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martedì 30 aprile 2024

Collaboratori scolastici, arriva la “pezza” per 6.147 precari: Valditara li rinnova (in ritardo) fino a metà giugno. Ma i sindacati: “Non basta”

Alla fine la pezza è arrivata, anche se in ritardo e anche se – come avvertono i sindacati – non basta. I 6.147 collaboratori scolastici assunti a tempo determinato a supporto dei progetti del Pnrr e di “Agenda Sud” sono “salvi” fino al 15 giugno. Cosa succederà al di là di quella data è ancora un’incognita, per loro e per le scuole dove lavorano. Nell’ambito del decreto-legge sui Fondi di coesione, il Consiglio dei ministri ha approvato oggi una misura che permetterà a questi lavoratori, il cui contratto era scaduto il 15 aprile scorso, di essere riassunti a partire dal 2 maggio fino, appunto, alla metà del mese di giugno. Canta vittoria il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, che in un comunicato rivendica: “Manteniamo fede a un preciso impegno verso i lavoratori assunti per i servizi a supporto delle scuole per i progetti del Pnrr e di Agenda Sud. E questo grazie a uno sforzo finanziario dello stesso ministero”. Uno sforzo che corrisponde a uno stanziamento aggiuntivo di 18,5 milioni di euro, 14 dei quali a carico del bilancio del dicastero di viale Trastevere. Nello stesso decreto, Valditara sbandiera l’inserimento di “misure per rendere più rapida ed efficiente la mobilitazione di risorse stanziate per progetti di potenziamento delle infrastrutture sportive nelle scuole, per la fornitura di arredi didattici e per la realizzazione di laboratori avanzati”.

A spegnere l’entusiasmo del professore leghista, però, ci pensano le sigle sindacali. “Prendiamo atto dai media dell’impegno mantenuto – anche se in ritardo – ma i fondi stanziati per la proroga del personale collaboratore scolastico dell’organico aggiuntivo bastano solo fino al 15 giugno; non risolvono l’aggravio di lavoro al quale è sottoposta la scuola sempre più oberata di incombenze che spesso vanno oltre gli obblighi contrattuali”, denuncia al fattoquotidiano.it il segretario della Uil Scuola, Giuseppe D’Aprile. “Continueremo a rivendicare un piano straordinario di immissioni in ruolo e l’ampliamento dell’organico Ata, anche al fine di rendere stabile l’attuale organico aggiuntivo”, annuncia. La Uil ricorda, inoltre, che su 27.704 posti vacanti lo scorso anno scolastico sono stati autorizzate meno della metà delle immissioni in ruolo (10.116). Rincara la dose Gianna Fracassi, la segretaria della Flc (il sindacato della categoria della Cgil) che sottolinea come la soluzione sia arrivata fuori tempo massimo: “I contratti sono scaduti il 15 aprile scorso. Questo ritardo che rischia di essere pagato dai lavoratori che non riceveranno lo stipendio di queste due settimane”.

Al coro delle proteste si unisce anche Marcello Pacifico, presidente dell’Anief (Associazione nazionale insegnanti e formatori). “Per evitare l’interruzione dell’attività di questo personale, resta necessario prevedere in norme successive risorse adeguate per garantire il raggiungimento degli obiettivi del Pnrr e di Agenda Sud per tutta la durata progettuale, ovvero fino al 2026. Inoltre, rimane il problema della conferma dei più di mille amministrativi che da gennaio dovevano essere richiamati dalle scuole su fondi del Pnrr”. Più prudente, invece, l’atteggiamento della segretaria della Cisl Scuola, Ivana Barbacci: “Finalmente il ministero dell’Istruzione ha reperito le risorse sufficienti per consentire la proroga dei contratti dei collaboratori scolastici. Un provvedimento atteso e necessario, fortemente richiesto da noi per accompagnare le scuole al termine delle lezioni con il personale necessario per affrontare le complessità di un anno scolastico molto impegnativo anche per la mole di lavoro determinata dai progetti Pnrr”.

Sul fronte politico le critiche arrivano dal Movimento 5 stelle: “Dopo settimane di sollecitazioni finalmente Giuseppe Valditara si è deciso a mettere mano al rinnovo degli incarichi di oltre seimila collaboratori scolastici. Resta forte lo sgomento per il caos che questo governo ha fatto vivere a questi lavoratori e alla loro famiglie. Si poteva procedere, come abbiamo continuamente ricordato a Valditara, entro il 15 aprile ed evitare questo “bucodi due settimane che pesa tutto sui lavoratori e che è emblematico della sciatteria con cui questo governo amministra il mondo della scuola“, dichiara Antonio Caso, capogruppo in Commissione Cultura e Istruzione alla Camera.

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lunedì 29 aprile 2024

Salario minimo, Pd, M5s e Avs depositano le firme per la legge d’iniziativa popolare: “La destra ha preso in giro i lavoratori poveri”

Martedì 30 aprile alle 10 le delegazioni di Partito democratico, Movimento 5 stelle e Alleanza Verdi e Sinistra depositeranno presso la Corte di Cassazione le firme raccolte a sostegno della proposta di legge di iniziativa popolare per istituire in Italia un salario minimo legale di nove euro lordi l’ora. L’iniziativa era stata lanciata dalle opposizioni unite (tranne Italia viva) lo scorso marzo, dopo che a dicembre un ddl unitario con lo stesso contenuto era stato affossato dalla maggioranza (attraverso la trasformazione in una delega al governo).

“Avevamo promesso di continuare a batterci per il salario minimo e per la dignità di chi lavora, quei milioni di lavoratori poveri che hanno diritto ad una risposta dalla politica e dalle istituzioni. La destra questi lavoratori li ha presi in giro. Noi no”, si legge in una nota congiunta di Pd, M5s e Avs. “Depositeremo la proposta di legge di iniziativa popolare per riproporre il salario minimo di nuovo in Parlamento. Per rafforzare i contratti collettivi e stabilire che sotto i nove euro l’ora non è lavoro ma sfruttamento. Perché di questa legge di civiltà c’è bisogno, nonostante il boicottaggio da parte del governo Meloni”, aggiungono i partiti.

La delegazione dem sarà composta da Marta Bonafoni, Maria Cecilia Guerra, Arturo Scotto e Pietro Galeone. Quella dei 5 stelle da Mario Turco, senatore e vicepresidente del Movimento, Valentina Barzotti, capogruppo in Commissione Lavoro alla Camera, e Gianluca Perilli, responsabile Comitato nazionale progetti del M5S. Per Avs ci saranno il leader dei Verdi Angelo Bonelli e il segretario di Sinistra italiana Nicola Fratoianni, insieme a Francesca Ruocco e Riccardo Mastrorillo.

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sabato 27 aprile 2024

Il Movimento 5 stelle pubblica le liste per le elezioni europee. Approvate dagli iscritti le candidature di Conte, ecco tutti i nomi

Alle 22.00 di venerdì 26 aprile si è chiusa la consultazione degli iscritti al Movimento 5 stelle per votare le candidature proposte dal presidente Giuseppe Conte per le liste circoscrizionali delle elezioni europee. La domanda: “Approvi la proposta del Presidente Conte di inserire, anche in posizione prioritaria rispetto agli altri candidati, i tre europarlamentari uscenti, Maria Angela Danzì, Mario Furore, Sabrina Pignedoli, e i seguenti nominativi: per la Circoscrizione Nord – Est: Ugo Biggeri e Martina Pluda; per la Circoscrizione Centro: Carolina Morace; per la Circoscrizione Sud: Pasquale Tridico e Maurizio Sibilio; per la Circoscrizione Isole: Giuseppe Antoci e Cinzia Pilo”. Su un totale di 18.414 votanti, hanno risposto positivamente 16.108 iscritti, mentre i voti contrari sono stati 2.306. L’approvazione completa le liste M5s dopo le primarie per le 500 autocandidature. Al secondo turno, dove gli iscritti hanno votato divisi per circoscrizione, si sono espressi in 23mila, il 15 per cento circa dei 150 mila registrati sulla piattaforma SkyVote. Tra i più votati ci sono il direttore dimissionario de La Notizia, Gaetano Pedullà, con 988 preferenze, l’ex europarlamentare Dario Tamburrano (818 preferenze), l’ex deputata pugliese Valentina Palmisano (965 preferenze), l’ex primo cittadino di Bagheria, Patrizio Cinque (842 preferenze).

Nelle liste ci sono in tutto 76 candidati, 20 nella circoscrizione Nord Occidentale, 15 nella Nord Orientale e nella centrale, 18 per quella Meridionale e 8 nell’Insulare. Dei tre membri uscenti della delegazione europea del Movimento che non hanno raggiunto il tetto dei due mandati, Danzì e Pignedoli saranno capolista nelle due circoscrizioni del Nord. Nel Nord Ovest Danzì, già Vicepresidente della Commissione e alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, davanti all’ex direttore de La Notizia, Pedullà, del quale Conte ha dichiarato di condividere “battaglie e valori”. A Est Pignedoli, giornalista originaria di Reggio Emilia e già capolista nella stessa circoscrizione alle scorse elezioni, quando a limare le candidature era stato Luigi Di Maio che a guidare le liste aveva voluto cinque donne, Danzì e Pignedoli comprese. Dietro a Pignedoli, due dei nomi di conte: il fiorentino Ugo Biggeri, fondatore di Rete Lilliput e di Banca Etica, di cui nel 2010 diventa presidente, e la triestina Martina Pluda, ex cervello in fuga, animalista e oggi direttrice per l’Italia di Humane Society International, organizzazione internazionale per la tutela di animali e biodiversità. Il foggiano Mario Furore, il terzo parlamentare uscente, si accontenterà del terzo posto nella circoscrizione Sud, dopo l’avvocata Palmisano, già alla Camera nella scorsa legislatura e terza più votata in queste primarie, e al capolista voluto da Conte, l’ex presidente dell’Inps Pasquale Tridico. Con loro, al quarto posto in lista, l’altro nome di Conte al Sud, il pedagogista Maurizio Sibilio, prorettore all’Università degli Studi di Salerno. “Il mio impegno professionale si è rivolto costantemente all’inclusione scolastica e sociale, alla formazione e alle potenzialità didattiche delle innovazioni tecnologiche”, si legge nel cv online del candidato.

Al Centro la capolista è Carolina Morace. Nel curriculum linkato sul portale del Movimento scrive “emblema del calcio femminile italiano”. Nata a Venezia, ex calciatrice anche nella Nazionale, poi allenatrice azzurra e commentatrice televisiva, è sposata con l’ex calciatrice e allenatrice Nicola Jane Williams. Quando nel 2020 fece coming out sul suo matrimonio, Morace dichiarò che “nel calcio c’è troppa omofobia”. In lista con lei l’ex parlamentare europeo Dario Tamburrano, convinto ambientalista e promotore delle rinnovabili, e il napoletano Gianluca Ferrara, già vice presidente del gruppo in Senato e Capogruppo M5S in Commissione Affari Esteri tra 2018 e 2023. Per le Isole il capolista è l’ex presidente del Parco dei Nebrodi, sopravvissuto a un attentato nel 2016, Giuseppe Antoci, che in un’intervista la Fatto ha spiegato: “Per creare sviluppo la lotta alla mafia va fatta a Bruxelles. I fondi Ue sono un business più conveniente della droga”. Con lui l’altro nome di Conte, Cinzia Pilo, manager con “esperienza internazionale nella pianificazione e gestione di strategie in diversi paesi in multinazionali leader a livello mondiale nei settori bancario e dei pagamenti digitali”, scrive nel cv. E “da molti anni ininterrottamente presente nella lista #unstoppablewomen di StartupItalia, la lista delle donne che stanno cambiando l’Italia attraverso l’innovazione”. Il terzo posto va invece all’ex sindaco di Bagheria, Patrizio Cinque, campione di preferenze in Sicilia. Attivista dagli esordi del Movimento, “nel 2014 ho ricoperto il ruolo di Sindaco del Comune di Bagheria, dove insieme al gruppo locale e alla squadra di assessori e consiglieri che mi hanno coadiuvato, abbiamo gestito una difficile situazione finanziaria, portando il Comune fuori dal dissesto”, scrive.

Di seguito tutte le liste con i nomi:

CIRCOSCRIZIONE ITALIA NORD-OCCIDENTALE

Danzì Maria Angela
Pedullà Gaetano
Pepe Antonella
Sacco Sean
Lanfranchi Ester Luisa
Allario Giorgia
Gobbo Daniela
Verni Simone
Mazzola Paola
Calogero Elena
Parini Isabella
Romano Fabio
Sala Carolina
Colombo Luca
Aleotti Fabio
Sturaro Mariangela
Nunga Lodi Denis
Volpe Claudio
Boudard Jean François Camille
Bertolami Fabrizio

CIRCOSCRIZIONE ITALIA NORD-ORIENTALE

Pignedoli Sabrina
Biggeri Ugo
Pluda Martina
Morsiani Cinzia
Gori Paola
Ferri Maria Angela
Zattini Giacomo
Bernini Paolo
Malak Mohamad Kamel
Braghetta Stefania
Bolognesi Rada
Panza Fulvia
Nicolini Diego
Bardin Andrea
Antidormi Cesidio

CIRCOSCRIZIONE ITALIA CENTRALE

Morace Carolina
Tamburrano Dario
Ferrara Gianluca
Basile Giovanna
Esposito Giusy
Fazio Valentina
Lauretti Federica
Pacetti Giuliano
Volpi Stefania
Romagnoli Sergio
Emiliozzi Mirella
Pococacio Valentina
Ceccato Emanuele
Alloatti Luca
Cecere Stefano

CIRCOSCRIZIONE ITALIA MERIDIONALE

Tridico Pasquale
Palmisano Valentina
Furore Mario
Sibilio Maurizio
Sarno Maura
Della Valle Danilo
De Vita Laura
Corneli Valentina
Silvestri Gaia
Stella Fabio
Mancino Lelio
Belcastro Giuseppe Nunziato
Ruggiero Francesca Anna
Gaudiano Felicia
Coppola Annunziata
Labarile Maria Anna
Di Palma Riccardo
Incampo Vincenzo

CIRCOSCRIZIONE ITALIA INSULARE

Antoci Giuseppe
Pilo Cinzia
Cinque Patrizio
Di Prima Antonella
Farruggia Virginia
Porcu Matteo
Randazzo Antonino
Montaudo Matilde

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mercoledì 24 aprile 2024

Autonomia, caos in commissione: la maggioranza va sotto e passa emendamento M5s. Ma il presidente farà ripetere il voto

È scoppiato il caos in commissione Affari Costituzionali della Camera. La maggioranza di centrodestra è andata sotto e un emendamento del Movimento 5 stelle è stato approvato. Ma il presidente della commissione Nazario Pagano, esponente di Forza Italia, ha deciso di far ripetere il voto, scatenando ovviamente le proteste dell’opposizione. Con il risultato che la seduta è stata rinviata a venerdì.

A Montecitorio, dunque, si registra un clima di forte tensione, tra le urla dei presenti. L’emendamento era stato approvato con 10 voti a favore e 7 contrari. Si tratta della proposta numero 1.19, presentata dal M5S, che chiede di sopprimere dall’articolo 1 la parola “autonomia”. “Un emendamento molto significativo. Calderoli si è accorto chiaramente, lui era presente, è stato imbarazzante soprattutto per il ministro”, commenta Carmela Auriemma, deputata M5S che ha firmato la proposta. Il Pd, secondo quanto si apprende, non riconosce più la terzietà del presidente Pagano e ha chiesto di interrompere la seduta e rinviare tutto a venerdì. Richiesta che Pagano ha deciso di accogliere: “Non si è conclusa la procedura di voto. La Commissione riprenderà venerdì“, ha detto il presidente della commissione.

I precedenti – Per Pagano, dunque, non essendosi conclusa la procedura di voto sulla proposta di modifica, su cui – secondo i gruppi di opposizione – la maggioranza è stata battuta, venerdì si ripeterà la votazione dello stesso emendamento. La decisione del politico di Forza Italia è arrivata dopo una pausa concessa proprio per approfondire l’istruttoria: secondo il presidente della Commissione l’esistenza di precedenti consente di far ripetere la votazione. Il riferimento dell’esponente di Forza Italia è probabilmente al voto sul mandato al relatore sull’istituzione della commissione d’inchiesta sul Covid: il 17 gennaio, infatti, in commissione Affari Sociali il provvedimento non era passato per effetto di un pareggio (11 a 11), che per i regolamenti parlamentari vale come una bocciatura. Il voto però era stato ripetuto in commissione ed era passato, tra la rabbia delle opposizioni che si erano appellate a Lorenzo Fontana: dopo 48 ore il presidente aveva fatto ripetere ancora una volta il voto. Una dinamica molto simile a quella di oggi.

Opposizione all’assalto – Le opposizioni, ovviamente, sono andate all’assalto di Pagano. “La maggioranza è stata battuta in commissione Affari costituzionali sul ddl autonomia ma il presidente Pagano non sta riconoscendo l’esito del voto. Siamo davanti a un fatto di una gravità inaudita, è incredibile che dopo le continue forzature sull’esame in commissione, la maggioranza voglia adesso piegare l’esito di una votazione molto chiara. Non accetteremo questo tentativo di stravolgere l’esito di un voto così netto”, denuncia Simona Bonafè, capogruppo del Pd in commissione Affari costituzionali alla Camera. Secondo il Pd, tra l’altro, la proposta per non riconoscere la procedura di voto “non esiste in nessun articolo del regolamento, l’esito del voto era chiaro e certificato dai commissari d’aula e non c’è bisogno di ripeterlo”. Per la capogruppo del Pd alla Camera Chiara Braga la maggioranza è andata sotto “davanti a un incredulo Calderoli per l’assenza totale della Lega, ma non riconosce l’esito del voto. Non accetteremo la dittatura della maggioranza”.

Il centrodestra: “Il voto non era stato proclamato” – “L’opposizione ha proclamato il risultato che il presidente non ha proclamato, quindi ha molta fantasia”, sostiene invece il capogruppo di Fdi alla Camera, Tommaso Foti. La stessa versione di Iger Iezzi, capogruppo del Carroccio in Commissione: “Non è successo nulla, l’opposizione sbaglia. Il relatore Urzì aveva chiesto la parola e l’ordine dei lavori quindi era sospeso, io sono entrato esattamente in quel momento. C’è poco da polemizzare, come al solito l’opposizione della sinistra è farlocca“, dice il leghista. Completamente opposta, invece, la ricostruzione di Auriemma, prima firmataria dell’emendamento su cui la maggioranza è andata sotto: “Il voto c’è stato tanto che subito dopo le votazioni il segretario si e alzato e ha certificato i voti a favore e i contrari. Il presidente poi si è fermato, non l’ha proclamato per cercare di recuperare. Solo dopo sono arrivati i colleghi della maggioranza che mancavano”. “Ho fatto presente che il regolamento della Camera prevede che, qualora si ritenesse che ci siano state irregolarità – e non ce ne sono state – la nuova votazione avvenga immediatamente. E immediatamente non vuol dire solo a livello temporale ma anche ‘rebus sic stantibus’, ovvero con i medesimi soggetti”, dice Alfonso Colucci, deputato del M5s. “Non siamo disposti a riprendere i lavori in assenza di un pronunciamento del presidente della Camera e della Giunta del regolamento”, dice invece Filiberto Zaratti, capogruppo di Alleanza Verdi Sinistra.

L’emendamento: “Cancellare la parola autonomia” – La proposta di modifica propone che all’articolo 1 del testo sull’autonomia venga cancellata proprio la parola “autonomia”. L’emendamento recita: “Al comma 1 sopprimere le parole: e autonomia”. Questo il testo in questione: “La presente legge, nel rispetto dell’unità nazionale e al fine di rimuovere discriminazioni e disparità di accesso ai servizi essenziali sul territorio, nel rispetto altresì dei princìpi di unità giuridica ed economica, di coesione economica, sociale e territoriale, anche con riferimento all’insularità, nonché dei principi di indivisibilità e autonomia e in attuazione del principio di decentramento amministrativo e per favorire la semplificazione e l’accelerazione delle procedure, la responsabilità, la trasparenza e la distribuzione delle competenze idonea ad assicurare il pieno rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza di cui all’articolo 118 della Costituzione, nonché del principio solidaristico di cui agli articoli 2 e 5 della Costituzione, definisce i principi generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e per la modifica e la revoca delle stesse, nonché le relative modalità procedurali di approvazione delle intese fra lo Stato e una Regione, nel rispetto delle prerogative e dei Regolamenti parlamentari”-

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martedì 23 aprile 2024

Europee, Antoci (M5s): “Per creare sviluppo la lotta alla mafia va fatta a Bruxelles. I fondi Ue sono un business più conveniente della droga”

Dice Giuseppe Antoci che “quando per i mafiosi arrivano gli arresti è già troppo tardi, lo Stato ha già perso“. Che vuol dire? “Ho sempre pensato che la migliore lotta alla criminalità organizzata sia l’antimafia sociale, cioè quella che ha la forza e il coraggio di prendersi cura di chi ha avuto la sfortuna di nascere in periferia, dove magari è molto più facile finire a fare un certo tipo di vita”, spiega l’uomo che Giuseppe Conte ha scelto per guidare la lista del Movimento 5 stelle nella circoscrizione Isole. “Un campione dell’antimafia“, è arrivato a definirlo l’ex presidente del consiglio, presentando la sua candidatura alle Europee. “Ma io di mafia non ne sapevo nulla, non potevo immaginare quello che sarebbe successo”, racconta lui. Siciliano di Santo Stefano di Camastra, 56 anni, fino a poco più di dieci anni fa era soltanto un manager di banca. Poi nel 2013 il governo regionale di Rosario Crocetta lo nomina presidente del Parco dei Nebrodi: una riserva naturale da 85mila ettari che comprende 25 comuni tra le province di Catania, Enna e Messina. Molti di quei terreni, però, erano stati dati in affitto dalla Regione e dai Comuni ai boss di Cosa nostra, ai loro parenti e ai loro prestanome. Sui giornali l’hanno definita la mafia dei pascoli, ma a dispetto del nome arcaico è un’organizzazione moderna e dinamica. Il meccanismo era semplice e diabolico al tempo stesso, come spesso accade nelle cose di mafia: per ogni ettaro veniva pagato un canone di affitto compreso tra i 12 e i 30 euro. Quello stesso ettaro, però, arrivava a fruttare tra i 300 e i 900 euro di fondi Ue. “Un business paragonabile al narcotraffico, solo che in questo caso la percentuale di guadagno è maggiore, mentre quella di rischio è pari a zero”, spiega Antoci, che nei giorni scorsi è stato a Bruxelles per raccontare come la mafia sia riuscita ad accaparrarsi i fondi Ue nell’indifferenza generale. Proprio nella città dell’Eurocamera l’aspirante parlamentare ha risposto alle domande del fattoquotidiano.it: una lunga intervista in cui parla della sua candidatura, del protocollo di legalità che ha portato allo scoperto gli affari dei clan, dell’attentato subito nel 2016 e delle roventi polemiche nate su quel clamoroso agguato.

Dottor Antoci, partiamo dalla fine: perché ha deciso di candidarsi?
Negli ultimi anni ho incontrato migliaia di studenti di scuole e università: ho voluto raccontare le mia vicenda alle generazioni più giovani. Adesso, in un momento in cui tra l’altro varie parti del Paese vengono colpite da inchieste per voto di scambio e corruzione elettorale, ho semplicemente pensato che fosse arrivato il momento di mettere la mia esperienza al servizio della politica. Esattamente com’è accaduto quando ho accettato guidare il Parco dei Nebrodi.

Lei è stato un dirigente del Pd: come mai non si è candidato coi dem?
Avrei potuto farlo in passato quando Nicola Zingaretti me l’ha proposto. Ma non era ancora il momento, ora invece penso di sì.

Però oggi ha scelto di correre con i 5 stelle: come mai?
In questi anni quando c’era qualcosa da fare a livello di legislazione antimafia i 5 stelle ci sono sempre stati. E in tema di lotta alla mafia Giuseppe Conte ha dimostrato nettamente da che parte sta: ha candidato Roberto Scarpinato e Federico Cafiero De Raho, che per me sono una garanzia.

Perché vuole fare l’europarlamentare?
Perché la prima cosa che fa la lotta alla mafia è creare sviluppo. Lo abbiamo visto sui Nebrodi: l’economia esplode e arriva il lavoro solo quando liberiamo i territori dalla zavorra mafiosa. È quello che vorrei cercare di fare a Bruxelles: combattere la mafia per creare sviluppo in tutta l’Unione, visto che le mafie sono ormai completamente globalizzate. Anche quella che viene definita semplicemente come mafia dei pascoli.

In che senso?
La questione delle inflitrazioni nei fondi Ue per l’agricoltura non è un tema soltanto italiano. Anzi a questo proposito vorrei ricordare la figura di Jan Kuciak, il giornalista ucciso insieme alla sua fidanzata in Slovacchia. Quel giorno avrebbe dovuto vedere una sua collega, ma quell’incontro è saltato. In seguito questa persona mi ha intervistato e mi ha raccontato che sul suo pc Kuciak aveva un appunto con scritto “protocollo Antoci”. Kuciak stava ricostruendo gli affari della ‘ndrangheta nel suo Paese: evidentemente lavorava anche sulle infiltrazioni nei fondi Ue.

Lei ha detto che di mafia non sapeva molto, d’altra parte non è un magistrato e nanche un investigatore: come nasce dunque quel protocollo che colpisce i clan?
Io vengo nominato al vertice del Parco dei Nebrodi dal governo regionale di Rosario Crocetta nel 2013. Dopo il mio insediamento un funzionario di polizia e un paio di sindaci mi segnalano che ci sono alcuni agricoltori al centro della Sicilia vessati e minacciati. In pratica gli era vietato partecipare ai bandi della Regione per prendere in affitto i terreni e coltivarli.

Perché?
I bandi erano monopartecipati: si presentava una sola società che quindi si aggiudicava i terreni messi a gara. Una squadra di calcio giocava da sola, senza arbitro e ovviamente vinceva. A un certo punto mi sono chiesto: ma questi chi sono?

E chi erano?
Tutti mafiosi e parenti di mafiosi. Negli anni successivi abbiamo scoperto che prendevano fondi Ue Gaetano Riina, fratello del più noto Totò, le famiglie Santapaola ed Ercolano, le sorelle di Matteo Messina Denaro, i Pelle, i Pesce e i Mancuso che in Calabria sono note famiglie di ‘ndrangheta.

Come ci riuscivano?
La legge prevedeva che per bandi a base d’asta inferiori a 150mila euro non occorreva il certificato Antimafia rilasciato dalle prefetture. Bastava un’autocertificazione. I mafiosi assicuravano allo Stato di non essere mafiosi.

La novità del protocollo, dunque, è portare quella soglia a zero?
Esattamente. A quel punto è scoppiato il putiferio e ci accorgiamo che i casi non sono cinque, come gli agricoltori vessati, ma decine e decine: accadono vicende clamorose.

Per esempio?
Spesso capitava che qualcuno tentava di vendere un pezzo di terreno, magari ricevuto in eredità dal nonno. Andava dal notaio, che però gli diceva che quell’appezzamento non si poteva vendere perché c’era il vincolo dell’Agea, l’agenzia per le erogazioni in agricoltura: era un terreno destinatario di aiuto comunitario. C’erano pure le carte, firmate magari poco tempo prima dal nonno, che però magari era morto da decenni. Ovviamente era tutto falso.

I mafiosi “rubavano” i terreni a ignari possidenti con l’unico obiettivo di chiedere i fondi europei.
Solo che a volte qualcuno sbagliava.

Che intende?
Un pezzo della pista dell’aeroporto di Punta Raisi risultava terreno seminativo ed era in mano ai mafiosi. Lo stesso valeva per una porzione della base Nato di Niscemi, dove c’è il Muos, ma pure per un campo da calcio in Calabria e addirittura per la riserva di Marzabotto, in Emilia Romagna: figuravano tutti come terreni agricoli. Ecco perché il commissario Ue all’Agricoltura, Phil Hogan, ha promosso il nostro protocollo, definendolo “un esempio” di lotta alla mafia.

Una truffa del genere, però, non può essere realizzata solo da boss e gregari.
No, infatti. I protagonisti di questa storia non siamo soltanto io e i mafiosi.

E chi sono?
Il silenzio e le connivenze: le cose andavano così da almeno da 15 anni. In pratica mentre lo Stato ricordava le vittime delle stragi, nello stesso momento faceva arrivare milioni di euro nelle mani dei parenti di chi magari quelle stragi le ha armate.

Di che cifre parliamo?
Dopo l’entrata in vigore del protocollo, il direttore generale dell’Agea parlava di indebite percezioni per quasi 30 milioni di euro e l’annullamento di 28mila titoli per un valore di circa 9 milioni all’anno. Moltiplicato per sette, cioè gli anni della programmazione europea, vuol dire più di 60 milioni che erano in mano alla mafia. E parliamo di numeri relativi solo a una piccola provincia come quella di Enna.

Cifre che quindi vanno moltiplicate per tutto il Paese?
Assolutamente sì. La questione è molto più estesa della sola Sicilia e riguarda molte regioni italiane. Siamo seduti su un pozzo senza fondo: l’applicazione della norma devasterà i capitali mafiosi per i prossimi dieci anni.

Che fine fa tutto questo denaro?
Serve a mantenere le famiglie dei detenuti, per fare investimenti nel mercato della droga, in quello immobiliare. Le mafie sono liquide, si adattano al contenitore: negli anni ’80 dopo il terremoto la Camorra divenne la prima società edile in Irpinia. Poi investì nello smaltimento rifiuti. Negli anni duemila hanno capito che bisognava puntare ai fondi europei per l’Agricoltura: il rischio era pari a zero mentre i guadagni erano altissimi. E i soldi arrivavano direttamente sui loro iban.

Però mi scusi: come faceva a non accorgersene nessuno?
Gliel’ho detto, grazie al silenzio e alle connivenze: funzionari corrotti che segnalavano i terreni liberi, cioè quelli che non percepivano ancora i fondi, notai che trasferivano addirittura 200 particelle di terreno in una notte.

In pratica senza corruzione la mafia non si sarebbe mai potuta infiltrare nel sistema degli aiuti Ue?
È assolutamente così: c’è chi tace per paura ma anche chi è assolutamente complice.

Eppure l’attuale maggioranza di governo sta modificando molte delle norme relative ai reati contro la pubblica amministrazione.
Il clima nel nostro Paese è chiaro ed evidente: stanno picconando i presidi di legalità fondamentali per le indagini. Stanno eliminando pure reati spia come l’abuso d’ufficio. Quante sono le attività giudiziarie che partono dalle procure ordinarie ma poi arrivano alle direzioni distrettuali antimafia? Tantissime. Ma se demoliamo la prima parte, poi non ci sarà mai la seconda.

Finora il governo ha sempre assicurato che non saranno toccati i reati mafiosi e gli strumenti investigativi per indagare sui clan. Il ministro Nordio, però, qualche tempo fa ha detto che i boss non parlano al telefono quindi le intercettazioni sui mafiosi non sono poi tanto utili.
Senza intercettazioni io sarei morto: mi sono salvato perché avevo la scorta, che mi era stata assegnata dopo che alcuni boss avevano avanzato il proposito di uccidermi. Per fortuna quel summit era intercettato.

Era la notte del 18 maggio 2016, sparano sulla sua auto blindata dopo aver bloccato una strada sui Nebrodi con alcuni massi. C’erano anche le molotov per incendiare la macchina: quella frase di Nordio l’ha fatta arrabbiare?
Così si scherza con la vita delle persone. In questo modo il messaggio è che esporsi non conviene più e denunciare può essere quasi pericoloso. Io per fortuna ho ricevuto dalla mia famiglia la forza per andare avanti.

Otto anni dopo le inchieste sui suoi attentatori sono state tutte archiviate. Che effetto le fa sapere che oggi i colpevoli dell’agguato ai suoi danni sono ancora a piede libero?
Purtroppo la storia del nostro Paese è piena di stragi, attentati e delitti eccellenti rimasti irrisolti. Io penso che la magistratura abbia le idee chiare sui miei attentatori, ma per portare a processo la gente con l’accusa di strage servono le prove. Altrimenti si rischia di vederli finire assolti.

Sulla questione si è interrogata anche la Commissione Antimafia siciliana guidata da Claudio Fava, che ha ipotizzato tre piste dietro all’agguato: l’attentato fallito, l’atto dimostrativo o l’ipotesi di una simulazione.
Io penso che alla relazione della Commissione abbia riposto la magistratura definendo quelle tesi come “elucubrazioni mentali” e “preconcette”.

Nella relazione dell’Antimafia, comunque, lei è considerato una vittima in ogni caso, cioè qualsiasi sia la natura dell’agguato.
Secondo me il commento migliore a tutte queste ipotesi è rappresentato dalla medaglia d’oro al valor civile concessa dal presidente della Repubblica agli uomini che mi hanno salvato la vita: dal 1851 è stata assegnata soprattutto alla memoria.

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lunedì 22 aprile 2024

Sportiello (M5s): “Io insultata per aver detto di aver abortito. Le parole della vicedirettrice Boccia? Non mi sento autrice di un delitto”

“Sono stata insultata dopo aver raccontato la mia esperienza personale. Mi hanno detto: “Prenditi una camomilla prima di venire in Aula”, “Perché ce lo vieni a raccontare qua?”. Secondo questi parlamentari, una donna non deve dire di aver abortito ma se ne dovrebbe vergognare, stare zitta e meditare sul suo senso di colpa. Io, come ho detto in Aula, non mi sento in colpa e non mi vergogno, e insieme a me forse la stragrande maggioranza delle donne che hanno deciso di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza, come peraltro mi hanno testimoniato in questi giorni”. Sono le parole pronunciate ai microfoni di Uno, Nessuno, 100Milan (Radio24) dalla deputata del M5s Gilda Sportiello, che in Aula ha rivelato di aver abortito 14 anni fa e che ha duramente attaccato la destra per aver votato l’emendamento al dl Pnrr che consente ai Pro Life di presidiare i consultori quando una donna decide di abortire.

La parlamentare commenta le discusse parole della giornalista Incoronata Boccia, promossa a vicedirettrice del Tg1 dopo l’insediamento del governo Meloni, che nella trasmissione Che Sarà di Serena Bortone ha definito l’aborto “un delitto e non un diritto”: “Io non mi sento assolutamente autrice di un delitto. Questo ragionamento svela chiaramente cosa c’è dietro l’emendamento di Fratelli d’Italia al dl Pnrr. Qui in realtà chi pensa che la presenza degli antiabortisti all’interno dei consultori sia a sostegno della donna si sbaglia profondamente, perché negli altri paesi dove hanno addirittura legiferato per tenere lontani gli antiabortisti dai luoghi in cui si accetta l’interruzione di gravidanza – continua – parlano di queste presenze come di molestie organizzate, perché una donna che si reca in un consultorio deve avere l’aiuto che chiede. Il consultorio è un luogo pubblico e laico dove ci sono fior di professionisti multidisciplinari. Ed è questo che la donna merita: essere assistita da un professionista, non certo incontrare associazioni private ideologicamente orientate che sostengono questa narrazione della “colpa”, secondo cui chi abortisce è un assassino e compie un delitto. Non è affatto così”.

E aggiunge: “Non è vero che quello che hanno previsto con questo emendamento, e cioè l’ingresso di associazioni antiabortiste private nei consultori pubblici, è già scritto nella legge 194, anche perché anche un bambino capirebbe che se già fosse stato previsto dalla legge, non ci sarebbe stato bisogno di farne un’altra. Ma io in realtà in Aula ho fatto proprio questa domanda: ho chiesto al governo che si impegnasse attraverso un atto con cui afferma che queste associazioni non ci saranno perché minano la tutela del diritto all’interruzione volontaria di gravidanza che deve essere garantito nei consultori. E mi è stato risposto di no, quindi hanno detto chiaramente che vogliono le associazioni antiabortiste nei consultori”.

Sportiello, infine, risponde al conduttore Alessandro Milan sulla celebre foto che lo scorso anno la ritraeva mentre allattava in Aula il suo bimbo: “Questa è la dimostrazione del fatto che bisogna smetterla di etichettare le donne sulla base delle loro scelte e di dividerle in buone e cattive, madri e non madri. Io ho scelto di abortire 14 anni fa e quando ho voluto essere madre, lo sono diventata. L’immagine di me che allatto in Aula è semplicemente quella di una madre che torna a lavoro. A oggi ci sono molte più donne di me che compiono dei sacrifici incredibili per poter continuare ad allattare e conciliare il rientro a lavoro col ruolo di genitore”.

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domenica 21 aprile 2024

Europee, Conte presenta il simbolo del M5s: c’è l’hashtag pace. “Non c’è il mio nome e non mi candido, sarebbe una presa in giro”

La scritta Movimento 5 stelle 2050 e l’hashtag #pace. Il leader del M5s Giuseppe Conte ha presentato a ‘In mezz’ora‘ su Raitre il simbolo per le Europee: “Non ci sarà il mio nome nel simbolo”, ha detto l’ex premier. Che ha anche confermato che non si candiderà: “Nella nostra comunità non è pensabile che uno esibisce il nome sulla scheda e poi non è conseguente. Per noi è una presa in giro dei cittadini. Non è una questione di Schlein, ma anche di Meloni e altri leader. Farlo per acquisire qualche voto in più per noi è impensabile. Io non sarà candidato“, ha spiegato Conte.

“Appena finita la trasmissione, correrò al ministero dell’Interno per presentare il simbolo del M5S, è lo stesso ma a conferma del fatto che vogliamo essere costruttori di pace c’è un bell’hashtag: pace”, ha annunciato il presidente pentastellato mostrando il simbolo. Poi un altro annuncio: come anticipato da ilfattoquotidiano.it, Carolina Morace sarà candidata con i 5 stelle. “È una calciatrice che ha superato tantissimi primati sportivi, ma ha fatto anche saltare tutta una serie di stereotipi e ha squarciato degli schemi in un campo prima prevalentemente dei maschi“, ha commentato Conte.

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Toninelli: “Draghi? Super-sopravvalutato, dice di sì a tutti. Ecco come fregò Beppe Grillo dopo la caduta del Conte Due”

Mario Draghi futuro presidente della Commissione europea? Secondo me ha sbagliato i tempi e i modi nell’uscire allo scoperto, esattamente come quando mirava a diventare presidente della Repubblica. E alla fine non fu eletto. Se vuoi fare il presidente della Commissione Ue, non puoi uscire così allo scoperto e in anticipo”. Così, ai microfoni della trasmissione L’Italia s’è desta, su Radio Cusano Campus, l’ex ministro dei Trasporti Danilo Toninelli commenta le voci secondo cui l’ex presidente del Consiglio ed ex presidente della Bce stia per traslocare alla presidenza della Commissione Ue.

L’esponente del M5s ridimensiona fortemente la figura di Draghi: “Penso che i salvatori della patria non siano mai esistiti, ma in generale percepiti o raccontati. La storia non ha salvatori della patria, ma comunità che poi creano dei soggetti che devono condurre queste comunità a delle soluzioni a diversi problemi. Secondo me, Draghi è super-super-sopravvalutato. È stato bravo in una cosa: a far percepire di essere un grande, più di quanto non lo sia veramente”.

E spiega: “In base alla mia piccola storia personale, ho conosciuto Draghi e i suoi atteggiamenti. Quando cadde il governo Conte Due, io ero ferocemente contrario all’appoggio al governo Draghi, per me l’ok del M5s fu davvero scellerato. Purtroppo ci fu il sostegno perché Di Maio sponsorizzava fortissimamente Draghi. E poi si capì il perché: Di Maio voleva mantenere la poltrona di ministro. In quei giorni difficili ero costantemente al telefono con Beppe Grillo a cui dicevo continuamente che noi grillini eravamo dei ‘francescani’ e che non potevamo appoggiare un banchiere, che è l’antitesi dell’umanità e dell’altruismo. Ma Beppe – continua Toninelli – mi rassicurava dicendo che Draghi aveva dato l’ok alla carbon tax e ad altre nostre proposte. Da lì ho capito una cosa proprio a livello umano di Draghi: lui dice di sì a tutti pur di ottenere un appoggio. Se ha davanti uno pro-inceneritore gli dice che è d’accordo, se ha di fronte uno contrario all’inceneritore dice ugualmente che è d’accordo, così ottiene il sostegno di tutti e due”.

L’ex ministro racconta poi un aneddoto, tra le risate dei conduttori: “Solo dopo Beppe Grillo si è messo le mani ai capelli e ha ammesso il suo grossissimo errore. Draghi lo ha fregato, anche perché Beppe dà una grandissima importanza all’ironia e all’autoironia, qualità che la politica ormai ha perso completamente. E invece nelle sue lunghe chiacchierate con Grillo, al fine di portare il M5s a questa scelta folle di appoggiare il suo governo, Draghi diede prova di ironia. In una circostanza, alla battuta di Beppe “le fragole sono mature”, questo qua rispose “anche i mirtilli” o una cosa del genere. Insomma, stette al gioco e questa cosa stupì sicuramente Beppe, che è un puro, non certo uno di palazzo, né conosce le strategie di affabulazione politica“.
Toninelli conclude: “Insomma, delle doti ne ha il signor Draghi. Speriamo che porti anche dei risultati, perché oggi a essere eclatante è più la sua immagine che il resto”.

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venerdì 19 aprile 2024

Europee: la carica dei candidati alle Parlamentarie M5s, compreso qualche ex. Lunedì nuovo voto per definire le liste

C’è chi punta a un secondo mandato come l’eurodeputato Dario Tamburrano, ci sono ex parlamentari di Camera e Senato come il toscano Gianluca Ferrara o Paolo Bernini in Emilia Romagna. Ci sono ex sindaci come i siciliani Patrizio Cinque e Federico Piccitto. Il Movimento 5 Stelle ha chiuso il primo turno delle Parlamentarie per le elezioni europee. Gli iscritti, divisi per Regione, hanno scelto tra quasi 500 autocandidati. Nel 2019 erano stati circa 2600. Sul sito del Movimento è consultabile la lista degli ammessi al secondo turno, che è in programma lunedì prossimo. Quando gli iscritti torneranno a esprimersi, in questo caso divisi per circoscrizione, per stabilire chi avrà diritto ad un posto in lista nella corsa verso il Parlamento europeo. Tra i 500 candidati, spiega Vito Crimi, “il rapporto tra donne e uomini era di circa 30 a 70”. Il presidente del Movimento Giuseppe Conte ha sottolineato che “c’è la possibilità di poterci giovare dell’apporto anche di personalità che ci rafforzino in termini di competenza e di capacità nelle politiche che vogliamo portare avanti in Europa per farci sentire sempre più determinati”.

Nell’elenco degli ammessi al secondo turno, pubblicato per ordine alfabetico, spicca il nome del direttore de La Notizia Gaetano Pedullà. Lo stesso presidente Giuseppe Conte, in un post sulla sua candidatura, ha detto di condividere “battaglie e valori” con il giornalista iscritto al M5s. Tra gli ex parlamentari che accedono al secondo turno, Sergio Romagnoli e Mirella Emiliozzi nelle Marche, Valentina Corneli in Abruzzo, Valentina Palmisano dalla Puglia. In corsa anche diversi ex consiglieri regionali.

Lunedì gli iscritti al M5s sceglieranno tra i candidati presenti nell’elenco, a cui si aggiungeranno le autocandidature da Friuli Venezia Giulia, Molise, Sardegna, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta, che hanno avuto accesso diretto al secondo turno. Il Movimento si esprimerà online anche sulla rosa di nomi scelti dal presidente che verrà resa nota prima della votazione.

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Europee, il M5S candida Carolina Morace, ex calciatrice della Nazionale e paladina dei diritti civili

Una ex centravanti per l’avvocato. Il nuovo nome che Giuseppe Conte è pronto a giocarsi come esterna di peso per le Europee è quello dell’ex calciatrice Carolina Morace. Già attaccante della Nazionale con 105 reti segnate, allenatrice di calcio – nel 1999 guidò la Viterbese nell’allora C1, diventando la prima allenatrice di una squadra maschile – e avvocato, Morace è stata la più importante calciatrice italiana.

Veneziana, classe 1964, opinionista per vari programmi, è sposata con un’ex calciatrice australiana. In suo libro, Fuori dagli schemi, si lamentò del calcio “pieno di pregiudizi e omofobia”. E sono anche le sue posizioni pubbliche sui diritti civili ad aver spinto il Movimento a contattarla, già diverse settimane fa, per sondarla su una eventuale candidatura.

Due anni fa, Morace raccontò che non le sarebbe dispiaciuto candidarsi sindaca a Venezia. “Come ha fatto Damiano Tommasi a Verona” disse al Corriere della Sera. Ma ora è pronta ad accogliere l’offerta di Conte, probabilmente correndo nella circoscrizione Centro, da seconda in lista. La trattativa, raccontano fonti del Movimento, è ormai agli ultimi dettagli. Mentre si lavora anche “ad altri innesti”, come ha spiegato lo stesso Conte. Ossia ad altri esterni, con l’obiettivo di allargare il perimetro elettorale del M5S. Per questo l’ex premier ha visto con favore l’autocandidatura del direttore de La Notizia Gaetano Pedullà, che ieri ha superato la prima selezione sul web per la circoscrizione Nord-Ovest.

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Baldino (M5s) contro Meloni: “Ogni giorno ci sono inchieste per corruzione e lei è impegnata a insidiare i diritti delle donne. Paese merita di più”

“Ogni giorno vediamo inchieste e arresti legati a corruzione o voto di scambio. La politica dovrebbe dimostrare più responsabilità, e invece vediamo che la premier Meloni è impegnata in altro, come insidiare i diritti delle donne sull’aborto e a contrastare l’anticorruzione e l’antimafia invece che la corruzione e la mafia. Nel frattempo per i cittadini ci sono più tasse e tagli alla sanità. Il Paese merita di più” . Così la deputata del Movimento 5 Stelle Vittoria Baldino.

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giovedì 18 aprile 2024

Diritto all’aborto, il duro intervento di Sportiello (M5s) contro il governo: “Noi donne scegliamo cosa vogliamo, vi dovreste vergognare”

Duro intervento della deputata del Movimento 5 stelle, Gilda Sportiello. Durante la discussione alla Camera sul Dl Pnrr ha parlato sia contro la decisione del governo di non dare seguito a un ordine del giorno del Movimento 5 stelle sul diritto all’aborto, sia contro l’emendamento della maggioranza che apre le porte dei consultori agli antiabortisti.

“Oggi avete definitivamente calato la maschera – ha esordito Sportiello – Non c’è scritto da nessuna parte nella legge 194 che bisogna convincere le donne a non abortire. Questo è il vostro obiettivo”. “Questo emendamento – ha proseguito riferendosi alla scelta del governo di aprire le porte dei consultori ai Pro Vita – lo avete fatto decidere a un uomo. Lo avete fatto presentare a un uomo che deve decidere cosa dobbiamo fare noi donne con i nostri corpi”. “Siamo noi donne che scegliamo cosa vogliamo nella nostra vita, se essere madri o se non essere madri, nessuno ce lo concede o ci dà l’opportunità. Vi dovreste solo vergognare!”, ha poi attaccato la deputata.

Per poi raccontare la sua storia personale: “Le dico una cosa: sono madre, ho scelto di essere madre. Quattordici anni fa ho scelto di abortire, e sa perché lo dico qui, nel luogo più alto della rappresentanza democratica di questo Paese, in cui ancora oggi qualcuno fa fatica a dire la parola ‘aborto’ o gli tremano le gambe quando si parla di aborto? Lo dico qui perché non vorrei che nessuna donna che in questo momento volesse abortire si sentisse attaccata da questo Stato, perché una donna che oggi sceglie di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza possa sapere che c’è uno Stato amico, e non è questo Governo, perché, quando mi guardo allo specchio, non mi sento né colpevole né mi vergogno”. L’intervento si è concluso tra gli applausi dai banchi di M5S, Pd e Avs e le proteste dai banchi di FdI.

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“Tentati suicidi e diritti calpestati: i Cpr vanno chiusi, sono lager occidentali”. La denuncia di associazioni e opposizioni dopo le visite ai centri

Dalla somministrazione “massiccia” di psicofarmaci ai tentativi di suicidiominimizzati dagli enti gestori, in gran parte privati, come mere simulazioni”, alle tracce e segni di autolesionismo riscontrati tra i migranti reclusi. E ancora, spaesamento e incertezza dovuta all’assenza di diritti, compreso quello alla salute, con patologie gravi non trattate e forte disagio psichico. Questo è quanto emerge rispetto alle condizioni di vita delle persone “trattenute” negli otto Centri di permanenza per il rimpatrio italiani – ovvero, Gradisca d’Isonzo (Gorizia), Milano, Roma, Palazzo San Gervasio (Potenza), Bari, Restinco (Brindisi), Caltanissetta e Macomer (Nuoro) – secondo il dossier realizzato dalle circa quaranta organizzazioni che fanno parte del Tavolo Asilo e Immigrazione.
Al seguito di alcuni parlamentari di Pd, Movimento 5 stelle, Alleanza Verdi e Sinistra, + Europa, sono state realizzate alcune visite ispettive che hanno confermato tutte le criticità da tempo denunciate nel corso di complicati monitoraggi, anche per le difficoltà di accesso all’interno delle strutture. “Un buco nero, dei ‘non luoghi’ dove tutto è arbitrario e dove non sono garantiti i diritti elementari”, denunciano le associazioni. “Piccoli lager occidentali“, attacca pure il deputato PD Matteo Orfini, reduce dall’ispezione a Ponte Galeria, insieme alla collega dem Rachele Scarpa. Insieme a loro, diversi i parlamentari hanno partecipato alle visite, dai dem Susanna Camusso e Matteo Mauri (PD), passando per Nicola Fratoianni (segretario di Sinistra italiana), Riccardo Magi (+Europa), Alfonso Colucci (M5S).
“Questi luoghi non sono regolamentati, il Testo unico sull’immigrazione dice solo che devono essere rispettati standard minimi, dopodiché c’è il vuoto. La gestione è affidata a soggetti privati, vige l’anarchia, un trattamento disumano e degradante. Le persone passano lì fino a 18 mesi, attendendo il rimpatrio senza poter aver accesso ai diritti fondamentali”, denuncia Gennaro Santoro di Antigone. Mentre Fabrizio Coresi di ActionAid Italia precisa come “la privatizzazione della gestione amministrativa è rischiosa anche per la deresponsabilizzazione della Pubblica amministrazione”. E ancora: “Ci sono persone che non hanno commesso alcun reato con una provenienza da tutto il mondo, in gran parte dal Nord Africa, dalla Libia e dalla Tunisia. E anche richiedenti asilo, al di là delle norme”.
“Laddove è stato possibile visionare il registro degli eventi critici, abbiamo registrato atti autolesionistici all’ordine del giorno, così come è impressionante il numero di tentativi di suicidio”, raccontano dal Tavolo Asilo e immigrazione.
Per questo, ha spiegato Filippo Miraglia di Arci, “abbiamo deciso di realizzare insieme all’aiuto delle forze di opposizione questo monitoraggio, per fare pressione sul governo Meloni e su un’Unione Europea che invece continuano a seguire il principio della detenzione amministrativa. Al contrario di quanto dice il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, non c’è scritto in nessuna direttiva europea che sia obbligatorio aprire dei centri di detenzione per gestire i rimpatri, è una bugia. Ma è anche inefficace, perché anche se è stato aumentato il periodo di detenzione, come i posti disponibili, il numero delle persone rimpatriate è sempre lo stesso”. E ancora: “Non è poi vero che nei Cpr vengano recluse le persone che hanno commesso reati. Certo abbiamo trovato anche persone che escono dal carcere, una doppia pena”.
L’appello alle forze politiche è quello di far diventare l’opposizione ai Cpr e l’invito alla loro chiusura un patrimonio comune per il futuro, anche in vista della costruzione di un’alternativa rispetto alle politiche del governo Meloni: “Va ricordato come questi centri siano stati introdotti nel 1998 con un governo di centrosinistra. Ora siamo soddisfatti che per la prima volta a fianco della società civile, una parte significativa delle forze parlamentari li metta in discussione, alla luce di 25 anni di politiche fallimentari che contano, oltre allo spreco di denaro pubblico, più di 40 morti dalla loro istituzione e violenze sistematiche”, spiega Miraglia.
“Sul tema dei migranti il Pd in passato ha fatto molti errori, in pochi siamo stati a denunciarlo, votando anche in dissenso in Aula”, ha rivendicato Orfini. “Ma ora c’è un cambio di passo con la nuova segreteria Schlein, e con il responsabile immigrazione Pierfrancesco Majorino, la sua storia è già una risposta, c’è una sensibilità nuova nel partito”, ha aggiunto Orfini. Per poi invitare la stessa Giorgia Meloni a visitare un Cpr: “Ho come la sensazione che spesso non sappiano nemmeno di che cosa parlino. Entrino dentro questi centri, magari in veste di parlamentare, non tanto di premier”.

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M5s, aperto il primo turno di votazioni online per scegliere i candidati alle Europee: gli aspiranti sono quasi cinquecento

Si è aperta la prima fase della consultazione online del Movimento 5 stelle per scegliere i candidati alle Europee dell’8 e 9 giugno. Dalle 10 alle 22 di giovedì 18 aprile, gli iscritti da più di sei mesi potranno votare sul sito le proposte di autocandidatura pervenute nelle rispettive regioni. In seguito si svolgerà un secondo turno per definire le liste nelle cinque circoscrizioni in cui è suddivisa l’Italia (Nord-Est, Nord-Ovest, Centro, Sud, Isole). In totale gli aspiranti europarlamentari sono quasi cinquecento, tutti sottoposti – comunica il Movimento – a “un’attenta valutazione sia del possesso dei requisiti previsti dall’apposito regolamento che della documentazione prodotta”.

Al primo turno non voteranno gli iscritti di Friuli Venezia Giulia, Molise, Sardegna, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta, Regioni dove le autocandidature sono in numero inferiore a quello dei nomi che possono accedere al secondo turno. In Basilicata, Calabria, Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia, Piemonte, Toscana e Veneto, si dovrà scegliere solo tra i candidati di sesso maschile, mentre quelle di sesso femminile accederanno direttamente al secondo turno. “Dobbiamo indicare persone che possano rappresentare i nostri valori, il nostro impegno per la pace, per ambiente, lavoro, legalità, diritto alla salute”, scrive su Facebook il leader pentastellato Giuseppe Conte.

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mercoledì 17 aprile 2024

Bari e lo psicodramma del centrosinistra. Perfino Verdi e Sinistra spaccati. Il Pd: “Divisioni regalo alla destra”. M5s sicuro: “Conte ha fatto bene”

Non sono bastati mesi di trattative e scontri, primarie saltate dopo lo strappo del M5s di Giuseppe Conte nello sfondo delle inchieste giudiziarie, né il tentativo disperato di un terzo nome in grado di fare sintesi.

Alla fine, dopo l’ultimo vertice, i due candidati in campo a Bari per l’area progressista, Vito Leccese e Michele Laforgia, si sono incontrati e hanno deciso di andare ognuno per la sua strada. Soltanto una sorta di “patto di non belligeranza” e un impegno futuro in vista di un eventuale ballottaggio e, in caso di vittoria, per una collaborazione nel governo della città. Nulla di più. E così non sono mancate le accuse verso chi ha deciso di strappare, visto il pericolo di spianare la strada alla destra.

“In un momento in cui c’è un governo che forza sul premierato e sull’Autonomia differenziata, andare divisi in una città come Bari significa favorire un candidato che proviene proprio dalla Lega (Fabio Romito, ndr)”, rivendica il deputato dem barese Ubaldo Pagano. E ancora: “Spero si faccia come hanno promesso i due candidati, che si parli di programmi e di proposte”. Tradotto, che non si alimentino le tensioni dentro l’area del centrosinistra, o del ‘campo largo’, per poi cercare di convergere in un eventuale secondo turno.

“Un regalo alla destra? No, credo che Conte abbia fatto la scelta corretta, Laforgia rappresenta una novità. E che la discontinuità possa far bene. Elettorato disorientato, magari dopo una campagna elettorale dai toni accesi? Nessuno dubbio che un elettore dem possa votare per Laforgia”, taglia corto invece il capogruppo M5s alla Camera Francesco Silvestri. In casa dem è invece Matteo Orfini a rivendicare: “Che senso ha, nel momento in cui si dichiara di stare dalla stessa parte e di volersi ritrovare al secondo turno, disperdere prima questo patrimonio e andare divisi?”. Mentre la senatrice Susanna Camusso avverte: “Di una sconfitta sarebbe responsabile chi ha determinato questa rottura”.

Ma se Pd e M5s si rimpallano le responsabilità, nel giorno in cui si certifica la spaccatura nel centrosinistra, c’è un altro caso Bari. Quello legato ad Alleanza Verdi Sinistra, che rischia a sua volta di correre divisa e senza simbolo nel capoluogo pugliese. Perché se Angelo Bonelli (co-portavoce di Europa Verde) ha confermato il sostegno a Vito Leccese, dal fronte di Sinistra italiana – che ancora sostiene Michele Laforgia – le riflessioni sono in corso. Dallo staff del segretario Nicola Fratoianni precisano di non voler ancora parlare pubblicamente, mentre Bonelli invita SI a cambiare rotta e candidato: “Non è ancora detto che il simbolo di Avs non si presenterà a Bari, ma non farlo sarebbe un errore“.

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Enrico Costa riesce a polemizzare con il M5S anche quando è d’accordo. Battibecco alla Camera sulla giustizia

Botta e risposta in Aula tra Enrico Costa, deputato di Azione, e il Movimento 5 stelle. Costa, infatti, pur annunciando il voto favorevole a un ordine del giorno del Movimento 5 stelle che chiedeva un impegno al governo per finanziare la promozione e il sostegno di attività negli istituti penitenziari, non ha perso l’occasione per polemizzare con i colleghi pentastellati.

“Sorprende la conversione del Movimento 5 stelle sull’articolo 27 della Costituzione – dice Costa tra le proteste del Movimento 5 stelle – Io apprezzo il fatto che oggi abbiano citato l’articolo 27 della Costituzione, però ricordo che l’articolo 27 della Costituzione richiama sia il principio di rieducazione della pena, ma anche la presunzione di non colpevolezza. Un tema e un principio che mi pare che in quest’Aula, proprio da quella parte, siano stati un po’ trascurati, non dico messo sotto i piedi, ma dico un po’ trascurati. Mi piacerebbe che, oltre a quest’ordine del giorno, si tenesse conto di un fatto: che un terzo della popolazione detenuta è in assenza di una sentenza definitiva e abbiamo tantissimi detenuti in attesa di una prima sentenza”.

Immediata la risposta prima del deputato Francesco Silvestri e poi della collega Carmela Auriemma. “Ricordo al collega Enrico Costa che probabilmente è lui che si è svegliato questa mattina perché la proposta di legge l’abbiamo fatta 5 anni fa. Quindi, basta andare sul sito della Camera dei deputati e leggere: è uno sforzo che possono fare tutti”, osserva Silvestri.

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martedì 16 aprile 2024

Intercettazioni, primo ok al ddl Zanettin: stop dopo 45 giorni. Pd e Verdi-Sinistra astenuti. Scarpinato: “Così smantellano le indagini”

Arriva il primo ok alla proposta di legge per vietare le intercettazioni oltre la durata di un mese e mezzo. La Commissione Giustizia del Senato ha approvato il ddl sulla proroga degli ascolti a prima firma di Pierantonio Zanettin (Forza Italia), modificato da un emendamento presentato a marzo dalla relatrice, l’ex ministra leghista Erika Stefani. Il testo riscrive l’articolo 267 del codice di procedura penale: se adesso le intercettazioni possono essere prorogate senza limiti dal gip, su richiesta del pm, per periodi successivi di 15 giorni, da domani non potranno “avere una durata complessiva superiore a 45 giorni, salvo che l’assoluta indispensabilità delle operazioni per una durata superiore sia giustificata dall’emergere di elementi specifici e concreti, che devono essere oggetto di espressa motivazione”. Dopo le proteste del Pd, seconda versione dell’emendamento Stefani ha escluso dalla tagliola i reati di criminalità organizzata, per cui resta in vigore l’attuale disciplina (quaranta giorni prorogabili per periodi successivi di venti, qualora sussistano “sufficienti indizi”).

Per poter intercettare oltre il limite, dunque, il pm dovrà portare al gip “elementi specifici e concreti”. Anche in questa espressione è nascosta una stretta: al momento, infatti, per ottenere la proroga serve dimostrare (oltre ai “gravi indizi”) l’”assoluta indispensabilità” del mezzo di ricerca della prova, che può essere ritenuta sussistente anche nel caso in cui gli indagati, come spesso accade, per un certo periodo non dicano nè facciano nulla di compromettente. Con la nuova norma, invece, servirà per forza un “risultato” investigativo entro i primi 45 giorni. Sull’emendamento – passato con i consensi della maggioranza – il M5s ha votato contro, mentre Pd e Alleanza Verdi e Sinistra ha scelto di astenersi: “L’emedamento di Erika Stefani ha recepito in parte le nostre richieste. Ma non escludo che in Aula voteremo contro perché si tratta di un provvedimento comunque incompleto e scritto male”, dice il capogruppo dem in Commissione Alfredo Bazoli.

Durissimo il senatore 5 stelle Roberto Scarpinato, già magistrato antimafia: “Con questa maggioranza siamo ormai allo smantellamento del principale strumento investigativo, le intercettazioni. Il provvedimento approvato oggi – che limita a soli 45 giorni il tempo degli ascolti anche per reati gravissimi come la strage, gli omicidi, i reati relativi alla violenza sulle donne previsti dal codice rosso, le rapine aggravate e tanti altri – si aggiunge agli altri provvedimenti già approvati e a quelli in cantiere in materia di intercettazioni, tutti finalizzati a limitarne l’uso per i reati dei colletti bianchi, garantendo così la loro impunità anche a costo di sacrificare per tale scopo superiore, l’esigenza fondamentale della difesa dei cittadini contro le forme più gravi del crimine. Manca solo l’ultimo tassello del divieto del trojan per i colletti bianchi (previsto da un emendamento al ddl cybersicurezza, ndr) e l’opera sarà completata. Per capirci, applicano il principio della rana bollita di Noam Chomsky procedendo a rate, invece che in un’unica soluzione”, afferma.

Da Forza Italia invece si festeggia proprio ricordando tutti i provvedimenti restrittivi approvati in questo senso: “Con quest’ultimo disegno di legge si completa il quadro della riforma delle intercettazioni. Siamo partiti dalla famosa indagine conoscitiva (condotta proprio in Commissione al Senato, ndr) e poi abbiamo vietato le intercettazioni tra avvocato e cliente (nel ddl Nordio, ndr). Poi la settimana scorsa abbiamo approvato la disciplina per il sequestro dello smartphone con relativa acquisizione dei dati. Da ultimo c’è il provvedimento approvato oggi in Commissione”, rivendica Zanettin. “Grazie a Pierantonio Zanettin siamo riusciti a completare il quadro delle riforme che Forza Italia voleva per le intercettazioni. Ora dobbiamo portare questi provvedimenti in Aula e farli diventare legge“, è invece l’appello alla maggioranza del viceministro azzurro alla Giustizia, Francesco Paolo Sisto.

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Tagli ai caregiver in Lombardia, le associazioni non vengono ricevute dal centrodestra. M5s attacca: “Avete preferito andare al Salone”

Una convocazione del Consiglio irrituale, alle 14.30, quando a pochi passi dal Pirellone, il mattino, centinaia di persone manifestavano contro i tagli per le famiglie con persone con disabilità decisi dal governo Meloni e recepiti dalla Giunta lombarda guidata da Attilio Fontana alla fine del 2023. Le opposizioni in Consiglio regionale hanno chiesto spiegazioni alla maggioranza di centrodestra che, oltre a convocare i lavori nel pomeriggio, ha scelto di ignorare le associazioni presenti in piazza che chiedevano di essere ricevute. Così i consiglieri di minoranza, quando non hanno ricevuto risposte dal presidente Federico Romani, hanno mostrato un cartello di protesta (“No ai tagli al sociale”) e hanno abbandonato l’Aula.

Il gruppo del M5s ha chiesto le dimissioni dell’assessora alla Disabilità, Elena Lucchini: “In quattro mesi, nonostante le nostre richieste, i rappresentanti del centrodestra non hanno trovato il tempo di ascoltare i rappresentanti delle Associazioni in audizione – ha detto il capogruppo Nicola Di Marco – In quattro mesi non hanno fatto nemmeno un passo indietro, rispetto agli osceni tagli all’assistenza ai disabili decisi dal governo e avallati dalla Giunta regionale fra Natale e Capodanno. Questa mattina, hanno preferito rinviare il Consiglio regionale e andare al Salone del Mobile, piuttosto che confrontarsi con le centinaia di persone presenti in piazza”. Per questo “chiederemo al Consiglio regionale se intenda avallare a sua volta questa vergogna o se è pronto, come noi, a un gesto di discontinuità nell’Assessorato“. Poi la richiesta: “L’assessora Lucchini in questi mesi non è stata in grado di trovare dieci milioni di euro per le famiglie delle persone con disabilità, mentre la Giunta decideva di spenderne altrettanti per la propria propaganda sui social. Se non si è in grado di e più fondi per la disabilità, allora è il caso di cambiare mestiere”.

Mail: a.marzocchi@ilfattoquotidiano.it

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lunedì 15 aprile 2024

Bari, Colaianni rinuncia alla candidatura che doveva unire Pd-M5s: “Rigidità, difficile unire”

Nicola Colaianni fa un passo indietro e rinuncia alla candidatura unitaria del centrosinistra alle elezioni comunali di Bari. L’ex magistrato ha spiegato di aver accolto “con spirito di servizio” la proposta così da evitare “la divisione da più parti temuta”. Ancora domenica il leader del M5s Giuseppe Conte aveva ribadito che la candidatura di Nicola Laforgia, sostenuto anche da Sinistra Italiana e Italia Viva, non era tramontata.

Oggi la decisione dell’ex magistrato. Era stato Nichi Vendola chiedergli la disponibilità a tenere unito il campo progressista e superare le due candidature di Michele Laforgia e Vito Leccese: “Ho garantito ai due candidati, e alle forze che li sostengono, pari dignità, controllo sulla pulizia delle liste, trasparenza e, naturalmente, legalità. Ho riscontrato, tuttavia, che, pur nella sostanziale convergenza ideale e programmatica, permangono rigidità che non rendono possibile una composizione”, ha spiegato Colaianni.

Adesso “con lo stesso spirito di servizio – spiega ancora – rinuncio perciò al tentativo e rimetto con serenità ai due candidati il compito di porre le basi per il sostegno reciproco nelle fasi ulteriori del procedimento elettorale”. Nelle ore precedenti, Laforgia aveva spiegato che “con tutto il dovuto rispetto per i partiti e i leader nazionali, per Bari si decide a Bari, non a Roma”.

Sabato sera, aveva ricordato, “le forze politiche, i movimenti e le associazioni che sostengono la mia candidatura, mi hanno incaricato di verificare le condizioni per la candidatura unitaria di Nicola Colaianni e attendiamo l’esito delle consultazioni di Vito Leccese e della direzione regionale del Pd prevista per oggi pomeriggio”. Tutto inutile, ora che Colaianni ha deciso di fermarsi. Tuttavia, Laforgia aveva sottolineato di aver “rimesso da tempo la candidatura a sindaco nelle mani di chi mi ha proposto e mi ha sostenuto fino a questo momento, ribadendo la volontà di cercare sino all’ultimo minuto utile una soluzione unitaria”.

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domenica 14 aprile 2024

Bari, Conte conferma la candidatura di Laforgia: “Nessuna ragione per accantonarla”

“Non abbiamo ragione per accantonare la candidatura di Michele Laforgia a sindaco di Bari, ma vedremo quello che succederà nelle prossime ore”. Da Corigliano Rossano, in provincia di Cosenza, Giuseppe Conte conferma ancora una volta che il Movimento 5 stelle sosterrà l’avvocato penalista, appoggiato già da Sinistra italiana, Italia viva, +Europa e socialisti. “Abbiamo una sfida importante per il governo della città – ha aggiunto l’ex premier – Una sfida che sta diventando anche di risonanza nazionale. Dobbiamo pensare alla comunità barese. E serve un segnale di forte rinnovamento. Lasciamo che siano le forze locali a valutare la situazione. Laforgia non l’abbiamo scelto noi, ma la comunità civica e le componenti sane di Bari. E in questo senso ci ha convinto”.

In mattinata, intanto, il candidato del Pd Vito Leccese ha commentato la proposta di candidatura del terzo aspirante sindaco per il centrosinistra, cioè Nicola Colaianni, professore universitario ed ex deputato, oggi 78enne. “Nella giornata di domani concluderò gli incontri con i responsabili delle forze politiche che sostengono la mia candidatura per una valutazione congiunta. Al termine della consultazione mi riservo di incontrare Michele Laforgia per condividere insieme il percorso futuro. Da parte mia sento tutto il peso della responsabilità per una decisione che può rivelarsi decisiva per il futuro della coalizione del centrosinistra e della città di Bari”, ha detto l’attuale capo di gabinetto del sindaco uscente Antonio Decaro.

Colaianni, contattato dal leader di Sinistra italiana ed ex presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, ha dato la sua disponibilità a tenere unita la coalizione all’appuntamento delle comunali di giugno. Per essere unita, però, la coalizione dovrebbe passare prima dal ritiro di Leccese e Laforgia. I due candidati avrebbero dovuto confrontarsi con le primarie lo scorso 7 aprile ma le inchieste giudiziarie sul voto di scambio che hanno coinvolto esponenti di Comune e Regione hanno spinto Conte a sfilarsi dalla competizione perché, come sostenuto in più occasioni da Laforgia, c’era il rischio che potessero essere inquinate. Conte ha dunque proposto al Pd di appoggiare Laforgia, ma al momento i dem non sembrano convinti di mollare Leccese. Da qui è arrivata la proposta di Vendola. Il leader dei 5 stelle, però, ha escluso l’ipotesi di cambiare candidato. Almeno fino a oggi.

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venerdì 12 aprile 2024

È il campo largo a sinistra a favorire la destra, non il contrario: ecco perché lo penso

di Andrea Vivalda

Sono ormai mesi che i principali media orientati all’area di centrosinistra insistono sulla necessità per il campo progressista di coalizzarsi a tutti i costi per contrastare le destre: “altrimenti Meloni governerà per vent’anni” è la frase più gettonata fra giornalisti e commentatori che un giorno sì e l’altro pure addebitano a Giuseppe Conte il demerito di boicottare il campo largo per – a loro dire – “smania di personalismo”.

Ciò che in questa litania ormai stereotipata non si comprende è quale sarebbe il vantaggio per le forze di centrosinistra nel formalizzare una coalizione oggi. Se si tratta di strategia per le elezioni prossime venture, il vantaggio non sussiste tecnicamente. Tutte le prossime elezioni amministrative regionali e comunali avverranno infatti a doppio turno, il che vuol dire che presentarsi in coalizione favorirebbe la destra che si troverebbe sicuramente sempre al ballottaggio; presentandosi distintamente invece si ritroverà al ballottaggio sempre almeno una forza di sinistra o, potenzialmente, due forze di sinistra, escludendo di fatto la destra. Nessun vantaggio poi sul fronte delle elezioni europee, siccome avranno un meccanismo puramente proporzionale.

Quanto al piano nazionale, le destre sono al governo e le sinistre all’opposizione: che ci si trovi formalmente coalizzati oppure no, non cambia assolutamente nulla nelle votazioni parlamentari: i seggi sono quelli, i voti sono quelli: molti meno di quelli della maggioranza.

Se un provvedimento della maggioranza è contrario alle sensibilità di Pd e M5S, entrambi non lo voteranno; se è contrario solo a quelle del M5S allora saranno solo i pentastellati a non votarlo. Formalizzare una coalizione significherebbe invece doversi allontanare dai propri principi per votare congiuntamente alle altre forze tradendo il mandato degli elettori. Se, quando si è votato per l’ulteriore invio di armi all’Ucraina, il M5S fosse stato costretto ad approvare per ‘ragion di coalizione’, avrebbe deluso il suo elettorato, col risultato molto probabile di allontanare ulteriori elettori dalle urne.

Allontanamento dalle urne già drammaticamente in atto a causa proprio di quel concetto di ‘campo largo’ così tanto propinato. Quel tipo di ‘campo largo’ costruito incollando col nastro adesivo forze e forzettine che hanno principi, idee e programmi diversi; costruito sul compromesso, sulla poca chiarezza, su punti di programma che si sa già che non si potrà mantenere per ‘ragion di coalizione’.

E’ quel ‘campo largo’ che equivale alla vecchia politica poltroniera, quella che negli anni ha visto fondersi pezzi di una martoriata sinistra con pezzi di centro deludendo il cinquanta per cento degli elettori, che infatti non votano più. E’ quel ‘campo largo’ che, lungi dall’irrobustire la lotta alle destre, ne consentirebbe al contrario il definitivo dilagare, allontanando ulteriori elettori di sinistra non più rappresentati e stufi di tapparsi il naso quando le roboanti e ‘nette’ idee delle campagne elettorali si trasfigurano in compromessi, giravolte e trasformismi per ‘ragion di coalizione’.

Se esiste la possibilità di riavvicinare gli elettori di sinistra al voto è invece proprio quella data dalla coerenza delle idee, dei temi e dei valori fra programma e azioni successive; che non si chiama ‘smania di personalismo’, bensì rispetto del voto degli elettori.

Perché dunque questa spinta mediatica dell’intellighenzia Pd-calendiana ad un progetto che appare suicida? Viene il dubbio che serva a far frastuono per nascondere che la vera debolezza dell’area progressista sta in realtà proprio in un Pd perso nelle correnti, nella carenza di proposizioni nette, nel vecchio stile del ‘campo marmellata’ dal potere poltronìfico, e che il miglior modo di farlo sia l’attacco sistematico al M5S il quale, grazie a chiarezza, costanza e coerenza sui temi (che piacciano o no, non è questo il punto), ‘rischia’ di affermarsi come punto di riferimento vero dell’opposizione.

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Pd-M5s, finché gli elettori vedranno in gioco certi cacicchi continueranno a non votare

di Pietro Francesco Maria De Sarlo

La reale natura dei rapporti tra l’elettorato Pd e M5S e le reali cause dell’astensionismo di sinistra non è Decaro in Puglia o Marrese in Basilicata o la legalità. Bisogna tornare alle origini con Grillo che, snobbato dal Pd con Prodi che dormiva e Fassino che diceva “si faccia un partito e vediamo quanti voti prende”, organizzò il Vaffaday. L’equivoco iniziò lì, alimentato dallo stesso Grillo che da un lato affermava l’equidistanza del M5S da destra e sinistra e dall’altro faceva proprie tutte le bandiere della sinistra, dall’ambientalismo alla giustizia sociale (RdC e salario minimo) e persino la visione pauperista e anticonsumista di una certa sinistra con la decrescita felice.

Il suo né di destra né di sinistra nasceva dal tradimento dei valori e della difesa degli interessi delle classi sociali che tradizionalmente erano vicine al Pd. Una mutazione genetica che faceva del Pd un partito oggettivamente di destra svuotando di significato l’essere di destra o di sinistra.

Il quadro esatto lo definisce Cirino Pomicino, nel suo libro Il grande inganno, dove parla del Pd diventato garante dell’establishment, dopo la “fusione a freddo” con la Margherita e con Prodi affiancato dalla stampa di sistema. Intendo quella che fa riferimento al Gruppo Gedi, Cairo, Confindustria. Non solo. Il Pd è stato contagiato dal catechismo neoliberista che tanti danni ha fatto in Italia e in Europa. È parso non più il difensore dei ceti deboli ma la cinghia di trasmissione delle politiche economiche liberiste e disastrose per il Paese. Come quelle indicate dalla lettera di Draghi-Trichet, i cui contenuti sono stati pedissequamente attuati dai governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni e che hanno prodotto sconquassi sociali senza alcun beneficio sui conti pubblici, anzi con una perdita di PIL mai più recuperata.

La difesa di ricchi e potenti, siano essi nazioni territori o gruppi industriali, si è vista con l’appoggio alla Troika in Grecia, con l’Autonomia Differenziata di Amato, D’Alema, Gentiloni, Bonaccini e dell’agenda Draghi, con cui ha tradito anche il Sud, e con la difesa dei Benetton e Agnelli, con l’esaltazione di Marchionne e il dileggio del M5S che, dopo il ponte Morandi, fu accusato di far perdere valore alla Borsa. Hanno persino invocato con il Mes, di fatto il commissariamento del Paese.

Faccio tutta questa cronistoria per affermare che il problema non è la legalità o meno, qualche mela marcia l’hanno tutti, ma che i cacicchi del Pd vanno declinati in sede locale e nazionale: sono loro che, contro ogni mandato ricevuto dalla propria base, hanno tradito i propri valori fondanti a prescindere dagli accordi tra il M5S e il Pd. Finché l’elettorato di sinistra tradito e/o rifugiatosi nell’astensionismo o nel M5S vedrà in partita questi cacicchi (Gentiloni, Letta, Prodi, Franceschini, Serracchiani eccetera e le loro declinazioni locali) continuerà a rifugiarsi nell’astensionismo e, in caso di alleanze, non voterà neanche il M5S.

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