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giovedì 31 maggio 2018

Freccero: “90 giorni senza governo? E’ momento pedagogico per il Paese”. E rimprovera conduttrice per vestito viola

“Non capisco perché insistiate sull’aspetto ridanciano dei 90 giorni senza governo. Io invece credo che questo sia un momento di grande pedagogia, il momento più alto di alfabetizzazione politica che ha avuto l’Italia”. Sono le parole pronunciate a Tagadà (La7) da Carlo Freccero, membro del cda Rai, circa la crisi politica attuale. E spiega: “Trovo che che mai come in questo periodo gli italiani abbiano compreso politica ed economia, che prima non capivano. stato veramente utile a livello pedagogico. Lo dico con molta serietà. Finalmente gli italiani hanno saputo capire che l’economia è capitale, che il diritto nei trattati è fondamentale, che ci sono dei rapporti di forza tra i mercati e il popolo. L’aumento degli ascolti tv” – continua – “ha fatto sì che, invece di parlare delle solite cose insopportabili, Nazareno o non Nazareno, abbiamo alzato lo sguardo e abbiamo già aperto la campagna elettorale per l’Europa. La consultazione dei siti di carattere economico, solitamente visitati da avvocati, è quintuplicata. E’ un dato davvero molto importante. A me interessa solo che si mettano delle nozioni nuove nel dibattito”. Freccero si rende protagonista di un vivace battibecco col giornalista Davide Giacalone. Poi rimprovera la conduttrice, Tiziana Panella, rea di aver indossato un vestito viola, colore inviso agli artisti televisivi e teatrali. E per suggellare la sua contrarietà, scherzosamente fa un gesto apotropaico.

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Cacciari: “Pd? ‘Fronte repubblicano’ è un nome da guerra civile spagnola”. E attacca Di Maio, Savona, Mattarella

Biasimi sparsi del filosofo Massimo Cacciari, che, ospite di Otto e Mezzo (La7), ne ha per tutti. Si comincia col Pd e col “fronte repubblicano” annunciato da Matteo Renzi: “E’ un nome ridicolo da guerra civile spagnola. Una roba da ridere. Il Pd invece alle prossime elezioni dovrebbe presentarsi col simbolo di una lista civica, in cui si candidano nomi nuovi che non siano stati travolti dal fallimento del renzismo. Gentiloni e Calenda? Sì, potrebbero anche funzionare”. Cacciari pronuncia una nuova critica al presidente della Repubblica: “Ora c’è Mattarella che accoglie Di Maio, dopo quello che ha combinato. Io al posto di Mattarella non avrei mai più incontrato Di Maio. Ma scherziamo? Paolo Savona? Se manda tutti a quel Paese, si risolve tutto. In realtà, Savona avrebbe dovuto fare così anche quando ha ricevuto la proposta da Salvini e da Di Maio. Ma vi sembra che un uomo serio possa accettare la candidatura all’interno di un governo con quel programma? Sarà mica una roba seria quel contratto di governo M5s-Lega”. Il giornalista Paolo Mieli risponde: “Guardi, Cacciari, che nessuno rifiuta il posto di un ministro, anche se la richiesta viene dal M5s. Peraltro, ho visto che hanno difeso le ragioni di Savona tutto lo stato maggiore della sinistra, da Micromega a Libertà e Giustizia, i grandi costituzionalisti, ex presidenti della Corte Costituzionale, Onida, Carlassare”. Cacciari rifila una nuova stoccata a Salvini e a Di Maio: “Ormai possono fare tutto e il contrario di tutto, perché sono spiriti liberi, dei freigeist. Questi qua possono fare quello che vogliono: fare l’impeachment e poi andare a ossequiare il capo dello Stato, essere per il reddito di cittadinanza e contemporaneamente per la flat tax“. Poi attacca nuovamente Mattarella: “Qui il problema è la figura che fa il presidente della Repubblica. E’ una roba pazzesca, inaudita, mai vista. Ma ci rendiamo conto di cosa stiamo parlando? Stiamo parlando forse del punto più alto a cui è giunta una crisi di sistema in questo Paese. C’è un dissesto tra Parlamento, partiti, istituzioni, Quirinale. Ma scherziamo? E’ un Paese senza più bussola

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Governo, diretta: Salvini cancella i comizi in Lombardia e torna a Roma: “Deve seguire le trattative per l’esecutivo”

Ha lasciato la Lombardia per tornare a Roma e partecipare all’ennesima giornata di trattative per far partire il governo. Nel giorno numero 88 della peggiore crisi politica che l’Italia abbia mai vissuto, il pulsante per fare partire un esecutivo politico è di nuovo nelle mani di Matteo Salvini. Il deputato della Lega Fabrizio Cecchetti ha annunciato in mattinata che il segretario non avrebbe partecipato alla prima tappa degli appuntamenti elettorali programmati in giornata in Lombardia: “Salvini si scusa ma in questo momento è stato chiamato a Roma. Penso che questo impegno sia importantissimo”.

Il segretario del Carroccio, dunque, sta valutando la proposta lanciata nel tardo pomeriggio di ieri da Luigi Di Maio. I due leader dovrebbero vedersi di nuovo oggi a Roma. Dopo essere stato ricevuto al Quirinale – primo incontro con Sergio Mattarella dopo averne chiesto l’impeachment e dunque la galera – il capo politico del M5s ha chiesto a quello della Lega di togliere Paolo Savona dall’indicazione per il ministro dell’Economia e magari dargli una delega meno “delicata” dal punto di vista dello sguardo dall’estero e quindi – dall’ottica del capo dello Stato – anche costituzionale. In questo modo è tornata a vivere l’ipotesi di un governo guidato da Lega e M5s. In via XX Settembre, secondo secondo Repubblica e Corriere della Sera, andrebbe Pierluigi Ciocca, ex vice direttore generale della Banca d’Italia, in passato molto vicino a Carlo Azeglio Ciampi e con ottime entrature a Bruxelles.

L’appello del capo politico del M5s è seguito “con molta attenzione” dal Colle, visto che anche Salvini in serata ha aperto. “La porta io non l’ho mai chiusa”, ha detto il leader del Carroccio da Genova.”Sono l’unico – ha aggiunto – che dal 4 marzo sta lavorando come un dannato per dare un governo a questo paese però un governo con una dignittà. Non è che se uno si alza male a Berlino a Parigi la mattina salta un ministro del governo italiano. Come stiamo facendo dal 4 marzo faremo la scelta migliore per il paese, delle belle idee in testa ce l’abbiamo”. Oggi, dunque, Salvini ha annullato gli impegni elettorali in Lombardia per le amministrative ed è tornato a Roma.

A spingere il numero uno della Lega a valutare la proposta di Di Maio cì sarebbe soprattutto il pressing dei suoi: secondo retroscena pubblicati dai vari quotidiani motli dirigenti del Carroccio sarebbero contrari a tornare alle urne a luglio – agosto.  E in attesa che Salvini decida se dare il suo via libera a un governo con Giuseppe Conte premier e Savona al vertice di un altro dicastero – si parla degli Esteri o degli Affari Europei – il premier incaricato Carlo Cottarelli per ora resta in stand by.

CRONACA ORA PER ORA

10.56 – Gelmini: “Ieri telefonata Berlusconi-Salvini”
“Ieri il presidente Berlusconi ha sentito Salvini e ha ribadito la nostra posizione. Il leader di Forza Italia è stato colui che ha fondato il centrodestra, il centrodestra è arrivato primo alle elezioni e non ha avuto la maggioranza ma ha raccolto il 37% dei consensi sulla base di un programma che è stato sottoscritto da Berlusconi, dalla Meloni e da Salvini, quindi per noi si va avanti con questa coalizione. Mai sarà Berlusconi a rompere il centrodestra, perché il centrodestra è garanzia di buon governo”. Lo ha detto Mariastella Gelmini, capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati, intervenendo a “Mattino Cinque”, su Canale 5.

10.51 – Bossi: “Non impiccarsi su Savona”
È fiducioso che oggi si riesca a fare un governo? “Spero, piuttosto che impiccarsi sul professor Savona”, è la risposta del fondatore della Lega Umberto Bossi a chi gli chiedeva un commento sul governo, entrando a Montecitorio. Alla domanda se Salvini debba accettare la proposta del M5s di far partire un governo, con Paolo Savona a un ministero diverso da quello dell’economia, Bossi si è limitato a dire: “Dico solo che non possono impiccarsi su Savona”.

10.43 – Conte ripartito per Roma, sostituito per la lezione a Firenze
Niente lezione stamani all’Ateneo di Firenze per il professor Giuseppe Conte che è stato sostituito da uno dei suoi assistenti. Secondo quanto si apprende Conte ieri, dopo la lezione tenuta nel pomeriggio, è ripartito per Roma, dove risiede, e stamani non avrebbe preso il treno per Firenze.

10.23 – Possibile nuovo incontro Di Maio-Salvini
Potrebbe tenersi oggi un nuovo vertice tra i due leader di M5S e Lega, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, che ha lasciato la Lombardia -dove oggi aveva una serie di incontri pubblici- richiamato a Roma. Dal M5S spiegano che un incontro non è ancora in agenda, ma è possibile si tenga già nelle prossime ore.

10.21 – Casellati uscita dal Quirinale
Il presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati ha appena lasciato il Quirinale.

10.01 – Cottarelli alla Camera
Il presidente del Consiglio incaricato Carlo Cottarelli è giunto a Montecitorio ed è al lavoro nella sala dei Busti che gli è stata messa a disposizione dalla Camera.

9.50 – Giovannini: “Cottarelli o M5s-Lega? 50 e 50”
Da statistico direi che siamo al 50% dell’uno e dell’altro”. Così Enrico Giovannini, portavoce dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, ai cronisti che gli chiedevano a margine del Festival dello Sviluppo Sostenibile se ritenesse più probabile a questo punto un governo Cottarelli o un esecutivo Lega-Movimento 5 Stelle. “Stiamo seguendo tutti l’evolversi della situazione. Quello che però importa, a mio parere, è la chiarezza su dove vogliamo andare”.

9.40 – Salvini cancella appuntamenti in Lombardia e torna a Roma
Il segretario della Lega Matteo Salvini “non parteciperà questa mattina a questa iniziativa, si scusa ma in questo momento è stato chiamato a Roma” per la trattativa sul governo: lo ha annunciato il deputato Fabrizio Cecchetti alla prima tappa degli appuntamenti elettorali che erano in programma oggi in Lombardia. Salvini era atteso da decine di sostenitori e altrettanti giornalisti al gazebo leghista di Bareggio, dove si voterà per le Comunali il 10 giugno. Dopo Cecchetti anche un altro deputato della zona, Massimo Garavaglia, ha sottolineato al microfono “l’importanza” del momento politico a Roma, per tranquillizzare i presenti. .

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Pd o partitini, quale futuro per noi italiani in minoranza? Tre considerazioni su cui ragionare

Poiché sondaggi concordi prospettano una larga maggioranza a M5s e Lega, con quest’ultima che sottometterebbe quel che resta del berlusconismo e del post-fascismo, non sarà forse il caso che noi italiani di minoranza cominciassimo a domandarci se davvero è inevitabile affidare le nostre sorti alla sommatoria tra un partito malmesso come il Pd e i partitini di sinistra, decorosi ma minuscoli?

Allo stato tra noi minoritari circolano due ipotesi, opposte ma in fondo concordi nell’accettare come inevitabile la condizione di perdenti. La prima soluzione suggerisce che Matteo Renzi e gli oppositori di Renzi depongano le armi, uniscano le forze e vadano alla guerra protetti dall’artiglieria della stampa amica. Nella migliore delle ipotesi Renzi e la sua consorteria accetterebbero un qualche compromesso, perfino lasciare il passo ad un leader più credibile e capace come Paolo Gentiloni o Carlo Calenda. Suona ragionevole, ma è assai improbabile che un patto di non belligeranza nel Pd e nella sinistra basterebbe da solo a spegnere il vento nelle vele di Lega e M5s.

Con Renzi e i renziani al suo fianco, nelle prossime elezioni al massimo il capo dell’assemblaggio progressista potrebbe gestire una dignitosa sconfitta, certo non scrollare dalle spalle del maggior azionista, il Pd, il peso di un’immagine che lo vuole partito dell’establishment, quando non di opache congreghe dedite soprattutto alle convenienze proprie e del parentado. Lo stigma fa torto a tanti quadri onesti e competenti: ma questo è irrilevante. Quel che importa è la percezione largamente diffusa nell’elettorato, di una coincidenza tra il Pd ed una classe dirigente considerata mediocre e intrallazzona.

Per smentirla occorre ben altro che strillare contro i barbari ad portas o affidarsi al giornalismo collaterale. Quest’ultimo, anzi, tende a produrre effetti-boomerang. Lo zelo col quale persegue la character assassination degli avversari, in primis di Beppe Grillo, è perfino controproducente, non solo perché spesso si affida a pretesti inconsistenti, ma soprattutto perché stride con la considerazione tributata fino a ieri a figure modeste come i Renzi e gli Alfano, o con l’ossequio tuttora riservato ai poteri incrociati con l’editoria. Non meno dannose sono le affettuose e soffocanti premure con le quali quella stampa amica fornisce al Pd bussole e argomenti per orientarsi e scegliere amici e nemici, inevitabilmente in accordo con le propensioni proprietarie. Valga in proposito il consiglio che Ezio Mauro impartì a Renzi due anni fa, al tempo in cui Repubblica e l’allora premier-segretario erano totalmente allineati: imita Blair e Manuel Valls, “che innovano la politica rispettando storia, valori, tradizione”. Senza dubbio Renzi è stato blairiano e vallsiano come ci si attendeva da lui: e mentre Valls conduceva il Ps francese all’irrilevanza, con passo altrettanto sicuro l’italiano ha portato il Pd sulla medesima china. Morale: una sinistra padronale, patrocinata e ispirata dal giornalismo di scuola Fiat, non ha un grande futuro.

L’altra ipotesi che circola tra noi minoritari emana da quella sinistra pura e dura che nel marasma del Pd intravede la possibilità di ‘tornare nel popolo’, con lo slancio solidale e morale che si attribuisce al Pci di Enrico Berlinguer. Così riformulata, la sinistra sarebbe in grado di contrastare Lega e M5s? In teoria potrebbe attrarre quella larga parte di elettorato pentastellato, secondo stime il 45%, che proviene alla lontana dall’area comunista e ne conserva alcune vocazioni, dallo schema a ruoli fissi che contrappone il popolo, sempre virtuoso, contro l’élite, mai innocente, fino ad un pacifismo molto compreso nell’esibizione della propria virtù. Ma anche se molti elettori 5 stelle hanno vissuto con disagio l’alleanza con la Lega, pare difficile convincerli a tornare indietro. E dove, poi? Certo non nel Pd, zavorrato com’è da Renzi e dai renziani. E neppure nei partitini della sinistra, per quell’impressione di datato e di irrilevante che ne pregiudica le sorti. Più probabile che, se nutrono dubbi, questi elettori rinuncino a votare.

E allora? Compiangersi, aspettare in finestra che l’estenuante transizione cominciata nel 1989 finalmente si rapprenda in una geografia politica nuova, in alternative meno fumose di quelle oggi offerte da culture politiche tipicamente transitorie come i populismi? Chi di noi minoritari rifiutasse l’attendismo dovrebbe partire da tre considerazioni. La prima: Lega e M5s vincono perché sono percepite come forze rivoluzionarie, anti-sistema. Che poi lo siamo concretamente è secondario rispetto alle inclinazioni di un elettorato oggi assai bendisposto verso chi promette di rovesciare il tavolo. Di conseguenza anche il più sobrio riformismo avrebbe scarse possibilità di successo se non fosse in grado di trasmettere un qualche slancio rivoluzionario, un’attitudine immaginifica, un radicalismo magari assennato ma trascinante, radicalmente diverso nei contenuti dall’estremismo degli avversari.

Seconda considerazione: tutti i grandi partiti italiani in parte si somigliano. Mancano di un sistema di idee coerente, anche questo tipico dei populismo, piluccano a destra e a sinistra secondo convenienza, e subiscono l’egemonia delle stesse mitologie (per esempio lo ‘scontro tra civiltà’ e culturalismi consimili, di solito puntati contro musulmani e migranti). Dunque una forza alternativa a Lega e M5s dovrebbe presentarsi con un pensiero originale, magari esterno alla simmetria vigente destra-sinistra. Per formulare un pensiero anticonformista che contenga le premesse del cambiamento non occorre fare grandi sforzi, basta cercare ispirazione nel pensiero liberal degli ultimi lustri, vivacissimo (per esempio la critica al ‘capitalismo reale’ espressa da Ronald Dworkin, Robert Reich o Bruno Trentin). Ma occorre stabilire lo spazio per una discussione libera, cioè non condizionata da interessi legati a consorterie o reti economiche.

Infine: oggi centro-sinistra e sinistra sommati non arrivano neppure ad un quarto dell’elettorato, e la tendenza punta verso il declino. I rinforzi e il sangue fresco necessari per contrastare Lega e M5s potrebbero arrivare dai milioni che nelle ultime elezioni non hanno votato. Questi italiani da tempo ritengono di non avere più punti di riferimento in Parlamento e nel dibattito pubblico, da cui di fatto sono spariti. Sono, siamo, la tribù scomparsa. Che pure potrebbe riapparire se solo trovasse un’offerta politica un po’ più appassionante di quanto si trovi oggi in Parlamento e sui giornali.

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mercoledì 30 maggio 2018

Governo, Gomez: “Mattarella? Non ha gestito al meglio questa crisi. Aveva anche altri strumenti”

Mattarella? Penso che, purtroppo, lui, in assoluta buona fede, non abbia gestito al meglio questa crisi”. Sono le parole del direttore de ilfattoquotidiano.it e di FQ Millennium, Peter Gomez, nel corso de L’Aria che Tira (La7). “Mattarella aveva anche altri strumenti” – spiega – “Poteva accompagnare il governo con una sua dichiarazione ufficiale, che elencava tutti i limiti ricordati da Visco. Poteva far presente al presidente del Consiglio incaricato che avrebbe respinto, come è suo pieno diritto, qualsiasi provvedimento che andava in senso contrario al rispetto dei trattati. Poteva far pesare la sua autorevolezza. Lo stesso sconosciuto Conte, nel suo primissimo discorso, ha sottolineato il rispetto per l’Europa e i trattati”. E sottolinea: “Non stiamo discutendo di prerogative o di Costituzione, ma stiamo valutando se Mattarella si sia mosso in maniera abile e accorta in questa vicenda o meno. Ciascuno può avere il suo parere, ma nessuno può prescindere dal risultato finale che è oggi sotto l’occhio di tutti”. Gomez puntualizza: “Voglio sperare che non ci siano state telefonate da parte di cancellerie estere al presidente della Repubblica, perché questo diventerebbe davvero tema di messa sotto stato d’accusa, e non tutto il resto. Sottolineo come non Oettinger, ma Angela Merkel, due giorni fa, abbia detto che c’erano stati problemi anche con la Grecia e poi ci si è messi d’accordo. Ricordo che dopo i problemi con la Grecia, quest’ultima è stata massacrata e costretta a un accordo”. Il giornalista cita un noto motto di Enrico Cuccia: “Non sostengo affatto che ci sia un complotto dei mercati, ma “Articolo quinto, chi ha soldi ha vinto”. E in questo momento i soldi ce li hanno la Germania e i Paesi del Nord, facendolo pesare. Basta leggere i loro giornali, che rispecchiano il pensiero delle loro classi dirigenti e della loro opinione pubblica”. Riguardo al caso Savona, Gomez osserva: “Io non sono così convinto che Mattarella, così come molti osservatori, abbiano avuto ragione nel sostenere che con Paolo Savona avremmo avuto  un ministro che aveva come obiettivo l’uscita dall’euro. Questo non è mai stato detto. Per motivare questo assunto, il programma firmato da M5s e Lega doveva essere letto in controluce e, se questa lettura fosse stata vera, Mattarella, utilizzando le sue prerogative, avrebbe dovuto convocare immediatamente il presidente incaricato Conte. Il presidente della Repubblica” – continua – “avrebbe dovuto dirgli le sue perplessità, e cioè che quel programma, secondo lui, magari a ragione. ci portava fuori dall’euro, e ricordargli che abbiamo firmato dei trattati internazionali. Da questo punto di vista, Conte l’ha fatto”

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Emilio Fede: “Alle prossime elezioni mi candido con mio movimento anti-casta. Di Maio? E’ il pronipote che avrei voluto”

“Alle prossime elezioni correrò anche io, con il mio movimento ‘Uno di voi’. Non è un partito, ma un movimento di opinione anti-casta”. Lo annuncia ai microfoni di Ecg Regione, su Radio Cusano Campus, l’ex direttore del Tg4, Emilio Fede, che spiega: “Sono di area vicina al centrodestra, ma stimo tantissimo anche Renzi. Per me è bravissimo, sono uno suo grande sostenitore. Non sono nei partiti, non sodalizzerò con i partiti, sarò in mezzo alla gente. Legalizzeremo la prostituzione, riapriremo le case chiuse. Sarò contro l’invasione degli stranieri e degli extracomunitari, ne ho le palle piene. Legalizzeremo le droghe leggere. Sono tra la gente, contro la casta. Nei prossimi giorni organizzerò un pizza e birra con i tassisti di Napoli“. Fede rende omaggio al leader della Lega e ironizza sul capo politico del M5S: “Salvini premier? Lo vedrei sicuramente in quel ruolo, anche se per me il premier dovrebbe essere un’altra persona e lo dico dal punto di vista affettivo. Ma Salvini si è comportato nel modo migliore, ha agito bene, politicamente è maturo, al contrario di quell’altro suo dirimpettaio. Come si chiama? Sì, Di Maio. Io non lo nomino, perché ogni volta mi commuovo quando parlo di lui”. E rincara: “Di Maio è un ragazzo che ride sempre, come fai a non volergli bene? Si è pure arrabbiato con Mattarella. E quando si arrabbia, l’Italia trema. Ma roba da matti. Mi è simpatico, è il ragazzo che avrei voluto come pronipote. Gli avrei insegnato come si mangia, come si ride, quando si ride e quando non si ride, quando si deve piangere e quando non si deve piangere, insomma, un sacco di cose e lo dico con intelligenza. Quando questo ragazzo sarà maggiorenne, perché non so quanti anni e quante lauree abbia, farà grandi cose”. Poi accusa stampa e media: “Sono stato assolto e nessuno lo ha detto. La notizia che mi assolve totalmente è stata data due giorni dopo in una brevissima nota di agenzia. Questo giornalisticamente non è corretto. Questo non si fa, l’informazione deve essere più responsabile. Io sono sempre stato garantista, se fosse capitato a me ci avrei aperto il tg. Ero accusato di aver utilizzato Lele Mora per rubare dei soldi a Berlusconi

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Governo, Bersani: “M5s e Lega? Hanno messo insieme burro e ferrovia, cioè flat tax e reddito cittadinanza”

M5s e Lega? In nome dell'”anti” questi qui stanno mettendo insieme il burro con la ferrovia”. E’ la metafora pronunciata a Dimartedì (La7) dal deputato di Liberi e Uguali, Pier Luigi Bersani, a proposito dell’accordo di governo tra 5 Stelle e Lega. E spiega: “Stanno, cioè, mettendo insieme la flat tax con il reddito di cittadinanza, con l’una incassi di meno, con l’altra spendi di più. La flat tax è una roba di destra, cioè implica nel Paese infedeltà fiscale endemica, con scarsissima propensione agli investimenti. Invece un reddito di cittadinanza, fatto come Dio comanda, cioè nella logica del reddito di inserimento, è di sinistra“. L’ex segretario del Pd analizza la crisi politica attuale: “Vedremo se Cottarelli troverà questi ministri tecnici, perché immagino non sia facile per lui trovare persone che accettino tutte le incompatibilità che prevede la carica di ministro per una missione che dura qualche settimana o qualche mese. Quindi aspettiamo. La verità è che sta arrivando a compimento una vicenda che cominciò un po’ col patto del Nazareno, cioè” – continua – “quando iniziò a fossilizzarsi l’idea che la dialettica in Italia è tra i cosiddetti responsabili e i cosiddetti barbari, l’establishment e l’anti-establishment, gli apocalittici e gli integrati. Finché siamo in questo schema, mettiamo l’Italia in una situazione pericolosa. Qui deve risbucare in qualche modo una dialettica tra destra e sinistra“. E sul patto del Nazareno osserva: “E’ cominciato lì il racconto secondo cui bisognava far fronte ai barbari alle porte. Se ci fosse l’Italicum, adesso Di Maio e Salvini avrebbero presidenza della Repubblica, Corte Costituzionale e via andando. Ma allora si pensava di trattenerli. Per settimane abbiamo visto titoli di giornale su un albero spelacchiato. Cosa gliene fregherà mai alla gente? Adesso vediamo lo stesso scenario, ma da parte opposta”

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Governo, Scanzi: “Mattarella? Ha dimostrato di essere dilettante. Così ha regalato milioni di voti a populisti”

Salvini e Di Maio dilettanti allo sbaraglio? Mi dispiace dirlo, ma, se c’è stato un dilettante, quello è Mattarella, il quale con la scelta di domenica sera ha regalato milioni di voti a quei populisti che vuole combattere. E infatti la Lega è passata al 28%.”. Sono le parole del giornalista de Il Fatto Quotidiano, Andrea Scanzi, ospite di Dimartedì, su La7. E aggiunge: “Mattarella non ha fatto nulla di eversivo e Di Maio ha preso una cantonata siderale parlando di impeachment. Ma se siamo in questa condizione e se siamo addirittura arrivati al punto che Mattarella sta pensando di accettare Conte e Savona, significa che il presidente della Repubblica due giorni dopo si è reso conto che ha preso una cantonata clamorosa”. Scanzi osserva: “Salvini mi sembra in stato di grazia dal punto di vista mediatico. E’ uno che non sta sbagliando niente più o meno da tre mesi. C’è Luigi Di Maio che ancora deve riprendersi dalla botta subita tre giorni fa. C’è Matteo Renzi che ha ricominciato a parlare da solo su Facebook e a fare le battutine, come se fosse un Panariello figlio di un dio minore. C’è Berlusconi che non si è capito se è vivo o non vivo”. La firma del Fatto continua: “Credevo che nel M5s, di fronte a questa corrispondenza di amorosi sensi tra Salvini e Di Maio, ci fossero più abbandoni di consensi e più critiche. Qualche deluso di sinistra, però, si è staccato. Penso a Tomaso Montanari e a Ivano Marescotti. Quello che ho realizzato è che il diktat fondamentale per gli elettori del M5s è ‘mai col Pd e con Berlusconi‘”. E chiosa: “Magari avessimo avuto un centrosinistra che avesse trattato Berlusconi come ha fatto Di Maio, a cui si possono imputare tanti errori, ma ha trattato l’ex Cavaliere, come avrebbero dovuto fare Prodi, D’Alema, Veltroni, eccetera eccetera eccetera”

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Travaglio: “Mattarella? Non può dire che Savona è un pericolo dopo bail-in e decreti su quattro banche decotte”

Mattarella? Ha messo le mani nel programma del governo, ma non siamo una repubblica presidenziale, né una monarchia. Siamo una repubblica parlamentare. Non può dire che il pericolo era Savona dopo il bail-in firmato last minute e i decreti su quattro banche decotte che hanno danneggiato i risparmi italiani, nel silenzio totale di tutte le alte cariche dello Stato”. Così a Dimartedì (La7) il direttore de Il Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, stigmatizza il veto del presidente della Repubblica sul governo M5s-Lega. Travaglio menziona l’articolo di Beppe Grillo pubblicato ieri sul Fatto e aggiunge: “Mattarella ha un potere formidabile: quello di respingere le leggi incostituzionali o non coperte finanziariamente. Se un punto di quel programma, non coperto o incostituzionale, fosse stato portato alla promulga, Mattarella avrebbe avuto non il diritto, ma il dovere di bocciarlo. Però non è capitato mai nella storia che un presidente dica no al programma di una maggioranza esistente in Parlamento per sostituirla con un governo che non ha nemmeno un voto”. Il direttore del Fatto chiosa: “Quando si voterà? Non ne ho la più pallida idea. Continuo a pensare che anche per i mercati sarebbe stato meglio e più rassicurante un governo legittimato dal voto popolare con gli impegni solenni presi dal professor Conte che non questa situazione drammatica di caos quasi comico, che farà schizzare tutti i livelli negativi dello spread e rinfocolare la speculazione. E questo è responsabilità di chi ha fatto saltare quella possibilità di governo, non di chi ha provato a concretizzarla”

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Governo, Giorgetti al fatto.it: “M5s-Lega? Non si poteva 3 giorni fa non vedo come si possa oggi”. “Elezioni? A settembre”

“L’ipotesi Governo M5S-Lega è difficile che maturi. Giorgetti premier? Ipotesi fantasiosa”. Giancarlo Giorgetti, intercettato da ilfattoquotidiano.it tra Camera e Senato smorza gli entusiasmi di pentastellati e leghisti.

“Se non c’erano le condizioni tre giorni fa è difficile che ci siano adesso, però vediamo. Ora c’è Cottarelli che sta tentando di fare il governo e se i voti non ce li avrà dovremo studiare un percorso ordinato verso elezioni il prima possibile”. E sul voto anticipato, aleggiato già ieri per la data del 29 luglio, il braccio destro di Matteo Salvini è scettico: “Bisogna decidere una data ragionevole. Può essere anche il 29 luglio, ma – spiega Giorgetti – se si riuscisse a votare in una data a settembre, probabilmente anche la campagna elettorale si riuscirebbe a fare in modo più ordinato. Giorgetti infine tiene il punto qualora oggi o in futuro ci dovesse essere un governo con il M5S Savona all’Economia: “Proprio per questo ritengo sia difficile che all’ordine del giorno ci sia un governo M5S-Lega”.

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Ci ricattano con lo spread ma non ci possono comprare

Lo dico da anni. L’ho ripetuto recentemente anche in sedi importanti: questa non è un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca.

Sta cambiando tutto. Cambia il modo di comunicare, di nutrirci, di abitare, di curarci, di lavorare, di produrre energia, di finanziarci, di spostarci. In tutto l’emisfero boreale, c’è un’unica forza sociale, cioè prepolitica, che si è rivelata capace di intercettare, interpretandole virtuosamente, tutte queste istanze di cambiamento. Facendosene veicolo, vettore. Il Movimento Cinque Stelle è stato (e sarà) innanzitutto questo: disintermediazione. Dalle vecchie categorie. Dai polverosi schemi fenomenologici di decodifica del presente. Dagli obsoleti criteri di merito e di demerito. Dalla vecchia politica, dai suoi nefasti meccanismi di rappresentanza.

Allora, se non altro per rispetto di chi per primo ha intuito questo cambiamento d’epoca, dobbiamo almeno chiedercelo: siamo pronti – come collettività e come individui – ad accogliere questo tsunami morale? Siamo pronti a riconcettualizzare il dogma dell’utilità monetaria? Siamo pronti a ridiscutere le categorie, profondamente occidentali, di giusto e di sbagliato? La partita ce la giocheremo nelle risposte che sapremo dare a queste domande, prima ancora che in cabina elettorale. Ma non sarà per niente facile.

Non facciamoci illusioni, su questo. Siamo stati educati fin dalla nascita ad affrontare il presente con categorie di pensiero ottocentesche, prima fra tutte quella dell’utilità. Non siamo capaci di scrollarci di dosso le scorie di un recente passato dannatamente antropocentrico. Ma ora ci troviamo di fronte a un cambiamento d’epoca che ci imporrà orizzonti nuovi, non più all’insegna dell’antropocentrismo, ma del biocentrismo. La vita tornerà al centro. Parole vuote come democrazia, proprietà, medicina, crescita, competizione, ricchezza, risparmio… stanno riempiendosi di significati inattesi e indecifrabili ai più. Sradicare il dogma dell’utilità monetaria dalle nostre teste non sarà un’impresa semplice: abbiamo due secoli e mezzo di pensiero economico a giocarci contro. Ma, che ne siamo consapevoli o meno, è lì che dovremo andare. Con buona pace delle Merkel, degli Oettinger e delle loro litanie funebri.

Dovremo affidarci a una forza titanica inesplorata (perché sopita), ma viva (perché ancestrale), per reagire alla soffocante coercizione dei perimetri opachi. Ci vogliono dentro a quei perimetri. Ci fanno paura dentro a quei perimetri. Ci ricattano dentro a quei perimetri. Perimetri fatti di spread, di (finto) welfare, di promesse di sicurezza, di facili consumi, di modelli seducenti, di cronica insoddisfazione, di depressione e di cure chimiche. L’Unione Europea, cane da guardia al guinzaglio della finanza internazionale, che si nutre di quelle finzioni, sa parlare solo questo linguaggio. E lo fa da dentro a quei perimetri.

Blackrock, primo asset manager al mondo, gestisce patrimoni per 4.900 miliardi di dollari. Goldman Sachs, decimo in classifica (il cui presidente Jim O’Neill sostenne nel 2013 che il vero problema dell’Europa era Beppe Grillo), di 1.100 miliardi. Il Pil dell’Italia è di 1.850 miliardi. Se vogliono, ci comprano come noi compriamo un monolocale. Allora? Allora, la risposta non va trovata nel nostro costo, ma nel nostro valore. Il valore di noi italiani, capaci di immaginare quello che ancora non si vede. Di solcare oceani al di fuori di quei perimetri di comfort, di esportare genialità e prosperità, in questo e in nuovi mondi.

Chiudo il mio primo libro con queste parole di Keynes:

Dovremo saperci liberare di molti dei principi pseudomorali che ci hanno superstiziosamente angosciato per due secoli, per i quali abbiamo esaltato come massime virtù le qualità umane più spiacevoli. Dovremo avere il coraggio di assegnare alla motivazione “denaro” il suo vero valore. […] Ma attenzione: il momento non è ancora giunto! Per almeno altri cento anni dovremo fingere con noi stessi e con tutti gli altri che il giusto è sbagliato e che lo sbagliato è giusto, perché quel che è sbagliato è utile, e quel che è giusto no.

Cento anni. Keynes ha scritto queste parole nel 1930. La scelta è nostra.

Leggevo recentemente sul web questa invocazione: “Messaggio all’umanità: TORNA!”. Mi ha strappato un sorriso. Uno solo.

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Governo, Renzi: “Se passava referendum 4 dicembre, questo casino non c’era. Ora darò una mano a Pd, ma da dietro”

Sergio Mattarella? Ha una pazienza straordinaria con questi. Se avesse avuto un po’ meno pazienza, avrebbe chiamato il 118. Io penso che neanche il mago Otelma possa prevedere quei due (Salvini e Di Maio, ndr)”. Così a Otto e Mezzo, su La7, si pronuncia il senatore Pd, Matteo Renzi, che aggiunge: “Il M5s mi ha sempre insultato dicendo “premier non eletto da nessuno” e poi hanno proposto Giuseppe Conte come presidente del Consiglio. Ed è uno che non è mai stato eletto nemmeno in un consiglio pastorale. Visto che ha l’abitudine di compilare i curricula, credo che, se Conte avesse fatto l’esperienza di consigliere pastorale, avrebbe scritto sul curriculum “rilevanti esperienze ecclesiastiche come monsignore””. E aggiunge: “M5s e Lega hanno strillato in tutte le piazze contro le istituzioni. Stanno cercando di sfasciare il sistema istituzionale. Ecco perché il Pd non deve fare semplicemente opposizione, ma costruire. Sono convinto che Di Maio e Salvini siano antifascisti. I fascisti sono quelli che vogliono fare la marcia su Roma, di cui hanno parlato alcuni congiunti di Alessandro Di Battista“. Poi precisa: “Non credo che il Pd andrà mai con Forza Italia alle prossime elezioni, sono contrario. Diverso è dire a tanti elettori delusi di Forza Italia: ‘Volete dare il voto a Salvini?’. Credo che molte di queste persone moderate voteranno per un fronte repubblicano. Io ci metterei la firma per avere il 41%, come al referendum del 4 dicembre. Dopodiché, se passava il referendum costituzionale, questo casino non c’era”. Riguardo al suo futuro, l’ex segretario dem afferma: “Cosa farò? Il Pd non si può permettere l’ennesima discussione interna, io mi metto a dare una mano dietro. Una vita da mediano, dopo aver fatto il centravanti alle europee del 2014 e al referendum del 2016. A queste elezioni abbiamo giocato senza schema e si sono visti i risultati. In 5 anni abbiamo rimesso a posto i conti e l’Italia stava andando bene. In 86 giorni quei due hanno disintegrato la credibilità internazionale del Paese”. Poi chiosa: “Nel Pd c’è un sacco di bella gente. L’importante è che non si faccia quello che stato fatto a me. Quando ho vinto due volte le primarie Pd, dal giorno dopo ha iniziato a spararmi addosso il fuoco amico dei Michele Emiliano. Mi hanno massacrato tutti i giorni, nonostante che io avessi avuto il consenso della nostra gente”

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Travaglio: “Mattarella? Ha sbagliato. Ora siamo in una farsa tragica con un governicchio balneare che fa ridere i polli”

“E’ successa una cosa un po’ paradossale, mai vista in un Paese dove credevamo di aver visto di tutto: ci sono una maggioranza sta all’opposizione, una minoranza che sta al governo e che viene definita ‘governo neutro’, forse perché non lo vota nessuno. Pare che non lo voterà nemmeno il Pd, che aveva detto di votarlo”. Così a Dimartedì (La7) esordisce il direttore de Il Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, nella sua disamina della situazione politica attuale. “Non si sa se questo governo di formi” – continua – “Oggi doveva essere annunciata la lista dei ministri e doveva essere sciolta la riserva di Cottarelli, il quale invece è fuggito da un’uscita secondaria del Quirinale, rendendo definitiva la farsa tragica che è iniziata domenica con quel grottesco discorso del capo dello Stato. Un discorso pieno di bugie, in cui si diceva che presto saremmo usciti dall’euro se Savona fosse entrato nel governo. In realtà, Savona aveva appena dichiarato il contrario”. E aggiunge: “Addirittura Macron, ingolosito dalla nascita di un governo in Italia, aveva telefonato al premier, credendo che fosse vero che stava nascendo un governo, segno forse che le preoccupazioni un po’ eccessive di Mattarella erano ormai state superate anche a livello internazionale. Lega e M5s, due partiti molto diversi tra di loro, con riunioni di giorno e di notte si sono fatti un discreto mazzo per formare un programma e un governo. E si sono sentiti dire dal presidente della Repubblica che lui voleva commissariare quel governo e voleva mettere le mani nel programma, ritenendolo non condivisibile e pericoloso. Purtroppo” – continua – “questo non appartiene al presidente della Repubblica, il quale può essere di un partito diverso da quelli che vanno al governo, ma deve sincerarsi che il governo abbia la maggioranza in Parlamento e rappresenti la volontà del famoso popolo. Dopodiché può intervenire, come fece Scalfaro su Previti, Ciampi su Maroni, Napolitano su Gratteri, per ragioni oggettive, che, secondo lui, configurano una incompatibilità”. Travaglio puntualizza: “Dire che un economista, che la pensa diversamente da Mattarella, è incompatibile con il ministero dell’Economia, significa dire che Mattarella vuole prendere la cabina di regia politica dell’economia del governo. E questo non spetta a lui. E’ per questo che non hanno ceduto Salvini e Di Maio. Se a Salvini ha fatto comodo, Mattarella non avrebbe dovuto servirgli quell’assist. E il risultato di quella scelta dimostra l’errore commesso da Mattarella: non abbiamo un governo, che sembrava avessimo, e abbiamo un governicchio balneare che fa ridere i polli”

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Governo, Cottarelli al Colle per un incontro informale con il presidente Mattarella

Il presidente del Consiglio incaricato Carlo Cottarelli intorno alle 8.30 di questa mattina è uscito dal suo hotel e si è diretto al Quirinale. Qui, secondo le prime indiscrezioni, avrà un incontro informale con il capo dello Stato Sergio Mattarella.

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Governo, lo spread apre in netto calo: 270 punti. Rendimento al 3%

Dopo aver sfondato in giornata la quota 320 punti, oggi lo spread apre in netto calo. Il differenziale di rendimento trai i titoli decennali tedeschi e quelli italiani segna stamane 270 punti base, 20 in meno della chiusura di ieri. Il rendimento del titolo decennale italiano è al 3%, mentre il tasso del Bund di pari scadenza prosegue la discesa e ora si muove in area 0,3%. Avvio di seduta positivo per Piazza Affari. L’indice Ftse Mib segna un rialzo dello 0,67% a 21.495 punti dopo la giornata di passione di martedì.

Le notizie che arrivano dalla politica – con Lega e M5s che si dicono pronti a ripartire – sembrano aver rassicurato i mercati. Il premier incaricato Carlo Cottarelli è arrivato al Quirinale per un colloquio informale con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Ieri inevitabilmente la febbre dei buoni del tesoro nel pieno dell’incertezza per la conclamata crisi istituzionale con la minaccia dell’impeachment del capo dello Stato, unita ai dubbi sul nascituro governo Cottarelli e sul possibile ritorno alle urne, si era trascinata dietro i titoli che assicurano gli investitori dal cosiddetto rischio Italia.

Un altro segnale di sfiducia crescente era arrivato dai tassi pagati dai titoli di Stato con scadenza a due anni. Che sono volati al 2,7% contro lo 0,9% di lunedì, ma questa mattina l’apertura è stata in calo rispetto a ieri segnando 2,4%.

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martedì 29 maggio 2018

Governo, Lorenzin: “Mi sento come una partigiana a difesa della Repubblica. Dobbiamo svegliarci”

“Oggi più che ministro della Salute mi sento una cittadina italiana ingaggiata sul fronte della difesa della nostra Repubblica e dei valori per cui hanno combattuto i nostri nonni. Mi sento come una partigiana“. Sono le parole pronunciate ai microfoni di Ho scelto Cusano (Radio Cusano Campus) dalla deputata di Civica e Popolare, Beatrice Lorenzin, a proposito della crisi politica attuale. “E’ uno dei momenti della vita di un Paese che accadono pochissime volte” – continua – “Credo che una fase come questa ci sia stata solo dopo la Seconda Guerra mondiale. Non può essere sottovalutato questo attacco al presidente della Repubblica, nonostante i due protagonisti dell’attacco, Salvini e Di Maio, sembra siano usciti fuori da una macchietta fumettistica. Ma non è un fumetto, è la realtà. Non ci sono precedenti di un attacco così frontale al capo dello Stato e non si hanno precedenti di un governo che non si forma per la nomina di un ministro tecnico. Siamo di fronte ad una vera beffa e truffa operata a carico degli elettori italiani che sono andati alle urne il 4 marzo”. E rincara: “Questo è un attacco al cuore della democrazia del Paese, inaccettabile nei toni e nelle forme. Su twitter leggo anche delle bischerate da parte di personalità come Meloni e Salvini che non conoscono l’economia oppure mentono sapendo di mentire. Di Maio e Salvini? Sono entrambi complici di questa situazione. Il nome di Savona era il simbolo di una visione No Euro. Perché Salvini” – prosegue – “ha stressato così la situazione? Io penso che lui sia molto cinico e che voglia giocarsi una partita estrema. Salvini ha voluto la rottura per andare ad elezioni e arrivare fino alle elezioni europee facendo un fronte nuovo con la Le Pen, dalla conquista dell’Italia alla conquista dell’Europa”. Poi chiosa: “Nel contratto di governo M5s-Lega l’unico cambiamento era nelle posizioni di potere. E’ stata una procedura messa in campo che non ha precedenti nella nostra storia. Dobbiamo svegliarci! Qui ci sono in gioco gli interessi della nostra Nazione. Questi personaggi sono capaci di qualsiasi cosa, anche di abolire i vaccini. Nel contratto c’è un capitolo sulla sanità dove c’è scritto anche che erano pronti a rivedere la legge sui vaccini”

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Calenda a Giorgetti: “Problema non è Ue, ma speculatori. Danni per risparmiatori non per élite, che portano soldi fuori”

Faccia a faccia a Bersaglio Mobile (La7) tra il ministro uscente dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, e il vicesegretario della Lega, Giancarlo Giorgetti, sulla figura di Paolo Savona. L’esponente del Pd obietta al deputato leghista, che ha assicurato la non volontà del M5s e della Lega di uscire dall’euro: “Savona però ha un significato molto preciso, perché ha scritto un libro su come uscire dalla moneta unica e ha anche ipotizzato con grande chiarezza il default del debito pubblico italiano. C’è stata una gravissima imperizia da parte vostra in queste settimane. Avete fatto uscire la prima bozza del vostro contratto di governo, in cui veniva ventilata la possibilità di chiedere l’uscita dall’euro. Questo dà un segnale. E il segnale non è l’Europa, di cui non mi importa niente” – continua – “L’Europa, se sfori il deficit, non ti fa niente. Ti fa una procedura di infrazione con risultato zero, un buffetto. Il problema è dato da chi ti compra il debito. E a quelli le palle non le puoi raccontare. Quando vedono persone che dicono che forse si esce dall’euro e forse si mettono 50 miliardi in più di spesa, si spaventano”. E aggiunge: “Il risultato di questo governo che non si è formato è che l’Italia è tornata nel mirino della speculazione internazionale, non dell’Europa. E questo è un problema per i risparmiatori. Mattarella ha detto una cosa precisa: lui ha il dovere di tutelare i risparmi. E se noi andremo in ballo, e ci andremo, perché diamo la sensazione di non essere seri coi nostri impegni, chi perde è il popolo che risparmia, non le élite, che, se vogliono, portano i soldi fuori”. Calenda accredita stima a Giorgetti e osserva: “Salvini due anni fa al Parlamento Europeo ha detto che cambierebbe due Mattarella con mezzo Putin. Esiste una Lega di governo e seria, che lei degnamente rappresenta, ma lo spettacolo di Salvini, che evoca manifestazioni a Roma se non si fissa la data delle elezioni, dimostra una mancanza di rispetto non solo per le istituzioni, ma anche nei confronti dei risparmi degli italiani. Alle prossime elezioni discutiamo la nostra appartenenza o meno all’Europa, ma fatelo a viso aperto, non coi contratti che poi vengono smentiti”. “No, no” – replica Giorgetti – “Quella di cui lei parla è solo una bozza che non aveva visto nessuno. Nel contratto definitivo di governo la parte relativa all’Europa e alla finanza pubblica è stata rivista e riscritta da Paolo Savona. E non c’era scritta l’uscita dall’euro. C’erano cose di assoluto buon senso. Lo stesso professor Savona nel suo comunicato ha invocato una Europa diversa, più forte e più equa”. “Ma che significa, abbia pietà?” – ribatte Calenda – “E’ come dire ‘l’acqua calda è meglio dell’acqua fredda’”

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Elezioni a fine luglio, nel Pd cresce fronte per voto: sì da Orlando, Guerini e Marcucci

Prima un appello all’unità del centrosinistra, ora un ritorno alle elezioni a fine luglio. Nel Pd sta crescendo il fronte di chi pensa che a questo punto sia meglio andare alle elezioni il prima possibile entro agosto. In questo senso si sono espressi pubblicamente Andrea Orlando, ministro uscente della Giustizia, e Lorenzo Guerini, portavoce della segreteria dem. Ma sarebbero molti gli esponenti dem a favore. Una riflessione è in corso e probabilmente se ne discuterà nella direzione che si svolgerà prima del voto di fiducia al governo Cottarelli.  Il voto a luglio “si può fare se c’è l’accordo tra i partiti. Evidentemente dopo la fiducia deve esserci lo scioglimento delle Camere” dice il capogruppo Pd al Senato Andrea Marcucci, interpellato in transatlantico a Palazzo Madama. Per gli italiani all’estero “il governo può fare un decreto”, aggiunge a chi lo interpella.

Votare il 29 luglio o anche il 22 sembra l’estrema ratio per fermare le speculazioni dei mercati e riportare lo spread a un indice “sopportabile”. Anche perché sembra impossibile che il governo Cottarelli possa partire e ricevere la fiducia del Parlamento. Uno dei vincoli è però quello dei 60 giorni (ormai superato) per far permettere il voto anche agli italiani all’estero. L’ipotesi sarebbe quella di far votare in Italia prima e all’estero dopo, rispettando i tempi tecnici minimi dei 45 giorni, ma anche quella di un decreto. Una ipotesi che porterebbe un governo (forse) pronto a fare la legge di bilancio entro il 15 ottobre. In alternativa, viene spiegato, con il voto il 16 settembre si arriverebbe alla scadenza con un governo ancora da formare. Calendario alla mano la prima seduta del Parlamento potrebbe essere convocata il 5 ottobre, con l’elezione dei Presidenti intorno all’8, con il capo dello Stato che non avrebbe iniziato neanche le consultazioni. In questo modo l’esercizio provvisorio scatterebbe immediatamente, spiega alcuni parlamentari, “paralizzando il Paese”. L’alternativa sarebbe quella del 19 agosto, con scioglimento delle Camera entro il 19 luglio, rispettando i tempi previsti per legge. Ovviamente questa data si andrebbe a scontrare con lo spettro dell’astensionismo e soprattutto con le incognite di una campagna in piena estate.

Per me va bene prima possibile“. Risponde così il capo politico del M5S, Luigi Di Maio, ai cronisti lasciando la Camera, ai cronisti che gli chiedevano se per i pentastellati vada bene votare anche a fine luglio.

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Pd, Calenda: “Salvini e Di Maio? Non hanno mai fatto nulla in vita loro, non hanno neppure gestito un’edicola”

Salvini e Di Maio da Barbara D’Urso? Non è roba da Paese serio, specie in un momento molto delicato della storia. Queste cose non sono normali, sono fantascienza. Ci sono due persone che non hanno mai fatto nulla in vita loro, non hanno neppure gestito un’edicola”. Sono le dure parole pronunciate a Bersaglio Mobile (La7) dal ministro uscente dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, a commento della partecipazione dei leader del M5s e della Lega a Pomeriggio Live, su Canale 5. Ironico anche il commento del direttore del TgLa7, Enrico Mentana: “Questo è il segno che la situazione, ma non seria”. Calenda rincara: “Salvini e Di Maio parlano alle persone, come se tutti fossero un branco di fessi. Gestire un Paese non ha niente a che vedere con quella sceneggiata lì. Se questa deve essere la classe di governo, io sono molto spaventato. Poi gli italiani giudicheranno”. Mentana gli ricorda che anche Renzi è stato ospitato nella stessa trasmissione. E Calenda replica: “Quando Renzi ha fatto delle stupidaggini, e le ha fatte, io l’ho detto molto apertamente e spesso sono stato vivacemente messo in discussione. Ma oggi il Paese reale con quelle scene lì non ha niente a che vedere”. E si rivolge al deputato della Lega, Giancarlo Giorgetti: “Quella roba lì non ha nulla a che vedere neppure col parroco di campagna. Quello è show business, che col popolo non c’entra niente. Quello è il Truman Show. E un Paese in queste difficoltà il Truman Show lo manda a picco. Lo dico a te, perché sei una persona seria. La Lega ha una classe di governo e di persone serie, come te, Maroni e Zaia. Dovete prendere Salvini e dirgli: ‘Ragazzo, quando parli del presidente della Repubblica, devi rispettarlo’. Se non si parte da questo, non esiste il principio per cui si vive in una democrazia, prendendo le cose sul serio”

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Governo, Mattarella ha rispettato la Costituzione? Provo a spiegarlo

Credo che nell’accesissimo dibattito relativo alla iniziativa del capo di Stato di non dare il mandato all’alleanza post-elettorale (Lega-M5S) che aveva trovato un accordo per il governo del cambiamento siano rimaste estranee alcune considerazioni di carattere strettamente tecnico, su cui voglio fare una riflessione.

Prima questione
Si è detto, da molti, che tale “potere di veto” sarebbe stato esercitato più volte in precedenza da altri Presidenti della Repubblica. L’affermazione è a mio avviso falsa e fuorviante. Infatti, nei casi precedenti (Previti, Gratteri, ecc.) il presidente del Consiglio incaricato ha fatto spontaneamente un passo indietro ed ha proposto altri nomi. Qui invece, per la prima volta, ci si è trovati di fronte ad una prova di forza. Ipotesi, quindi, del tutto diversa, in cui si è insistito su un nome non gradito. In secondo luogo, il Capo dello Stato ha dato addirittura incarico ad altra persona, del tutto estranea all’agone elettorale. Ancor più significativo è poi che tale presidente incaricato, almeno sulla carta, non ha alcuna maggioranza politica disposta a dare la fiducia.

Quindi, censurando un ministro proposto dal presidente del Consiglio incaricato, in realtà il capo dello Stato, per la prima volta nella vita repubblicana, ha impedito – anziché agevolare, come sarebbe nelle sue prerogative – la formazione di un governo che avrebbe certamente avuto una maggioranza parlamentare. Fatto unico e per nulla assimilabile ai precedenti, invocati a sproposito.

Seconda questione
Per sostenere la tesi della correttezza costituzionale della soluzione adottata si è invocato da più parti – con un parallelo del tutto errato – il potere di rinvio delle leggi alle Camere, da parte del Capo dello Stato. Tale regole conferma invece la tesi opposta: se la maggioranza invia nuovamente la legge “incriminata” con lo stesso identico testo, il Capo dello Stato deve promulgarla. Punto e basta. Nessun potere di veto. Solo un potere di cosiddetta moral suasion. Ciò conferma il ruolo (ben diverso) del capo dello Stato.

Terza questione
I lavori preparatori che hanno preceduto la nostra Costituzione repubblicana sono stati estremamente chiari: i Padri costituenti non hanno voluto in alcun modo consentire al Capo dello Stato un potere di veto sulla nomina dei ministri della Repubblica. È sufficiente leggerli.

Quarta questione
In base alle regole generali, la Repubblica parlamentare differisce dalla Repubblica presidenziale proprio in ragione del potere di nomina (e della responsabilità) sull’Esecutivo da parte del presidente della Repubblica. Il capo dello Stato, proprio per questo, in Italia firma i propri atti ma non ne è responsabile (la responsabilità resta ministeriale). C’è quindi da chiedersi se l’esercizio di un tale potere di “veto” sulla nomina dei ministri non stravolga le regole basilari della democrazia basata su un assetto repubblicano parlamentare, portandola verso un assetto presidenziale.

Conclusioni
In questa prospettiva mi sembra, quindi, innegabile che il Capo dello Stato abbia posto in essere un comportamento del tutto nuovo, a mio avviso al di fuori delle previsioni costituzionali.
Se questo costituisca attentato alla Costituzione o alto tradimento è questione diversa ed ulteriore, il cui giudizio spetta alla Corte Costituzionale in composizione “integrata”.

Sul punto, tuttavia, il fatto stesso che una parte consistente dell’arco parlamentare la abbia invocata mi sembra crei i presupposti per una doverosità di tale accertamento: davvero una Repubblica democratica può permettersi di avere un Capo dello Stato sospettato di attentato alla Costituzione/alto tradimento da una gran parte del Parlamento senza procedere ad un accertamento istituzionale?

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Governo, Giorgetti (Lega): “Savona? Fui io a introdurlo a Salvini e Di Maio. Era il perno del contratto M5s-Lega”

Paolo Savona? Era il perno su cui si costruiva l’alleanza di governo M5s-Lega, interpretava la visione dell’Europa di questi due movimenti politici. Venendo meno questo perno e il dna di questa alleanza, cadeva tutto il costrutto”. Sono le parole di Giancarlo Giorgetti, capogruppo della Lega alla Camera dei Deputati, nel corso di Bersaglio Mobile, su La7. Il vicesegretario leghista spiega: “Savona non era esponente né della Lega, né del M5s. Non è venuto lui da noi. Siamo stati noi a chiamarlo e la prima cosa che ci ha detto è questa: ‘Se mi avete chiamato per uscire dall’euro, io non sono disponibile. Io sono un trattativista’. La cosa è talmente piaciuta a Salvini e a Di Maio che proprio su Savona e sulla sua visione di Europa hanno costruito la loro alleanza. E’ stato amore politico a prima vista. E io ero il testimone di nozze”. E aggiunge: “Il professor Savona era in Sardegna forse a curare l’orto. L’abbiamo chiamato e, nonostante l’età, in 4 ore si è presentato a Roma. Mattarella voleva me al posto di Savona? Questo lo dite voi giornalisti, io non ho mai parlato con il presidente della Repubblica. Mattarella è un arbitro, le decisioni dell’arbitro si accettano ma penso che Mattarella abbia sbagliato”. Circa l’impeachment annunciato dal M5s nei confronti del capo dello Stato, Giorgetti commenta: “Qualcuno ha reagito d’istinto, ma penso che da qui a qualche giorno le acque si calmeranno. Spero che al più presto la parola passi al popolo perché possa decidere il proprio futuro”

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Governo, Di Battista: “Impeachment per Mattarella? Noi andiamo avanti. Se Salvini non lo chiede si dimostra pavido”

Impeachment per il presidente della Repubblica Sergio Mattarella? È evidente che noi del M5s andiamo avanti. Ho letto che c’è anche il sostegno di Fratelli d’Italia. Qualora Salvini non dovesse garantire il suo supporto, si dimostrerebbe pavido”. Sono le parole dell’ex deputato del M5s, Alessandro Di Battista, ospite di Otto e Mezzo, su La7. L’ex parlamentare ripete più volte che i 5 Stelle sono contrari all’uscita dall’euro, rendendosi protagonista di un botta e risposta serrato con la conduttrice, Lilli Gruber, e il giornalista de Il Corriere della Sera, Massimo Franco. “Sarebbe una scelta stupida e sbagliata uscire oggi dall’euro” – ribadisce Di Battista – “Tra noi e Lega ci sono alcune differenze, come la battaglia per l’acqua pubblica e per l’ambiente. La Le Pen non fa parte dei miei modelli culturali. Sono assolutamente concorde con la sospensione delle sanzioni alla Russia, ma questo non fa di me un putiniano, Putin non l’ho mai conosciuto. Era Berlusconi che andava in vacanza insieme a Putin”. E puntualizza: “Sui diritti economici e sociali in questo Paese ritengo la Lega molto più affidabile del Pd. Paolo Savona? Luigi Di Maio, tre settimane fa, mi ha chiamato venti minuti dopo aver incontrato il professor Savona. E mi ha riferito che gli aveva detto di non voler uscire dall’euro. Sono convinto che alle prossime elezioni il Pd e quel che fu Matteo Renzi, non volendo usare il trapassato remoto, cercheranno di spaventare i cittadini italiani sui nostri piani, che sono solo di sostegno all’interesse nazionale. Quelli del Pd” continua – “non avendo uno straccio di idea, perderanno rovinosamente anche le prossime elezioni. Noi, ripeto, non vogliamo uscire dall’euro. Questo argomento verrà utilizzato dal Pd e da quel che rimane di queste salme politiche ed è la più grande fake news usata da un partito piuttosto esperto di fake news”. Poi aggiunge: “Sentir parlare di legge elettorale ora mi fa venire le bolle. Occorre andare al voto il prima possibile con questa legge”

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Governo M5s-Lega, Vittorio Di Battista indagato per post su Facebook contro Mattarella

Vittorio Di Battista, padre di Alessandro uno dei leader dl M5s, “è indagato” per la violazione dell’articolo 378 che punisce “le offese al prestigio e all’onore del capo dello Stato”. È quanto riporta il Corriere della Sera. Di Battista senior aveva scritto un post il 23 maggio scorso sul presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

“È il papà di tutti noi. È quello che si preoccupa di varare un governo. È quello che ha avallato la legge elettorale che impedisce di varare un governo. Poveretto, quanto lo capisco”, si leggeva nell’intervento sul social poi rimosso. “In più ci si mettono le fianate sul cv di Giuseppe Conte, le perdite in Borsa e la irresistibile ascesa dello spread. Poveretto, quanto lo capisco. Lo capisco e per questo, mi permetto di dargli un consiglio, un consiglio a costo zero. Vada a rileggere le vicende della Bastiglia, ma quelle successive alla presa. Quando il Popolo di Parigi assaltò e distrusse quel gran palazzone, simbolo della perfidia del potere, rimasero gli enormi cumoli di macerie che, vendute successivamente, arricchirono un mastro di provincia. Ecco, il Quirinale è più di una Bastiglia, ha quadri, arazzi, tappeti e statue, Se il popolo incazzato dovesse assaltarlo, altro che mattoni. Arricchirebbe di democrazia questo povero paese e ridarebbe fiato alle finanze stremate”.

Le indagini sono state affidati ai carabinieri del Ros e già nei prossimi giorni, stando al quotidiano di via Solferino, l’indagato potrebbe essere convocato per l’interrogatorio. Intanto anche la procura di Palermo ha aperto un’inchiesta per risalire agli autori delle minacce e degli insulti rivolti, negli ultimi giorni, sui social al Capo dello Stato. L’inchiesta al momento è a carico di ignoti. Decine i post diffamatori e intimidatori comparsi su Facebook e Twitter.

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Mattarella, se il presidente ignora la sofferenza sociale degli italiani

C’è un’enorme questione che è stata totalmente ignorata in queste ultime ore, ore in cui al centro della scena pubblica sono stati unicamente i palazzi del potere, in apparenza – ma solo in apparenza – svincolati dall’esistenza concreta delle singole persone: è la questione dell’enorme sofferenza sociale che ha generato, attraverso il voto, ciò che stiamo vedendo in questi giorni, e cioè prima l’affermazione di due partiti di protesta e poi il tentativo di quest’ultimi di formare un governo che rispondesse  al desiderio collettivo di una maggior protezione sociale (vedi reddito di cittadinanza).

L’Italia che è andata al voto il 4 marzo è un’Italia, ce lo raccontano ormai tutti i rapporti sociali, tragicamente impoverita. Un’Italia in cui in poco più di dieci anni i poveri sono quadruplicati, la percentuale di disoccupati resta altissima, i working poor sono la maggioranza tra i lavoratori. Tradotto in termini concreti, significa che abbiamo oltre un milione di bambini che vivono in ambienti malsani e scarso cibo, milioni di giovani bloccati in un limbo di sofferenza e povertà, cinquanta-sessantenni che non hanno lavoro ma non possono accedere a nessun sussidio perché non ne esiste praticamente nessuno e devono aspettare fino a 67 anni per avere un assegno sociale miserevole che consentirà loro di fare la spesa e poco altro.

Questa Italia ha semplicemente chiesto un cambiamento dalle politiche di austerity che mentre non hanno ridotto il debito ma hanno aumentato unicamente il dolore delle persone, che oggi vanno avanti con disperazione, usando psicofarmaci, cercando soluzioni di compromesso – affittare una stanza, vivere nella stessa casa in tanti – barcamenandosi tra l’ansia del presente e la paura del futuro. Il risultato di Comuni devastati dai tagli è sotto i nostri occhi, ad esempio a Roma: nella nostra città non si taglia più l’erba, non si aggiustano più le buche, non si raccoglie l’immondizia, gli autobus vanno a fuoco, le aziende se ne vanno. E allora di fronte a questa desolazione, di fronte a uno scenario che va verso il sottosviluppo e il terzomondismo, è chiaro che l’indignazione, la protesta, la domanda insistente di un futuro diverso si è riversata verso quei partiti che hanno promesso più aiuto sociale e insieme più aiuto alle piccole e medie imprese, agli autonomi, una fascia sociale particolarmente ferita dai colpi della crisi. Dal punto di vista politico non importa che le promesse dei 5Stelle e della Lega fossero irrealizzabili, questo sarebbe stato un problema loro una volta al governo. Contava unicamente il fatto che avevano vinto e che dunque a loro spettava il compito di governare. Gli italiani avevano diritto, dopo anni stremanti di governi tecnici, oppure governi – vedi Renzi – andati al potere con leggi elettorali dichiarate incostituzionali, di avere un governo pienamente legittimo.

Così non è stato. Incredibilmente, ci ritroviamo, in una sorta di incubo, di fronte all’ennesimo governo tecnico. Beffa delle beffe, anche se Carlo Cottarelli è persona seria e le sue proposte hanno sempre mirato a ridurre gli sprechi, la persona chiamata a governare da Mattarella dopo il rifiuto al governo Lega-5stelle, è una persona che simboleggia tagli, il contrario di quello che gli italiani chiedevano. “Dovevo proteggere i risparmi degli italiani”, ha detto il Capo dello Stato. Certo, il pericolo spread è reale, ma non c’è dubbio che mentre proteggeva i risparmi degli italiani, Mattarella ha del tutto ignorato sia la loro voglia di contare votando sia l’immane emergenza sociale, alla base di un risultato elettorale completamente all’insegna della voglia di intervento statale. Cosa diversa dall’antieuropeismo, anche se purtroppo i tagli alla spesa hanno alimentato una profonda sfiducia verso l’Europa. La richiesta principale degli italiani il 4 marzo era semplicemente questa: non possiamo andare avanti così, qualcosa deve cambiare. L’Europa non ha capito nulla di questo, tanto meno lo hanno fatto i tedeschi, che hanno deriso sui loro giornali gli italiani in maniera francamente irritante, non c’è bisogno di essere nazionalisti per dirlo.

E dunque ora cosa ci aspetta? Purtroppo unicamente la ripetizione dell’identico. Perché si tornerà al voto, gli italiani, ancora più poveri, voteranno ancora più in massa i partiti a cui non è stato consentito governare. E ancora il Quirinale si troverà di fronte alla scelta di un governo fortemente critico verso l’Europa. Che senso, ha, dunque, prolungare l’agonia? Non era meglio dare fiducia a un governo politico, aspettandolo eventualmente al varco del fallimento? Alla fine, l’unica cosa che gli italiani percepiscono è che il loro voto non conta nulla. Che alla loro sofferenza non c’è risposta. Che la democrazia non esiste più, che andare alle urne non ha senso. Tanto che sarebbe quasi meglio evitare di votare, continuando con governi tecnici. Perché il voto è diventato ormai un’autentica farsa.

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Non riesco a rispondere a tutti i commenti, ma leggo tutto, grazie.

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Governo, chi ha votato questi personaggi? Gran parte degli italiani è complice

La giornata più lunga della recente storia della Repubblica è terminata con l’esplosione prevedibile del caos politico. Congetture e accuse riempiono le pagine dei giornali, delle televisioni e dei social. Di chi è la colpa di quanto accaduto? ‘Dei mercati e della Trojka’, spergiura Salvini che vede la nomina di Cottarelli da parte del presidente Mattarella come la prova del complotto delle élite mondiali a danno del popolo italiano. ‘Di Di Maio e del populismo leghista’, rispondono i rappresentanti dei vecchi partiti che accusano i vincitori delle recenti elezioni di essere gli alfieri di una deriva populista, secondo i più informati addirittura pilotata da Putin e dagli avversari dell’occidente.

Può essere che le ragioni del caos che sta travolgendo l’Italia siano molteplici. E anzi sicuramente vi sono motivazioni plurali per spiegare l’evolvere pericolosissimo dell’attuale situazione politica. La ricerca di capri espiatori è però una costante della cultura popolare italiana almeno da sessanta anni a questa parte. Già ai tempi della caduta del fascismo, i milioni di ex sostenitori del duce compattamente si schieravano contro le nefandezze compiute da Mussolini.

Per l’italiano medio, la responsabilità degli accadimenti nefasti è sempre da attribuire a terzi. Eppure, a ben guardare, fenomeni come il debito pubblico, la corruzione, le asimmetrie della distribuzione della ricchezza, l’emergere di politici imbonitori che promettono e non mantengono, e ciononostante perdurano in carriere politiche che non finiscono mai, non possono essere addebitate soltanto a responsabilità aliene rispetto a quelle dei cittadini.

Se andiamo a vedere cosa è accaduto negli ultimi anni per esempio scopriamo una regolarità sconcertante tra l’entità delle promesse elettorali e il consenso elettorale raccolto da politici che uno dopo l’altro hanno fatto crescere il debito pubblico e la dipendenza dell’Italia da forze esterne. Prima c’è stato Berlusconi con pensioni e provende per tutti, poi Renzi con i bonus a fondo perduto. Poi Salvini con la flat tax e i 5Stelle con il reddito di cittadinanza per tutti.

Chi ha votato questi personaggi? E con quali attese? Nella maggior parte dei casi si è trattato di un voto finalizzato a massimizzare gli interessi personali e egoistici delle più svariate fasce di popolazione: i disoccupati e i poveri (veri e presunti) con il reddito di cittadinanza, il ceto medio con i bonus renziani, gli anziani con le pensioni da mille euro al mese, i ricchi con la tassa ‘piatta’. Per ogni voto dato in cambio della soddisfazione di interessi settoriali e particolaristici, la spesa pubblica è continuata a crescere e con essa il debito, mentre le risposte ai bisogni dei cittadini si sono rarefatte.

A essere complice e corresponsabile dello stato di corruzione e illegalità che erode risorse alla fiscalità generale e toglie la possibilità di investimenti per il futuro non sono solo trojke, politici populisti o oligarchie affamate di potere, ma anche la grande parte degli italiani. Certo tutti questi attori esistono e fanno il proprio mestiere. Ma chi rende più facile l’opera di distruzione di massa di una nazione?

Chi è da sempre disposto a votare per partiti che propongono misure irrealizzabili – oggi la flat tax e il reddito di cittadinanza e ieri pensioni, sconti fiscali e regalie di ogni genere. Chi di volta in volta sposta il voto per eleggere i politici che giustificano le iniquità, che non intervengono per frenare l’evasione, che gridano disonesti agli stessi rappresentanti che loro stesso hanno votato e mantenuto al potere per anni. Chi quotidianamente tollera, accetta e è partecipe delle piccole evasioni fiscali, degli scontrini dati in nero, degli sconti fatti per risparmiare sul costo degli acquisti.  Chi non esprime un minimo di coscienza critica di fronte a accadimenti che in una qualsiasi altra nazione europea non sarebbero mai tollerati. Chi accetta che a un politico qualunque sia permesso dichiarare che mai e poi mai il suo movimento stringerà alleanze con chi è imputato di avere portato la nazione alla rovina salvo ricredersi il giorno dopo e costruire un programma di governo palesemente xenofobo, classista e di impossibile realizzazione?

E allora non è forse che in tanti devono mettersi una mano sulla coscienza e ammettere che la colpa del disfacimento di una nazione non è solo dei politici incapaci e disonesti, non appartiene solo alle lobby internazionali che vogliono lucrare sulle disgrazie altrui. Ma che la responsabilità è anche dei molti, troppi che ai principi di cittadinanza e democrazia preferiscono la gratificazione del proprio interesse personale, della latitanza dal pensiero critico, del disimpegno sistematico e compiaciuto rispetto al bene comune?

Come scriveva tanti anni fa Pierpaolo Pasolini rispetto al destino dell’Italia: “La strada maestra fatta di qualunquismo e di alienante egoismo è già tracciata. Resterà forse come sempre è accaduto in passato: qualche sentiero”. ‘Chi lo percorrerà e come’ però è un interrogativo a cui oggi più che mai facciamo fatica a dare risposta.

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M5s. Franco (Corriere) a Di Battista: “Deriva estremistica nel movimento”. “Dosi le parole, definizione ingiusta”

“Partirò domani per la California con la mia famiglia e tornerò a fare il mio lavoro: fare reportage e inchieste giornalistiche, studiare idee innovative magari da portare qui in Italia. Io gli scatoloni li ho fatti sul serio, non come Franceschini“. Sono le parole dell’ex parlamentare del M5s, Alessandro Di Battista, ospite di Otto e Mezzo, su La7. L’ex deputato annuncia un suo rientro dagli Usa in Italia in caso di elezioni anticipate per ricandidarsi alla Camera e sottolinea: “Di Maio è il nostro capo politico e mi auguro possa essere lui il candidato premier del M5s alle prossime elezioni. La forza del movimento verte sul legame indissolubile tra me e Luigi, lo stimo moltissimo. Si è comportato in maniera egregia. Se avesse stretto le mani di Berlusconi o lo avesse solo ricevuto, oggi Di Maio sarebbe presidente del Consiglio. E” – continua – “se si fosse piegato a un veto, che ritengo inaccettabile, da parte del presidente della Repubblica, in questo momento starebbe al Quirinale a giurare come ministro dello Sviluppo Economico. Luigi Di Maio ha sempre messo davanti ai suoi interessi personali quelli del Paese. E questo lo fa davvero un leader pieno di dignità”. Di Battista ha un battibecco serrato con Massimo Franco, giornalista del Corriere, che osserva: “Per la deriva estremistica che sta prendendo il M5s, credo che si chiuda la fase di Di Maio come leader di un movimento che vuole andare al governo e che fa di tutto per presentarsi come movimento rassicurante. Penso che Di Battista sia il candidato più forte per prendere il posto di Di Maio”. Di Battista dissente: “A lei che sta sempre attento alle parole, con molta tranquillità consiglio di dosarle, perché è ingiusto definire ‘estremistica’ una forza politica che ha preso il 32% dei voti degli italiani”. Franco ribatte: “Io invece vi consiglio di essere un po’ meno estremisti nell’attaccare un capo dello Stato che vi ha dato 80 giorni per trovare una soluzione, senza che l’abbiate trovata”. “Di estremisti ci sono colui o coloro che non rispettano la volontà popolare” – replica Di Battista – “che hanno imposto delle leggi incostituzionali in Parlamento, che hanno distrutto lo stato sociale provocando povertà e suicidi per ragioni economiche. Per questo è estremo. In questo Paese, se non alzi un po’ la voce, nessuno ti ascolta. Se inizi a dire cose forti ma con il totale garbo che sto usando ora, vieni considerato estremista. Mi dispiace, Massimo, ma questa definizione la rigetto al mittente”. “Non andiamo avanti per slogan”, ammonisce la conduttrice Lilli Gruber. E l’ex deputato pentastellato insorge: “Ho espresso un parere. È la mia opinione, giusta o sbagliata, ma rispettabile. E non è uno slogan”

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lunedì 28 maggio 2018

Sondaggi, la Lega si mangia la destra: +3% in 7 giorni, è al 27,5 e contende il primato al M5s (che scende sotto il 30)

Se dal caos istituzionale del governo M5s-Lega saltato all’ultimo minuto esce un vincitore, quello è certamente Matteo Salvini. Almeno secondo i sondaggi: secondo i dati di Swg per il TgLa7 la Lega non solo aumenta di altri 3 punti in una settimana (un’enormità per un periodo di tempo così breve), ma ora è arrivato a contendere allo stesso Movimento Cinque Stelle il primato tra le forze politiche. I Cinquestelle, infatti, registrano la tendenza inversa, con un calo molto brusco nella stessa settimana decisiva per la formazione del governo misurata da Swg in 1,6 per cento. Così ora il M5s è al 29,5 e torna dopo parecchio tempo sotto la soglia del 30 per cento, mentre il Carroccio è al 27,5.

Un secondo elemento evidente è che la Lega pesca la gran parte dei suoi voti all’interno del centrodestra, segno che la visibilità di Salvini, il suo dinamismo per tentare di fare un governo e il pragmatismo anche a scapito degli alleati viene premiato dall’elettorato della coalizione. Ne viene che Forza Italia è all’8 per cento con un ulteriore tracollo dell’1,7 in una settimana. Ma dopo molto tempo di stabilità perdono quota anche i Fratelli d’Italia che dal 4,7 passano al 3,8 con una flessione di quasi un punto. Tra gli altri partiti si segnala Liberi e Uguali, in lievissima tendenza positiva, ma comunque sotto la quota del 3 per cento, necessaria come noto per essere rappresentati in Parlamento.

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