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venerdì 30 marzo 2018

M5s in Europa valuta l’ipotesi di formare un gruppo con il partito di Macron: “Ma prima dipende dalla partita del governo”

I contatti ufficiali ancora non ci sono. Ma lo spazio è aperto e si è alzato un alito di vento che può provocare mareggiate anche in Italia: il Movimento Cinque Stelle a Bruxelles sta valutando di formare un gruppo insieme a En Marche, fondato dal presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron. Per il post-voto del 2019, quando non ci saranno più gli attuali alleati euroscettici inglesi, i grillini hanno in testa un altro piano. “Non c’è ancora stato un incontro, ma potrebbe esserci prima dell’estate. Perché noi sicuramente molleremo l’Ukip di Nigel Farage e stiamo considerando tutte le opzioni per essere più efficaci nelle nostre battaglie”, spiegano diverse fonti del M5s a ilfattoquotidiano.it. “Valuteremo se ci sono le condizioni per il dialogo – si spiega – Non abbiamo chiusure verso nessuno, ma le alternative non sono molte”. L’ipotesi, molto più concreta di come appare vista dall’Italia, è legata con un doppio filo a quello che succederà dopo le consultazioni del Quirinale. “Stiamo aspettando di vedere quali intese andranno in porto e che tipo di evoluzioni ci saranno – continuano le fonti dei Cinquestelle – E’ chiaro che se si fa un accordo con la Lega, è difficile parlare con Macron. Diverso sarebbe se trovassimo l’appoggio del Pd senza Renzi“. Non è un caso che la notizia sia uscita in questi giorni di trattative e colloqui: il Foglio è stato il primo a darne conto con un articolo a firma di Salvatore Merlo, poi la notizia è stata ripresa dal Corriere della Sera e da Repubblica. Nel merito si sono espressi alcuni esponenti vicini al partito di Macron, c’è chi è stato possibilista e chi ha chiuso categoricamente. Infine, il 29 marzo, è scoppiato il caso: un comunicato definisce il M5s “populista” e la stampa italiana lo rilancia come fosse la replica ufficiale di En Marche. In realtà è solo di un’associazione vicina al partito, ma non lo rappresenta. Da En Marche  scelgono in realtà di rispondere su Twitter: “Chi parla – confermano – si esprime a titolo personale”. Un messaggio chiaro, ma che non è una smentita. L’ufficio stampa del partito, contattato da ilfatto.it, non rilascia commenti. Dallo staff della comunicazione M5s all’Europarlamento replicano con un no comment. L’operazione è complicatissima e tutto è molto prematuro.

Ma la verità è che nei corridoi del Parlamento europeo la voce circola da tempo: le dinamiche nazionali, sia in Italia che in Francia, cambieranno notevolmente la composizione dell’assemblea di Strasburgo dopo il voto del 2019. Due i dati più significativi: da una parte il partito del presidente Macron molto probabilmente porterà a Bruxelles un gruppo consistente di eurodeputati che potrebbero pesare molto nell’arco parlamentare e non hanno una casa d’appartenenza (nonostante l’origine del leader sia quella dell’ala destra dei socialisti); dall’altra parte il Movimento 5 Stelle, se fosse confermato il trend delle elezioni nazionali, aumenterà i suoi eurodeputati e sarà costretto, molto più volente che nolente, a mollare gli euroscettici dell’Efdd. “Ci stiamo guardando intorno – ribadiscono al fatto.it le fonti M5s – perché vorremmo dopo le elezioni 2019 trovarci nelle condizioni per lavorare bene. Qui a Bruxelles siamo riusciti a smarcarci dall’immagine degli incompetenti che demonizzano l’Europa e vorremmo poter avere un gruppo che ci permetta di essere incisivi senza ogni volta dover scalare le montagne. E’ cambiata la nostra considerazione qui: uno dei nostri (Fabio Massimo Castaldo, ndr) è stato eletto vicepresidente e ci vengono assegnati senza problemi anche dossier di peso“. Senza contare che i renziani che – l’ex prodiano Sandro Gozi in prima fila – avevano promesso a Macron grande sostegno e addirittura un’ipotesi di avvicinamento a prescindere dai socialisti, probabilmente alle prossime Europee potrebbero diventare quasi ininfluenti.

Poi c’è la controparte. Per Macron – è il ragionamento fatto a ilfatto.it da fonti vicine al presidente francese – la logica è quella di valutare solo quanto peso potranno avere sia En Marche che il M5s nel Parlamento europeo che verrà: ovvero guardare i numeri. E, visto che i socialisti francesi alle Presidenziali sono crollati al 6 per cento e che il Pd italiano ha raggiunto a malapena il 18 alle Politiche, forse sarà davvero necessario guardare oltre. A Bruxelles e a Parigi, leggendo i giornali italiani, in tanti si sono stupiti che il tema sia interessato già così tanto. Ma a Roma non ha stupito nessuno.

Il caso è scoppiato con la diffusione del comunicato dell’associazione Europe en Marche, creata in vista delle Europee in sostegno di Emmanuel Macron. Nel testo si leggeva: “I valori progressisti, di apertura e umanità sono la nostra colonna vertebrale e non sono compatibili con le posizioni demagogiche, populiste e apertamente euroscettiche del M5s”. Parole che stridevano completamente con l’intervista rilasciata dal Shahin Vallée, ex consigliere economico di Macron ma in precedenza anche di Van Rompuy, che parlando al Corriere della Sera non escludeva la possibilità che i Cinquestelle potessero aderire a “un’ampia alleanza pro-europea aperta a tutti, in modo da sfidare sia l’ondata dei partiti nazionalisti che l’inerzia di quelli tradizionali”, a condizione che si chiarisse la loro opinione sull’Europa. Naturalmente, nel caso di un eventuale accordo di governo con la Lega, un dialogo tra gli europeisti di Macro e i grillini sarebbe “difficile da immaginare”, ha aggiunto Vallée. Poi è arrivato il comunicato dell’associazione Europe en Marche che la stampa italiana ha rilanciato in massa. E lo stesso sottosegretario alle Politiche comunitarie Gozi ha esultato: “Soddisfatto che En Marche! neghi qualsiasi dialogo con il M5s”. E’ dovuto intervenire l’account Twitter del partito per ribadire che quella non è la voce ufficiale. E la voce ufficiale, ovvero l’Eliseo, di sicuro non ha intenzione di esprimersi in questo momento di passaggio, che può avere esiti imprevedibili in Italia e è ancora distante dalle elezioni europee della primavera del 2019.

Quello che farà da crinale fondamentale, dunque, sarà vedere cosa succederà dopo le consultazioni al Colle e soprattutto capire se si riuscirà a far partire un governo in Italia o si dovrà tornare al voto. “Sappiamo che c’è quella strada aperta”, commentano altre fonti M5s in parlamento. “E sicuramente è una prova in più di come la nostra posizione agli occhi dell’Europa sia migliore di quanto si voglia far credere. Ma comunque il Pd, ancora saldamente controllato da Matteo Renzi, in questo momento sta facendo di tutto per spingerci a fare l’accordo con la Lega”. L’impasse è autentico: i grillini non accetteranno mai di sedersi al tavolo con Silvio Berlusconi, il Carroccio non ha nessun interesse a mollare Forza Italia ora che può prendere il controllo di una coalizione che ha già raggiunto il 37 per cento. La situazione è fluida, cambia in continuazione e per giunta la delegazione del Movimento Cinque Stelle salirà per ultima al Quirinale per le consultazioni con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. La strada è lunghissima e tutto conta: pure non sembrare più gli euroscettici impresentabili agli occhi dell’Europa.

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Marescotti: “Io uomo di sinistra ho votato 5 stelle. Un voto tattico per rovesciare il tavolo”

L’attore Ivano Marescotti in collegamento da Bologna con la trasmissione Tagadà (La7) spiega perché ha definito il suo voto ai 5Stelle ‘tattico’: ‘Sono un uomo di sinistra che non ha un rappresentante politico. Utilizzo il voto per rovesciare il tavolo’ dice

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Governo, fughe e retromarce tra Lega e M5s: “Reddito cittadinanza? Sì, a tempo”, “Dialogo, ma l’unico premier è Di Maio”

Se il reddito di cittadinanza fosse temporaneo, non ci sarebbero pregiudiziali. Ma si parte dal programma di centrodestra. Avanti col dialogo con tutti sui temi. Ma il candidato alla presidenza del Consiglio resta solo Luigi Di Maio. Un passo avanti e uno indietro, un cenno e un rifiuto, un’apertura e una retromarcia. La Lega e il M5s continuano a guardarsi da lontano. Puntellando le proprie certezze, tentando di costruire almeno un dialogo con le altre forze politiche. La differenza del giorno è che Matteo Salvini, durante una visita a Ischia, sottolinea che per il momento non ci sono numeri, ma nel futuro chissà. E invece dall’altra parte Luigi Di Maio non dice una parola all’Ansa che gli chiede di commentare le dichiarazioni del segretario leghista. Il capo politico dei Cinquestelle è al lavoro negli uffici del gruppo grillino alla Camera in vista delle consultazioni che cominceranno al Quirinale dal 4 aprile, mercoledì. Il Movimento per il momento parla attraverso il “Blog delle stelle” e rilancia: “Continuiamo a dialogare con tutte le forze politiche, mettendo al centro i temi su cui trovare convergenze nel solo interesse dei cittadini”. E’ Salvini che conferma che “con Di Maio ci sentiamo dopo Pasqua”. Spiega meglio: “Con i 5 stelle stiamo ragionando, se poi questo ragionamento andrà lontano o si fermerà non sono in grado di dirlo adesso”. Salvini premier? “La mia ambizione è di rappresentare tutti gli italiani facendo il presidente del Consiglio. Però non è una pregiudiziale perché a me interessa lavorare per l’Italia. Qualcun altro diceva: o io o il diluvio, io non ho l’arroganza di dire o io o nessuno”.

Il riferimento, neanche tanto velato, è alla controparte. Ed è confermato, d’altronde, da un altro pezzo di quella nota pubblicata sul Blog delle stelle. Una nota obbligata, per smentire un retroscena della Stampa che parlava della possibilità che il M5s possa arrivare a “sacrificare” Di Maio come presidente per far partire un governo di coalizione (ricostruzione messa in bocca al consigliere regionale Massimo Bugani e che lo stesso Bugani ha smentito categoricamente). Di Maio, ribadiscono i Cinquestelle nella nota, “è l’unico candidato premier del M5s con cui intendiamo andare al governo e cambiare il Paese dando finalmente agli italiani le risposte che attendono da trent’anni”. Bisogna rispettare quello che è stato promesso in campagna elettorale, è il ragionamento. Dopodiché, come afferma Emilio Carelli, ex direttore di SkyTg24 e ora deputato, “lo avevamo detto in campagna elettorale e lo stiamo facendo: dialogo con tutte le forze politiche, a destra e a sinistra, nell’interesse del Paese, affinché si faccia un governo che al più presto possa mettersi al lavoro per risolvere i problemi dei cittadini”.

Ma Salvini continua ad ammiccare, anche se in modo più rigido viste le reazioni dei Cinquestelle. “Se il reddito di cittadinanza – ragiona Salvini – non è un investimento illimitato per chi sta a casa, aperto a tutti (cosa che mi vedrebbe fortemente contrario perché sarebbe la fine del merito e dell’incentivo a fare impresa e cercare un lavoro) ma un investimento temporaneo per chi ha perso il lavoro ed è in attesa di trovare un nuovo lavoro ne possiamo parlare. Se invece è l’ennesimo provvedimento assistenzialista a tempo indeterminato, aperto a tutti, no perché è la fine dell’idea dello sviluppo”. E’ un’apertura al M5s, gli chiedono? No, “un’apertura al Paese“, risponde lui. “Se c’è qualcuno che è a casa, disperato, che per colpa della legge Fornero non ha né pensione né lavoro e io gli posso dare una mano son contento, non ho pregiudiziali di nessun tipo” dice.

Però, messa a parte questa “disponibilità”, c’è anche l’altro messaggio: il no ai veti, che – tra gli altri – oggi è stato auspicato anche dalla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati in un’intervista al Corriere della Sera. Salvini la pensa allo stesso modo: “Non è che uno si siede al tavolo e dice: tu non mi piaci, vai via! Si parte dai progetti, non dai nomi, dai premier. Si parte dalle cose da fare: tasse, lavoro, sicurezza. l’importante sono le cose da fare”. E le cose da fare, per Salvini, sono innanzitutto nel programma del centrodestra: “Visto che il centrodestra è la coalizione che ha vinto, sono disposto a dar vita a un governo che parta dal programma di centrodestra e quindi dalla cancellazione della legge Fornero, dalla riduzione delle tasse, dal controllo dei confini, dalle espulsioni dei clandestini – rilancia il leader del Carroccio – Sono disposto a ragionare di redditi di inclusione, leggi di cittadinanza, prestito per entrare nel mondo del lavoro. Sono disposto a ragionare di tutto, ma si parta dal voto degli italiani“.

A Ischia Salvini ha denunciato i ritardi della ricostruzione dopo il terremoto dell’agosto 2017 e la necessità di dare più poteri ai sindaci. Ma ha anche fatto distinzioni tra diversi tipi di abusi edilizi. “L’abuso è abuso, poi un conto è la villa in spiaggia, un conto è la finestra, il soppalco o il garage” ha detto prima di entrare nella zona rossa di Casamicciola. “Qua molti, di destra, di sinistra, di sopra e di sotto, hanno lamentato l’inerzia totale della Regione – ha aggiunto Salvini – nel senso che mentre tutte le Regioni italiane da nord a sud sono intervenute in passato su abusi e maxi abusi mettendo delle regole e ponendo un punto fermo col passato, la Regione Campania, per ideologia non ha mosso un dito e quindi è rimasto tutto fermo e non fare le cose è il modo peggiore”.

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M5s-Lega, Marescotti: “Di Maio con un solo bacio a Salvini perderebbe il 40 percento degli elettori”

L’attore Ivano Marescotti a Tagadà (La7) sulle probabili annunciate alleanze di governo tra 5Stelle e Lega: ‘Se Di Maio farà il governo con Salvini gli elettori dei 5Stelle li inseguiranno con i forconi’ commenta

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Regione Lazio, Zingaretti chiude l’accordo con M5s e Forza Italia: fiducia a tempo per un anno. Ma verifica tra 6 mesi

Un periodo di prova di un anno, con verifica semestrale. È a tempo la fiducia che il Movimento 5 Stelle in primis e Forza Italia a ruota si apprestano ad assegnare a Nicola Zingaretti e alla sua non-maggioranza di centrosinistra. Questo il risultato delle consultazioni che, nelle ultime 48 ore, il neo rieletto presidente della Regione Lazio ha portato a termine con i leader delle opposizioni. Zingaretti ha incassato anche l’indisponibilità di Lega e Fratelli d’Italia che nei prossimi giorni, insieme a Sergio Pirozzi, proveranno a raccogliere le firme per la mozione di sfiducia da presentare entro il mese di aprile. Difficile, allo stato, che si possano raggiungere le 10 sottoscrizione richieste, vista la volontà degli altri partiti di dare comunque il via all’XI legislatura del Lazio. Sulla base delle disponibilità raccolte, il presidente del Consiglio regionale designato, Daniele Leodori, porterà avanti le trattative parallele per la spartizione dei posti nell’ufficio di presidenza e, successivamente, delle titolarità delle commissioni. Tutto ciò con un occhio anche ai fragili equilibri nel Pd e nel centrosinistra tutto. Per chi rimarrà escluso da questo giro, comunque, arriverà anche il turno delle poltrone negli house organ, anche quelli non poco ambiti. Insomma: ce ne sarà per tutti.

BILANCIO LEGGERO SUBITO, POI IL COLLEGATO A GIUGNO
Zingaretti si è presentato alle opposizioni con un documento di 7 pagine, diviso in 8 punti, intitolato “programma di lavoro per l’avvio dell’XI Legislatura”. Un programma, bisogna dire, abbastanza generico, dove fra le priorità amministrative si dà la precedenza alle infrastrutture per i trasporti e al taglio delle liste di attesa nella sanità, mentre fra quelle legislative si parla di “piano del sociale 2018-2020”, piano territoriale paesaggistico, testo unico del commercio, piano rifiuti, riforma di LazioDisu, riorganizzazione degli enti locali e piano triennale del turismo. Saranno soprattutto la sanità e i rifiuti a determinare l’apprezzamento del gruppo pentastellato che ha le idee molto chiare sul da farsi. Se l’accordo sulle liste d’attesa potrebbe trovarsi agevolmente sospendendo il programma intramoenia per le attese che superano i 60 giorni (soluzione molto popolare ma da sempre osteggiata dai direttori sanitari), da capire davvero è cosa accadrà rispetto al ciclo dei rifiuti. Su questo punto il M5s punta al piano “rifiuti zero” senza la realizzazione di ulteriori impianti, mentre la Regione a trazione centrosinistra il 20 marzo scorso ha già ricevuto dalla Città Metropolitana l’elenco dei siti dove collocare la nuova discarica o il nuovo termovalorizzatore. Prima di ogni cosa, però c’è da approvare il bilancio 2017, che l’assessora Alessandra Sartore ha praticamente chiuso. Nero su bianco, il governatore scrive che “se il quadro politico lo richiedesse, la legge di stabilità potrebbe assumere veste minimale rimandando a un possibile ‘collegato‘ la sede in cui raccogliere norme più sostanziali, anche alla luce del confronto in commissione in aula nella sessione di bilancio”. Tradotto: adesso partiamo, poi ci sarà tutto il tempo di correggere in corsa. Anche perché varare il bilancio servirà ai politici con incarichi per insediarsi con il proprio staff.

IL RISIKO DELLE POLTRONE
E proprio le poltrone sono l’altro argomento caldo di questi giorni. In vista del primo consiglio regionale, atteso per mercoledì 4 aprile, va formandosi il futuro ufficio di presidenza. Daniele Leodori (Pd, franceschiniano) è ormai certo di essere riconfermato numero uno della Pisana. Le vicepresidenze andranno all’opposizione: una a Forza Italia (in lotta la componente di Gasparri, con Adriano Palozzi, e quella di Tajani, con Giuseppe Simeone) e una al M5s (Devid Porrello). I segretariati d’Aula dovrebbero andare a Forza Italia (Antonello Aurigemma o lo sconfitto del duello Palozzi-Simeone), alla lista civica Zingaretti (Gianluca Quadrana) e a una donna del Pd. Sull’incarico aveva messo gli occhi la franceschiniana Michela Di Biase, ma la contestuale presidenza a Leodori sarebbe difficile da accettare per le altre anime dem; i “turborenziani” sono rimasti finora a bocca asciutta e in consiglio sono rappresentanti da Eugenio Patanè – bisognerebbe convincere Forza Italia a nominare una donna – e Valentina Grippo, ultima degli eletti. Le presidenze delle 11 commissioni – 8 istitutive e 3 speciali – invece, saranno assegnate in maniera proporzionale fra le forze politiche che si saranno dimostrate “collaborative”. Movimenti, infine, anche nello staff di Zingaretti. Una recentissima modifica del regolamento ha istituito due vice capo di gabinetto, con una delle due poltrone prenotata da Mario Ciarla, mentre l’altra dipenderà anche dalla posizione di Enzo Foschi in vista delle elezioni al Municipio VIII. Albino Ruberti, ex presidente della capitolina Zetema e neo capo di gabinetto, sarà di fatto anche l’assessore ombra alla Cultura, delega formalmente trattenuta dal governatore e che da sempre interessa al mondo ex-Ds legato a Goffredo Bettini.

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Pd, Orlando: “Non basta dire ‘tocca a loro’. Con M5s dialogo è doveroso. Tutti rinuncino a potere interdizione”

“Non basta dire ‘tocca a loro'”. “Con i 5 stelle il dialogo è doveroso”. “Tutti rinuncino al potere di interdizione dentro il partito”. I malumori che solo fino a ieri trapelavano in qualche retroscena sui movimenti dentro il Pd, ora il ministro uscente dem Andrea Orlando ha deciso di esplicitarli in un’intervista al Corriere della sera. Dove, per la prima volta, si parla di un dialogo con il Movimento 5 stelle. La rottura con la linea dell’opposizione a tutti i costi, imposta dall’ex segretario Matteo Renzi e condivisa dalla direzione post voto, è netta. Ma ancora non basta per superare lo stallo. Solo ieri Orlando e il collega Dario Franceschini avevano chiesto che i gruppi parlamentari dem si rivedessero prima dell’incontro al Colle per rivedere la linea, ma l’ipotesi non è stata nemmeno presa in considerazione. E oggi, il neocapogruppo alla Camera Graziano Delrio, oltre ad aver dichiarato di non essere disponibile a candidarsi per la segreteria, ha ribadito che per i dem la via è quella dell’opposizione: “Non si è aperta nessuna discussione sulla linea da tenere”, ha detto intervistato al Gr1. “Si è aperta una discussione su come bisogna svolgere questo ruolo. E’ una discussione legittima e la faremo dopo le consultazioni”.

Orlando, nell’intervista al Corriere, parla molto duramente della situazione dentro il partito. “Prendere atto”, dice, “delle distanze che separano la nostra visione politica e istituzionale da quella delle forze premiate dal voto non equivale a esprimere una linea politica. Il quadro emerso dalle urne non ci consente di realizzare il nostro progetto da soli o in alleanza. Questo non ci esime dall’indicare le nostre priorità. Proporre un’agenda sociale al Paese, altrimenti la nostra posizione sarà subalterna e chiusa nel palazzo”. E in merito al dialogo con i grillini, spiega: “Accordi con i 5 stelle? Per quanto mi riguarda un conto è il dialogo, che è doveroso con una forza che ha raccolto un terzo dei voti, un conto sono le alleanze, che non vedo percorribili. Più che di questo tuttavia mi preoccuperei del dialogo con il Paese, che non si costruisce solo con un posizionamento tattico”. Sull’influenza di Renzi, e sul ruolo svolto nella scelta dei capigruppo in Parlamento (i renziani Delrio e Marcucci), commenta: “La scelta della reggenza è stata fatta dalla maggioranza, a noi è stato chiesto di sostenerla per spirito unitario. Lo stiamo facendo e spero che tutti consentano a Martina di svolgere in modo autonomo il proprio ruolo, rinunciando a un potere di interdizione”.

Anche per questo Orlando torna a difendere la necessità di rivedere la posizione dell’Aventino. “Dire no all’assemblea è stato un errore. La salita al Colle è la prima occasione nella quale il Pd può parlare agli italiani oltre che al Capo dello Stato e dire che tipo di opposizione vogliamo fare alla eventuale nascita di un governo giallo-verde. Se è ineluttabile, dobbiamo decidere se gli facciamo una opposizione da destra o da sinistra”. Secondo Orlando davanti al Pd ci sono due strade: “Il rischio più grande per il Pd è smarrire la sua funzione. Non abbiamo molto tempo e io vedo due strade. Attendere l’eventualità che Forza Italia sia dilaniata dall’opa di Salvini e capitalizzare l’uscita di parte di quell’elettorato, oppure provare a recuperare i milioni di voti popolari andati a Lega e 5 Stelle. Le due strade sono incompatibili. Io credo si debba seguire quella che evita che una parte dell’elettorato di sinistra sia consegnato a forze antisistema”.

Orlando arriva infine anche a criticare la linea tenuta dal partito nell’elezione di vice e questori, durante la quale non si è voluto dialogare con nessuno. “Il Pd indubbiamente è rimasto frenato dall’idea sbagliata che interloquire sulle presidenze fosse aprire la strada a una interlocuzione sul governo”.

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Governo, Paragone (M5s): “Berlusconi? È un prodotto scaduto, mi scoccerebbe votare la fiducia a esecutivo in cui c’è anche lui”

“Berlusconi? È un prodotto scaduto, mi scoccerebbe votare la fiducia a un governo in cui c’è anche lui”. Così, negli studi di Piazzapulita (su La7)Gianluigi Paragone, neo senatore del Movimento 5 stelle, ha risposto a una domanda di Corrado Formigli sull’eventualità di votare la fiducia ad un Governo anche con Silvio Berlusconi

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giovedì 29 marzo 2018

Governo, Di Maio: “Convergenze su temi sia a destra, sia a sinistra. Solo il Pd si è sottratto al confronto”

“Prima di presentarci dal Presidente Mattarella abbiamo invitato i capigruppo delle altre forze politiche al confronto, per sapere prima se ci sono convergenze sui temi importanti del Paese e posso dirvi che ci sono, sia a destra sia a sinistra. Ce lo aspettavamo. Perché le idee che portiamo avanti sono di buon senso e non hanno etichette ideologiche”. Lo afferma il leader del M5s Luigi Di Maio, in una diretta trasmessa sul proprio profilo Facebook, sottolineando come il Pd, non andando agli incontri, “sta ancora portando avanti la linea di porsi come freno al cambiamento”. “La strada è tracciata – ha concluso – La settimana prossima sarà importantissima e vi prego di continuare a sostenerci e a starci vicino”

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Camere, Delrio: “Iniziato col piede sbagliato, composizione non rispetta voto del 4 marzo”

“Buon lavoro all’ufficio di presidenza della Camera, ci tocca però sottolineare come M5s e centrodestra abbiano iniziato col piede decisamente sbagliato: la composizione non rispetta il voto del 4 marzo, il Pd ha un solo componente eppure è il secondo partito. Noi comunque vogliamo lavorare e faremo in Parlamento proposte da subito”. Così Graziano Delrio, capogruppo Pd alla Camera, parlando con i cronisti nella sala stampa di Montecitorio

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Salvini e Di Maio trovino intese sul programma, le coalizioni pre-elettorali sono ormai ininfluenti

Signor Salvini, tocca a lei decidere ora: cosa è più importante a questo punto, tenere in piedi un accordo che, di fatto, non ha raggiunto la maggioranza sufficiente dei suffragi per essere proseguito oppure assecondare rispettosamente l’impegno di servire il popolo cercando una via capace di dare alla nazione un governo e delle riforme veramente in linea con ciò che richiede una società libera ma proiettata verso un futuro capace di mettere l’umanità, non i soldi o il potere, al primo posto degli interessi di chi governa? E’ chiaro che questo dovrebbe essere l’interrogativo in testa ai due leader che attualmente si apprestano a percorrere il tortuoso sentiero che conduce a Palazzo Chigi.

Nulla proibisce però ai due di essere diversi ma uguali nella guida della nazione. Anzi, il binomio potrebbe essere persino un “triumvirato” (come quello che succedette alla morte di Giulio Cesare). Certo, i tempi, i modi e i mezzi sono oggi molto diversi, ma la scelta che i leader devono fare è la stessa: una scelta di programma! Ora non è più il tempo di pensare ad un “condottiero efficace”, ma ad uno “statista illuminato” e fedele ai dettami di una seria ed evoluta democrazia. L’importante non è perseguire un modello politico per governare senza problemi (non esiste oggi e non esisterà mai!). Bisogna semplicemente rimboccarsi le maniche, individuare i problemi più urgenti e sbrigarsi a risolverli mettendo da parte le beghe partitocratiche.

La prima cosa da fare ora è abbandonare quella ridicola distinzione tra “destre”, “sinistre” e “centro”, totalmente incapaci ormai di rappresentare qualunque pensiero politico e/o ideologico. Al di là della collocazione fisica nell’emiciclo del Parlamento non c’è nulla in questa terminologia che giustifichi gli indirizzi politici dei partiti che, tramite i rappresentanti eletti, occupano i seggi. Innanzitutto perché Berlusconi ha completamente abbandonato ogni aggancio ad ideologie: a lui interessava solo la poltronissima di Palazzo Chigi e qualunque alleato che portasse i numeri necessari a conquistarla andava bene. Così ha fatto anche stavolta, mancando però il bersaglio a causa del buon numero di elettori che hanno finalmente capito che col “canto delle sirene” non si va lontano.

Matteo Salvini perciò non deve sentirsi più legato a quell’accordo di “coalizione” per il semplice fatto che non ha retto l’esame delle urne. Bocciato dal popolo, non ha più ragione di esistere. Tanto più che era solo l’ennesimo garbuglio elettorale cucinato da Berlusconi al solo scopo di tornare a galla per meglio governare (i suoi interessi). Nessuno può impedire a Salvini e Di Maio di mettersi d’accordo sul programma da portare a compimento e dividersi le responsabilità sostanziali di governo in modo paritetico (uno con la qualifica di presidente, l’altro con quella di vice, ma con ruolo e compiti paritari).

Il nostro sistema istituzionale sotto questo profilo è perfetto dato che il nostro presidente del Consiglio non è esattamente un “premier”, cui spetta l‘ultima parola sulle decisioni, ma semplicemente un coordinatore dei ministri (nominati dal Capo dello Stato ma formalmente indipendenti nel loro operato). I ministri possono essere giudicati ed estromessi solo dal Parlamento (col voto di sfiducia). Il nostro “premier” non ha quindi nessun potere coercitivo sui ministri, può solo tentare di convincerli. Sul piano formale è bene anche sottolineare che i ministri giurano fedeltà al popolo italiano, non al premier o al partito. L’importanza del programma diventa in questo modo assoluta, dato che ogni ministro deve tener fede ad esso, non ai cambi d’umore del premier o del capo-partito. Se quindi è il programma a comandare l’operato dei ministri anche l’importanza della coalizione disegnata prima delle elezioni diventa ininfluente dato che è stata superata dal voto popolare.

La prevalenza “proporzionale” della legge elettorale (il “Rosatellum“) con cui il popolo ha votato privilegia gli accordi post-voto su programmi che possono, e in qualche caso devono, essere anche molto diversi da quelli visti prima del voto. Poiché è chiaro a tutti che il miraggio delle promesse elettorali dei vari schieramenti non è ovviamente fattibile in toto avendo un costo insostenibile, i candidati premier devono mettersi d’accordo su cosa è più importante e necessario fare subito per il bene del popolo italiano (mantenendone la sostenibilità economica) e del paese e andare a presentare il neonato programma al presidente della Repubblica per convincerlo a dare il suo benestare.

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Camera, eletti i 4 vicepresidenti. E il questore M5s Fraccaro prende 47 voti in più

L’Aula della Camera ha eletto i componenti dell’Ufficio di presidenza di Montecitorio. I vicepresidenti sono: Mara Carfagna (Fi), Maria Edera Spadoni (M5S), Lorenzo Fontana (Lega) ed Ettore Rosato (Pd). I questori eletti: Riccardo Fraccaro del Movimento 5 stelle, con 269 voti; Gregorio Fontana, di Forza Italia, con 232; Edmondo Cirielli, di Fratelli d’Italia, con 213. L’esponente pentastellato sarà il membro anziano del collegio.

Alla candidata del Pd, Rosa Maria Di Giorgi, sono andate 112 preferenze. Le schede bianche sono state 12, le nulle 14, le disperse 15. Questi invece gli otto segretari di presidenza: Francesco Scoma (Fi), che ha ottenuto 250 voti; Silvana Andreina Comaroli (Lega), 246; Marzio Liuni (Lega), 243; Raffaele Volpi (Lega), 228; Azzurra Cancelleri, 217; Mirella Liuzzi; 213; Vincenzo Spadafora, 207; Carlo Sibilia, 199; tutti e quattro del Movimento 5 stelle. Alla candidata del Pd, Alessia Morani, sono andati 104 voti. Le schede bianche sono state 23, le nulle 2, le disperse 24.

Giacché non è stato eletto nessun componente del gruppo Misto, come prescrive il regolamento sarà necessaria una nuova votazione suppletiva per eleggere un deputato segretario, già in calendario per martedì 3 aprile alle 14.

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Governo, Pd si spacca: Franceschini e Orlando chiedono di ridiscutere la linea. E i renziani attaccano il Corriere

Dicono che staranno all’opposizione, perché è lì che li hanno voluti gli italiani. Che i “5 stelle hanno già deciso” e “che non intendono incontrarli prima di aver parlato con Sergio Mattarella”. Di sicuro per il momento c’è solo che il Partito democratico è spaccato su due fronti: chi vuole l’Aventino e chi invece, lontano dai riflettori, cerca i contatti con i grillini e valuta l’opzione del dialogo. L’ultimo segno di rottura è di oggi: Dario Franceschini, dato dal giorno dopo il voto come uno della corrente dialogante, ha chiesto che i gruppi di Camera e Senato si riuniscano prima delle consultazioni al Colle (inizio 4 aprile). Lui, insieme al collega Andrea Orlando, chiede che venga ridiscussa la linea dell’opposizione a tutti i costi. Il segretario reggente Maurizio Martina ha cercato una mediazione, rimandando tutto a dopo la salita al Quirinale. Matteo Renzi, dalla sua enews, è intervenuto a gamba tesa: “La situazione politica è chiara, il Pd starà all’opposizione”. Ma a fare arrabbiare la corrente renziana oggi è stato anche l’editoriale di Massimo Franco sul Corriere delle Sera che, parlando delle polemiche Pd per la mancata assegnazione della poltrona di questore al Senato, ha scritto: “Chi a sinistra cercava un’intesa con i 5 stelle si ritrova spiazzato. Ma si rischia di fare il gioco degli avversari”. E anche: “Fare opposizione con gli stessi che hanno gestito disastrosamente il governo è una garanzia per perdere di nuovo”. Tanto è bastato per scatenare i renziani: “Addolora che il Corriere, giornale che ha pagato prezzi altissimi alla difesa della libertà, si schieri con chi travolge persino l’ABC delle garanzie parlamentari“, ha detto il deputato Andrea Romano.

Franceschini: “Pd è stato troppo silente”. Ma Guerini: “Linea chiara da dopo le consultazioni”
Lo scontro di oggi è andato in scena durante l’assemblea del gruppo Pd alla Camera. Il ministro uscente Dario Franceschini, a quanto si apprende, prendendo la parola ha replicato a Guerini che ha detto: c’è la linea della direzione, i gruppi dem si riuniscano dopo il Quirinale. Il ministro ha sottolineato che in questa fase il Pd è stato troppo silente: va bene richiamare la linea della direzione sul partito all’opposizione – è il senso del ragionamento – ma intanto c’è stata un’evoluzione della situazione e dunque è giusto tornare a discutere nei gruppi prima che la delegazione dem salga al Colle per le consultazioni. Alle parole di Franceschini ha replicato Guerini, secondo il quale alle consultazioni è giusto che il Pd porti la linea definita nella direzione del partito. Una riunione dei gruppi, per ulteriori valutazioni, è più opportuno che venga convocata – avrebbe detto Guerini – dopo le consultazioni.

Renzi: “La situazione è chiara, staremo all’opposizione”
Il regista da lontano, continua a essere o vorrebbe essere, Matteo Renzi. Mentre alla Camera discutevano, lui ha scelto di pubblicare la sua consueta enwes, ribadendo la (sua) linea. “La situazione politica è chiara: il Pd starà all’opposizione. E stando all’opposizione potrà dare un aiuto al Paese portando un clima di civiltà e rispetto del governo che nei nostri confronti purtroppo non c’è stato. L’opposizione si può fare bene, come spiega splendidamente Pierluigi Castagnetti, e può farci bene, molto bene”. “Noi abbiamo un’idea del futuro diversa rispetto agli estremisti e ai populisti. Lo abbiamo detto per tutta la campagna elettorale. Noi stiamo con l’Europa, non con Farage o la Le Pen. Noi stiamo con la scienza, non con chi lotta contro i vaccini. Noi siamo per il lavoro, non per l’assistenzialismo del reddito di cittadinanza. Noi siamo per abbassare le tasse a chi ha bisogno, non per la flat tax”, scrive l’ex segretario del Pd. “Per questo motivo rispettiamo il voto degli elettori. E quando diciamo che rispettiamo il voto degli elettori intendiamo anche i nostri elettori. Cui abbiamo detto questo chiudendo la campagna elettorale”.

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Grillo: “Pil è un concetto che non ha più senso, guardare oltre”. E poi ricorda: “15 anni fa chiamai Prodi”

“Sessanta famiglie al mondo detengono la ricchezza di 3 miliardi e mezzo di persone. Dobbiamo rassegnarci a questo: a fare parametri con il Pil, prodotto interno lordo? Se togliessimo questo Pil alle argomentazioni degli economisti, professori di cattedra, non saprebbero di che cosa parlare”. Così Beppe Grillo in un intervento pubblicato sul suo blog e in un video sul suo canale Youtube. “Sono concetti che non hanno più senso…”, rimarca il garante M5s, che suggerisce: “Allora bisogna ragionare in un altro modo, l’Isee, l’indice della felicità, ma anche l’indice della felicità, cosa? Te lo immagini una nazione tutti felici, come va? Benissimo! Come va cosa? Il motore è l’incazzamento. Se le donne non si fossero incazzate non ci sarebbe stato neanche il voto per le donne”. “Siamo in questo momento con una grande potenza, di grandi idee innovatrici. Allora, è possibile che tutta questa economia, causa che l‘1% della popolazione, i 60 uomini più ricchi del mondo abbiano una ricchezza di 3 miliardi e mezzo di individui. È questo? Ci ha portato a questo? Allora, bisogna ragionare e guardare il mare, cosa c’è oltre, cosa c’è oltre?”, conclude Grillo

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M5s-Lega, l’ottimismo di Cazzola: “Hanno vinto, mi restano campo di concentramento, clandestinità o eutanasia”

“Vittoria elettorale di Lega e M5s? Ho 77 anni e spero di non finire in un campo di concentramento. Ho tre opzioni: clandestinità, fuga all’estero, eutanasia”. Così a L’Aria che Tira (La7) l’ex deputato del Pdl, Giuliano Cazzola, esprime ironicamente il suo pessimo giudizio su Lega e M5S. Gli replica con una battuta Paolo Becchi, professore ordinario di Filosofia del Diritto: “Anche un suicidio assistito”. Alessandro Giuli, giornalista di Libero e Il Tempo, ribatte a Cazzola: “Dia retta a me, qui l’unico problema è la calata delle truppe della Merkel. Per il resto vedo più mitezza che altro”. Ma l’ex parlamentare ribadisce: “Io penso di finire la mia vita in un campo di concentramento. Ho un giudizio molto chiaro e preciso su chi ha vinto le elezioni. Non voglio prendermi querele. Ma cito Hanna Arendt, che diceva che la plebe è la caricatura del popolo. Vi invito, quindi, a non confondere la plebe con il popolo”

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Il Movimento 5 Stelle non esiste più, prepariamoci alla Dimaiocrazia

Un passo alla volta tutto inizia a definirsi realmente. Come ampiamente previsto, il partito di Luigi Di Maio per le elezioni dei presidenti della Camera e del Senato si è messo tranquillamente d’accordo con Berlusconi, Salvini e la Meloni. Nessuna scelta fatta dalla rete o in streaming ma tutto semplicemente con l’accordo “telefonico” fra 5Stelle e centrodestra. Al Senato, il partito 5Stelle ha fatto eleggere la berlusconiana di ferro, Maria Elisabetta Alberti Casellati.

Inutile ricordare le evidenti ipocrisie e contraddizioni ma così è: il Movimento 5 Stelle non esiste più.

Ora i 5Stelle sembrano avere una smania di potere e poltrone tale che farebbero accordi con tutti. Non sono inciuci, sono accordi sui programmi per il bene del Paese. Il loro leader è diventato dimaiocristiano. Tutte le parole e le offese da campagna elettorale continua di questi ultimi cinque anni sono volate via. Accordi su tutto con Berlusconi e la Lega, quella stessa Lega che i grillini dimenticano chi siaTutto perdonato.

Il paradosso dei 5Stelle è proprio questo: accusare ingiustamente per anni il Pd e poi allearsi con il partito di Dell’Utri e con il partito di Bossi (rieletto al Senato nonostante le due condanne). Insomma, una Lega, con gravi problema giudiziari, diventata la grande alleata di Di Maio. Ma va tutto bene, l’importante era gettare fango sul nemico comune, il Pd.

Ieri l’accordo centrodestra-Di Maio ha tenuto anche per le elezioni dei vice presidenti del Senato e dei relativi uffici. Oggi stesso accordo andrà in scena alla Camera. Intanto i preparativi per il Governo sono già iniziati anche mediaticamente: Di Maio e Salvini si fanno i complimenti a vicenda e dimenticano le loro mirabolanti promesse della campagna elettorale. Non si parla più di reddito di cittadinanza, non si parla più di flat tax ma di diminuire genericamente le tasse.

Tutto ammorbidito. Tutto diluito. Ora l’importante è prendere tutte le poltrone del sistema.

Le contraddizioni a cui stiamo assistendo sono talmente complesse che in questo momento non vale neanche la pena discuterle, tutto ha una giustificazione. Come diceva Indro Montanelli su Berlusconi. La gente capirà i grillini solo quando gli avrà provati al governo. Semplici constatazioni.

Sul governo l’unico nodo sembra essere la scelta del premier, i ministri non sono più un problema: alcuni li sceglierà Berlusconi, altri Dell’Utri, altri Bossi e alcuni Di Maio. Il leader cinquestelle pur di fare il premier non avrebbe problemi ad avere ministri del centrodestra. Stesso vale per Matteo Salvini. Magari i due si metteranno d’accordo per una eventuale staffetta o per un nome terzo da indicare premier.

Dimentichiamoci il passato e prepariamoci alla Dimaiocrazia.

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Travaglio a La7: “Casellati a Otto e Mezzo? Non ci sarò, sennò diventa Presidente della Repubblica”

Casellati sarà invitata a Otto e Mezzo? Non con me, altrimenti la prossima volta diventa presidente della Repubblica. Non vorrei portarle troppa fortuna”. Così, a Otto e Mezzo (La7), il direttore de Il Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, commenta un blob su tutti gli scontri dialettici che su La7 ha avuto con la neo-presidente del Senato. E aggiunge: “Mi era già capitato di litigare con Grasso e con Schifani. E sono diventati presidenti del Senato. Il voto del M5s a Casellati? Credo che si siano resi conto che, dopo il terzo scrutinio al Senato, col ballottaggio il centrodestra avrebbe potuto eleggersi la Casellati da solo senza i voti del M5S. I 5 Stelle avrebbero fatto un’ottima figura, ma poi alla Camera non sarebbero riusciti a far eleggere Fico” – continua – “Sarebbero, cioè, rimasti il primo partito con un pugno di mosche in mano. Certo, era meglio quando la Dc la Camera al Pci e ci mettevano la Iotti, Ingrao e Pertini. Ma purtroppo non ci sono la Iotti, Ingrao e Pertini nel centrodestra”. Nel finale, la conduttrice Lilli Gruber, nell’accomiatarsi con gli ospiti e i telespettatori, ha un improvviso colpo di tosse. E la trasmissione sfuma con l’inquadratura sullo studio, senza sigla di chiusura

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M5s, Travaglio: “Accordo con Lega e appoggio da Berlusconi? Elettori 5 Stelle non perdonerebbero mai”

“Accordo di governo tra M5s e Lega con appoggio esterno di Forza Italia? I 5 Stelle pagherebbero caro e salato. Credo che i loro elettori non lo perdonerebbero mai e andrebbero a prendere per strada i parlamentari M5S, che rischierebbero anche l’incolumità fisica”. Sono le parole pronunciate a Otto e Mezzo (La7) dal direttore de Il Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, che aggiunge: “Altra cosa sarebbe se il M5S riuscisse a fare un accordo solo con la Lega, ma per quale motivo la Lega dovrebbe sganciarsi da Forza Italia? Salvini vuole fare il leader di tutto il centrodestra e senza Forza Italia è il leader del terzo partito. L’elettorato M5S è piuttosto nervosetto. Ha perdonato la nomina della Casellati a presidente del Senato, perché con quell’accordo i 5 Stelle sono riusciti a far eleggere Fico alla Camera e hanno impallinato un condannato come Romani” – continua – “L’accordo sulle presidenze delle Camera era giusto perché il centrodestra ha preso più voti del M5S. Non poteva ripetersi quello che è successo nel 2013, quando il Pd, pur avendo pareggiato coi 5 Stelle col 25%, si pappò Camera, Senato, Palazzo Chigi e Quirinale”. E aggiunge: “Gli uomini di Berlusconi hanno tutti votato la mozione per cui Ruby era nipote di Mubarak. E l’hanno votata pure i leghisti e i centristi, come la Lorenzin che adesso sta nel centrosinistra. Quindi, se vai da quella parte, trovi solo sostenitori della tesi secondo cui Ruby era nipote di Mubarak e solo gente che ha votato leggi vergogna. Non è che trovi Ingrao o Pertini”. Poi si sofferma sulla strategia del Pd: “Come fa a decidere di stare all’opposizione quando non sa ancora chi sta al governo? E’ demenziale. In un sistema parlamentare proporzionale uno sceglie di stare all’opposizione dopo che ha capito chi va al governo. Il Pd sostiene che gli elettori lo ha mandato all’opposizione, cosa totalmente falsa, perché chi ha votato Pd voleva mandarlo al governo” – prosegue – “Di Maio domani inizia a incontrare i vari leader dei partiti. E’ lì che uno decide di stare all’opposizione o no. Ma il Pd ha deciso di non andarci e di non parlare. E allora si assumi le sue responsabilità. Non è che poi può piangere se si mettono d’accordo gli altri”

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mercoledì 28 marzo 2018

Governo, M5s invita tutti i gruppi per dialogo sui temi: “Anche chi si è già messo all’opposizione”. Pd rifiuta

I 5 stelle hanno invitato tutti i capigruppo di tutti i gruppi parlamentari per un confronto sui “temi”: appuntamento a Montecitorio giovedì 29 marzo alle 9.30. Chi ha già rifiutato è il Pd, che prima vuole vedere il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. L’appello dei grillini, pubblicato sul Blog delle Stelle, recita: “Per noi il punto di partenza è il nostro programma e l’obbiettivo è trovare le convergenze con i programmi degli altri. Non è un esercizio di stile”. Quindi aggiungono, riferendosi chiaramente tra le righe al Partito democratico: “Invitiamo anche chi ha già deciso di autocollocarsi all’opposizione, come freno del cambiamento chiesto dagli italiani. Per ora loro hanno rifiutato il nostro invito anteponendo l’interesse per le poltrone al trovare soluzioni per gli italiani”. Il riferimento è allo scontro a Palazzo Madama dove il Pd si lamenta di aver ottenuto solo la vicepresidenza e non il ruolo di questore.

I due capigruppo M5s, Giulia Grillo e Danilo Toninelli, hanno rilanciato convocando un incontro per il 29 marzo alle ore 9.30 alla Camera dei deputati. “Per noi le basi dell’attività di governo sono i temi, i progetti, le idee per risolvere i problemi degli italiani. Su questo, come Luigi ha ripetuto ogni giorno della campagna elettorale, siamo disposti a confrontarci con tutte le forze politiche. Per fare questo abbiamo invitato i capigruppo di tutti i gruppi parlamentari ad incontrarsi con noi per un confronto sui temi da porre al centro dell’attività parlamentare. Per noi il punto di partenza è il nostro programma e l’obbiettivo è trovare le convergenze con i programmi degli altri e la disponibilità a lavorare insieme sui punti comuni. Non è un esercizio di stile, perché al di là della composizione del governo questi temi saranno comunque portati avanti in sede parlamentare”.

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Partecipate, il “ministro” dell’Economia M5s: “Nomine siano fatte in trasparenza. Governo dimissionario non decida solo”

“Le nomine della partecipate pubbliche siano fatte in trasparenza”. E soprattutto: “Un governo dimissionario, la cui maggioranza politica è stata così pesantemente ridimensionata dagli elettori, non può decidere da solo”. Il ministro M5s in pectore dell’Economia Andrea Roventini sul Blog delle Stelle ha affrontato la questione delle prossime assegnazioni di incarichi, partendo dal presupposto, ha scritto, che “una società sana premia il merito, rimuove le disuguaglianze, punisce i disonesti ed investe sui propri talenti, sull’istruzione e sull’innovazione”. L’articolo è stato rilanciato dal deputato Stefano Buffagni, uno dei parlamentari più vicini a Luigi Di Maio, che su Facebook ha scritto: “Competenza e meritocrazia sono fondamentali per garantire il rinascimento industriale del nostro Paese. Il Movimento 5 Stelle è la prima forza politica del paese: nessuno sogni di non tenerne conto, a partire da Saipem e Cdp perché lo sviluppo del paese passa da questi nodi fondamentali”.

Il problema in particolare, come spiega Roventini, riguarda “i casi in cui la nomina dei vertici d’imprese di rilievo nazionale non può attendere la nascita del nuovo governo”, come ad esempio per Saipem. E in quel caso, scrive, “sarà necessario procedere con intese di carattere generale che coinvolgano l’esecutivo uscente e l’attuale Parlamento”.

Il ministro dell’Economia designato dai 5 stelle, nel lungo post, parla di 60 aziende partecipate pubbliche: “Queste”, scrive, “hanno complessivamente un fatturato superiore a 120 miliardi di Euro, e impiegano 105 mila dipendenti. Le nomina non sono un’occasione per fare tabula rasa. Invece, bisognerà pragmaticamente verificare i risultati ottenuti dai vertici uscenti caso per caso, considerando gli obiettivi ed il contesto competitivo e normativo. Non si dovrà avere paura di riconfermare i manager che hanno ben operato e di congedare quelli che hanno deluso. Tutto ciò dovrà avvenire nella massima trasparenza, evitando logiche politiche spartitorie che possano promuovere manager appartenenti a circoli di potere, che affondano le radici nella Prima e Seconda Repubblica, e cercano di riciclarsi anche oggi, o fornire una comoda poltrona agli amici degli amici, o un buen retiro per i soggetti non più graditi e privi delle competenze necessarie”.

 

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Santanchè vs Barbacetto sulla Casellati: “Soffrite perché M5S ha votato una che è berlusconiana fino all’ultimo pelo della caviglia”

Botta e risposta pepato a L’Aria che Tira (La7) tra la senatrice di Fratelli d’Italia, Daniela Santanchè, e il giornalista de Il Fatto Quotidiano, Gianni Barbacetto. Santanchè esordisce: “Ho grande rispetto per il dolore dei giornalisti de Il Fatto Quotidiano. Però poi il dolore porta confusione”. “Per niente”, sorride Barbacetto. “State impazzendo all’idea che il M5S abbia votato la Casellati come presidente del Senato”. “Non so di che dolore si parli”, replica il giornalista. La parlamentare poi accusa la sinistra: “L’ho sentita sempre riempirsi la bocca di questioni femminili e intanto Fratelli d’Italia è l’unico partito che ha una donna come leader. Ieri Forza Italia ha votato due capigruppo e presidente del Senato donne. E il vicepresidente della Camera sarà una donna”. Barbacetto osserva: “E’ curioso che qualcuno ci dipinga allegri per i risultati elettorali e Daniela Santanchè dica oggi che noi siamo addolorati”. E Santanchè ribadisce: “A voi fa impazzire il fatto che Di Maio abbia votato per la Casellati, berlusconiana fino all’ultimo pelo della caviglia. Vuole dirmi che per lei non è bastato un kg di Biochetasi per digerire? Non ce la fa a digerirla”. “Siamo dispiaciuti per le istituzioni, mica addolorati” – risponde Barbacetto – “Il profilo della Casellati dimostra, peraltro, che non basta essere donne per essere migliori degli uomini”. “Lei è brava e intelligente. Io conosco tanti uomini cretini. Le posso fare un elenco di cretini maschi”, insorge Santanchè. “Anche io” – ribatte il giornalista – “E conosco anche molte donne cretine. Lei prima ha detto che Berlusconi con le donne arriva sempre primo. E’ vero due volte. Non solo ci sono queste tre nomine che ha citato, ma Berlusconi ha avuto un ennesimo rinvio a giudizio proprio per questioni di donne, nell’ambito del caso Ruby. Ha pagato delle testimoni perché raccontassero che quelle di Arcore fossero cene eleganti e non quel puttanaio che noi tutti conosciamo. La Casellati era una di quelle secondo cui Ruby fosse nipote di Mubarak“. E aggiunge: “Se il Pd avesse proposto come nomi per la presidenza del Senato Bonino o Zanda, probabilmente a quest’ora non avremmo la Casellati in quel ruolo”. “Voi volete che il M5S faccia l’accordo col Pd” – ribadisce Santanchè – “Se ne faccia una ragione: la Casellati è presidente del Senato”. “Me la faccio” – replica Barbacetto – “Anzi sono più contento, perché così abbiamo più cose da scrivere”

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Fatte le Camere, cosa ci aspetta? Con un governo M5s-Lega sarò all’opposizione

Maria Elisabetta Alberti Casellati-la-donzelleta-vien-dalla-campagna è la presidente del Senato della Repubblica italiana. È il primo «vulnus» alla democrazia, solo al pensiero che Mattarella possa sentirsi male e lei possa sostituirlo come «Capo dello Stato Provvisorio». Corre voce che sia «cattolica» perché è laureata «in utroque», come si dice in gergo, cioè «nei due diritti», quello civile e quello canonico, preso alla Università Pontificia Lateranense che è l’università del Papa (vescovo di Roma). Penso che non sia cattolica, ma solo «clericale», perché se fosse cattolica, spiritualmente informata e fondata, non sarebbe mai stata perinde ac cadàver – fino alla morte – una sostenitrice, difensore a spada tratta di Berlusconi, comunque e a prescindere. Per lei Berlusconi è un perseguitato: ne attendiamo pazienti la morte solo per poterlo dichiarare «urbi et orbi» Santo o meglio Santissimo.

Da avvocato, e quindi «esperta di legge» con l’aggravante del diritto canonico, manifesta sulle scalinate del Palazzo di Giustizia di Milano insieme ad Alfano, Carfagna, Gelmini e tutto il cucuzzaro della specie berlusconista. Dopo la sentenza di condanna di Cassazione, continua a proclamare la «verginità» del suo padrone che la pretende al posto del peculato Romani come avanguardia istituzionale sul seggio più alto dello Stato, dopo la Presidenza della Repubblica. Sono certo che se le nomino Papa Francesco, prende subito l’orticaria perché lei appare una sacerdotessa del fondamentalismo cattolico che peraltro ha sempre dimostrato nei suoi interventi. Il suo principale, Berlusconi ha voluto premiare la sua fedeltà mandandola al Csm come esempio di garanzia e imparzialità nell’istituto garante dell’autonomia della Magistratura. Ossimoro! «Mala tempora currunt!». Costei è Presidente del Senato. Si raddoppi la vigilanza medica a Mattarella e si tengano disponibili a pronto intervento i rimedi sanitari, omeopatici compresi in caso di bisogno.

Era possibile un’altra soluzione? Certamente se i partiti non fossero degenerati da un quarto di secolo a questa parte. Nel 1994, quando il pregiudicato, caduto Craxi, suo servo fedele, decise di difendere i suoi interessi e solo quelli, scrissi che il danno, inferto alla nazione non sarebbe stato governare, ma il «virus berlusconista» con cui avrebbe infetto la Nazione intera. Così fu ed è. Aggiunsi che, quando sarebbe andato via, cioè da adesso, inizio e fine del suo declino, sarebbero stati necessari almeno 70 anni per guarire dalla devastazione culturale, sociale e istituzionale in cui ha prostrato l’intero Paese. Oggi le conseguenze sono davanti ai nostri occhi. Il Pd di Renzi si è lasciato non solo corrompere dal berlusconismo, ma l’ha assunto come dimensione di esistenza e quindi ne è la prima vittima, forse in modo irreversibile. Individualismo contro comunità, egoismo contro popolo, mercato contro giustizia, ristretta ricchezza contro equità, sete di potere personale contro il servizio come dimensione temporanea. Se Renzi non avesse corrotto il Pd, ma avesse imposto il passo dell’onorabilità, umile e attenta al «bene comune», ai poveri, agli operai, alle casalinghe, alla scuola e al lavoro, oggi sarebbe stata possibile una soluzione diversa.

Il Pd, anzi Renzi, ha imposto una legge demenziale per vendicarsi degli italiani che non hanno votato la sua omicida riforma costituzionale. Dopo due leggi elettorali incostituzionali (Porcellum e Italicum), invece di rinsavire, ha fatto votare con ben otto voti di fiducia, prova inequivocabile di demenza politica, la legge con cui abbiamo votato. Anzi, abbiamo fatto finta di votare, perché il sistema era così perverso che comunque votavi, eleggevi «i nominati». Il popolo che non è scemo, gli ha dato calci negli stinchi e lo ha mandato a casa e di conseguenza ha mandato via anche il suo compare. Alleluia. Qualsiasi cadavere che si rispetti, nell’ora del rantolo compie gesti scomposti e la presidenza del Senato è uno di questi. Con i risultati elettorali, in forza dei quali, nessuno ha la forza, è necessaria una mediazione perché la Politica è «l’arte del possibile» che, in mano a uomini e donne moralmente ineccepibili, diventa «Politica», in mano a farabutti, diventa compromesso.

L’accordo tra M5S e Lega non è un inciucio perché è avvenuto nelle sedi istituzionali e alla luce del sole. I 5S sono stati coerenti e sono riusciti ad eleggere alla Camera una persona retta e limpida che ha cominciato «dando esempio». L’altra carica spettava alla destra – visto che il Pd ha fatto lo gnorri come un bambino imbronciato, come se la responsabilità primaria non fosse sua. Salvini per suoi interessi personali (fare fuori Berlusconi) ha concesso a FI la presidenza del Senato. Berlusconi, seguendo la propria natura voleva un pregiudicato come lui, ma alla fine, solo per interesse (restare nell’ambito del potere, comunque sia), ha ceduto pretendendo la più berlusconista dei berlusconisti, forse più ancora di Berlusconi, un premio di fedeltà alla corresponsabile delle «leggi vergogna ad personam». Se il M5S avesse messo il veto, cadeva immediatamente la legislatura.

Mi auguro che il M5S non si accordi con Matteo Salvini ma cerchi di darsi una identità dai confini certi, sapendo che «chi in alto sta/cade spesso precipitevolissimevolmente». Come ho votato M5S, usandolo come «piede di porco» per mandare via Renzi e Berlusconi, così sarò all’opposizione, vigile e attento, pronto a combatterlo se dovesse compiere un governo rabberciato per la spartizione del potere. La base sua è prevalentemente «sociale» (non dico di sinistra che ormai è scomparsa anche ai radar più sofisticati), ma è molto più volubile che per il passato. «Qui si parrà la sua nobilitate», come dice Dante: mantenere altissimo il senso delle Istituzioni, proporre un programma che abbia come sfondo e contorno solo e sempre «il bene comune» e l’interesse generale del popolo, mai delle lobbies o dei gruppi di camaleonti. Se trasparenza e verità si baceranno, sarà un bene per il Paese, sennò sarà una disfatta, peggio di Caporetto. Temo che molte forze oscure si stiano armando per impedire che le cose cambino e potrebbe iniziare una nuova stagione, come tutte quelle che abbiamo conosciute negli ultimi 70 anni, disseminata di terrore, manipolazione dei servizi segreti, trattative e tutta la sentina di cui oggi abbiamo le prove. Dio non voglia e M5S con quello che resta di sano nel Pd sappiano chi vogliono essere e quello che fanno.

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Governo, Toninelli: “Perché rivendichiamo premiership? È rispetto della volontà popolare”

“Mattarella valuterà la convergenza sui temi, il voto del 4 marzo significa proprio questo non più maggioranze che appoggiano governi su somma di poltrone ma su somma di temi”. A dirlo Danilo Toninelli, capogruppo al Senato del Movimento cinque stelle. In questo senso per Toninelli, l’aut aut di Di Maio non è rivendicazione della premiership, ma “rispetto del voto popolare”.

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Parlamento, via a commissioni speciali per Def e altri provvedimenti urgenti (in attesa di maggioranza e opposizioni)

Non esiste una maggioranzaun’opposizione e quindi per far partire il lavoro parlamentare, il Senato istituisce una commissione speciale che sostituirà in questo lasso di tempo quelle permanenti (e competenti). Inizierà a lavorare dal 4 aprile e sarà composta da 27 parlamentari: 9 del M5s, 5 di Forza Italia, 5 della Lega, 4 del Pd, 2 di Fratelli d’Italia, e uno ciascuno del Misto e delle Autonomie. La nascita della commissione speciale è la decisione più importante della prima conferenza dei capigruppo del nuovo Senato. Si tratta di un organismo fondamentale in attesa, come spiega la capogruppo di Forza Italia Anna Maria Bernini, che si delinei con chiarezza quali sono i rapporti tra maggioranza e opposizione. La conferenza si riunirà già la prossima settimana perché il quadro potrebbe essere più chiaro, secondo la Bernini (anche se in realtà dalle prime consultazioni potrebbe non uscire una maggioranza).

Una commissione simile sarà costituita anche alla Camera, ma la questione sarà affrontata in una conferenza dei capigruppo a cui partecipi il governo (che oggi era assente nella prima riunione dei presidenti di gruppo). L’esecutivo dovrà infatti segnalare le priorità da sottoporre alla Camera. Al momento, a Montecitorio risultano pendenti 19 atti del governo: 16 sono eredità della precedente legislatura e tre sono intervenuti dopo.

Tra i provvedimenti che le commissioni speciali delle Camere saranno chiamate ad esaminare ci sono la riforma dell’ordinamento penitenziario, ma anche il Def. “Per questo abbiamo fatto tutto velocemente” dice il capogruppo M5s Danilo Toninelli. “Siamo davvero fiduciosi – aggiunge tra l’altro – perché le maggioranze che si stanno creando all’interno degli uffici di presidenza sono maggioranze sufficienti per intervenire sugli sprechi e i privilegi della Camera e del Senato”. Di tagli ai costi della politica, infatti, ha parlato nelle interviste di questi giorni anche il segretario della Lega Matteo Salvini.

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Come fai sbagli (se sei un 5 Stelle)

di Luca Tufano

In questi giorni si fa un gran parlare attorno a due iniziative del Movimento 5 stelle, una riconducibile al movimento nel suo insieme, ovvero l’elezione dei presidenti delle Camere, e una seconda relativa al neoeletto presidente della Camera, Roberto Fico.

Aver dato, responsabilmente, i propri voti per eleggere il Presidente del Senato, dopo aver evitato che un condannato – Paolo Romani – fosse eletto in quella carica, fa del 5 stelle il partito dell’inciucio, del Grillusconi, con espressioni ginecologiche ardite come quella di Maurizio Martina, secondo il quale il M5S, avendo votato la Maria Elisabetta Alberti Casellati, avrebbe “perso la verginità”. Coloro che oggi puntano il dito con particolare veemenza contro Luigi Di Maio sono gli stessi che, qualora il M5S si fosse opposto ad altri nomi, avrebbero gridato ai quattro venti che il Movimento era il solito partito dello sfascio, del tanto peggio tanto meglio, dell’irresponsabilità etc.

I mercati ci guardano, c’è il Def, l’Europa non aspetta e tante altre espressioni, assai care ai “responsabili”, sono di colpo svanite, mentre si sottolinea la rapidità “sospetta” con cui si sono eletti questi due presidenti, alludendo poi polemicamente a innominabili accordi di governo. Per la serie: qualsiasi cosa fai, sbagli. Ovviamente se sei un 5Stelle.

Ma sanno fare anche di meglio. L’onorevole Roberto Fico rinuncia all’indennità prevista per il suo ruolo, si sposta con mezzi pubblici per recarsi sul nuovo posto di lavoro, e lo fa sapere urbi et orbi. Ora, è evidente che vi sia una buona dose di propaganda in tutto questo, e che alcune fotografie che lo ritraggono sui bus siano uno strumento in tal senso. Ma la notizia, in un Paese in cui quasi tutti arraffano il più possibile all’interno delle istituzioni, dovrebbe essere un’altra. Ovvero che l’onorevole Fico, primo nella storia della Repubblica italiana che io ricordi, ha rinunciato totalmente ai privilegi previsti dal suo incarico di Presidente della Camera. Ma, anche in questo caso, per coprire di ridicolo e cercare maldestramente di nascondere la vera notizia, si invadono i giornali e i social di commenti puerili di “rosiconi” che sottolineano che Fico oggi prende l’autobus ma nel 2017 preferiva il taxi (che sempre un mezzo pubblico è). Come se l’elemento significativo fosse questo e non la discontinuità, certamente ostentata, con costumi politici diametralmente opposti. Tutto legittimo, per carità, auto blu, indennità etc, ma qui siamo di fronte ad un altro tipo di messaggio che in un Paese come il nostro dovrebbe balzare all’occhio immediatamente.

Non solo. Qui siamo di fronte alla desueta e “démodé” coerenza, cioè a quella cosa che ti fa parlare in un modo e poi agire di conseguenza, ovvero l’opposto dell’ipocrisia e del doppiopesismo a cui ci hanno abituato i politici, non a caso indicati come “casta”. Fico ha fatto una cosa lineare quanto controcorrente: ha annunciato nel suo discorso di insediamento un taglio dei costi della Camera e poi ha agito di conseguenza, riducendo le spese di diretta competenza. Questo è il fatto, la notizia. Propaganda? Anche, indubbiamente. Ma direi propaganda meritata visto che, se questo atteggiamento durerà per tutto il corso del suo mandato, Fico condurrà una vita decisamente più austera di quella che il suo incarico gli avrebbe consentito di condurre legittimamente.

Dalle parti del Pd sono tutti così intenti a ironizzare sul presidente “francescano” che va in giro con l’autobus, che nemmeno si rendono conto, tanto sono inebetiti dalle convenzioni della politica, che così facendo si comportano come i principali megafoni della propaganda 5S. Un po’ come quando in campagna elettorale, credendo di calare un asso contro Di Maio, fecero in modo che ogni italiano sapesse dei 23,4 milioni di euro versati al fondo microcredito dai 5S che si erano tagliati metà dello stipendio.

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martedì 27 marzo 2018

M5s, ok degli eletti allo statuto: dalle sanzioni per non rispetto scelte assemblea al contributo economico

Sanzioni per assenza dai lavori, violazioni di Statuto e codice etico e mancato rispetto delle decisioni prese dall’assemblea. Ma anche per la mancata contribuzione economica delle attività del M5s. Sono queste alcune delle norme contenute nello statuto approvato dalle assemblee dei gruppi parlamentari del Movimento 5 stelle in serata: il voto previsto nel primo pomeriggio è stato spostato per permettere a tutti di visionare il documento. Le regole recepiscono quasi completamente quelle presenti nei documenti che regolano il Movimento 5 stelle, approvati a fine dicembre scorso. “Nulla di più di quanto già previsto”, ha minimizzato il capogruppo al Senato, Danilo Toninelli. Come previsto dal codice M5s, infatti, ogni abbandono derivante da motivi di dissenso politico viene “multato” con una penale di 100 mila euro come “indennizzo” per gli oneri sostenuti dal Movimento all’elezione del parlamentare. “Ciascun componente del Gruppo – si legge ad esempio nello Statuto del Senato – ha il dovere di adempiere alle proprie funzioni con disciplina e onore“.

Dopo l’indicazione del capo politico sui primi organi direttivi che vanno a ricoprire incarichi nei gruppi, i successivi nomi saranno votati dalle rispettive assemblee sempre con meccanismo di rotazione periodica che però viene di molto aumentata rispetto a quella trimestrale della scorsa legislatura: sarà infatti di 18 mesi.
Starà poi agli eletti, come previsto dal Codice, “contribuire personalmente all’attività del M5s con uno specifico onere di concorso economico, proporzionale alle indennità percepite”. I parlamentati, poi sono tenuti “a votare la fiducia, ogni qualvolta ciò si renda necessario, ai governi presieduti da un presidente del consiglio dei ministri espressione del M5s”. Sempre il codice “con specifico riferimento al Parlamento” obbliga gli eletti “ad accettare che lo Statuto preveda che il 50% delle quote stanziate dalle rispettive Camere per il funzionamento dei gruppi parlamentari sia stanziato per il sovvenzionamento dei gruppi di comunicazione”. Gruppi la cui organizzazione e scelta spetta al capo politico del M5s.

In caso di violazioni dello statuto interviene il presidente del gruppo che può procedere fino all’espulsione: “Il presidente del Gruppo”, si legge, “sentito il Comitato Direttivo, nel caso in cui siano segnalate violazioni del presente Statuto o del ‘Codice etico’ ad esso allegato, può disporre, sulla base della gravità dell’atto o del fatto, il richiamo, la sospensione temporanea o l’espulsione dal Gruppo di un componente”. Per quanto riguarda il “Sono in ogni caso espulsi dal Gruppo i componenti del Gruppo che aderiscano ad altro Gruppo parlamentare od al Gruppo misto”. E’ quanto si legge all’articolo 21 comma 3 dello statuto del gruppo M5S Camera. “Fatto salvo il caso di cui al comma 3 ed in casi eccezionali, nonché su indicazione del Capo politico del MoVimento 5 Stelle, l’espulsione dal Gruppo dovrà essere ratificata da una votazione on line sul portale del MoVimento 5 Stelle tra tutti gli iscritti, a maggioranza dei votanti”, recita ancora il documento.

Questi invece i casi in cui sono previste sanzioni: “Costituiscono, comunque, cause di sanzione: reiterate ed ingiustificate assenze dai lavori della Camera e del Gruppo; reiterate violazioni al presente Statuto e del Codice etico; mancate dimissioni dalla propria carica in caso di condanna penale, ancorché non definitiva; mancato rispetto delle decisioni assunte dall’assemblea degli iscritti con le votazioni in rete; mancato rispetto delle decisioni assunte dagli altri organi del MoVimento 5 Stelle; mancata contribuzione economica alle attività del Movimento 5 Stelle”, recita il documento.

Saranno oggetto di sanzione anche: “Comportamenti suscettibili di pregiudicare l’immagine o l’azione politica del Movimento 5 stelle o di avvantaggiare altri partiti; comportamenti connotati da slealtà e scorrettezza nei confronti degli altri iscritti e eletti; mancata cooperazione e coordinamento con gli altri iscritti, esponenti e eletti, anche in diverse assemblee elettive, per la realizzazione delle iniziative e dei programmi del Movimento 5 stelle, nonché per il perseguimento dell’azione politica del Movimento 5 stelle; tutte le condotte che vìolino, del tutto o in parte, la linea politica dell’Associazione ‘Movimento 5 stelle‘”.

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Processo Scajola, Berlusconi testimone in aula spiega i criteri per le candidature di indagati: “Regole diverse da M5s”

Esistono le regole per le candidature di Forza Italia. Ma non sono come quelle del Movimento cinque stelle. Dopo averlo dimostrato per anni, ieri a Reggio Calabria Silvio Berlusconi lo ha spiegato anche in un’aula di tribunale durante il processo “Breakfast” che vede imputato il suo ex ministro Claudio Scajola accusato di aver aiutato l’ex parlamentare Amedeo Matacena nel tentativo di trasferirsi da Dubai, dove è latitante, a Beirut in Libano. Oltre ai tanti “non ricordo”, durante la deposizione Berlusconi ha risposto sulla mancata candidatura di Matacena nel 2001 quando l’ex deputato è stato coinvolto in un’inchiesta per concorso esterno con la ‘ndrangheta.

“Non ho un ricordo di come l’onorevole Matacena fosse messo in lista – sono le parole del presidente di Forza Italia -. Quello che posso dire è che normalmente sono i coordinatori regionali a presentare i deputati. Il leader del partito non fa che accogliere le proposte. Naturalmente nel considerare un candidato, il suo rapporto con la giustizia, una sua eventuale condanna, un suo essere sottoposto per un processo è un qualcosa che conta e che fa accantonare una richiesta di candidatura. Non so se il fatto che il signor Matacena non fosse tra i nostri candidati nel 2001 risalisse a queste ragioni o ad altre ragioni. Avevamo assolutamente delle regole generali che non sono quelle che ha adesso il Movimento cinque stelle per cui basta una qualsiasi situazione di vicinanza tra magistratura e un candidato perché questo partito decida di escluderlo dalla lista.

“Noi – chiarisce Berlusconi – avevamo delle regole per cui in caso di un rapporto di questo possibile candidato con la magistratura, i nostri avvocati dovessero approfondire il tipo di rapporto. Per esempio non bastava che ci fosse una multa comminata o in itinere per fare escludere una persona dalla candidatura”

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Elezioni, Romano vs Marescotti: “Lei vuole che noi del Pd ci bruciamo vivi”. “Veramente vi siete eliminati da soli”

Scontro acceso a L’Aria che Tira (La7) tra l’attore Ivano Marescotti e il deputato Pd, Andrea Romano. Quest’ultimo dissente dalle sferzanti critiche dell’artista nei confronti del Pd e ironizza: “Marescotti vuole che moriamo e che ci bruciamo vivi cospargendoci di benzina”. “Veramente vi siete già bruciati vivi” – ribatte Marescotti – “Vi siete eliminati, non fate più testo. Vi dichiarate voi stessi fuori dai giochi. Siete sepolcri imbiancati. Non esistete più. Avete una grande opportunità: siete il secondo partito in Italia, non siete uno scartino qualsiasi. Avete più voti della Lega. Volete dire qualche cosa? Avevate il 40% e siete andati al 18%“. “Lei vorrebbe il vilipendio di cadavere” – replica Romano – “E’ curioso che il consiglio di fare il governo con la Lega o col M5s viene sempre da personaggi autorevolissimi come Marescotti che ci dicono che facciamo schifo e che siamo morti ma non del tutto. E dicono pure: “Visto che non siete morti del tutto, per favore ci fate la cortesia di sparire dalla faccia della Terra, alleandovi con la Lega o col M5s?””. “Ma c’è qualcun altro nel vostro gruppo dirigente o c’è solo Renzi?” – ribatte Marescotti – “Andate via, fatevi sostituire da qualcuno più giovane”. “Non ho una bella voce come la sua” – replica Romano – “e non sono un attore straordinario come lei, però faccio questo mestiere e forse ho diritto di parlare”. “E io non sono un politico sgamato come lei”, risponde l’attore. “Lo so, ognuno ha i difetti che si ritrova” – controbatte il deputato Pd – “Ahimè, io sono così. Le do però un consiglio: si faccia un giro in un circolo qualunque del Pd, anche sotto casa sua. Faccia questo suo discorso non a me, che sono renziano, bruttissimo, sgamato, come ha detto lei. Ma si rivolga a quei dieci poveri Cristi che si trovano nei circoli del Pd e proponga questa alleanza tra Pd e Lega o M5S. Le risponderanno pacatamente, perché siamo tutte persone educate come lei, e vedrà che non si tratta dell’opinione di Romano o del cattivissimo Renzi, ma è un parere molto condiviso dai militanti e dagli elettori del Pd”. E aggiunge: “Abbiamo programmi molto diversi. Non è che per fare un favore a lei ci mettiamo a fare un governo col M5S o con la Lega. Faremo una cosa che si fa in tutte le democrazie: l’opposizione“. “L’opposizione di che? Di quale partito?”, chiede Marescotti. “L’opposizione del governo Lega-M5S” – risponde Romano – “C’è un processo naturale che portano i due partiti a un accordo e a una convergenza politica. Lei pensa di aver dato un voto di sinistra al M5s e non sarà contento di questo. Ma il risultato di questo suo voto al M5s è che la forza politica che lei ha scelto farà un accordo con Salvini, che in Italia rappresenta la Le Pen. Non è, insomma, una sinistra che piacerebbe a lei. Ahimè, è andata così”

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