, e penso ancora, che sia urgente rifondare le basi ideologiche e programmatiche del Pd. Ma che errore partire dai nomi! Si parta da un grande dibattito popolare, centrato su una quindicina di temi che stanno a cuore alla gente, quelli dei quali si parla a tavola: energia, scuola, salute, cambiamento climatico. Ogni settimana una ventina di personalità, interne ed esterne al partito, ne discuta in rete con migliaia e migliaia di persone, se ne estraggano poi delle tesi sulle quali il partito dovrà misurarsi”.

Infine il capitolo Meloni. Le cancellerie europee? Secondo l’ex premier “punti interrogativi ne hanno. E ne debbono avere, considerando le affermazioni e le amicizie che Meloni non ha rinnegato”. Ma questo non significa che automaticamente si concretizzi un muro contro muro tra Roma e Bruxelles. “Gli interrogativi non devono basarsi sulla campagna elettorale, ma dovranno riguardare i comportamenti. A Bruxelles non sono chiamati a fare i tutori, ma vi sono regole europee che abbiamo sottoscritto e che devono essere rispettate. Quando Heider, leader di estrema destra, vinse le elezioni in Austria, ero presidente della Commissione europea. Ricevetti pressioni fortissime, a cominciare da Chirac, per irrogare sanzioni all’Austria per affermazioni durante la campagna elettorale. Io risposi di no, perché bisognava misurarsi con i comportamenti concreti. E questo sarà l’atteggiamento che terranno i nostri partner europei”. Il punto, insomma, è se “l’amore per Orban si tradurrà in comportamenti ungheresi”.

Secondo Prodi gli italiani hanno scelto Meloni perché “è la naturale prosecuzione di una storia che dura da anni – spiega ancora alla Stampa – gli italiani vanno alla ricerca del ‘fenomeno‘. I partiti sono destrutturati e si vota per emozioni. Gli opinion polls davano un gradimento altissimo per Draghi e poi quegli stessi italiani hanno premiato, con risultati superiori alle previsioni, i due partiti che più hanno avversato Draghi: Fratelli d’Italia e i Cinque stelle che hanno aperto la crisi e hanno affossato il governo. Fenomeni misteriosi se non fosse che oramai si vota col cuore, col fegato, con l’istinto ma certamente non con la ragione”. Meloni, quindi, per il Professore, si inserisce nella serie che da Renzi ha portato poi alle esperienze di governo di 5 Stelle e poi della Lega. Poi Fratelli d’Italia ha vinto ma non esondato perché “l’ascesa è stata frenata dalle sue ascendenze politiche, alle quali mi sembra ancora abbastanza fedele”. Nel frattempo, riflette ancora Prodi, Meloni ha fatto sparire tutti i suoi dirigenti in campagna elettorale, “a parte il suo consigliere ex democristiano Guido Crosetto“. “Gli elettori hanno votato il ‘fenomeno’ – insiste Prodi – ma al potere ci va il partito”.

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martedì 27 settembre 2022

Fratoianni: “Renzi ha annunciato dialogo con Meloni su riforme costituzionali? Ci risiamo, non è una sorpresa. Ha posizioni contigue alla destra”

Renzi si è dichiarato disponibile a fare un tavolo con il centrodestra per le riforme costituzionali e per riscrivere le regole? Non è una sorpresa, ci risiamo. Lui e Calenda hanno fatto tutta la campagna elettorale calcando per molti versi il territorio della destra ed eccoli qua, pronti”. Così il leader di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni, intervistato da Lanfranco Palazzolo per Radio Radicale, commenta l’annuncio odierno di Matteo Renzi che, nella sua e-news ai militanti di Italia Viva, ha annunciato: ‘Se il nuovo governo chiederà un tavolo per fare insieme le riforme costituzionali, noi ci saremo perché siamo sempre pronti a riscrivere insieme le regole’.

Fratoianni aggiunge: “Un tema così delicato come l’assetto costituzionale del Paese mi preoccupa, ma a maggior ragione su questi temi continueremo a presidiare il Parlamento e il Paese perché si impedisca, come al solito, di guardare alla Costituzione come se fosse questo il nostro problema. Il nostro problema semmai è la difficoltà di applicare fino in fondo la Costituzione per dare risposte ai problemi materiali di questo Paese, che sono quelli a cui pensano milioni di italiani che ogni giorno hanno difficoltà di capire come arrivare a fine giornata. Queste persone probabilmente hanno votato tutte le forze politiche e certamente non vedono nella Costituzione un ostacolo a realizzare le proprie aspirazioni”.

Il politico poi si appella alle altre forze di opposizione, ovvero al Pd e al M5s: “Appena insediato il nuovo Parlamento, dobbiamo costruire assieme una opposizione politica qui e ora, anche per future prospettive. Le elezioni dicono chiaramente una cosa: senza una coalizione più larga, la destra non si batte. Sarei per evitare di arrivarci ancora una volta all’ultimo minuto e magari impreparati, come già accaduto. Il centrodestra punta a modificare il reddito di cittadinanza? Il problema è che ogni modifica mira a smantellare una misura di protezione sociale – continua Fratoianni che evidenzia i punti deboli della misura – Io mi opporrò con tutte le mie forze a ogni tentativo di realizzare quello che in realtà per la destra è un obiettivo politico e la loro lettura del Paese, cioè l’idea che la guerra non si faccia alla povertà ma ai poveri. E quindi per loro ogni elemento di iniziativa politica che si batta contro la povertà diventa uno spreco. La destra vuole e ha sempre voluto una società più divisa e più debole. E certamente a questo occorrerà opporsi con ogni forza”.

Fratoianni, infine, si esprime su Salvini: “Il fatto che non sarà ministro dell’Interno è una buona notizia, è difficile immaginare qualcuno di peggiore di Salvini al ministero dell’Interno. Tuttavia, la natura politica del governo che si annuncia non rassicura in nessun modo anche con altri nomi”.

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Elezioni, Silvestri (M5s): “Il reddito di cittadinanza non si toccherà, Movimentò sarà categorico. Conte? Ha fatto un ottimo lavoro”

“Abbiamo fatto tutto quello che potevamo, Conte non poteva fare una virgola di più ha fatto un lavoro ottimo. È stato serio, questo ha pagato, abbiamo parlato della vita delle persone a dispetto dei veti incrociati degli altri partiti. L’elettorato ha risposto, il Movimento Cinque Stelle è ancora vivo e lo sarà ancora di più in Parlamento”. Così il Capogruppo alla Camera del Movimento Cinque Stelle Francesco Silvestri nei pressi di Piazza Montecitorio a Roma commenta l’esito delle elezioni.

Sul reddito di cittadinanza Silvestri continua: “Ci mancherebbe altro che in un momento come quello che andremo ad affrontare andiamo a toccare il reddito di cittadinanza, sarebbe non avere contatto con la realtà. Nella vecchia legislatura lo abbiamo fatto e lo difenderemo da chi lo vuole togliere, poi se va apportato qualche miglioramento noi ci siamo, ma che il reddito cittadinanza non si toccherà il Movimento Cinque Stelle sarà categorico”.

Per quanto riguarda l’ipotesi di una flat tax, il capogruppo specifica: “Sicuramente le logiche della flat tax che erano differenti tra loro nella coalizione non ci hanno mai visto d’accordo. Affronteremo nel merito le proposte che porteranno dal Governo, una che ha fatto bene al Paese è il cashback e vorremmo ripristinarlo. Avremo le nostre proposte, vedremo le loro e ci confronteremo nel merito”.

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Lite Fusani-Pedullà su La7. “Non si possono sentire le tue bugie”. “Come ti permetti? Non ti rispondo perché sei una signora”

Polemica concitata a “Coffee break” (La7) tra la giornalista del Riformista, Claudia Fusani, e il direttore de La Notizia, Gaetano Pedullà, sulla crisi del governo Draghi.
Tutto esplode quando il conduttore Andrea Pancani osserva che Conte non avrebbe mai fatto un’alleanza con Letta, anche nell’ipotesi in cui il segretario del Pd avesse ‘perdonato’ il leader del M5s per aver provocato la crisi del governo Draghi.
“La storia non si fa coi se e coi ma – obietta Pedullà – Conte non ha fatto nessuna crisi, perché la crisi del governo Draghi nasce dalla decisione dei gruppi di Forza Italia e della Lega in Parlamento”.

“No, no – insorge Fusani – Non si possono sentire queste bugie”.
“Questa è la storia – ribatte Pedullà – Bugie le dici tu, se permetti”.
“Vai in Parlamento tutti i giorni a sentire cosa succede. Io sto là e vedo”, replica Fusani.
“No, l’hanno visto tutti gli italiani – continua Pedullà – Ma perché mi costringi a strillare?”.
“Perché sei una persona scorretta”, controbatte la giornalista.
E il collega non ci sta: “Come ti permetti? Non ti rispondo perché sei una signora”.

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lunedì 26 settembre 2022

Elezioni, Grillo pubblica un video con un nespolo: “M5s è come questo albero. Gliene fanno di tutti i colori eppure è sempre vivo e rigoglioso”

“Viva il Movimento 5 Stelle!”. Così Beppe Grillo in un tweet. Il cofondatore del Movimento ha pubblicato un breve video in cui inquadra un albero, con la sua voce fuori campo che spiega: “Il grande nespolo. Gliene abbiamo fatto di tutti i colori a questo nespolo negli anni. Eppure è rigoglioso, verde e nonostante tutto sopravvive. Un filo di linfa che c’è dentro, sopravvive un pò di tronco e fa delle nespole bellissime. Questo è il Movimento 5 Stelle, il simbolo: il nespolo vivo”

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Elezioni, Cacciari: “Pd? Tutto da rifondare, ha giocato a briscola con le regole dello scopone. È proprio vero che Dio acceca chi vuole perdere”

“So che i miei auspici sono patetici, ma mi auguro che il Pd faccia i conti in casa. Al Pd è mancato tutto. È un partito che da anni non fa un congresso serio, dove i segretari vanno e vengono o sono chiamati dall’estero come Cincinnato, dove le correnti si confrontano tra di loro esclusivamente per i posti garantiti in lista. È un partito che non ha più radicamento in molte regioni italiane. È, insomma, un partito tutto da rifondare. Ma se nel Pd non se ne vogliono rendere conto, allora è proprio vero che Dio acceca chi vuole perdere“. Così, ai microfoni della trasmissione “L’Italia s’è desta” (Radio Cusano Campus), il filosofo Massimo Cacciari stronca la strategia di Enrico Letta e di tutto il gruppo dirigente del Pd all’indomani del voto.

Cacciari definisce ‘scontatissimo’ il risultato raggiunto da Fratelli d’Italia e aggiunge: “Con questo sistema elettorale il centrosinistra è andato a giocare a briscola con le regole dello scopone. Era evidente che perdesse. Questo è un sistema elettorale che premia la coalizione. Gli altri due dati più rilevanti sono la rimonta del M5s al Sud e il corrispondente crollo della Lega nelle regioni centro-meridionali. La Lega è in una situazione di palese difficoltà e quindi dovranno fare i conti al loro interno. Vediamo che la maggioranza di chi ha votato – continua – ha preferito partiti che in qualche modo erano all’opposizione. Anche su questo le forze politiche ultragovernative come il Pd dovrebbero ragionare. Il governo Draghi sarà stato pure il miglior governo del mondo, ma fatto sta che il popolo sovrano ha votato chi era contrario al governo uscente. E non tengo conto degli astenuti, perché altrimenti la maggioranza sarebbe stata schiacciante. Quindi, cari fanciulli del Pd, ragionate“.

Il filosofo si sofferma su Azione e Italia Viva, che sono stati premiati per la loro coerenza (“Hanno certamente preso voti dal Pd e hanno detto ‘apertis verbis’ e in modo esplicito quello che era nell’anima di Letta, e cioè che erano a favore di un governo di tecnici diretto da persone come Draghi”).
Poi commenta il dato sull’astensionismo: “Non c’è nulla di particolarmente grave nel dato in quanto tale. In tutte le democrazie mature l’astensionismo arriva anche al 40%. Il dato grave è cosa significa l’astensione da noi. Dobbiamo cumulare il dato dell’astensione alla mobilità del nostro voto”.
E fa un esempio: “Guardiamo l’ultimo quindicennio: appare Renzi al 40% e poi crolla, appare il M5s col 35% e poi crolla, appare Salvini al Sud e poi crolla. Questo significa che c’è una parte del nostro Paese che va alla disperata ricerca di chi li sappia rappresentare. Quindi, il dato indica che non ci sono partiti che rappresentano gli strati sociali, manca completamente la rappresentatività reale. E se i partiti non si ficcano in testa questo, è inutile. Salvini è tornato a prendere i voti di un’esplosione che non aveva senso, né alcuna ragione d’essere. Appena la gente prova la minestra, la sputa. Ci vogliamo ficcare questo in testa o no?”.

Riflessione finale di Cacciari sull’assenza totale di radicamento territoriale dei partiti e su Luigi Di Maio: “Un leader politico torinese doc come Piero Fassino si è candidato a Venezia. Il ferrarese Dario Franceschini si è presentato a Napoli. E perché lo hanno fatto? Perché non hanno neanche un radicamento territoriale. Ma v’immaginate Andreotti che non si candida a Roma o a Frosinone? Sono tutti politici che non hanno una storia. Di Maio? – conclude – Dopo la sua scissione dal M5s, effettivamente c’è stata una risalita del Movimento. E infatti Di Maio, che era il governativo dei 5 Stelle, ha pagato perché è stato al governo senza combinare niente. Anche la sua figura come ministro degli Esteri era assolutamente pietosa, diciamo la verità. Ma poi perché Di Maio è andato via dal M5s? Per combinare che cosa? Con chi pensava di riciclarsi?”.

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domenica 25 settembre 2022

Elezioni, Conte: “Scelte del Pd? Hanno compromesso la possibilità di una forza politica competitiva contro il centrodestra”

“Le scelte compiute da questo gruppo dirigente del Partito democratico hanno compromesso un’azione politica che poteva essere competitiva con questo centrodestra che si è presentato unito. Di fatto i cittadini stanno dimostrando, soprattutto al Sud, che il voto per contrastare il centrodestra è il voto per il M5s”. Così il presidente del M5s, Giuseppe Conte, parlando dalla sede del Movimento, poco prima delle tre di notte quando ha incontrato la stampa. Ma il leader del Movimento 5 stelle non chiude completamente con il Partito democratico: “Noi saremo l’avamposto per la realizzazione dell’agenda democratica e progressista che abbiamo indicato – ha aggiunto Conte – adesso vedremo se il Pd vorrà unirsi alle nostre battaglie all’opposizione, ne potremo discutere senza nessun accordo, senza nessuna coalizione.”

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Elezioni, Conte: “Ci davano in picchiata, la rimonta è stata significativa. All’opposizione con coraggio, saremo intransigenti”

“Tutti ci davano in picchiata e la rimonta è stata significativa: siamo la terza forza politica e quindi abbiamo una grande responsabilità“. Poco prima delle tre della notte il presidente del Movimento 5 stelle, Giuseppe Conte, ha incontrato la stampa per commentare il risultato elettorale. “Abbiamo una grande responsabilità. Saremo all’opposizione con coraggio e determinazione, concentrati per portare avanti il nostro programma”, ha sottolineato Conte.

“Saremo intransigenti“, assicura il leader del M5s: “Il centrodestra non è maggioranza nel Paese”, aggiunge Conte parlando di “un cortocircuito frutto della legge elettorale“, proprio per questo il Movimento è pronto a dare “battaglia per cambiarla”. Per quanto riguarda la distribuzione territoriale del voto di domenica ricorda come “il M5s sarà primo partito al Sud e pur andando da soli rischiamo di prendere diversi collegi uninominali, un dato molto importante a livello politico”. “Stella polare” per i 5 Stelle saranno “le battaglie per ridurre le diseguaglianze” e per “ridurre il divario tra Nord e Sud“. “Difenderemo le riforme che abbiamo fatto: non permetteremo che vengano smantellate, abbiamo buona parte del Paese dalla nostra parte”, aggiunge Giuseppe Conte che si dice pronto “dall’opposizione a realizzare l’agenda progressista e democratica che abbiamo illustrato in campagna elettorale”.

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Luigi Di Maio sconfitto da Sergio Costa (M5s) nel collegio uninominale di Napoli Fuorigrotta

Luigi Di Maio è stato sconfitto nel collegio uninominale della Camera di Napoli Fuorigrotta e quindi, con ogni probabilità, sarà fuori dal prossimo Parlamento: secondo l’elaborazione di Quorum/Youtrend per Sky Tg24 è infatti statisticamente certa la vittoria di Sergio Costa per il Movimento 5 Stelle. Stando ai voti reali scrutinati, dopo 160 sezioni su 440, l’ex ministro dell’Ambiente ha finora raccolto 23.363 voti pari al 41,64% delle preferenze.

Il ministro degli Esteri, che in primavera aveva deciso di spaccare il M5s fondando Impegno Civico, si ferma invece al 23,96% pari a 13.442 preferenze, tallonato anche da Mariarosaria Rossi (centrodestra) che attualmente è al 21,65. Mara Carfagna è al 6,35. Appoggiato da tutto il centrosinistra, Di Maio, ha raccolto con il suo partito poco più del 2% in quel collegio. Se Impegno Civico non raggiungerà il 3% dei voti, restando così fuori dal Parlamento, Di Maio non tornerà a sedere alla Camera dopo due legislature. Tutte le proiezioni danno il suo partito assai lontano da quella soglia.

Articolo in aggiornamento

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Elezioni politiche 2022: risultati, exit poll e proiezioni in diretta – Fdi primo partito (26), poi Pd (18,1) e M5s (17). La Lega crolla all’8, Azione e Fi al 7,9

I poveri, questi desaparecidos della campagna elettorale

Se il tratto più evidente, che funge da spartiacque dell’ultimo cinquantennio, è l’ostentata insofferenza degli abbienti nei confronti degli indigenti (vulgo, “i poveracci”), possiamo ritrovarne l’impronta in questa campagna elettorale che termina oggi. Tra la rimozione e l’infierire deliberatamente, per cui Matteo Renzi – come ci ricordava opportunamente il numero di FqMillennium di agosto – si propone come interprete politico del risentimento sprezzante di chi ha i piedi al caldo, sentenziando “voglio riaffermare l’idea che la gente deve soffrire”.

Pendant di quanto dichiara un altro spregiudicato arrampicatore sociale, Flavio Briatore, il capitano d’industria la cui massima intuizione imprenditoriale è stata quella di unire in un solo brand la parola napoletanissima “pizza” con l’anglo-milanese “crazy” – per cui “sono i ricchi a creare posti di lavoro”. Nel suo caso per servette e sguatteri, rigorosamente precarizzati.

Uno stato d’animo oscillante tra il disprezzo e la pietà, che rivela variazioni nello spirito del tempo ben più serie degli sproloqui di due personaggi comici. Qualcosa che è maturato nei piani alti della società occidentale, intercettato via via da quanti perseguivano il proprio accreditamento nel club del privilegio, fino alla bassa manovalanza della politica e degli arricchiti non-si-sa-bene-come.

Difatti, se al tempo del Sessantotto il ceto imprenditoriale era sotto il tiro della critica sociale (gli “autunni caldi”), nei decenni successivi l’assedio è stato spezzato e ora i Top finanziari si inorgogliscono della loro genetica superiorità (l’atteggiamento che negli ambienti di Confindustria si traduce nell’arrogante risposta “antindustriale!” a ogni pur sommesso addebito). Una mutazione di mentalità che viene da lontano: negli anni Venti-Trenta del secolo scorso la borghesia viveva nel terrore di essere spossessata dei propri beni da parte del popolo (per gli uni la paura della rivoluzione, per gli altri quella del colpo di stato).

Se le dittature di destra furono la contromossa plutocratica in larga parte dell’Europa, nel mondo anglosassone prevalse la sintesi keynesiano-fordista; il compromesso storico tra borghesia imprenditoriale e lavoro organizzato: l’affermarsi nell’Occidente capitalistico di economie nazionali trainate dall’impresa pubblica, politica dei redditi e programmazione. Dal punto di vista – appunto – politico, il salvataggio del matrimonio tra capitalismo e democrazia, che dal New Deal arriva fino a tutta l’epoca kennediana del cosiddetto “ottimismo di governo”.

Equilibrio delegittimato dal capitale dopo il 1973 per ricostruire margini di profitto non consentiti dall’ordine welfariano: come dice l’ex direttore del Max Planck di Colonia Wolfgang Streek, “la de-democratizzazione del capitalismo attraverso la de-economizzazione della democrazia, incompatibile con il neo-liberismo”. Stante l’impossibilità del capitale di fidarsi di istituzioni largamente guidate da socialdemocratici, la scelta fu quella di un ritorno al mercato, presunto ottocentescamente capace di autoregolarsi. In una serie di passaggi che scardinarono la forza della precedente controparte: i lavoratori di fabbrica.

Sicché nel corso degli anni Settanta l’inflazione andò alle stelle, il suo contenimento nel decennio successivo produsse l’indebitamento pubblico, cui si cercò di ovviare sostituendolo con l’indebitamento privato: la politica del debito drogato a mezzo acquisti a credito e della flessibilizzazione/precarizzazione, esplosa insieme alle bolle finanziarie a partire dal 2008. Per taluni il segnale della crisi terminale del tardo capitalismo.

Ma un ceto politico che vive nel presente immobile e si nutre di trovate consulenziali esorcizza come “populista” ogni ragionamento che demistifichi il luogo comune, continua a credere nella cornucopia della ricchezza creata per via monetaria e si aggrappa ai maghi della finanza, ripetendo i jingle graditi a lorsignori. Nella convinzione dell’insignificanza degli sfigati (copy Renzi) o sdentati (copy Hollande). Ossia fidando nella rassegnazione politica degli strati inferiori e disprezzando provvedimenti come il reddito di cittadinanza, irriso malignamente come “voto di scambio” nel dilagare dell’impoverimento (seppure bisognoso di una revisione che lo liberi dal collegamento con l’occupabilità).

Per questo si spera che l’annunciata ripresa elettorale dei 5S, sempre più “partito di Conte”, dia un segnale in controtendenza: la finalmente raggiunta maturità del leader, che sgombri il nascente partito dichiaratamente populista, in lotta contro le disuguaglianze e per l’ambiente, dalle mattane sempre imbarazzanti e spesso inquietanti del Garante (che già pencolava dalla stagione del Vaffa tra l’Anpi e Casa Pound).

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sabato 24 settembre 2022

Elezioni, le cinque parole chiave della campagna dei partiti: lavoro, imprese, famiglia, diritti e sicurezza

La campagna elettorale giocata attorno a cinque temi: lavoro, imprese, famiglie, diritti e sicurezza. Questo almeno è quanto emerge dall’analisi dei programmi elettorali depositati sul sito del Viminale in vista delle elezioni politiche del prossimo 25 settembre. Il programma utilizzato permette di fare uno studio quantitativo del testo dell’agenda dei singoli partiti. Ne esce una nuvola di parole: più grande compare una parola, più volte compare nel programma.

Il termine che compare in modo trasversale in tutti i programmi è lavoro. Le proposte delle coalizioni, ovviamente, si differenziano: la crescita economica dell’Italia è affidata a politiche di contrasto alla disoccupazione, così come a incentivi economici per le imprese che assumono soprattutto i giovani. Proprio imprese è un’altra parola chiave: nei programmi della destra compare in una dimensione significativa, perché è ripetuta diverse volte, ma anche nell’agenda del Partito Democratico occupa uno spazio importante. Un tema che invece compare quasi esclusivamente nella campagna elettorale della destra è la sicurezza, mentre in modo speculare la parola diritti compare solo nelle visualizzazioni grafiche del Partito Democratico e della coalizione tra Sinistra Italiana e Verdi.

Il termine famiglie è tanto presente in tutti i programmi quanto divisivo: la destra si concentra sui sostegni economici, favorendo politiche che incentivino la natalità, mentre la sinistra e il Movimento 5 Stelle includono nel programma anche leggi a tutela delle famiglie omosessuali. Assente da tutte le visualizzazioni grafiche è la parola guerra, che quindi compare poche volte nei programmi elettorali.

Fratelli d’Italia – La parola giovani è al terzo posto, dopo lavoro e imprese: i temi legati alle politiche giovanili sono affrontati nel capitolo 7 (Largo ai giovani) e 8 (Rilanciare la scuola, l’università̀ e la ricerca). Per quanto riguarda l’economia, due termini al centro del programma del partito di Giorgia Meloni sono investimenti e infrastrutture. Compare nella nuvola anche la parola Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, di cui Fratelli d’Italia chiede una parziale revisione. Nella visualizzazione compare anche la parola difesa: difesa dei confini, della famiglia tradizionale e della religione cattolica.

Lega – Turismo e pesca sono due parole che compaiono solo nella nuvola di parole del programma del partito guidato da Matteo Salvini: sono i settori su cui da sempre il Carroccio punta per far crescere l’economia italiana. Nel capitolo dedicato all’energia emerge la parola gas: nel programma viene sottolineata la necessità di “proseguire con la diversificazione degli approvvigionamenti e con la realizzazione di infrastrutture strategiche, tra cui i rigassificatori, per l’affrancamento dal gas russo e per garantire la sicurezza del sistema energetico”.

Forza Italia – Nella rappresentazione grafica del partito di Silvio Berlusconi compaiono due cifre: 23%, in riferimento alla proposta sulla flat tax, e 1000 euro, la soglia minima a cui è proposto di alzare tutte le pensioni. Una parola che occupa uno spazio significativo è semplificazione: è riferita alle imprese e alla vita dei cittadini. Forza Italia propone meno stato e più libertà di impresa per i cittadini. La presenza del termine magistrati nella nuvola è dovuta all’ampio spazio dedicato nel programma alla riforma della giustizia.

Partito Democratico – L’aggettivo sostenibile è scritto in grande nella visualizzazione grafica del programma del PD ed è al centro del capitolo dedicato allo Sviluppo e alla transizione ecologica e digitale. Proprio la parola transizione compare infatti in grande nella nuvola di parole del partito guidato da Enrico Letta. Anche democrazia è un termine molto presente nel testo del programma, così come comunità e dignità.

Movimento 5 Stelle – La parola che compare più volte nel programma del Movimento di Giuseppe Conte, subito dopo lavoro, è sviluppo. Nel capitolo dedicato a questo tema vengono presi in considerazione sia la tutela del lavoratore, sia una riforma delle pensioni improntata alla sostenibilità economica. La parola salario è scritta molte volte, rispecchiando la centralità che il salario minimo ha nell’offerta elettorale del Movimento 5 Stelle, mentre la digitalizzazione dei pagamenti fa emergere nella visualizzazione grafica l’aggettivo digitale.

Azione e Italia Viva – Competenze è il sostantivo più importante del programma della coalizione che tiene insieme Carlo Calenda e Matteo Renzi. Proprio partendo da questa viene proposta una ricetta economica per fare ripartire l’economia del paese, basata su altre due parole chiave: investimenti e mercato. Sono diverse le parole legate al mondo del lavoro: contratti, retribuzione, reddito e professionisti.

Verdi e Sinistra Italia – Nel programma della coalizione sono frequenti i riferimenti alla sanità e alla salute dei cittadini: nella nuvola occupa infatti uno spazio in evidenza l’acronimo SSN (Sistema sanitario nazionale) e il sostantivo pandemia. Molto presenti anche parole tradizionalmente importanti per la sinistra, come partecipazione e servizi. L’anima ecologista della coalizione è invece riassunta dai termini ambientale e animali.

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venerdì 23 settembre 2022

Elezioni, M5s chiude la campagna a Santi Apostoli. Conte: “Ci davano per morti e si sono sbagliati”. Le immagini della piazza

Circa 4000 persone in piazza Santi Apostoli per la chiusura della campagna elettorale del Movimento 5 stelle. Tra il pubblico Stefano Fassina e Loredana de Petris. Sul palco dopo il saluto di Giuseppe Conte, che parlerà in chiusura dell’evento, tra gli alti si sono succeduti il presidente della Camera Roberto Fico, Paola Taverna, e l’ex ministro della Giustizia Alfonso Bonafede.

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“Ieri ho lasciato il Pd, voterò Conte”. Le ragioni dell’ex assessore alle Politiche sociali di Asti, che per il dopo voto sogna “la fusione a caldo”

Voti in transito dal Partito democratico al Movimento 5 stelle, ma non solo per questioni di calcolo. Oltre al “voto utile” evocato da esponenti dem come il governatore della Puglia Michele Emiliano, che per battere il centrodestra invita a scegliere collegio per collegio, indifferentemente che si tratti di Pd o M5s, a spostare preferenze sono anche ragioni sostanziali, per non dire di cuore. Ragioni che ad Asti stanno spingendo molti esponenti della sinistra storica locale a dichiarare che voteranno per il M5s. Tra loro anche l’ex Pd Piero Vercelli, dal 2012 al 2017 assessore comunale alle Politiche sociali: “Il Movimento è l’unico a dare ancora qualche speranza a chi se la passa male”, spiega. Oggi è alla guida di una cooperativa sociale che si occupa di disagio, dipendenze, ma anche delle fragilità degli anziani. Mentre concordiamo l’intervista, l’occhio cade sull’immagine che ha scelto per il suo contatto Whatsapp, un sorridente Vasco Rossi con tanto di citazione: “La vita la impari sulla tua pelle e le cicatrici che porti addosso sono gli appunti che hai preso nel tempo”.

Abbandonare il Pd per votare il M5s le lascerà un’altra cicatrice?
La tessera del Pd l’ho ripresa anche quest’anno, ci speravo ancora. Ma mi creda se le dico che io sono rimasto lo stesso, sono gli altri ad essere cambiati. Certo, è stata una sofferenza vederli andare verso mondi che non ci appartengono e che non starebbe al Pd rappresentare. Una cosa che mi ha ferito particolarmente è il fatto di essere andati con le braghe abbassate verso Draghi, e l’appello politico non può essere la sua agenda, che se la apri ci trovi una calcolatrice, non le persone.

Cosa ha fatto il Pd per perdere addirittura un suo ex assessore alle Politiche sociali ?
Cosa non ha fatto. Manca militanza, presenza sul territorio e contatto con la gente. Ci siamo ridotti come gli altri, con l’immagine sempre al primo posto mentre servono proposte e contenuti, serve battersi per migliorare la qualità della vita delle persone, questo fa un buon politico. Far tornare i conti non è sufficiente, non può essere tutto legato all’economia, a un patto di stabilità. Sta qui la sconfitta del Pd: solo numeri, zero cuore. E intanto la politica si fa da parte e lascia che sia la finanza a comandare.

Nel Pd astigiano come l’hanno presa?
La scelta l’ho maturata da un mese a questa parte, poi ieri sono uscito dal partito e ovviamente mi sono attirato delle critiche. Ma mi sembrano più quelle di chi si arrampica sugli specchi, sostenendo che se il governo non fosse caduto il Pd era pronto a pretendere gli aiuti necessari alle persone messe in ginocchio dal caro energia. Parole di circostanza, ma a me non pare che si strappassero le vesti. Dice che era nell’agenda del Pd. Sempre queste agende…

Perché il Movimento 5 stelle?
Oggi gli scontri sono ideologici e mai di sostanza. Invece c’è un parte importante del Paese in forte sofferenza e l’unico che dice qualcosa è Giuseppe Conte, l’unico che dà speranza a chi se la passa male. Io mi occupo di sociale e vivo sulla pelle la povertà. Ma anche le persone che vivono oggi con 1.200 o 1.500 euro al mese come fanno con le bollette triplicate? Chi le aiuta? Chi le rappresenta? Qui ad Asti la Caritas ha descritto una realtà di sfratti, morosità e disoccupazione in forte aumento. E allora difendere il Reddito di cittadinanza diventa fondamentale, come battersi per mettere più soldi sulle fragilità: dovremmo pretendere di pagare le bollette in base ai consumi degli anni scorsi, e lasciare che a mettere la differenza sia l’Europa, chi ha fatto miliardi di extraprofitti, o gli evasori: non mi interessa, ma non si può certo stare a discutere di Calenda e di Di Maio.

Considera il voto che darà al Movimento un voto di sinistra?
La mia motivazione è semplice, si trattava di scegliere se stare con i poteri forti o al fianco delle persone. Per fortuna c’è ancora qualcuno che difende certe cose.

Adesso è un elettore del Movimento, qualche critica?
Nel 2017 al ballottaggio tra Movimento e centrodestra sono tra quelli che non sono andati a votare. E’ un soggetto in cui vorrei trovare una migliore preparazione da parte di chi fa politica. Ma non parlo di scolarità, attenzione, piuttosto di formazione, bisognerebbe tornare alla scuola di partito. E poi gli slogan non piacciono e siccome mi piace il confronto più che la critica penso sia necessario un percorso di crescita. In consiglio comunale avevo i 5 stelle all’opposizione e spesso li ho trovati deboli nel merito dei contenuti. Dopodiché Massimo Cerruti, il candidato locale nonché unico astigiano in corsa per il Movimento, è una persona preparata.

Un’alleanza Pd-M5s sembra definitivamente compromessa, lei che dice?
Ora siamo in campagna elettorale, ma per il futuro ci spero. Non in una fusione a freddo però. Vorrei una fusione a caldo di gente che si chiude un mese in una stanza e organizza un grande partito della sinistra che dica cose di sinistra a faccia cose di sinistra. Molto dipenderà dal voto. Se dall’una o dall’altra parte la sconfitta sarà pesante, è probabile che qualche discussione interna la si debba fare, e magari da lì possono uscire nuovi scenari.

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Elezioni, Conte chiude la campagna del M5s a Roma: la diretta

Giuseppe Conte chiude la campagna elettorale del Movimento 5 stelle in piazza Santi Apostoli a Roma. La diretta.

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M5s, il neoliberalismo è fallito. Nel programma un manifesto chiaro e alternativo

È il momento di dotarci di nuovi strumenti che sintetizzino la complessità, senza ignorarla, per dar vita a manifesti politici che arricchiscano schemi culturali, oggi impoveriti, per realizzare un upgrade democratico che aumenti la partecipazione dei cittadini. È così che possiamo tornare a vivere in equilibrio nel mondo, in un futuro meno dispotico di quello che si prospetta a causa dei veloci e gravi stravolgimenti ecologici e tecnologici. L’acqua, l’aria, le foreste, i ghiacciai, i tratti di costa che sono riserva ambientale, la fauna e la flora, i beni culturali: sono beni che devono essere difesi e custoditi anche a beneficio delle generazioni future.

Senza essere ingenui bisogna osservare come il nostro sistema economico, giuridico, culturale e sociale si fonda su pensieri filosofici del passato che non hanno fatto i conti con i clamorosi sviluppi che stiamo vivendo e con le nuove conoscenze in ogni disciplina umanistica e scientifica. Così le evoluzioni scientifiche dell’ultimo secolo restano fuori dalla creazione di qualsiasi modello politico, sociale e nazionale. Quello che stiamo vivendo non è l’unico nostro destino ma il frutto di un paradigma culturale fallito che è quello del neoliberismo che mette tutto a profitto e condiziona società e individui a scelte egoistiche e individualistiche.

È l’approccio culturale che dovrà dominare tutte le transizioni che vogliamo realizzare. Ed è quello che abbiamo scritto nero su bianco nel programma del M5S, io con il resto del comitato istruzione e cultura e con il principale contributo della già vicepresidente della commissione Cultura al Senato Michela Montevecchi e la ex-sottosegretaria al ministero della Cultura Anna Laura Orrico. Nel 2018 ho coordinato per il M5S la ricerca Cultura 2030, condotta dal professore emerito di Sociologia Domenico De Masi, che arriva a dichiarare “il modello culturale dominante nel 2030 sarà capitalistico”, e “il modello dominante nel 2030 promuoverà la solidarietà e la rete attraverso il controllo delle nostre vite, dei movimenti, degli acquisti. […] fondato sulla dittatura del denaro e del profitto”, e che “un modello sarà elaborato e perfezionato dalle multinazionali delle intelligenze artificiali” dove “i governi saranno spettatori, da esso dipendenti e ricattati”.

Una sintesi perfetta per quello che sta già accadendo oggi. Il primo bene comune da garantire per questa transizione culturale è la conoscenza, che non manca ma è nascosta, mal distribuita e mal raccontata. Gli open data, ovvero i dati con licenze aperte, fruibili, interoperabili e capaci di essere leggibili automaticamente da macchine e software, sono un tassello per una società che abbia la cultura dei dati. Ma non basta. Cinquanta anni di dati sull’ambiente devastato, sulle specie viventi estinte, sui dati climatici, su fame, povertà e salute non rappresentano ancora la spinta giusta al cambiamento.

Nel programma integrale del M5S per la prossima legislatura c’è una strategia per la cultura: il piano del M5S si articola lungo tre pilastri che attraversano tre grandi questioni quali la sostenibilità, il contrasto, la mitigazione e l’adattamento all’impatto dei cambiamenti climatici sul paesaggio e sui beni culturali; le competenze, le infrastrutture sociali, digitali e le risorse umane necessarie per consentire a tutti i territori di valorizzare e gestire il patrimonio culturale in chiave sostenibile e con l’obiettivo di generare benessere sociale ed economico; le tutele per i lavoratori e la valorizzazione delle nuove professioni culturali e creative legate alle competenze digitali, tecnologiche e ambientali.

La cultura deve essere il nostro nutrimento, la formazione e la conoscenza la nostra leva per dar vita a una nuova dimensione della rivolta, la curiosità e l’apprendimento la strada che ci libera dalle catene. Appare chiaro quindi che ci sono campi di battaglia e conflitto ma anche società desiderabili e possibili, che sono raggiungibili solo se le immaginiamo, le scegliamo e strategicamente perseguiamo la loro realizzazione grazie a un’attenta programmazione politica e un’azione sociale e culturale di supporto. Insomma, un nuovo modello di società e un manifesto chiaro da perseguire.

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Lite De Girolamo-Conte su Orban a La7: “Lei usa il voto in Ue per spaventare gli elettori”. “Preoccupato dalle posizioni di Salvini e Meloni”

Polemica concitata a “Piazzapulita” (La7) tra l’ex deputata di Forza Italia, Nunzia De Girolamo, e il leader del M5s, Giuseppe Conte, sul voto di Fratelli d’Italia e della Lega contro un rapporto del Parlamento europeo che definisce l’Ungheria “autocrazia elettorale” e una “minaccia sistemica” ai valori fondanti dell’Ue.
De Girolamo, che poco prima ha difeso Giorgia Meloni, obietta a Conte: “Lei sta usando in maniera molto abile il voto di Orban per spaventare gli elettori”.
Conte replica: “Chiedo a lei che sta difendendo questa posizione: quella dettagliata relazione certifica che in Ungheria il potere giudiziario dipende da quello esecutivo e che c’è il bavaglio alla libera stampa. E dice che le donne che vogliono interrompere la gravidanza devono prima ascoltare il battito del cuore del feto. Lei come si schiera su questo?”.

“Presidente, io sono lontanissima da Orban – risponde De Girolamo – e non avrei mai votato contro quella risoluzione”.
“E allora come giustifica il voto di Meloni e di Salvini?”, incalza Conte.
“Non faccio l’avvocato del popolo – replica l’ex ministra – né di Salvini, né di Meloni. Perché, però, non è spaventato anche da uno come Fratoianni?”.
“Che ha fatto Fratoianni?”, chiede allibito Conte.
“Ha votato in Parlamento contro la Nato”, risponde De Girolamo, facendo confusione sia sul ruolo di Conte (“Lei c’era quella volta”), sia sul voto, visto che Fratoianni non ha mai votato contro l’uscita dell’Italia dalla Nato. L’ex ministra, infatti, si riferisce al voto dello scorso 2 agosto, quando Fratoianni votò contro l’adesione di Svezia e Finlandia alla Nato.


“Io ho una posizione diversa – risponde Conte – Siamo in piena collocazione euro-atlantica. Ma poi cosa c’entra quello che lei dice con la deriva di Orban? Io sono contrario all’uscita dalla Nato, ma secondo lei è antidemocratico non voler restarci?”.
“Mi spaventerei per quella posizione”, replica l’ex parlamentare.
“Ma stiamo parlando dei fondamenti della democrazia”, chiosa Conte.

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Il M5s? Non lo vedo a sinistra. Però si è fatto carico del rilancio della classe media

di Luigi Coppola

Spesso viene trasmessa, secondo me in malafede, un’immagine del Movimento 5 Stelle trasformista, accusandolo di aver governato con la Lega. Occorre distinguere chiaramente il governo gialloverde da quello giallorosso. Il primo era nato dall’esigenza di non lasciare gli elettori senza una risposta dopo un così ampio consenso elettorale. Dopo il rifiuto da parte del Pd, anzi di Renzi, l’unica alternativa era governare con la Lega. Ma non ci fu un’alleanza politica, ci fu un contratto di governo, in cui i 5S, “tappandosi il naso” su certe iniziative, poterono portarne a casa delle altre. E queste ultime furono risultati di sinistra portati a casa nonostante la Lega, che nessun governo di centrosinistra precedente era stato in grado di portare a casa per decenni (reddito di cittadinanza, spazzacorrotti, decreto dignità, etc.). Quindi un governo di due soggetti ben distinti ideologicamente, ognuno dei quali accettava qualche punto degli altri contro i propri principi. Ovviamente il presidente del Consiglio doveva firmare tutto.

Al contrario, i vari governi di centrosinistra succedutisi negli ultimi decenni di sinistra hanno portato a casa ben poco, anzi il contrario (apice con jobs act). Nel governo giallorosso invece le parti potevano condividere molti principi e valori politici. Poi il Pd ha troppe anime, per cui un’alleanza del genere non poteva essere stabile. Anche il M5s aveva molte anime, ma le scissioni, le fuoriuscite e la definizione ferma di certe regole hanno permesso al M5S di oggi di essere molto meglio definito, univoco nelle proposte e quindi chiaro verso il potenziale elettorato.

La politica del M5S è quella di fare gli interessi del Paese, superando le ideologie di destra o sinistra, così come per il M5S delle origini. Non vedrei il M5S come puramente di sinistra. Si possono aiutare i poveri se si aiutano anche coloro che vogliono generare lavoro dignitoso per gli stessi: quindi differenziare bene chi specula, investendo per generare denaro per certi soggetti, da chi investe per generare lavoro e valore sociale, che va aiutato. Il M5S si prende oggi carico, almeno percepisco io nella visione di Conte, di un rilancio della classe media che i poteri forti stanno facendo scomparire, portando il mondo verso un bipolarismo, con una classe finanziaria al comando e il resto della popolazione in una sudditanza di fatto.

In generale, molte misure, come quelle volte all’affermazione della legalità, non dovrebbero essere riforme della sola sinistra: ci si dovrebbe chiedere perché la destra non le abbia in programma. Se la destra candida tanti impresentabili, chiediamoci che Paese vogliamo. Come verrà modificata la giustizia in futuro? Vogliamo metterci e mettere i nostri figli in balia di criminali?
Il M5S e Conte sono gli unici oggi a garantire il massimo impegno nell’interesse del Paese. Non promettono obiettivi irraggiungibili, come tra l’altro quelli di uscire dall’Unione europea o dalla Nato, ma promettono di difendere gli interessi nazionali in tali ambiti.

E Conte ha dimostrato di essere un instancabile negoziatore. Unico, tra tanti politici navigati, ha avuto la visione politica dell’Europa solidale ed è riuscito ad affermarla, contro il mondo della finanza purtroppo indecentemente appoggiato da certi governi, con un debito comune europeo in seguito alla pandemia. È questa la visone giusta dell’Europa. Credo vicina a quella di Varoufakis. Importante mettere bene a fuoco la differenziazione tra investimenti speculativi e investimenti socialmente validi. Questa politica che Conte propone può avere successo proprio facendo della negoziazione il metodo.

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