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sabato 29 giugno 2024

Pride 2024, da Nord a Sud i cortei nelle grandi città. A Milano Pd e M5s contro Fontana per il no al patrocinio: il suo cartonato sul carro dem

Sono sette le città attraversate dai cortei del Pride nell’ultimo sabato di giugno, il mese dell’orgoglio Lgbt+. La manifestazione più importante a Milano, dove il concentramento iniziato alle 15 in via Vittor Pisani, di fronte alla stazione Centrale; si sfila anche a Napoli (raduno alle 16 in piazza Municipio), a Bari (alle 15 in piazza Umberto I) e a Cagliari (alle 17 da Parco della Musica), oltre che a Ragusa, a Treviso e a Dolo (Venezia). “Nel clima inquietante in cui una presidente del Consiglio agita fantasmi golpisti dietro l’esercizio della sacrosanta libertà di informazione, la nostra mobilitazione prosegue e non fa sconti”, afferma il segretario generale di Arcigay Gabriele Piazzani, in riferimento agli attacchi di Giorgia Meloni all’inchiesta sotto copertura di Fanpage sull’antisemitismo e il razzismo tra i giovani di Fratelli d’Italia, definita “un metodo da regime”. “La presidente del Consiglio, invece di parlarci del lavoro dei giornalisti, deve spiegarci come mai nelle fila del suo partito si inneggi al fascismo in maniera aperta ed evidente. E coerente, voglio aggiungere, alle politiche persecutorie verso donne, stranieri, persone Lgbtqi+ che da mesi Giorgia Meloni mette in atto. Questo sì, come nei regimi”, aggiunge Piazzani.

A Milano al corteo partecipano anche il Pd e il Movimento 5 stelle, che contestano il mancato patrocinio all’evento – come tutti gli anni – da parte della Regione Lombardia a guida leghista: sul carro dem è stato esposto un cartonato del governatore Attilio Fontana avvolto da una bandiera arcobaleno. Un modo “per fargli prendere per una volta la responsabilità di essere a una manifestazione che dovrebbe parlare a tutte le lombarde e a tutti i lombardi, mentre lui scappa dopo che anche quest’anno ha negato al Pride il patrocinio in una maniera vergognosa”, attacca il consigliere regionale Paolo Romano. Anche il M5s sul proprio carro ha esposto uno striscione con scritto: “Negare il patrocinio non spegnerà il nostro orgoglio”. In piazza nel capoluogo lombardo anche alcuni esponenti della comunità ebraica (tra cui il giornalista Klaus Davi) nonostante il rifiuto dell’associazione queer ebraica Keshet Italia di non aderire ai Pride nazionali, a causa delle tensioni dopo il conflitto del 7 ottobre.

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giovedì 27 giugno 2024

Insultò ex consigliera M5s, Sgarbi condannato a multa in Appello. I giudici: “Scelta benevola, con i suoi precedenti poteva essere carcere”

“Le richieste della difesa relative alla riduzione della pena non possono essere accolte e si rileva, anzi, come sia già stata estremamente benevola la scelta del Tribunale di irrogare la sola pena pecuniaria e non quella detentiva, a fronte dei numerosi precedenti specifici dell’imputato, il quale sostanzialmente ha trovato nell’insulto la sua modalità di comunicazione distintiva“. È un passaggio delle motivazioni con cui la Corte d’Appello di Genova ha confermato la condanna a diecimila euro di multa inflitta a Vittorio Sgarbi per aver diffamato Alice Salvatore, ex consigliera regionale e candidata governatrice del Movimento 5 stelle in Liguria. In una specie di loop, nel 2017 l’ex sottosegretario aveva insultato Salvatore in tv e in radio dopo essere stato rinviato a giudizio per altri insulti a lei rivolti due anni prima durante la trasmissione L’Aria che Tira su La7 (il processo si è poi concluso con un’assoluzione). “Ignorante come una capra è una definizione piuttosto pertinente, invece di studiare questa signorina perde tempo a fare querele”, aveva detto all’emittente locale Telenord. E poi ancora alla popolare trasmissione La Zanzara su Radio24: “È ignorante come una capra, vadano a fare in culo, ma come fa a essere deputata (in realtà consigliera regionale, ndr), ma restituisca lo stipendio, una deputata che non fa un cazzo tutto il giorno come questa perché noi la paghiamo, devono essere sospesi dallo stipendio, lo ruba, non fa niente tutto il giorno ed è pagata per 15mila euro al mese”.

Per queste frasi Sgarbi è stato di nuovo querelato ed è finito a processo con la contestazione della recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale, avendo riportato varie altre condanne recenti per diffamazione (l’ultima per alcune frasi riferite all’ex sindaca di Roma Virginia Raggi). Un curriculum delinquenziale di tutto rispetto, che i giudici genovesi ricordano per respingere la richiesta di uno sconto di pena arrivata dagli avvocati del critico d’arte: anzi – è il succo della sentenza – considerati i precedenti, l’imputato si può considerare fortunato a dover sborsare “solo” diecimila euro. “Non sussiste alcun elemento positivamente valorizzabile per la concessione delle attenuanti generiche”, scrive il presidente estensore Vincenzo Papillo, “e infondato è il rilievo della difesa per cui il “contesto politico” in cui furono pronunciate le frasi diffamatorie giustificherebbe comunque una attenuazione della pena”. Sgarbi, infatti, “ha ampiamente superato i limiti della critica politica”, e “il sensibile distacco” dal minimo della pena prevista (512 euro) “trova giustificazione nella personalità dell’imputato quale risultante dai numerosi precedenti specifici e nella rilevante portata lesiva delle affermazioni”. Per gli insulti l’ex sottosegretario era stato condannato in primo grado anche a risarcire provvisoriamente Salvatore con altri diecimila euro.

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Inchiesta Fanpage, l’opposizione chiama in causa Meloni: “Il suo silenzio intollerabile, così è complice. La giovanile di FdI va sciolta”

Le opposizioni vanno all’attacco di Giorgia Meloni e di Fratelli d’Italia dopo la pubblicazione della seconda puntata dell’inchiesta di Fanpage su Gioventù nazionale. L’inchiesta sull’organizzazione giovanile del partito della presidente del Consiglio “ha aperto il vaso di Pandora della fascisteria che abita il sottobosco di Fratelli d’Italia. Omofobia, razzismo, nostalgia per Benito Mussolini, simpatie per Adolf Hitler e il nazismo, antisemitismo che li porta persino ad attaccare una loro sottosegretaria: il silenzio di Giorgia Meloni fino ad ora è stato assordante. Da adesso diventa vero e proprio assenso“, scrive su X il segretario di +Europa Riccardo Magi. Anche il leader M5s Giuseppe Conte chiama in causa la premier: “Ma Giorgia Meloni, che non solo è il presidente del Consiglio ma anche leader di partito, cosa fa? Possibile che riesca a stare in silenzio anche di fronte a questi fatti così gravi?”, attacca. “Qui c’è la responsabilità dei dirigenti, ma anche un humus diffuso di queste sezioni giovanili di Gioventù nazionale. Si inneggia al nazifascismo, a mitologie di violenza e sopraffazione, antisemitismo, discriminazione. Vanno ripulite anche le sezioni, vanno buttati fuori questi giovani che da queste chat confermano questi atteggiamenti”, aggiunge.

“Il silenzio di Giorgia Meloni sui giovani di FdI che trasudano antisemitismo e fascismo dice chiaramente che sapeva“, rilancia il capogruppo pentastellato a Montecitorio Francesco Silvestri. D’altronde come poteva non accorgersene? E come possiamo pensare che cacci questi personaggi quando lei stessa non fa che parlare da anni alla pancia del peggio del Paese?”. Alleanza Verdi-Sinistra invece chiede lo scioglimento di Gioventù Nazionale: “De Gasperi diceva che un partito è formato da due elementi: il consenso e l’organizzazione, non c’è consenso se non c’è organizzazione. Se nella tua organizzazione c’è una presenza che inneggia al fascismo, che inneggia all’antisemitismo e augura la morte agli avversari, e su questo non fai nulla, stai in silenzio, c’è un problema molto, molto serio”, attacca il deputato Angelo Bonelli. Su questi fatti, “sulla cultura fascista che permea la giovanile di Fratelli d’Italia, va applicata la legge Mancino e Gioventù Nazionale va sciolta immediatamente“, dice. Linea condivisa dal senatore Antonio Misiani, membro della segreteria nazionale del Pd: Meloni deve “sciogliere Gioventù nazionale e avviare dalla componente giovanile del suo partito quel percorso di rinnovamento e affrancamento dal passato che evidentemente non ha mai realmente preso piede tra tanti, troppi dirigenti e militanti”, dichiara.

“Qui c’è un gruppo politico che ha potere, soldi e legami con chi comanda oggi l’Italia. Sono collaboratori di parlamentari e sottosegretari e parlano tranquillamente come dei neonazisti. Magari troveranno qualche capro espiatorio da offrire al pubblico, ma dentro FdI hanno il dovere di aprire una riflessione. Non è possibile che la leader di un Paese del G7 faccia finita di nulla“, sottolinea il deputato Arturo Scotto. “Non è più tollerabile il silenzio della presidente del Consiglio e presidente di Fratelli d’Italia su un caso così grave che investe direttamente la sua organizzazione”, fa eco Francesco Verducci, vice Presidente Commissione Antidiscriminazioni del Senato. “È incredibile che la premier e leader di Fdi non abbia ancora espresso una parola di solidarietà nei confronti della collega Ester Mieli, a cui esprimo tutta la mia vicinanza, per gli attacchi antisemiti che le sono stati rivolti. Chi rimane in silenzio è complice e se ne assume la responsabilità politica“, scrive in una nota Simona Malpezzi, capogruppo Pd nella Commissione Segre per il contrasto al razzismo e all’antisemitismo. Per questo, aggiunge, “le parole timide e balbettanti di Donzelli non sono sufficienti: servono dichiarazioni chiare e senza nessuna ambiguità da parte di Giorgia Meloni, che è chiamata non solo a censurare ma ad allontanare le frange estremiste, razziste e fasciste dentro a Gioventù Nazionale”.

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Carcere fino a due anni per i blocchi stradali: passa in Commissione la norma anti-attivisti climatici. E c’è l’ok alla maxi-stretta sui No Tav

Carcere da sei mesi a due anni, senza l’alternativa della pena pecuniaria, per chi “impedisce la libera circolazione su strada ordinaria o ferrata ostruendo la stessa con il proprio corpo, se il fatto è commesso da più persone riunite”. Si avvicinano a diventare reato i blocchi stradali messi in atto dagli eco-attivisti di Ultima generazione per sensibilizzare sulla crisi climatica, finora semplici illeciti amministrativi puniti con una sanzione da mille a quattromila euro. Le commissioni Giustizia e Affari costituzionali della Camera, infatti, hanno dato il via libera all’articolo 11 del “pacchetto sicurezza“, il ddl varato a novembre dal governo su proposta del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi: respinti gli emendamenti soppressivi presentati da tutti i gruppi di opposizione, mentre la Lega ha ritirato il proprio, a firma del deputato Igor Iezzi, che chiedeva di prevedere la stessa pena detentiva anche per “gli organizzatori e i promotori” delle proteste. Se il blocco stradale è messo in atto da una persona sola, la pena sarà della reclusione fino a un mese o della multa fino a trecento euro. Ritirato anche il discusso emendamento leghista “anti-picchetti”, che mirava a considerare sempre responsabili del delitto di violenza privata (punito con la reclusione fino a quattro anni) i lavoratori schierati all’ingresso delle fabbriche in occasione degli scioperi.

Nella seduta di giovedì 27 giugno, le commissioni hanno votato gli emendamenti ai primi 11 articoli del ddl sui 29 totali: è probabile che l’esame terminerà dopo l’estate. Sarà approvato, dopo una riformulazione, anche l’emendamento di Iezzi per innalzare le pene a chi protesta in modo “minaccioso o violento” contro le grandi opere infrastrutturali come il Tav o il ponte sullo Stretto: la nuova aggravante ai reati di resistenza, violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o a un corpo dello Stato non comporterà più un aumento “da un terzo a due terzi” degli anni di carcere, ma “solofino a un terzo. Significa che se la proposta diventerà legge, chi protesterà in gruppo contro un’opera pubblica con manifestazioni simboliche, se queste verranno considerate “minacciose o violente”, rischierà fino a vent’anni di carcere.

Durissime le opposizioni: “Con la trasformazione del blocco stradale e ferroviario da illecito amministrativo a reato in caso di protesta di gruppo, il governo mira a colpire il diritto dei cittadini a manifestare contro quello che si ritiene sia un fatto ingiusto, criminalizza il dissenso pacifico e meramente passivo. Quello che vuole fare questo governo è veramente spaventoso”, attacca il deputato M5s Federico Cafiero De Raho, ex procuratore nazionale Antimafia. Valentina D’Orso, capogruppo pentastellata in Commissione Giustizia, sottolinea che la maggioranza “alza volutamente l’asticella della conflittualità sociale e sa di esporre le forze dell’ordine a maggiori rischi. Per questo rafforza alcuni strumenti e tutele degli agenti: non allo scopo di dar loro maggiore dignità, ma per provare a proteggerli dalla crescente tensione che lo stesso governo con le sue scelte politiche sta creando, reprimendo per via normativa la manifestazione pacifica del dissenso. È un piano inclinato pericolosissimo e inquietante per la nostra democrazia”, avverte. Devis Dori, di Alleanza Verdi e Sinistra, ironizza: “Il testo di questo provvedimento è stato scritto da qualcuno che aveva un manganello in mano, non una penna”. E definisce l’articolo contro i blocchi stradali come la “norma anti-Gandhi“: “Una follia che comprime il diritto di manifestare, da oggi la nonviolenza è reato”, riassume.

Sempre dal M5s, Stefania Ascari osserva come lei stessa si candidi a essere presto denunciata, perché da anni partecipa “a manifestazioni delle lavoratrici e dei lavoratori che protestano contro le condizioni disumane del loro impiego, per le retribuzioni da fame, per le ferie negate, per gli orari di lavoro massacranti e per tanti altri diritti di fatto soppressi. Il governo e la maggioranza con questo ddl vogliono sostanzialmente negare il diritto alla protesta dei lavoratori, sanzionando anche la protesta pacifica e la resistenza passiva non violenta”, afferma. Dal Pd il responsabile Sicurezza Matteo Mauri parla di una “pericolosa deriva reazionaria da parte del governo”: la norma contro i blocchi stradali, dice, è “un giro di vite che non trova alcuna motivazione e che potrebbe portare alla reclusione fino a due anni anche di studenti che organizzano un sit-in davanti alla scuola. È chiaro l’intento intimidatorio e la volontà di limitare in maniera drastica la possibilità di protestare, anche in modo assolutamente pacifico: queste dimostrazioni di dissenso e di libero pensiero sono espressioni di libertà, devono essere considerate sacrosante in democrazia e devono essere garantite e tutelate dalle istituzioni dello Stato”.

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mercoledì 26 giugno 2024

Schlein a Meloni: “L’unica guerra civile è quella che fate ai poveri”. Conte: “In Ue dovrà scegliere se essere incoerente o ininfluente”

“Mi aspetto che nella discussione di domani la presidente del Consiglio porti le priorità del Paese e non della sua famiglia politica, perché spesso le due cose non coincidono”. A dirlo in Aula alla Camera è la segretaria del Pd Elly Schlein, parlando in dichiarazione di voto sulle comunicazioni della premier in vista del Consiglio europeo del 27 e 28 giugno, quando i capi di Stato e di governo degli Stati membri dovranno eleggere i cosiddetti top jobs, le cariche istituzionali più importanti dell’Unione. Nel suo discorso Meloni si è scagliata contro i socialisti, i popolari e i liberali, che a suo dire hanno trovato l’accordo sul terzetto di nomine – Ursula von der Leyen alla Commissione, António Costa al Consiglio europeo e Kaja Kallas come Alto rappresentante per la politica esterasenza coinvolgere i conservatori europei, il gruppo di cui Fratelli d’Italia fa parte. E ha accusato senza nominarla proprio Schlein, che aveva chiesto di non includere la destra nelle trattative per le istituzioni Ue: “Trovo folle che si dica, da parte di chi rappresenta gli italiani in Europa, che non bisogna negoziare con il governo italiano”. Una posizione che però la leader dem rivendica: “Meloni non vuole inciuci con la sinistra? Non si preoccupi presidente, questa sinistra non è disponibile e non lo sarà mai. Non si lamenti se nel Parlamento europeo dove la democrazia conta e i socialisti hanno più deputati di voi ci opponiamo a qualsiasi alleanza con voi e con i vostri alleati che non credono nell’Ue”, dice in Aula (video).

La leader del Nazareno torna anche sul video in cui, martedì, la premier ha accusato le opposizioni di usare “toni da guerra civile nel criticare le riforme del governo: “Non so a chi si riferisca Meloni quando lancia allarmismi e vittimismi. Rispetto alla dichiarazioni fatte ieri, mi pare che l’unica guerra nei nostri confini sia quella che state facendo ai poveri. Contro il salario minimo, il reddito di cittadinanza e contro il Sud con la legge sull’Autonomia. La vittima non è certo la presidente, che non ha nemmeno preso le distanze dalla violenza su un deputato e su due studenti dopo una manifestazione, e che non ha il coraggio di cacciare dal suo partito chi fa saluti fascisti e nazisti”, attacca. Stesso concetto dal leader del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte: “Presidente Meloni, è il caso di smetterla con questo finto vittimismo, la “guerra civile” l’avete scatenata voi in questa aula con un pestaggio in piena regola”, ha detto, riferendosi all’aggressione al deputato pentastellato Leonardo Donno da parte dei colleghi di centrodestra. “Non la invidiamo”, ha detto conte rivolgendosi alla premier, “perché lei da una parte è tentata di appoggiare quella sinistra con cui ha detto di non voler fare inciuci e dall’altra di essere per una volta coerente ma ininfluente nel nuovo governo europeo. Bel dilemma, Meloni incoerente o ininfluente“.

Nel dibattito al Senato, invece, il leghista Claudio Borghi ha spinto la premier a rifiutare l’appoggio al bis di von der Leyen, anche rinunciando a un incarico di peso in Commissione: “Per noi della Lega può dire tranquillamente no a questa gente e noi la sosterremo in ogni caso. Ha la nostra benedizione, la supporteremo in pieno. Non cerchiamo le vicepresidenze e il commissario di peso. Non è che avere il ruolo di primo ufficiale nel Titanic porta risultati. Secondo me, in Europa c’è un problema enorme e si chiama Francia. Il cambiamento radicale e profondo di tutte le regole non si fa con quelle persone, si fa attraverso persone come lei”.

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martedì 25 giugno 2024

M5S sostituisca le facce con parole d’ordine: chi inquina paga, tasse ai miliardari, riduzione orario

Legalità e lotta alla corruzione, contrasto ai privilegi della politica, reddito di cittadinanza. Sono state queste le battaglie fondanti con cui i cittadini ci hanno conosciuto agli albori del 2013. L’Italia fu tappezzata da manifesti con gli slogan “Nessuno deve rimanere indietro”, “Mandiamoli tutti a casa” “Usciamo dal buio” senza che alcun faccione, neanche quello di Beppe Grillo, coprisse i muri della città.

Messaggi evocativi per problemi concreti e con coerenza ci presentavamo tutti incensurati, tutti cittadini alla loro prima esperienza che si dimezzavano lo stipendio da parlamentare entrando in perfetta sintonia con i cittadini in difficoltà. Nel 2018 sono stato il parlamentare che al suo secondo mandato aveva tagliato di più del proprio stipendio certificando la cifra con gli estratti conto della banca. Oggi il M5S deve ripartire da battaglie radicali, deve tornare a sostituire le facce dei manifesti con le nuove parole d’ordine. Chi inquina paga, contrasto ai privilegi di multinazionali e multimiliardari che sono la nuova casta che ci governa, riduzione dell’orario di lavoro per liberare il nostro tempo per la cura delle nuove generazioni e del pianeta.

Chi sta distruggendo il nostro pianeta con i suoi eccessi di produzione, con le sue spinte al consumismo tossico non sta pagando il conto e lo fa pagare a noi e ai nostri figli.

Ci stiamo avvicinando alla cifra di 754,4 miliardi di dollari spesi in pubblicità, a livello globale. Per devastare di più l’ambiente, per inquinarlo di più, per sventrare più montagne, per sottrarre più risorse alla terra e riempire di rifiuti il pianeta. E nessuno paga. Non paga chi spinge all’acquisto di oggetti e crea bisogni inutili rendendoci infelici, non paga chi prende la nostra acqua e le risorse del pianeta invadendoci di CO2, non paga chi ci invade di rifiuti. Oggi quando guardiamo una vetrina sappiamo che la grande maggioranza degli oggetti che vediamo saranno rifiuti ma nessuno pagherà per quello.

Queste spa e i loro azionisti devono restituirci e pagare quello che si stanno prendendo: la nostra felicità, la nostra aria, la nostra acqua, le nostre montagne, la nostra terra, il nostro pianeta. Con i soldi che pagano per il loro debito ambientale possiamo trovare le risorse per aiutare chi non arriva a fine mese e per salvare il pianeta entro il 2050 dalla devastazione ambientale.

Contrastiamo i privilegi di multinazionali e miliardari che pagano tasse ridicole, che eludono il fisco e che stanno decidendo le regole della nostra vita sociale con gli algoritmi delle loro piattaforme digitali, con la loro pesante influenza sulle nazioni democratiche e non, utilizzando il loro potere economico. Le multinazionali e i miliardari, la finanza e le banche possono comprarsi le scelte della politica, possono costruire campagne mediatiche nelle tv che posseggono o nelle piattaforme social che controllano. Possono far crollare un leader politico e foraggiarne un altro.

I cittadini lo hanno capito e non vanno più a votare. Per questo ci vuole una forza come il M5S capace di riportare giustizia, cancellando poteri e privilegi e rinforzando la democrazia. Più limiti per chi sta accumulando potere e ricchezza per riconsegnarli al cittadino comune che li ha persi. È ora di mettere fine alla società più disuguale della storia applicando l’agenda Oxfam.

Riduciamo il tempo di lavoro a parità di salario per tutti i cittadini che sono diventati nonni e vogliono dedicare più tempo ai nipoti, a tutti i cittadini che sono diventati genitori e non vogliono abbandonare il proprio figlio davanti ad uno smartphone. I nostri figli sono cresciuti da Zuckerberg e dagli algoritmi o gli influencer di Tik Tok, addestrati al consumo compulsivo e programmati all’infelicità a causa del vuoto in cui vengono abbandonati. Riduciamo il tempo lavoro a parità di salario a chi vuole occuparsi di politica e di ambiente in forma volontaria, a chi si occupa della cura degli altri e del pianeta. Ci sono mille buoni motivi per farlo: riduzione della disoccupazione, riduzione di consumo, riduzione di produzione e stress, riduzione di inquinamento, riduzione della devastazione ambientale mentre la tecnologia, la robotica e l’intelligenza artificiale ormai possono fare il lavoro degli schiavi di un tempo.

Ridiamo potere al cittadino, ridiamogli un pianeta in cui vivere, ridiamogli il suo tempo.

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Ballottaggi, il giorno dopo Schlein esulta: “Sei a zero tennistico, stiamo arrivando”. E Meloni attacca “Dall’opposizione toni da guerra civile”

Si scalda il clima politico nel day after dei ballottaggi delle amministrative, vinti dal centrosinistra in tutti e sei i capoluoghi di Regione al voto. Festeggiando il risultato, la segretaria dem Elly Schlein lancia la sfida alla maggioranza: “C’è stata una bocciatura delle destre sui territori per le scelte sbagliate del governo e dei suoi alleati. Il messaggio è chiaro: stiamo arrivando. Basta coi tagli alla sanità, con i salari bassi, con l’autonomia”, dice in conferenza stampa al Nazareno. Per Schlein l’esito delle Comunali “dimostra che le destre si possono battere. Abbiamo vinto in tutti e sei capoluoghi di regione, in un sei a zero tennistico, e abbiamo tre sindache donna (Vittoria Ferdinandi a Perugia, Sara Funaro a Firenze e Marialuisa Forte a Campobasso, ndr), cosa che mi fa molto felice. Abbiamo dimostrato di saper costruire coalizioni vincenti attorno a candidature credibili. Non potranno più dire che loro sono uniti e noi siamo divisi. È stata una vittoria di squadra“, rivendica. E insiste sull’unità del “campo largo” con Movimento 5 stelle e Alleanza Verdi-Sinistra, riprendendo l’appello già lanciato dal palco della manifestazione del 18 giugno a Roma: “Il tempo dei veti è finito, continueremo testardamente unitari. Abituiamoci a fare l’analisi della vittoria, perché continueremo a battere le destre”.

Da parte sua Giorgia Meloni attacca con un video pubblicato sui social e dedicato all’autonomia differenziata, la riforma-bandiera della Lega approvata in via definitiva la scorsa settimana. Sulla legge, dice la premier, “l’opposizione usa irresponsabili toni da guerra civile perchè non ha argomenti nel merito. Io penso che i toni violenti che usa la sinistra sull’autonomia, ma anche su tutte le altre riforme, non siano altro che una difesa disperata dello status quo. Noi abbiamo promesso di cambiare le cose e andremo avanti senza farci intimorire. Sul premierato ci accusano di deriva autoritaria, poi si scopre che lo voleva anche Achille Occhetto, trent’anni fa, in pratica Occhetto era più avanti di Elly Schlein”, provoca, riferendosi alla proposta di riforma costituzionale avanzata dall’allora leader del Pds nel 1994. “Non so che film stia vedendo Meloni, non è la prima volta che lancia allarmismi. Non vorrei fosse un tentativo di distrarre l’attenzione dai risultati della destra parlando d’altro”, è la replica di Schlen a chi le chiede un commento sulle accuse della premier. “Io su questo non la seguo perché non sono un jukebox, ma noi stiamo facendo battaglie su argomenti di merito, non ce n’è una in cui accanto alla critica non abbiamo proposto l’alternativa. Capsico che sia difficile accettare la sconfitta sonora, ma non si riferisca a noi, non sono mai stati i nostri toni”, afferma la segretaria dem.

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sabato 22 giugno 2024

Davide Casaleggio a La7: “Il M5s sta morendo, è sotto gli occhi di tutti. Di questo passo diventerà il terzo partito del Terzo Polo”

“In cosa sta sbagliando Giuseppe Conte? Qui vedo che spesso si parla di nuovi leader, ma in realtà si sta parlando di un modello che era pensato in un altro modo: aveva delle regole che interpretavano dei principi e questi principi definivano un’identità. Oggi si sta cambiando qualche regola qua e là senza capire che viene meno anche l’identità. Lo hanno capito diversi milioni di italiani che non sono andati a votare”. Così a Otto e mezzo (La7) Davide Casaleggio, figlio del fondatore del M5s, Gianroberto, e ormai non più iscritto al Movimento, stronca la leadership di Giuseppe Conte, adoperando una metafora: “Il problema è la struttura del M5s. Se pensiamo al Movimento come a una barca a vela, questa ha bisogno di una squadra per gestire tutto: va lenta ma lontano. Dall’altra parte, si ha un motoscafo che va veloce e con cui si ottiene subito l’obiettivo, ma ha bisogno di benzina, cioè di finanziamenti pubblici. Oggi si sta usando una barca a vela, tirando giù le vele e pensando di andare avanti col motore d’emergenza”.

Casaleggio respinge la frecciata della conduttrice Lilli Gruber (“Non è che il suo problema è che non è più nel M5s con la piattaforma Rousseau?”): “Non è un problema di tecnologia, ma di partecipazione dal basso, chi sceglie i parlamentari, chi sceglie come spendere i soldi del Movimento, qual è il meccanismo che viene messo in piedi. Oggi ovviamente è un meccanismo molto centralizzato. C’è un bellissimo libro che parla di stelle marine e di ragni in termini di organizzazione – spiega con un’altra metafora – Se si taglia un tentacolo alle stelle marine, quello ricresce. Se muore la testa dei ragni, muore tutta l’organizzazione. Queste sono due organizzazioni completamente diverse. Il M5s sta sicuramente morendo, già lo si vede dal punto di vista dei risultati elettorali. È sotto gli occhi di tutti“.

Sui papabili sostituti di Conte, di fronte al nome di Virginia Raggi che fa Gruber, Casaleggio glissa: “Io apprezzo molto la Raggi, Di Battista e molti altri che sono rimasti fedeli a se stessi nelle idee e nelle azioni che hanno portato avanti. Ma il tema reale è che il Movimento è andato sempre bene fin quando è stato un innovatore. Oggi si è persa un po’ la spinta dell’innovazione e ci si è adagiati sul fatto della sopravvivenza e dell’esistenza stessa del M5s – continua – L’obiettivo finale non deve essere l’esistenza di un’organizzazione ma qualcosa di più alto. Se si parla del solo galleggiare con un leader o con un altro, si finisce col fare il terzo partito del Terzo Polo. Non credo che sia questo l’obiettivo finale, né credo che interessi agli italiani”.

Lilli Gruber obietta: “Forse l’interesse di tanti italiani non è nemmeno quello di avere un partito che dice di non essere né di destra, né di sinistra quando abbiamo al potere la destra-destra”.
Casaleggio ribadisce: “Io penso che il tema del classificare la politica come di destra o di sinistra interessi a meno della metà degli italiani, come si è visto alle ultime elezioni”.
“Beh, no – dissente Gruber – la destra interessa moltissimo, come la sinistra, mi pare”.
“La maggior parte degli italiani non si riconosce in queste categorie, quantomeno nell’offerta politica attuale”, chiosa il figlio di Gianroberto Casaleggio.

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giovedì 20 giugno 2024

Grillo si autointervista: “Non ci scioglieremo. Lo regola del doppio mandato? Dovrebbe essere legge”. E parla dei rapporti con Conte

“Come va il tuo rapporto con Conte?” Risposta: “Ottimamente. E il tuo con te?”. Inizia così “l’intervista a se stesso” che il garante del M5s, Beppe Grillo, ha pubblicato sul proprio blog. Il fondatore del Movimento ha scelto di scrivere di suo pugno un lungo dialogo con se stesso e lo ha fatto partendo da quello che pensa della leadership di Giuseppe Conte: “Come si fa ad avere un cattivo rapporto? Ci ho provato ma non ci sono riuscito: non si scompone mai, ogni parola si scioglie… Siamo d’accordo, però, che non vogliamo scioglierci anche noi”. Il progetto, ora, è ripartire “da antenne puntate sui cittadini e da un’azione politica diversa”. Il lungo dialogo tra Grillo e Grillo è stato pubblicato pochi giorni dopo che il garante ha avuto un faccia a faccia con Giuseppe Conte e, soprattutto, dopo che è circolata una sua battuta pronunciata dal palco di Fiesole proprio contro il leader (“Ha preso più voti Berlusconi da morto che Conte da vivo, l’ho incontrato e mi ha fatto quasi tenerezza”, ha detto).

La regola del doppio mandato? Intoccabile – E nella analisi sul rilancio del Movimento, Grillo mette tra i pilastri proprio la regola del doppio mandato che, dopo il crollo alle Europee, è tornata a essere messa in discussione. “È comprensibile che chi oggi si trova al secondo mandato vorrebbe eliminarla. D’altronde l’istinto di sopravvivenza proviene dalla nostra natura animale, ed è insopprimibile. Ma lo scopo di ogni regola, in fondo, è di arginare i nostri istinti animali nell’interesse comune. Il limite alla durata dei mandati è non solo un principio fondativo del movimento, ma è anche un presidio di democrazia fin dai tempi dell’antica Atene. Come ho detto più volte, dovrebbe diventare una legge costituzionale, quantomeno per le cariche più importanti”. Insomma una posizione che, al momento, sembra non poter essere scalfita.

“Con il limite del doppio mandato non c’è il rischio che si disperdano competenze acquisite nel corso degli anni?”, chiede allora Grillo a se stesso. “Avevo proposto un’idea di ‘staffetta’ in cui gli ‘uscenti’ avrebbero percepito un compenso finanziato dagli ‘entranti’ per assicurare il passaggio di consegne e trasferir loro le competenze acquisite”, continua il leader M5s. “Senza contare che il Parlamento dovrebbe innanzitutto interpretare la volontà dei cittadini, che è molto più difficile intercettare quando i parlamentari si rinchiudono nel palazzo per anni. Per tradurre la volontà dei cittadini in legge ci vorrebbero semmai uffici legislativi con professionisti bravi e competenti e non cortigiani senza arte né parte. Il lavoro di un parlamentare dovrebbe essere un altro, vale a dire captare e comprendere le esigenze dei cittadini per tradurle in indirizzo politico, che a sua volta dovrebbe essere tradotto in legge da uffici legislativi capaci e competenti. Tant’è vero che avevamo proposto di cambiare il titolo dei parlamentari da onorevoli a cittadini portavoce”.

Il Superbonus? L’hanno voluto tutti – “Alcune cose” fatte dal Movimento 5 stelle, si chiede ancora Beppe Grillo, “si sono però rivelate un disastro, per esempio il Superbonus”. La riposta: “A prescindere dal fatto che il Superbonus è stato voluto da tutti e non solo da noi, come per ogni cosa il problema stava nel metterlo a punto, non nel sostenerlo prima e demonizzarlo poi, scatenando una caccia alle streghe, che tutt’al più sono befane”. In generale però, il fondatore M5s difende la misura: “Quando fu approvato c’era bisogno di un forte stimolo alla ripresa, che ha funzionato. Un tempo si diceva che bastasse perfino scavare buche e poi riempirle. Poi, ovviamente, si sarebbe dovuto correggere il tiro, e non chiudere i rubinetti di colpo scatenando una corsa agli sportelli del Superbonus…”. Secondo Grillo “è presto per vederne gli effetti di lungo termine, mentre è certo che i quasi 3.000 miliardi del nostro debito pubblico, voluto in gran parte dalle forze politiche che oggi criticano il Superbonus, hanno gonfiato una spesa pubblica ipertrofica che è la vera zavorra del nostro paese”. Al che, Grillo si chiede: “Ma non eravate anche voi a favore dell’aumento della spesa pubblica?”. Quindi puntualizza: “Oggi gran parte della spesa pubblica è destinata a pensioni, sanità e interessi sul debito. E siccome i malati e i risparmiatori sono prevalentemente anziani, significa che gran parte della spesa pubblica è a loro favore. Il nostro simbolo ha invece l’orizzonte del 2050: siamo gli unici ad aver pensato ai giovani, che sono stati i principali beneficiari delle nostre riforme. Siamo come i tacchini che vedono arrivare il Natale senza preoccuparsi della propria morte, ma della vita di chi verrà dopo di loro”.

Il futuro? Smarcarsi dalle collocazioni – Grillo, sempre nel dialogo con se stesso, ha anche parlato dei temi che saranno trattati nell’assemblea costituente lanciata da Conte nei giorni scorsi. Si parlerà di democrazia diretta e di “come recuperare contatto, dialogo e azioni congiunte con gli attivisti, che sono sempre stati il combustibile del Movimento. Ma al tempo stesso non possiamo discutere solo di regole di funzionamento interne, ma dobbiamo tornare a proporre idee radicali e visionarie, smarcandoci da una collocazione che è vecchia e superata da decenni. Parlare di sinistra e destra è come parlare di ghibellini e guelfi, anzi forse è meglio parlare di questi ultimi, perché tutti devono seguire l’Elevato”.

Tra le idee che Grillo chiede di recuperare c’è quella della democrazia diretta. “Negli ultimi anni ci siamo logorati in beghe di voto che non avevano nulla a che fare con la democrazia diretta, ma riguardavano solo lotte di potere fra anime diverse del movimento. La democrazia diretta, tra l’altro, dovrebbe estendersi a tutti i cittadini, come già avviene in Paesi ben più prosperi del nostro e come potrebbe estendersi molto di più con il supporto della tecnologia”. E chiude: “”Se le preferenze dei consumatori orientano le scelte di produzione e vendita delle imprese e sempre di più grazie all’analisi dei dati, non si capisce perché le preferenze dei cittadini non dovrebbero orientare le scelte politiche allo stesso modo”.

Conte? “Sono d’accordo con tutte le cose che dice. Che poi sono tre”. E propone di far ripartire incontri periodici con lui – Il fondatore del M5s nell’autointervista sul suo blog dice di essere “d’accordo con tutte le cose che dice” Giuseppe Conte, “che poi sono tre. D’altra parte come si fa a non essere d’accordo sul fatto che la guerra, la povertà e le malattie siano cose brutte? Semmai vorrei aggiungerci qualche cosa bella come il voto dei cittadini europei alle elezioni politiche nei paesi di residenza e non di cittadinanza, prodotti il cui prezzo incorpori costo sociale di produzione e trasporto, piattaforme di democrazia diretta e di cittadinanza attiva. Tutte cose di cui parlavamo regolarmente con Casaleggio e altri”. Sulla possibilità di riprendere a incontrarsi regolarmente con il leader del M5s, Grillo afferma: “Mi piacerebbe riprendere a fare gli stessi incontri che facevamo con Casaleggio. Quindi non solo con Conte, ma anche chi vuole darci una mano a tracciare la rotta dei prossimi anni”. Tra i temi di cui vorrebbe parlare, “mi pare che i temi fondativi del movimento siano ancora validi. Alcuni, come la transizione ecologica e digitale, sono diventati i temi principali dell’agenda politica europea e italiana. Dunque non si può dire che non ci avessimo azzeccato. Altri, come la democrazia diretta e la politica come servizio e non professione, come peraltro è in Svizzera, e non solo, restano da realizzare. Altri ancora sono emersi negli ultimi tempi: da un maggior controllo dei cittadini sui dati che li riguardano, a riforme istituzionali che garantiscano stabilità e al tempo stesso autonomia dei territori”.

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mercoledì 19 giugno 2024

Europee, pochi voti al M5S? Poco distintivo e troppo moderato. Soprattutto in tema Ue

Perché il Movimento 5 Stelle ha avuto così pochi voti alle elezioni europee? Il motivo principale a mio parere è che il suo programma è poco distintivo e troppo moderato. I 5 Stelle di Giuseppe Conte non si distinguono più nettamente da una forza riformista e tradizionale come il Pd di Elly Schlein. Molti analisti hanno scritto che le cause della (peraltro non catastrofica) sconfitta alle elezioni europee riguardano l’organizzazione interna e elettorale del movimento: i due mandati sono insufficienti per formare un personale politico riconoscibile e competente; il movimento non è radicato a livello locale; i candidati al Parlamento non possono essere votati solo on line; Conte non si è presentato come capolista, ecc. Tutti motivi validi.

Ma a mio parere ce n’è un altro ancora più consistente. I 5 Stelle sono molto meno originali – e anche assai meno radicali – di prima e il loro programma non accende più gli animi, non prefigura una svolta e non offre nuove prospettive e speranze. Prima, quando erano arrivati al 30% e oltre, erano il partito anti-establishment, il partito del reddito di cittadinanza, della democrazia diretta, il partito contro l’Unione Europea dell’austerità, dell’euro, delle tecnocrazie che comandano l’Italia da Bruxelles e Francoforte, il partito del cambiamento. Ora sembra che si distinguano per essere solo il partito del salario minimo garantito (obiettivo condiviso con il Pd) e della pace. La pace in Ucraina e in Medio Oriente è ovviamente una questione fondamentale che il Movimento giustamente persegue. Bisogna assolutamente bloccare l’escalation bellicista e arrivare al negoziato tra Russia e Ucraina.

Tuttavia un programma politico e elettorale non può basarsi solo sulla pace senza neppure specificare bene come arrivarci. Sull’Europa, questione ovviamente centrale nella competizione per le elezioni al Parlamento Ue, i 5 Stelle non hanno detto cose distinguibili dai buoni propositi riformisti delle altre forze politiche progressiste. La critica radicale dei 5 Stelle all’Unione Europea è sostanzialmente cessata proprio mentre la Ue è in piena crisi: l’economia europea, a partire da quella tedesca, è ormai ferma e la politica estera europea non si distingue da quella bellicista della Nato. Nella Ue sta bene solo la grande finanza. La proposta dei 5 Stelle è però di continuare a avanzare nell’integrazione europea.

Ma questo è illusorio e sbagliato. Il Trattato di Maastricht, fondato sulla più estrema ideologia liberista, sulla deregolamentazione del mercato dei capitali e del lavoro, sul rifiuto dell’intervento pubblico nell’economia, non permette alcuna possibilità di riformare il regime europeo. Non si può ignorare che – a parte il Parlamento Ue che però conta poco o nulla – le istituzioni che comandano davvero nella Ue – il Consiglio Europeo, la Commissione e la Bce – non sono democratiche, non sono elette e non rispondono ai popoli europei. I paradisi fiscali della Ue (Lussemburgo, Olanda, Irlanda, Cipro, Malta) non consentono nessuna possibilità di fare delle vere riforme fiscali in Europa.

Gli Stati Uniti d’Europa tra una trentina di paesi differenti sono una pia illusione. La Ue ha imposto il pareggio di bilancio addirittura in Costituzione, ovvero ha sancito formalmente l’impossibilità degli Stati di fare degli investimenti pubblici a favore delle presenti e future generazioni. L’Italia ha un debito pubblico insostenibile. Ma nel programma dei 5 Stelle non c’è la cancellazione del debito pubblico europeo in pancia alla Bce, che pure il compianto David Sassoli, che non era un rivoluzionario, aveva proposto.

Senza la cancellazione dei debiti pubblici da parte della Bce non ci può essere spazio fiscale per delle riforme sostanziali dell’economia e della società europea. Questa Ue non può andare avanti così. I 5 Stelle dovrebbero fare una dura opposizione e proporre di stracciare Maastricht, tornare alle democrazie nazionali e formare una Confederazione Europea con un bilancio in comune e una moneta comune e non unica, come il bancor di Keynes.

Ma il vero problema è che il movimento di Conte è carente e poco distinguibile anche per quanto riguarda il programma interno all’Italia. Conte propone giustamente insieme al Pd un salario minimo garantito: ma questo riguarda circa 4 milioni di lavoratori poveri, mentre l’inflazione colpisce invece tutti i 24 milioni di lavoratori italiani. Sarebbe quindi necessario che i 5 Stelle e i sindacati chiedessero con forza un sistema di indicizzazione dei salari che porti al recupero automatico del continuo aumento dei prezzi. Questa richiesta godrebbe del consenso della maggioranza degli italiani.

Un altro progetto fondamentale potrebbe essere quello di costituire un’Agenzia per i lavori pubblici per garantire il lavoro a milioni di lavoratori italiani e immigrati con un salario minimo di sopravvivenza. Il grande presidente americano Franklin D. Roosevelt durante il New Deal tolse dalla disoccupazione milioni di americani disperati grazie al Work Projects Administration: una cosa del genere potrebbe e dovrebbe fare lo Stato italiano, soprattutto per occupare decine e centinaia di migliaia di immigrati che potrebbero contribuire alla manutenzione del nostro territorio, alla transizione energetica e al progresso civile. Gli immigrati sarebbero ben visti dagli italiani se fossero nelle condizioni di potere lavorare e mantenersi fin dal loro ingresso in Italia.

Bisognerebbe costituire anche una banca pubblica che finanzi le infrastrutture indispensabili per lo sviluppo e garantisca il debito pubblico. Infine i 5 Stelle potrebbero proporre la democrazia economica come c’è già in Germania. Là nelle grandi aziende i lavoratori e i sindacati partecipano ai Consigli di Amministrazione e contano al 50% nelle decisioni aziendali. In questa maniera la Germania ha raggiunto il primato industriale. Conte dovrebbe fare delle proposte nuove e riconoscibili per fare uscire l’Italia dalla drammatica crisi in cui si è cacciata.

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Travaglio a La7: “Crisi del M5s? La parola sinistra, visti i suoi rappresentanti in Ue, oggi è impronunciabile”. Botta e risposta con Zaccaria

Caos nel M5s? Stanno discutendo delle ragioni della sconfitta, dovrebbero farlo tutti i partiti. E ci sono posizioni molto diverse”. Sono le parole pronunciate a Otto e mezzo (La7) dal direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio sulla crisi interna ai 5 Stelle all’indomani del tonfo elettorale alle europee.

Travaglio cita l’intervista rilasciata al Corriere della Sera dall’ex sindaca di Roma Virginia Raggi secondo la quale è stato un errore allearsi con altri partiti, nonostante riconosca i buoni risultati raggiunti dal Movimento. “Quindi le alleanze andavano fatte – osserva il direttore del Fatto – perché in caso contrario il reddito di cittadinanza non lo avrebbero portato a casa. C’è anche chi dice che bisogna tornare alle origini, ma le origini erano nel 2009: l’Italia era un’altra cosa, Casaleggio era vivo e Grillo non faceva battute a teatro ma stava nelle piazze a fondare il M5s. Quindi, le origini non esistono”.

E continua: “Poi c’è chi dice che i 5 Stelle devono dichiararsi di sinistra, altra supersonica cazzata secondo me, e infatti Conte non dice ‘sinistra’ ma ‘progressista’. La sinistra la stiamo vedendo in questi giorni in Ue: è più guerrafondaia della destra, quindi Dio ce ne scampi e liberi. ‘Progressisti’ vuol dire andare avanti e cambiare le cose, ‘sinistra’ purtroppo è una parola oggi impronunciabile, visti i suoi rappresentanti in Europa“.

Dissente Roberto Zaccaria, costituzionalista ed ex presidente della Rai: “Marco, non esagererei in questo senso”.
Travaglio replica: “Beh, guarda che razza di aborto è diventato il Pse, cioè la culla della sinistra europea“.
“Ma adesso vogliamo dividerci tra chi vuole la pace e chi la guerra? – ribatte Zaccaria – Qui diciamo semplicemente che bisogna cercare una pace giusta“.
“Io non voglio dividere niente. La pace giusta non esiste e non è mai esistita, è un’invenzione“, rilancia Travaglio.

A gongolare per il confronto è il direttore responsabile di Libero, Mario Sechi, che commenta: “Questa è la dimostrazione del dibattito dentro il campo largo”.
Immediata la replica di Zaccaria: “Cosa c’entra? Marco Travaglio è il direttore di un giornale, non il campo largo”.
E la conduttrice Lilli Gruber spegne subito gli entusiasmi di Sechi, ricordando: “Anche all’interno della maggioranza su guerra e pace ci sono posizioni completamente diverse“.

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martedì 18 giugno 2024

Traffico di influenze, la procura di Milano chiede l’archiviazione per Beppe Grillo e Vincenzo Onorato

A distanza di oltre un anno dalla chiusura dell’indagine, la Procura di Milano ha chiesto l’archiviazione per Beppe Grillo e Vincenzo Onorato, patron del gruppo Moby, che erano accusati di traffico di influenze illecite per una presunta “mediazione illecita” da parte del fondatore dei Cinque Stelle. In cambio di contratti, tra il 2018 e il 2019, per fare pubblicità a Moby sul suo blog, il comico, stando a quanto era stato ricostruito nelle indagini, avrebbe inoltrato a parlamentari del M5S le richieste di aiuto avanzate dall’armatore, suo amico di lunga data, quando la sua compagnia era in crisi finanziaria. I pm hanno deciso di chiedere l’archiviazione.

Quando era stato emesso il decreto di perquisizione nel gennaio 2022 si leggeva che “la società Beppe Grillo srl ha percepito da Moby spa 120mila euro annui negli anni 2018 e 2019, apparentemente come corrispettivo di un “accordo di partnership” avente ad oggetto la diffusione su canali virtuali, quali il sito www.beppegrillo.it, di “contenuti redazionali” per il marchio Moby. “Nello stesso lasso temporale”, prosegue l’atto, “Grillo ha ricevuto da Onorato richieste di interventi in favore di Moby s.p.a., che ha veicolato a parlamentari in carica appartenenti” al Movimento da lui fondato e “nominati ministri dei governi in carica all’epoca”, “trasferendo quindi al privato le risposte della parte politica o i contatti diretti con quest’ultima”. Tra le utilità fornite o promesse a Grillo da Onorato c’è anche “l’organizzazione di un comizio elettorale per il Movimento 5 stelle a Torre del Greco” e “la promessa di organizzare comizi elettorali per gli esponenti del M5s”. Agli atti c’erano sono una serie di chat inviate da Onorato a Grillo – e girate da quest’ultimo a esponenti politici dei Cinque Stelle – con la richiesta di aiutare il gruppo gravato dai debiti (al momento la compagnia è in concordato preventivo). Le chat erano state trasmesse a Milano dai pm fiorentini che indagavano per finanziamento illecito sulla fondazione Open.

In realtà la presunta mediazione non aveva prodotto effetti visibili: le uniche iniziative dei parlamentari 5 Stelle su Moby erano quattro interrogazioni al Governo, tutte piuttosto critiche nei confronti della compagnia. In particolare, il 5 marzo 2019 dieci senatori grillini attaccavano la gestione finanziaria di Tirrenia dopo l’acquisizione nel 2015 da parte del gruppo di Onorato, che – scrivevano – “ha prodotto un sostanziale ridimensionamento delle garanzie contrattuali del personale navigante, attraverso una progressiva diminuzione delle assunzioni a tempo indeterminato e il proliferare di turni stagionali” e ha causato “una situazione disastrosa dei conti, sempre più in rosso”. “Noi in Commissione trasporti su questo tema abbiamo sempre adottato una linea dura, e non abbiamo subito alcun tipo di pressioni. Quando c’era da essere critici nei confronti dell’azione di Moby, lo siamo stati. Con Grillo non abbiamo mai parlato di emendamenti e da lui non è arrivata nessuna richiesta” aveva detto l’allora deputata M5S Mirella Liuzzi.

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“Aggredito alla Camera”: il deputato Donno (M5s) presenta denuncia contro 5 deputati di Lega e Fratelli d’Italia

Lo aveva annunciato e ora è arrivata la conferma. Il deputato del Movimento 5 stelle, Leonardo Donno, ha depositato questa mattina ai Carabinieri, accompagnato dal legale, una denuncia su quanto è avvenuto durante la rissa alla Camera del 12 giugno scorso. E secondo quanto si apprende, il grillino, nella sua denuncia-querela, citerebbe anche alcuni deputati fra cui i leghisti Igor Iezzi e Stefano Candiani, e i meloniani Enzo Amich, Gerolamo Cangiano e Federico Mollicone. Non solo. I reati che si ipotizzano sono quelli di lesioni e tentate lesioni.

È passata circa una settimana dalla maxi-rissa all’interno dell’aula parlamentare. Durante il dibattito sull’Autonomia differenziata, Donno era sceso dai banchi della Camera e aveva cercato di consegnare al ministro Roberto Calderoli il tricolore italiano. Poi era iniziato il caos. Alcuni colleghi della destra sono partiti per aggredire il grillino. Ma è in particolare il deputato leghista Iezzi a tentare di superare la barriera di commessi e parlamentari provando a colpire ripetutamente in testa Donno, che pochi minuti dopo, cade a terra. Non solo. Nel caos più totale non sono mancati il segno della Decima Mas fatto più volte, dalla compagine leghista, mentre dai banchi dell’opposizione si intonava a gran voce “Bella Ciao”.

Donno, ad Agorà lo scorso 13 giugno, aveva ripercorso gli attimi convulsi della bagarre a Montecitorio. “Il mio era un gesto tranquillo, simbolico, pacifico, ci sono le immagini – aveva spiegato -. Non è stata una rissa, ma un’aggressione squadrista da più deputati di destra che hanno provato in tutti i modi a raggiungermi”. E poi, intervistato da Repubblica, aveva aggiunto: “Mi hanno preso a calci, un pugno mi ha colpito dritto alla sterno”. Con tanto di referto medico alla mano per chi lo accusava di aver “simulato”. “Altro che simulazione, ecco il testo: Durante la seduta ha ricevuto un colpo allo sterno, presentando difficoltà a respirare per alcuni secondi, senza perdere conoscenza. Trasferito in terapia intensiva, parametri vitali normali. Dopo 7-8 elettrocardiogrammi, mi hanno anche somministrato un antidolorifico”.

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lunedì 17 giugno 2024

“Barattare la libertà di stampa per l’appoggio al secondo mandato? Gravissimo”: le critiche di M5s, Pd e Fnsi dopo le rivelazione di Politico

“La presidente della Commissione Ue è pronta a barattare uno dei valori fondamentali dell’Unione europea – la libertà di stampa, pilastro dello Stato di diritto – con la permanenza al potere? Se fosse vero sarebbe gravissimo“. Movimento 5 stelle, Pd e Federazione nazionale della stampa commentano con pesanti critiche quanto rivelato da Politico.eu: Ursula von der Leyen avrebbe deciso di bloccare il report Ue sullo stato di diritto, perché critica l’Italia per il peggioramento delle condizioni in cui si trovano a operare i media dopo l’avvento del governo Meloni. La presidente della Commissione europea, alla ricerca del secondo mandato, secondo diversi funzionari europei avrebbe intrapreso questa strada proprio per non alienarsi l’appoggio della leader di Fratelli d’Italia. Il portavoce dell’esecutivo Ue, Eric Mamer, respinge le accuse ma non smentisce. E la polemica in Italia cresce.

“Secondo Politico lo stato della libertà di stampa in Italia è diventato oggetto di scambio per il sostegno alla prossima Commissione Ue. Mi auguro che arrivi una smentita urgente e credibile. E che tutto il nuovo Europarlamento vigili su questo rischio“, scrive su X il presidente della Fnsi, Vittorio Di Trapani.

“La sola ipotesi di un insabbiamento del report europeo critico nei confronti di Giorgia Meloni sul fronte della libertà di stampa sarebbe di per sé gravissima ed intollerabile“, afferma la presidente della commissione di vigilanza Rai Barbara Floridia, senatrice del Movimento 5 stelle: “Ancor di più – aggiunge – se davvero il tutto avvenisse ad uso e consumo di un appoggio italiano alla rielezione di Ursula Von Der Leyen”. “Se fosse vero sarebbe gravissimo”, aggiungono i capigruppo del Movimento 5 Stelle delle Commissioni Politiche Ue di Camera e Senato: la deputata Elisa Scutellà e il senatore Pietro Lorefice. “Aver insabbiato o rimandato la condanna all’Italia per il peggioramento della libertà di stampa sotto il governo Meloni in cambio dei suoi voti per la rielezione alla presidenza – continuano – rappresenta uno scandalo politico di proporzioni tali da porre fine alla carriera politica della signora Von der Leyen“.

Sulla stessa linea il neo eletto europarlamentare del Partito democratico, Dario Nardella, che su X posta l’articolo di Politico: “Se fosse vero sarebbe davvero di una gravità inaudita. Si comincia bene…”, scrive il sindaco di Firenze. Questo “blocco a orologeria” è “una pessima notizia”, sottolinea l’altro neo parlamentare europeo del Pd, Marco Tarquinio. “Se il blocco fosse confermato – prosegue – ci sarebbe la dimostrazione, dopo il caso dei fondi concessi all’Ungheria di Orbán nonostante conclamate violazioni delle regole dello stato di diritto, di una rischiosa propensione dell’attuale presidente della Commissione a chiudere un occhio, e anche tutti e due, in base a calcoli politicistici persino su questioni che attengono ai pilastri dell’Unione”. Per l’ex direttore dell’Avvenire “c’è da augurarsi che la notizia, rivelata da indiscrezioni, venga smentita coi fatti e che il Rapporto sia approvato definitivamente e pubblicato nella data inizialmente prevista: il prossimo 3 luglio 2024”, aggiunge Tarquinio. “Purtroppo – evidenzia – la precisazione arrivata dalla Commissione secondo la quale questa data sarebbe solo ‘indicativa’ sembra confermare la linea del blocco a orologeria sin dopo l’estate. Dichiarazione anch’essa ‘indicativa’, appunto. Speriamo di no”.

Il portavoce dell’esecutivo Ue prova a stemperale le polemiche ma non smentisce le ricostruzioni. L’agenda della Commissione europea è “indicativa” e il report sullo stato di diritto “è stato tradizionalmente pubblicato a luglio in diversi momenti del mese, una volta addirittura a settembre. Non commentiamo il lavoro in corso, commenteremo i risultati una volta che il dossier sarà pronto”, ha detto Eric Mamer, in risposta alle indiscrezioni pubblicate da Politico.eu. “Vogliamo che la qualità del report sia impeccabile“, ha sottolineato, indicando che il documento sarà pertanto presentato “quando il collegio dei commissari Ue sarà in grado di adottarlo”. Interpellato sulla possibile preoccupazione dell’Ue per lo stato della libertà di stampa in Italia, il portavoce ha evidenziato che non spetta a lui fare commenti, ribadendo che “la relazione sullo stato di diritto analizza diverse dimensioni” e rimanda al report dello scorso anno. “La nostra relazione è basata sui fatti e questo è ciò che conta”, ha aggiunto.

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domenica 16 giugno 2024

La storia si ripete: a spingere l’Europa nel precipizio nazionalista è ancora una volta l’Italia

L’Europa va a destra ed a portarcela sono due donne, Giorgia Meloni e Marine Le Pen. La prima è la forza trainante, la seconda è la staffetta che per diversi anni ha cercato senza successo di sfondare le barricate europee centriste e che grazie a Giorgia adesso potrebbe finalmente strappare a Macron il premierato.

Analisti e giornalisti concordano sul ruolo prioritario della Meloni nell’attuale ‘rinascita’ o meglio ‘reinvenzione’ del fascismo europeo, un processo di riciclaggio della storia alla George Orwell dove la memoria storica viene alterata piano piano fino a riscriverla di sana pianta. Tutti i grandi dittatori conoscono bene la prassi, Mao lo fece con la rivoluzione culturale, ma Giorgia non è un dittatore, è stata legittimamente eletta ed è anche molto popolare, a conferma l’eccezionale successo di Fratelli d’Italia alle elezioni europee. È per questo che la riscrittura della storia di Giorgia Meloni è più pericolosa, è il neo-fascismo 2.0, senza grandi opposizioni e per opera di una leader pragmatica, simpatica, irriverente e preparatissima. È questa una formula vincente perché moderna, una formula che sta letteralmente trascinando il vecchio continente a destra.

È paradossale che la conferma del ritorno al passato sia emersa dalle elezioni del Parlamento europeo, organo di un’istituzione nata per non ripetere la tragedia della Seconda guerra mondiale, una tragedia messa in scena dall’ascesa della destra nazista e fascista europea. Come è paradossale che a spingere l’Europa verso il precipizio nazionalista sia ancora una volta l’Italia, e già perché il fascismo cronologicamente avvenne prima del nazismo.

La storia si ripete. Il successo di Meloni in Italia ha sdoganato la destra europea, come il successo di Mussolini sdoganò la destra nel mondo un secolo fa, su questo nessuno ha dubbi. Ma mentre il fascismo si presentò come modello socio-economico e politico innovativo, Giorgia non ha un’ideologia nuova, piuttosto nelle file del suo partito spesso si respira un’aria nostalgica, che pero’ la leader tiene a debita distanza. Il successo della Meloni resta nel suo pragmatismo e nella sua abilità mediatica, che ha letteralmente sedotto l’elettorato, specialmente quello incerto, i cosiddetti swing voters, coloro che non sono fedeli ad un partito in particolare.

In sintesi, Giorgia ha sogni ben più modesti di Mussolini, mira al premierato, alla Costituzione di un regime meno libero, più controllato dall’esecutivo, che poi, diciamocelo, è il sogno nel cassetto di tutti i leader politici democratici, una democrazia gestita dall’esecutivo. Il nazionalismo, la politica anti-immigrazione, persino l’atlantismo sono funzionali al raggiungimento di questo modello governativo.

Marine Le Pen è decisamente meno pragmatica e più ideologica di Meloni, è la destra sovranista, con grandi sogni, è per questo che con Salvini hanno fatto spesso coppia. Ma non più, Marine Le Pen ha capito che se vuole vincere in Francia deve emulare lo stile di Giorgia e abbandonare il radicalismo che l’ha distinta da sempre. Sbaglia, dunque, chi pensa che ad aprire la strada alla Meloni sia stata la staffetta con Le Pen, in realtà è il contrario. Sebbene l’esempio della seconda sia stato d’ispirazione alla prima, l’incipit del capitolo storico Meloni è stato scritto in Italia dal populista Movimento 5 Stelle. E vediamo perché.

La vittoria del M5S poggia su pochi postulati: democrazia diretta, dal basso; rifiuto e denuncia del sistema; abilità mediatica. I contenuti, agenda verde, reddito di cittadinanza e così via non rientravano in un’ideologia politica nuova, erano funzionali alla creazione della democrazia diretta digitalizzata. Tutto qui, esattamente come il premierato di Giorgia. La formula ha funzionato e il M5S è andato al governo. La stesa formula ha funzionato per Fratelli d’Italia, unico partito all’opposizione nella coalizione pro Draghi.

A differenza della Meloni, il M5S è andato al governo con l’armata Brancaleone, senza quadri, conoscenze, esperienze sul funzionamento dello Stato. Una volta dentro la palude politica è caduto vittima dei grandi alligatori, ad esempio Salvini, e delle illusioni di potere, ad esempio i lockdown. Ignaro dei vantaggi del pragmatismo politico si è ostinato a portare avanti politiche sbagliate per poi allearsi con i propri nemici.

Questi errori la navigata e pragmatica Meloni non li ha fatti ed a due anni dalla sua elezione a presidente del Consiglio Giorgia è più popolare che mai. Piangere sul latte versato non aiuta, quindi giriamo pagina e depositiamo nei testi di storia la tristissima esperienza del M5S. Prendiamo invece coscienza che il pendolo si sta nuovamente muovendo verso destra, tutte le volte che è successo ha portato lacrime e sangue.

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venerdì 14 giugno 2024

Per Prodi il M5S deve finirla di vendere emozioni e seguire Schlein: questi son lupi vestiti da agnelli

Franco Prodi ha pubblicato tesi strampalate sul cambiamento climatico ed è stato sgamato: ha dovuto ritirare un articolo basato sul nulla. La sera di giovedì 13 il fratello più furbo di Franco, Romano, era a PiazzaPulita, su La7. Anche lui, come il fratello, propone una tesi strampalata. Gli chiedono di spiegare il tracollo dei Cinque Stelle. Alza il ditino e, con aria da curato di campagna, con voce da seminario, spiega che i 5S hanno fatto fortuna vendendo emozioni, dicendo che sono tutti cattivi, ma questo non basta più, ci spiega: la gente ha problemi concreti, come la salute, la scuola, la casa. Non parla di ambiente, in altri momenti si è dichiarato a favore di trivellazioni e nucleare. I 5S devono mettersi d’accordo col Pd, che le proposte chiare le ha (c’è Schlein che lo guarda estasiata dall’altra metà dello schermo) e poi evoca un campo largo in cui ci siano anche Renzi e Calenda. Insomma i 5S ci devono stare, col Pd e col gatto e la volpe, ma devono stare agli ordini di chi vede lontano e devono mettere la testa a posto.

Il giorno dopo riguardo l’intervista. per assicurarmi di aver sentito bene. Confermo: dice che il M5S deve smetterla di vendere emozioni e deve parlare di problemi concreti, andando dietro a Schlein.

Queste menzogne spacciate con pacata e melliflua bonomia mi alzano la pressione. Come si fa a ribaltare le cose in modo così spudorato? Ho spiegato molte volte che, per me, i 5S hanno commesso tantissimi errori, non fatemi l’elenco, lo conosco e sono certo che qualcuno ve lo sarete dimenticato (io no) però i 5S hanno gestito benissimo la crisi del Covid, e hanno avuto grandissimo successo nell’ottenere 209 miliardi per il Fondo di Recupero, il Pnrr; hanno introdotto il reddito di cittadinanza e fatto leggi come la Spazzacorrotti e la Salvamare, hanno fatto un sacrosanto 110% che, purtroppo, è stato gestito da Draghi e da Meloni, che poi danno la colpa a Conte della loro inettitudine. Con Toninelli hanno ricostruito il Ponte di Genova.

Toninelli è l’anello di congiunzione tra i 5S e le ere precedenti: quando crollò il Morandi, chiese di rescindere il contratto che affidava ai Benetton la gestione di un asse strategico del paese: le autostrade. Avevano guadagnato miliardi di euro e non avevano fatto manutenzione. Ma Toninelli, per fortuna, è stato fermato, altrimenti sai quanti guai avrebbe causato, lui. Non sapeva, lo scemo, che in caso di rescissione del contratto lo stato avrebbe dovuto pagare salatissime penali, anche a fronte di colpe gravi. Toninelli chiede: ma chi è che ha fatto quel contratto? Sarà stato uno sprovveduto dei 5S? Ma no… è stato Romano Prodi. Da presidente dell’Iri ha rimesso a posto i bilanci privatizzando le aziende costruite con i soldi pubblici e che stavano andando in malora per l’inettitudine dei politici (democristiani) che le controllavano e così Prodi (democristiano anche lui) ebbe un colpo di genio: vendiamole ai privati. Certo, non possiamo chiedere troppo, che le aziende son bollite. Comunque son sempre soldini che entrano in cassa, così risaniamo il bilancio dell’Iri.

Detto fatto. Ovviamente si contano i soldi che sono entrati, e le minori spese delle perdite derivanti da una gestione scellerata di quelle aziende, ma non si contabilizza la perdita dei fondi spesi per costruire quegli asset (svenduti) e il danno ai cittadini in termini di servizi che man mano sono venuti meno. D’Alema, il primo ex comunista ad andare al governo, continuò su quella strada. Ah, dimenticavo Berlusconi, con i suoi capitani coraggiosi, che impediscono che l’Alitalia sia ceduta ai francesi!

L’artefice primo di quella folle politica economica (dico folle perché spero che non sia stata fatta scientemente, prevedendone i risultati) è ancora intervistato in televisione e pontifica, ribaltando completamente la realtà. I 5S chiedono da tempo il salario minimo, e ora Schlein chiede il salario minimo… e pare che sia lei ad aver introdotto la proposta. Il programma del Pd ricalca quello messo a punto dai 5S, con l’eccezione delle guerre: il Pd ama ancora le armi.

Comunque va quasi bene così. Grillo voleva cambiare il Pd e chiese di iscriversi. Fassino lo cacciò dicendogli di fare un partito. Detto fatto. Ora il Pd sta assorbendo le proposte del Movimento fondato da Grillo e, per fortuna, Renzi e Calenda stanno consumandosi elettoralmente. Se il Pd si libera dei democristiani, da Prodi a Letta, passando per Renzi e la sua combriccola, e abbraccia le proposte del M5S, il M5S non ha più ragione di essere e Grillo, sbattuto fuori dalla porta, rientra dalla finestra e realizza il suo progetto: riformare il Pd.

Rimane il piccolo nodo della guerra, ma son dettagli. Speriamo che chi porta avanti le proposte dei 5S nel nuovo Pd non si faccia fregare dai furbacchioni ipocriti alla Prodi e Draghi. Chiedere il ministero della transizione ecologica a Draghi, definito grillino da Grillo, e poi accettare che il ministro sia Cingolani significa essere degli sprovveduti. E Conte, altro sprovveduto, fece il governo con Draghi. Con gente così non basta l’intelligenza, ci vuole anche un po’ di furbizia. Gli imbroglioni approfittano della buona fede degli onesti che pensano che tutti siano onesti. Non lo sono. Come diceva Pertini: a brigante… brigante e mezzo.

I motivi per mandarli affanculo ci sono tutti, bisogna spiegarli meglio e smascherarli ogni volta. Però con pacatezza, col ditino alzato e voce melliflua, “da moderati”.

Questi sono molto più pericolosi dei fascisti tornati da Marte. Sono lupi travestiti da agnelli. Pronti a fare le vittime, ma col pugnale intinto nel veleno, dietro la schiena.

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Incontro Grillo-Conte a Roma. Il presidente del M5s: “Cambiare le regole interne? Non vi fate troppi film”

Intorno alle 13.20 il fondatore e garante del Movimento 5 stelle, Beppe Grillo, è arrivato all’Hotel Forum. Pochi minuti dopo è arrivato il presidente del Movimento Giuseppe Conte. Da Grillo solo un saluto ai cronisti. Alla domanda se questo incontro aprirà la strada a future modifiche delle regole interne ai 5 stelle, dopo la batosta elettorale alle Europee, Conte ha risposto: “Non vi fate troppi film”.

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giovedì 13 giugno 2024

Conte: “Inaccettabile l’aggressione a Donno, martedì saremo in piazza”. Poi parla del M5s: “A breve grande assemblea costituente”

Giuseppe Conte, attraverso un videomessaggio, ha commentato la rissa avvenuta ieri, mercoledì 12 giugno, alla Camera dei deputati. “È stata un’aggressione inaccettabile, se non fossero intervenuti i commessi, chissà come avrebbero conciato il nostro deputato, Leonardo Donno“. Poi ha lanciato l’iniziativa di martedì prossimo, in piazza Santi Apostoli, organizzata insieme ad Avs e Pd: “Diciamo no a questi tentativi di vile aggressione”. Poi ha parlato del Movimento 5 stelle: “Non c’è nessun clima di sconforto dopo le elezioni. Stiamo facendo una comune riflessione per capire come rafforzare le nostre battaglie. Il nostro obiettivo è cambiare il Paese. A breve avremo una grande assemblea costituente”.

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Rissa in Aula, lo scontro Iezzi-Donno continua a La7. “Hai aggredito Calderoli”. “Devono sbatterti fuori dal Parlamento, fascista e squadrista”

Vis-à-vis infuocato a L’aria che tira (La7) tra il deputato del M5s Leonardo Donno, aggredito ieri alla Camera mentre tentava di consegnare un tricolore al ministro Calderoli durante l’esame del ddl sull’autonomia differenziata, e il parlamentare della Lega Igor Iezzi, protagonista principale dell’aggressione assieme a Candiani, Amich, Cangiano e Mollicone di Fratelli d’Italia.
Il deputato salviniano viene contattato telefonicamente da David Parenzo che lo incalza perchè chieda scusa a Donno, il quale poco prima ha denunciato la mancata solidarietà da parte della Lega e di Fratelli d’Italia per l’atto violento subito.
Iezzi glissa, poi ammette: “Io non ho giustificazioni per quell’aggressione ma Donno ha compiuto un’aggressione nei confronti di un ministro e se ha un minimo di onestà intellettuale, ammetterà che io non l’ho colpito. Quindi, ristabiliamo prima la verità dei fatti”.

Parenzo fa notare che a questo punto, seguendo la logica del leghista, non dovrebbe essere più punita la tentata rapina e aggiunge: “Guardi, basta dire: ‘Chiedo scusa all’onorevole Donno’. Fine”.
“Quando avremo ristabilito la verità”, ripete Iezzi.
“Ma quale verità? Ci sono le immagini”, ribatte il giornalista.
“Le immagini dicono che io non l’ho toccato. Se Donno ha onestà intellettuale, lo ammetterà”, insiste Iezzi.
“Ma allora non chiede scusa per aver tentato di colpire Donno?”, ribadisce Parenzo.
“E lui chiede scusa per aver aggredito Calderoli?”, rilancia il deputato del Carroccio.

Prende la parola Donno, che è collegato dalla sua abitazione: “Chiedo io scusa ai cittadini italiani perché c’è gente del genere che purtroppo li rappresenta. Ed è indegno, altro che onorevole. Questi sono disonorevoli“.
“Ecco, visto che non chiede scusa?” borbotta Iezzi.
Il parlamentare M5s continua: “È come se uno uscisse per strada con una pistola, sparasse a una persona senza colpirla e dicesse: ‘Che vuoi che sia un tentato omicidio?'”.
“Quindi stai ammettendo che non ti ho colpito, ristabiliamo la verità”, relica il leghista.
Iezzi è un soggetto pericoloso“, commenta Donno.
“L’unico pericoloso sei te che ogni volta aggredisci le persone”, ribatte Iezzi.

“Io ho paura di entrare in Parlamento – prosegue Donno, mentre il politico salviniano sovrappone la sua voce – e di avere a che fare con un soggetto del genere che invece deve essere sbattuto fuori dal Parlamento. E si dovrebbe vergognare perché ancora adesso continua a rilasciare dichiarazioni vergognose”.
“L’unica cosa vergognosa è il tuo tentativo di aggressione a Calderoli“, ripete per l’ennesima volta Iezzi.
“Ma se non ci fossero stati i commessi a proteggermi – chiede Donno – Iezzi mi avrebbe preso a pugni in faccia e mi avrebbe lasciato per terra? Che cosa volevi fare Iezzi? Dove volevi arrivare? Ti devi vergognare! E ancora parli? Ti devono sbattere fuori dal Parlamento. Vergognati, siete fascisti e squadristi“.
“Tu sei un mentitore”, risponde Iezzi.

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Le opposizioni cantano Bella ciao alla Camera. E Ricciardi (M5s): “Il leghista Crippa preferisce la Decima Mas, si vergogni”

“Per il leghista Andrea Crippa la Decima Mas è meglio di Bella ciao. Si dovrebbe vergognare, e dovrebbe uscire da quest’Aula”. Il deputato Riccardo Ricciardi ha citato la fresca dichiarazione del vicesegretario del Carroccio, in Aula, e ha scatenato la rabbia delle opposizioni, che hanno chiesto a Crippa di lasciare l’emiciclo. Poi hanno intonato Bella ciao, in piedi, mostrando il Tricolore.

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Voti falsi in Calabria, alle Regionali del 2021 c’ero anch’io e ho tentato di battere quel sistema

In queste ultime ore la Calabria è scossa da un terremoto giudiziario su mafia, politica, corruzione, voto di scambio. Le indagini della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria hanno ad oggetto l’influenza della ‘ndrangheta reggina nelle elezioni regionali e comunali del 2020/2021. Nelle indagini oltre ad essere coinvolti mafiosi di elevata pericolosità sociale, sono indagati politici di primo piano di centro-sinistra e centro-destra, finanche il sindaco Pd di Reggio Calabria.

Come sempre accade in Calabria la questione morale è rigorosamente trasversale: è l’unica regione d’Italia dove vi è alle Regionali un’alternanza tra centro-sinistra e centro-destra. Con la dovuta cautela perché siamo in una fase di indagini preliminari e nessuno è ancora colpevole, ma lo scenario che emerge è quello assai radicato e noto a chi conosce il territorio calabrese e la capacità della ’ndrangheta di arrivare ovunque, di mimetizzarsi ad ogni livello politico ed istituzionale.

È utile ricordare, perché i media frettolosamente cancellarono ciò che accadde in Calabria alle Regionali del 2021, la competizione in cui si è anche concentrata l’azione della magistratura di Reggio Calabria.

Finito il mio secondo mandato di sindaco di Napoli, mi candido, con una coalizione civico-popolare, a presidente della regione Calabria. Una campagna elettorale stupenda, colma anche di umanità e connessione sentimentale, girai tutta la Calabria, dalle aree interne al mare, dalle campagne alle città, dai borghi più piccoli alle località turistiche. La rivoluzione con lo zainetto, così la chiamammo. Quanto entusiasmo, liste con bellissime candidature, tanti giovani, una delle più belle pagine di riscatto politico di quella terra.

Purtroppo la fase finale della pandemia non ci consentì di arrivare ancora di più ad incontri con moltissime persone. Ottenemmo il 17%, in una regione con lo sbarramento all’8% per evitare qualsiasi novità politica. Mai nella storia delle elezioni regionali italiane una coalizione civico-popolare, al di fuori dei partiti forti, ha preso un risultato così netto.

Non fu solo una coalizione di sinistra, ambientalista, radicale, la lotta alle mafie e alla corruzione fu il punto centrale delle nostre storie che ci fece prendere consensi anche trasversali. Biografie personali sempre schierate sulla questione morale e sull’attuazione della Costituzione. Abbiamo eletto consiglieri regionali, ho rinunciato al ruolo di consigliere regionale, tra l’altro lautamente retribuito, lasciando lo scranno ai compagni di avventura calabresi, sono stato il candidato presidente che ha preso più preferenze personali, oltre le liste.

Se avessimo avuto il sostegno del Movimento 5 stelle, come chiedeva fortemente la maggioranza della base del Movimento che incontravo nei territori della Calabria, avremmo potuto addirittura vincere, tenuto conto della forza politica del presidente Conte in quel periodo. Invece il partito nazionale scelse di sostenere la candidata del Pd e di andare a braccetto politico con un partito che in Calabria è stato trafitto dalla questione morale ed è responsabile, in tanti suoi uomini e donne, del disastro in cui è stata trascinata quella Regione.

Ricordo questo perché ritengo che la questione morale, la coerenza, la credibilità, non possono essere valori ad intermittenza, oppure strabici, oppure piegati a valutazioni elettorali opportunistiche, e che nessuna alleanza può mai giustificare di accettare il puzzo del compromesso morale, ma debbono essere la spina dorsale per chiunque svolga attività pubblica, istituzionale e professionale.

Quell’abbraccio secondo me eticamente ferale con il Pd alle Regionali in Calabria nel 2021 fu un pugno in faccia alla rivoluzione in atto che invece con il sostegno dei 5S, che non rappresentano il sistema in Calabria, si sarebbe potuto vincere e pensate che sarebbe accaduto di bellissimo in quella terra oggi invece governata da partiti che hanno al loro interno persone che hanno distrutto diritti e tradito una terra straordinaria, per non parlare della questione morale.

La Calabria sarebbe stata, come lo è stata Napoli, seppur i paragoni valgono fino ad un certo punto, un laboratorio nazionale di riscatto del sud estremo attraverso la politica delle mani pulite, delle competenze e del coraggio. Queste esperienze possono servire anche ad indicare la strada della rinascita e della riscossa in politica. Un faro luminoso imprescindibile sono certamente la coerenza dei fatti e la credibilità delle storie delle persone.

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