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giovedì 31 gennaio 2019

Ddl Pillon, Spadafora (M5s): “Non sarà mai approvato. Sui diritti posizione di alcuni esponenti governo non aiuta”

Il ddl Pillon sull’affido condiviso, così come è stato formulato, non sarà mai approvato. Questa è una certezza. E a riguardo non solo ho preso posizione io, ma tutto il M5s“. Lo assicura Vincenzo Spadafora (M5s), il sottosegretario con delega alle Pari Opportunità e Giovani, nel corso di una conferenza per i 30 anni del Telefono Rosa alla Sala Stampa Estera di Roma.
Il convegno, moderato dalla giornalista Fiorenza Sarzanini, vede protagonista anche la senatrice del Pd, Monica Cirinnà, che esprime sintonia con i programmi e gli intenti del sottosegretario M5s. Ma osserva: “Io sono un po’ stanca, e so che anche lei è dalla mia parte, di sentire che torna il gender nelle scuole. Ma che vuol dire? Torni l’Italia migliore a tenersi per mano sui diritti, senza giacchette di appartenenza”.

Spadafora, nel corso del suo intervento, fa un’autocritica su certo linguaggio adottato da alcuni rappresentanti del governo gialloverde: “Sono linguaggi e modi di rapportarsi a questi e altri temi che sicuramente non aiutano il processo culturale. Credo, comunque, che ci siano tantissime persone, sia nella maggioranza, sia nell’opposizione, che vogliono portare avanti questa battaglia sui diritti. Mi rendo conto di essere in un governo in cui ci sono posizioni molto spesso diverse sul tema dei diritti, ma io sicuramente la mia parte l’ho fatta pubblicamente sempre, senza mai arretrare a beneficio della mia poltrona. Ho cercato sempre di essere coerente innanzitutto con me stesso, quindi vi assicuro che, finché io manterrò queste deleghe, su questi temi, sia a livello culturale, sia a livello di risorse economiche, passi indietro non ce ne saranno, ma insieme possiamo fare importanti passi avanti”.

Riguardo al ddl Pillon, Spadafora aggiunge: “Adesso sono in corso decine, anzi credo centinaia, di audizioni in Commissione, credo che termineranno tra qualche mese. Dopo si potrà lavorare sicuramente a una ridefinizione, ma ribadisco che la proposta, così come è stata formulata, non diventerà mai legge”.

Cirinnà replica: “Io sono in commissione Giustizia e ci troviamo in una condizione un po’ pericolosa. E lo dico, sottosegretario, perché ritengo che un pezzo di governo amico ci potrebbe aiutare. E’ vero che ci sono le audizioni ma non sono più centinaia. E’ vero che una parte del M5s ha dichiarato che non voterà quel disegno di legge ma il senatore Pillon, che io ritengo pericoloso per il mondo femminile, oggi sarà in una sala del Consiglio comunale di Roma a illustrare la meraviglia del suo testo” – continua – “Si tratta della stessa sala dove governate e dove abbiamo una sindaca che in qualche modo potrebbe dire la sua su questo. Io sono preoccupata perché ho letto che nel contratto di governo la mediazione familiare è uno dei punti. E il pericoloso senatore Pillon fa anche il mediatore. Se il governo con coraggio, che lei ha e glielo riconosco, dice che la mediazione non entrerà mai e poi mai in situazioni di violenza e che l’alienazione parentale in questo Paese non esiste, allora un po’ il volontariato e il mondo delle donne si tranquillizzano. Il ritorno al Medioevo col matrimonio indissolubile, che è nel ddl Pillon, non ci può stare”.

Spadafora risponde: “Applaudo anche io quello che dice Monica. Ma che Pillon non possa fare un convegno per parlare della sua proposta mi pare troppo, è nel suo diritto. Quello che dico, e non da opposizione ma da governo, è che quella proposta non verrà approvata mai”.

(Video tratto da Radio Radicale)

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Roma, il piano rifiuti della Regione Lazio: “Una nuova discarica nella Capitale”. Raggi: “No. Puntiamo sul riciclo”

Una discarica all’interno del territorio del comune di Roma. E un tmb “di ultima generazione” a Colleferro, da 500mila tonnellate annue, dove conferire l’indifferenziato oggi lavorato dai quattro impianti (tre, escludendo quello ormai distrutto del Salario) presenti nella Capitale. Arriva dalla Regione Lazio lo “strumento legislativo” tanto reclamato da Virginia Raggi nel corso degli ultimi due anni e mezzo. O meglio, per il momento il testo è stato partorito dalla Giunta regionale, ma per diventare legge dovrà passare prima dalle commissioni e poi dall’approvazione del Consiglio. Con il “sub-ambito” di Roma, la Città Eterna dovrà essere in grado, per legge, di concludere autonomamente nel suo territorio il ciclo dei rifiuti. Un assist non indifferente ai comitati che nel corso delle ultime settimane si erano formati diffusamente in vari territori dell’hinterland.

DISCARICA SI O NO? – L’esecutivo locale guidato da Nicola Zingaretti consegna così nelle mani della prima cittadina la possibilità di sopperire all’emergenza rifiuti con la realizzazione di una discarica, ovviamente nelle (numerose) aree bianche già indicate dalla Città Metropolitana. “Secondo noi Roma ha bisogno di una discarica di servizio – ha detto il governatore – Siamo pronti a ricrederci se non fosse così, anche se io non lo credo. Bisogna, con grande responsabilità, individuare un sito”. Un’opzione che Raggi ha ribadito più volte di non voler prendere in considerazione. “Puntiamo sul riciclo e sull’economia circolare”, ha spiegato, ancora una volta, la sindaca, commentando l’ordine del giorno approvato all’unanimità in Città Metropolitana – a propulsione pentastellata e governata dalla stessa Raggi – che impegna a non realizzare discariche nel territorio della provincia. E infatti in Campidoglio la discussione sul piano regionale è stata animata da urla e scontri verbali tra M5s e Pd. “La Regione ha presentato le linee per il piano rifiuti dove prevede una nuova Malagrotta a Roma. Noi non la faremo realizzare né a Roma né in Provincia, non si farà mai”, ha attaccato il consigliere Cinquestelle Pietro Calabrese.  “Fuori, buffone”, la replica dai banchi del Pd. Al momento fra le aree bianche ci sono numerose località formalmente appartenenti al Comune di Roma, ma confinanti con aree sensibili come Cerveteri, Fiumicino, Guidonia e Riano. Proprio nei pressi del comune sulla via Tiberina c’è una cava di proprietà del Gruppo Maio il cui iter per diventare in discarica è  in corso di autorizzazione presso gli uffici regionali.

LA SCOMMESSA DEL “VETRIFICATORE” – Se non in una discarica, allora dove si concluderà il ciclo dei rifiuti di Roma? Per il momento continueranno ad andare fuori dalla Regione, confidando nel nuovo piano industriale di Ama – la società capitolina dei rifiuti – che, nelle intenzioni, dovrebbe portare la raccolta differenziata a quota 75% nel 2023 (70% nel 2021). Un piano del quale per il momento ci sono solo delle linee guida e una nota stampa che accenna a “un impianto per la vetrificazione degli scarti di trattamento”. Ilfattoquotidiano.it ha contattato il Gruppo Sofinter, detentore del brevetto (italiano) Isotherm Pwr, che ci ha confermato come da mesi vadano avanti le interlocuzioni con Ama e con il Ministero dell’Ambiente per la realizzazione di un secondo impianto a Roma, il primo vero e proprio, dopo il prototipo realizzato in Puglia. La tecnologia “flameless oxycombution” – senza fiamma – utilizza aria arricchita di ossigeno in un reattore ad alta temperatura e a pressione elevata, e può gestire un’elevata quantità di conferimenti, più dei termovalorizzatori tradizionali. “Per realizzarlo materialmente, superate le tappe burocratiche, servono dai 18 ai 30 mesi a seconda delle dimensioni”, spiegano dalla Sofinter. Essendo una tecnologia brevettata, non ci sarebbe bisogno di bando pubblico, ma di concreto – finanziamenti, aree idonee, volumi, ecc – per ora c’è ben poco.

IL SUPER-TMB E LE FABBRICHE DI MATERIALI – Il problema però sta alla base. Come ci arriva Roma al 75% di differenziata? La Regione Lazio ha annunciato che entro il 2021 realizzerà a Colleferro – dove sorgeva l’inceneritore – un “impianto di riuso e riciclo tra i più moderni in Italia”. A quanto si apprende, si tratterebbe di un tmb di ultima generazione da 500.000 tonnellate l’anno (1.300 circa al giorno) che dovrebbe andare a sostituire le oltre 700.000 totali conferite nei 2 tmb Ama di Salario – fino all’incendio – e Rocca Cencia e nei 2 di Malagrotta di proprietà del Colari di Manlio Cerroni. Secondo quanto comunicato da Ama, di qui al 2022 verranno realizzati 13 impianti: 3 per il trattamento degli scarti organici, 3 per il plastica e metalli, 2 fabbriche dei materiali “in sostituzione dei Tmb”, 4 per materiali specifici (Raee, terre di spazzamento, materassi, pannolini) e 1 per la vetrificazione degli scarti di trattamento. Ma anche in questo caso non è ancora chiaro dove, come, con quali soldi verranno costruiti.

LA PUGLIA SI RIBELLA – Il tema non è di poco conto. Perché oltre alle crisi di nervi dei cittadini romani rispetto alle difficoltà con cui avviene la raccolta nelle strade, c’è da avere a che fare con l’insofferenza delle altre regioni, che non vogliono più aiutare Roma e alzano il prezzo. È il caso della Puglia. L’ente guidato da Michele Emiliano nelle scorse settimane ha approvato – anche con il voto del M5s locale – una legge regionale che determina un +20% sulla tariffa di conferimento nei propri impianti per i rifiuti che arrivino da fuori i confini regionali. Una sorta di sovranismo dell’immondizia che ha messo in allarme il Ministero dell’Ambiente. Così nei giorni scorsi il ministro Sergio Costa ha impugnato presso la corte Costituzionale il provvedimento. “La Puglia non è la discarica di Roma”, ha detto, indignato, l’assessore pugliese Gianni Stea, aggiungendo: “Non è una tassa, ma un equo compenso”.

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M5S, Di Maio elenca le promesse mantenute: “Il Tap e le altre misure disattese? Non ci saranno ricadute alle elezioni”

“Promesse elettorali M5S mantenute e non avrei mai immaginato di riuscire a portare casa in sette mesi di governo le misure principali del contratto di governo”. Così Luigi Di Maio esordisce nella conferenza stampa ‘quello che diciamo facciamo’ alla Camera dei Deputati. Eppure alcuni annunci sono stati disattesi: lo stop al Tap, il no al Muos, lo stop all’acquisto degli F35, il ‘mai più condoni‘, il No al ‘Terzo valico‘, e l’annuncio fatto al termine della campagna elettorale delle misure del primo decreto legge, da approvare nel primo consiglio dei ministri, contenente l’abolizione dei vitalizi (misura già realizzata) ed il taglio di 30 miliardi di sprechi e il taglio degli stipendi dei parlamentari.

Su questo il Vicepresidente del Consiglio e ministro del lavoro e dello Sviluppo Economico risponde: “Quel taglio sarà oggetto del team ‘mani di forbice’ che si metterà al lavoro nel 2019. Il taglio degli stipendi contiamo di portarlo a casa entro l’estate e a cavallo tra agosto e settembre porteremo a casa anche il taglio di 345 parlamentari e – aggiunge – sugli F35 non c’è ancora nulla di deciso e per il M5S resta una spesa inutile”. Per il leader M5S le misure annunciate e disattese non avranno ripercussioni nelle prossime tornate elettorali e sulle prossime elezioni europee sottolinea: “Saranno un referendum sull’austerity. I cittadini europei dovranno decidere tra continuare a tagliare dal welfare e dai diritti per finanziare un debito che continua a crescere o cominciare ad aiutare le persone che ne hanno bisogno, proprio per far crescere l’economia e abbassare il debito? Io credo che questo referendum si celebrerà con un esito positivo per chi si schiererà contro l’austerity”.

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Le Grandi opere non danno i risultati sperati. Ma se ne è accorto solo il M5s

L’Italia ha speso per le opere pubbliche come e più degli altri Paesi europei (Francia e Germania) nel periodo 2000-2010 (Banca d’Italia) ma non se ne vedono grandi risultati. Politica instabile, legge Severino, carenze di analisi, burocrazia e codice degli appalti, hanno reso la situazione a dir poco problematica. Basti pensare ai costi finali di alcune opere, che t riplicano rispetto alle previsioni e ad analisi dell’utilità (di trasporto in particolare) sovradimensionate per giustificare opere e appetiti. Questo sistema inefficiente c’era nei decenni passati e c’è adesso: di nuovo, solo per una parte di questo Governo, c’è la necessità di fare delle valutazioni più approfondite sui conti, sui meccanismi di finanziamento pubblico (perché i project financing sono falliti solo in Italia?) deresponsabilizzanti e tutti a fondo perduto. Eppure, per misurare se un’opera serve o meno si può verificare anche dal grado di coinvolgimento del mercato.

Dieci anni fa l’ex Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, che non è un ambientalista e neppure un radical chic, disse che “la riduzione della spesa per le opere pubbliche impone una valutazione dei costi e dei benefici di progetti alternativi”. L’affidamento dei lavori pubblici in Italia richiederebbe un’analisi dei suoi meccanismi che spieghi gli errori fin qui fatti, anche a causa di modelli di programmazione che sembravano più liste della spesa che progetti di sviluppo delle reti e dei punti di rete, come porti, aeroporti e centri intermodali. Con i vecchi meccanismi, che hanno rallentato la spesa e spolpato le casse pubbliche, viene difficile pensare che ci sarà una crescita sana. Raffaele Cantone presidente dell’Anac aveva sottolineato: “In Italia c’è un problema di infrastrutturazione e una delle ragioni per cui le infrastrutture non riescono ad andare avanti è proprio nella presenza della corruzione soprattutto al Meridione. Sono soprattutto i fatti corruttivi a rendere lunghissimo e complicato l’avvio dei lavori pubblici”.

Quando gli imprenditori chiedono il rilancio degli investimenti, purtroppo, pensano ancora a quelle vecchie logiche dove ce n’è per tutti e dove la lievitazione dei costi diventa la prassi prevalente. In pratica lo sblocco delle opere, chiesto a viva voce anche da Lega e Pd, era già presente prima della formazione di questo Governo. Con un problema in più: gli investimenti oggi non devono creare solo spesa ma anche ricchezza, che deriva dallo sfruttamento efficace di quanto si costruisce. Con una crescita prevista inferiore alla spesa, qualcuno dovrebbe suggerire ai 5 stelle – a torto ritenuti i colpevoli del blocco – quale tipo di spesa aumenta la ricchezza e quali sono i moltiplicatori di sviluppo, magari con qualche attenzione alla sostenibilità.

Un esempio su tutti da portare sui libri di scuola: il più grande investimento aeronautico del secolo scorso, Malpensa 2000. Costato 1,5 miliardi di euro, lo scalo della brughiera è dotato di due piste e due terminal, ma 20 anni dalla sua apertura trasporta solo 24,7 milioni di passeggeri, meno della metà della sua capacità operativa. Stansted, con una sola pista e un solo terminal, muove 24 milioni di passeggeri. Le previsioni dell’Università di Cranfield erano di 33 milioni di passeggeri al 2003 (in realtà sono stati 17,6 nello stesso anno) mentre già nel 2005 si dovevano trasportare 1 milione di tonnellate merci (12 anni dopo, nel 2017, erano fermi alla metà). I posti di lavoro avrebbero dovuto raggiungere i 140mila addetti nel 2005, ma ora si toccano a malapena 60mila unità e la qualità dell’occupazione è sempre più scadente, per salario e normative precarie. Per non parlare di cosa costa continuare una politica di investimenti a pioggia su 34 scali nazionali. Risultato: maggior numero di aeroporti con il traffico medio per scalo più basso del vecchio continente. [Dati Onlit, Osservatorio nazionale liberalizzazioni infrastrutture e trasporti)].

Stessa cosa si può dire per i porti: il traffico container della sola Rotterdam raccoglie la somma di quello di tutti i porti italiani. Tra le opere “ferme per colpa dei 5 stelle” ci sarebbe la Pedemontana lombarda. Se le altre opere del lungo elenco sono ferme per i motivi detti sopra, quest’ultima spicca per un’altra causa, non attribuibile al Governo. La Pedemontana è ferma perché il mercato finanziario ha già bocciato il finanziamento dell’opera in più occasioni. Cosa potrà mai fare Danilo Toninelli per convincere le banche a prestare soldi per un’opera che non sarà mai in grado di restituirli? Una soluzione c’è: pagare il danaro a tassi d’interesse del 20% e scaricare i costi sui contribuenti e sui futuri pedaggi per gli automobilisti. Ma è possibile andare avanti così?

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Diciotti, Minniti: “Salvini? Ha usato ostaggi per trattativa con Ue. M5s? Forse salverà il governo ma perderà l’anima”

Duro attacco dell’ex ministro dell’Interno, Marco Minniti, contro il governo gialloverde sulla gestione delle vicende Diciotti e Sea Watch. Ospite di Omnibus (La7), Minniti accusa: “Il governo M5s-Lega ha tenuto viva una strategia della tensione comunicativa, cioè ci hanno spiegato che stava arrivando una nave con 47 migranti e che quella era una invasione. Non era né una emergenza, né una invasione, ma abbiamo trattato la questione con disumanità. L’atteggiamento sulla Diciotti è stato ingiustificato. Non c’era alcuna situazione drammatica che potesse portare a chiudere i porti. La Diciotti è una nave della Guardia Costiera, cioè di un corpo militare italiano” – continua – “e si sono utilizzati i migranti salvati da quella nave militare, che aveva fatto solo il suo dovere, per una trattativa con la Ue. Un grande Paese non utilizza ostaggi per fare trattative diplomatiche. E questo vale anche per la Sea Watch, sulla quale l’Italia ha avuto un atteggiamento veramente da Paese piccolissimo. Ma anche l’Europa si è comportata da continente piccino, perché di fronte a 47 migranti un Paese europeo si propone di risolvere il problema”.
E rincara: “Di fronte a queste situazioni, l’unica cosa che non deve fare l’Ue è comportarsi da pizzicagnolo delle vite umane, cioè dividere e distribuire tot migranti in diverse parti. Tutto questo è subalternità politica e culturale ai nazional-populisti. Salvini? Ha cambiato rapidamente rotta sulla richiesta di autorizzazione a procedere nei suoi confronti: dall’affronto a viso aperto all’appello “salvatemi”. Il punto drammatico è che un ministro dell’Interno, chiunque egli sia, non può mettersi contro il potere giudiziario. Il M5s? Hanno avuto un drastico appannamento della loro posizione politica. Su questa vicenda rischiano di perdere l’anima. Forse salveranno il governo, ma perderanno l’anima. E lo pagheranno in termini elettorali”.

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Berlusconi: “Grillini inadeguati e giustizialisti, mi ricordano Maduro. Pronti a governo con Lega e fuoriusciti M5s”

Dice che “con questi grillini, in molti mi rimpiangono, perché questi sono inadeguati“. Che la politica “giustizialista” dei 5 Stelle “è un grave pericolo per la libertà di tutti gli italiani” e che il “regime illiberale e pauperista di sinistra” di Maduro gli ricorda proprio loro. E che con Forza Italia “siamo pronti” a tornare alle urne, “ma molti affermano che nel Parlamento, dopo la caduta di questo governo, emergerà una maggioranza in grado di sostenere un governo del centro-destra senza passare da nuove elezioni. Mi risulta che molti parlamentari – anche fra i Cinque Stelle – si rendano conto che le politiche del governo ci stanno portando verso una nuova grave crisi e che sentano il dovere di fare qualcosa per cambiare questa situazione”. E chiude all’ipotesi di un governo Lega sostenuto da Forza Italia col Pd perché “soffre delle sue molte divisioni. Non vedo le condizioni con loro”.

Silvio Berlusconi parla così in un’intervista a Repubblica dove parla anche della politica di Salvini sui migranti. Il leader della Lega, ha detto, “fa bene a fermare un traffico vergognoso di esseri umani. Eviterei però – aggiunge – di creare casi umanitari con inutili sofferenze”. Sul caso Diciotti, il leader di Forza Italia non crede “che Salvini potrebbe restare al governo con chi non appoggiasse la sua azione, condivisa – almeno a parole – anche dal presidente del Consiglio e dai ministri grillini. Sono però curioso di vedere se i parlamentari Cinque Stelle saranno disposti a rinnegare quello che hanno sempre affermato sulla necessità di concedere sempre le autorizzazioni a procedere”. Quanto alla Sea Watch, “fa bene Salvini a fermare un traffico vergognoso di esseri umani. Eviterei però di creare casi umanitari con inutili sofferenze. Il nostro governo ottenne gli stessi risultati senza gesti così controversi”.

Berlusconi poi, a fronte della riforma della prescrizione voluta proprio dai 5 Stelle sottolinea l'”analfabetismo giuridico di questa maggioranza” perché “senza la prescrizione un cittadino può restare sotto processo a vita”. Commentando poi le dichiarazioni di Luigi Di Maio ritiene che “provocare gli italiani parlando di boom economico mentre il Paese sta affondando, è offensivo. Io vedo il rischio di una recessione”.

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mercoledì 30 gennaio 2019

Luttwak: “M5s? Minestrone immangiabile con legumi e topi. Gino Strada? Va in Afghanistan e in tv ma non in Calabria”

Ong? E’ gente che non vuole andare a lavorare e che pensa che sia noioso stare in un ufficio o in una banca. Poi queste persone entrano in una Ong e fanno quello che vogliono. Talvolta salvano qualcuno, altre volte no, altre volte ancora vanno a spasso o a mangiare pesce in trattoria“. Sono le parole del politologo americano Edward Luttwak, intervenuto a La Zanzara (Radio24), sul caso Sea Watch e sulla gestione dell’immigrazione.

Poi attacca il fondatore di Emergency, Gino Strada: “In Italia ci sono persone che sono in estrema povertà, in estremo disagio e in estremo pericolo, ma Strada non è mai andato da loro. E’ andato in Afghanistan. Se tu vai a Palmi o a Canicattì o a Voghera, la stampa non ti segue, devi andare in Afghanistan perché in Calabria non è chic. Fanno i protagonisti. Come mai non esiste un Gino Strada inglese o francese o americano? Perché in questi Paesi la terza volta che parli abbronzato in televisione sotto le luci ti dicono: ‘Vai a lavorare, guadagna e paga le tasse’. Lo puoi fare tre volte non di più”.

E rincara: “Gli intellettuali italiani sui migranti? Ci sono 15 milioni di persone solo in Africa occidentale e sono smaniose di arrivare qui. Se questi intellettuali vogliono fare qualcosa, facciano un partito per convincere i loro concittadini che l’Italia deve far parte dell’Africa. Oppure con l’Alitalia nazionalizzata organizzino un ponte aereo per portare qui milioni di persone”.

Scudisciata finale di Luttwak, da sempre ammiratore di Matteo Salvini, contro il M5s: “I 5 Stelle rappresentano tutto, da quelli che dicono che gli ebrei controllano le banche a quelli a favore di Trump. Contengono di tutto, è un minestrone immangiabile dove c’è qualsiasi cosa, roba verde, tutti i legumi e anche i topi. Il reddito di cittadinanza? Si applicherà a gente che sta a casa a mangiare il minestrone della mamma. Questo provvedimento è, quindi, disastroso, perché rende difficile il passaggio in cui uno lascia il minestrone della mamma e si avventura a cercarsi un lavoro. In più, i 5 Stelle sono a favore di Maduro, quindi dei dittatori”.

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Il reddito di cittadinanza non è fatto per prendere voti. Anzi, i 5 stelle ne perderanno

Durante l’ultima puntata di Porta a Porta il giornalista del Corriere della Sera Massimo Franco, rivolgendosi a Di Battista, ha accusato il M5s di aver messo in atto una manovra elettorale con il reddito di cittadinanza dato che lo si vuole “fare a tutti i costi alla vigilia delle Elezioni europee, come fece Renzi con gli 80 euro”. In realtà sul piano psicologico ci sono enormi differenze tra gli 80 euro di Renzi – che funzionarono alla grande in termini di voti – e il reddito di cittadinanza. Quest’ultimo infatti, al contrario di portare consensi, provocherà rancore in molti italiani che ne beneficeranno.

La psicologa Maria Rita Parsi, che ha partecipato anche agli eventi organizzati da CasaleggioIvrea, ha scritto un libro nel 2011 dal titolo Ingrati che parla della sindrome rancorosa del beneficato. Citerò la Parsi e riassumerò alcuni concetti utili, secondo me, a capirne il nesso con il reddito di cittadinanza. Vi invito comunque a leggere il suo libro perché è estremamente interessante ed è scritto in modo piacevole, senza troppi tecnicismi. 

Che cos’è la “sindrome rancorosa del beneficato”?

La Parsi spiega che si tratta di “rancore (il più delle volte covato inconsapevolmente) che coglie come una autentica malattia chi ha ricevuto un beneficio che non riesce ad accettare, visto che tale condizione lo pone in ‘debito di riconoscenza‘ nei confronti del suo benefattore. Ciò trasformerà questo beneficio in un peso dal quale liberarsi, trasformando il proprio benefattore in una persona da allontanare, da dimenticare se non, addirittura, da penalizzare e calunniare”. Secondo la mia opinione è questa la reazione che provocherà il reddito di cittadinanza in molti beneficiari. Il benefattore identificato nel M5s o in Luigi Di Maio sarà vittima del rancore di molti di coloro che riceveranno il Reddito.

La psicologa spiega: “Quando aiuti qualcuno nel bisogno lo metti in una condizione di dipendenza. Una sensazione sgradevole che produce un rifiuto per il benefattore, facendo prevalere il bisogno di dire: ‘io non devo niente a nessuno’”. Scatenare una reazione del genere da parte del M5s significa due cose: la prima, positiva, è che c’è da parte del Movimento la reale volontà di aiutare chi è povero, indipendentemente dal ritorno che questo gesto può portare. La seconda, negativa, è che alla lunga questo atto di umanità potrà minare i consensi.

Gli 80 euro di Renzi, a differenza del reddito di cittadinanza, non erano dati a persone che si trovavano in condizioni di bisogno. Renzi ha dato quei soldi alla classe media, a chi aveva già uno stipendio mensile intorno ai 1.500 euro. In questo modo non scattò il senso di dipendenza che provoca invidia, senso di inferiorità e disagio. Un disagio che porta al desiderio di voler cancellare, come detto, allontanare dalla propria vista il proprio benefattore, che ricorda ogni giorno, apparendo in tv, sui social e sui giornali, la fragilità del beneficato.

Qualcuno potrebbe obiettare: il reddito di cittadinanza non è un dono, si richiede un impegno costante da parte di chi lo richiede. Questo non allevia il rancore, lo accentua. La Parsi apre il suo libro con frasi celebri su questo meccanismo psicologico. Ne riporto una che si addice particolarmente al nostro caso: “Mettere in obbligo un ingrato è comprare odio” (Alexandre Dumas).

Gli obblighi saranno apprezzati da chi ha una cultura del lavoro e non vive in povertà, perché magari ha perso da poco il suo stipendio. Questi obblighi invece saranno sofferti da chi vive da tempo in condizioni di bisogno. Quest’ultima categoria, dopo anni di porte in faccia o di inattività, vedrà comunque nel reddito di cittadinanza una sorta di beneficenza: un’opportunità concessa non per merito, ma solo a causa della propria condizione di difficoltà economica.

Per questo sono convinto che la richiesta per il reddito di cittadinanza arriverà da meno persone di quelle che si credono comunemente. Avremo molti che coglieranno ogni minimo pretesto per uscire dal programma o attaccare il Governo: magari vorranno lavori diversi da quelli offerti, oppure si rifiuteranno di percorrere qualche chilometro per andare al lavoro.

Dunque era meglio non fare il reddito di cittadinanza? Un altro libro che vi consiglio al riguardo è di George Orwell, il suo primo lavoro, dal titolo Senza un soldo a Parigi e Londra. Orwell che conosceva la povertà spiega che avere un reddito ci rende persone migliori, perché ci fa pensare anche al futuro, smettendo di farci vivere alla giornata.

Nella situazione in cui si trova oggi il nostro Paese, fare un reddito di cittadinanza era doveroso. Le persone che ne beneficeranno, pur provando rancore, avranno di fatto una vita migliore. Questo è ciò che deve contare per un Governo che vuole mettere al primo posto il bene della popolazione anziché il consenso elettorale. Il fatto che il reddito di cittadinanza non sia una manovra elettorale dunque fa onore al M5s e questa è una misura che va difesa indipendentemente dalla reazione di chi lo riceverà.

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Diciotti, Fiano: “M5s si autodenuncia? Trucco per motivare sì contro Salvini. Di Battista? Prima manettaro, ora cambia”

Caso Diciotti? L’ipotesi che Conte, Di Maio e Toninelli si autodenuncino è un trucco, serve a motivare il fatto che voteranno a favore della richiesta a procedere del ministro Salvini“. Sono le parole del deputato Pd, Emanuele Fiano, intervistato nella trasmissione “L’Italia s’è desta”, su Radio Cusano Campus.
Non basta autodenunciarsi” – continua – “perché ci vogliono le prove che hanno condiviso una scelta. I magistrati si muovono sulla base di prove, cioè di telefonate e di ordini impartiti. I 5 Stelle fanno questa messinscena, ma non è sufficiente, perché la magistratura dovrebbe verificare che il presidente del Consiglio Conte e il ministro Toninelli abbiano dato l’ordine. E questo è molto difficile da appurare. La dichiarazione di corresponsabilità ha solo uno scopo politico, serve a tenere insieme il governo, a prescindere da come finirà il processo a Salvini. Il M5s, quindi, dice alla magistratura di aprire una inchiesta su tutto il governo, perché afferma di condividere politicamente la scelta di Salvini. Ma un conto è dirlo politicamente, un conto è dimostrarlo in un processo”.
Battuta finale sulle dichiarazioni rese dall’ex deputato M5s Alessandro Di Battista a “Porta a porta”: “Parla di processo ingiusto? Lui era il manettaro per eccellenza, ma ha cambiato idea. Adesso, siccome ci sono un alleato e un’attività di governo da continuare, il M5s prende la questione con le pinze”.

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Diciotti, De Falco: “M5s deve motivare retromarcia. Nota del governo in giunta? Non mi pare ci fu delibera dell’esecutivo”

“La situazione è cambiata, il governo si è assunto una responsabilità collegiale. Aspettiamo un documento di Conte, Di Maio e Toninelli” sul caso Diciotti. Ad annunciarlo il senatore M5s Mario Michele Giarrusso, entrando in Giunta per le elezioni e le immunità del Senato che deve decidere sull’autorizzazione a procedere richiesta per il ministro dell’Interno e vicepremier Matteo Salvini. Con la posizione del M5s ancora in bilico, dopo la retromarcia di Salvini sulla volontà di farsi processare, Giarrusso non chiarisce però se il documento in arrivo sarà la carta per cambiare orientamento e respingere la richiesta. “Dobbiamo valutare, tutto è ancora all’inizio”, ha spiegato pure il collega pentastellato Francesco Urraro.

Mentre Gregorio De Falco, espulso nelle scorse settimane dal M5s, dice: “I Cinquestelle dovranno chiarire l’inversione di rotta”. De Falco non sembra per nulla convinto della memoria del governo. “Non mi pare che ci sia stata nessuna delibera dell’esecutivo sulla questione della nave Diciotti”, dice il senatore.

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martedì 29 gennaio 2019

Diciotti, vertice Conte-Salvini-Di Maio. M5s: “Il ministro a giudizio? Non abbiamo deciso”. Lega: “È processare governo”

Lunga serata per i due vicepremier e leader di Lega e M5S, Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Il ministro dell’Interno ha riunito i parlamentari del Carroccio a Palazzo Madama, mentre Luigi Di Maio era a colloquio con i senatori pentastellati, componenti della Giunta per le immunitàparlamentari del Senato organo che dovrà pronunciarsi proprio sull’operato di Salvini per quanto riguarda i 177 migranti a bordo della nave Diciotti ormeggiata per cinque giorni nel porto di Catania, vietando alla nave l’attracco nel porto. Al termine della riunione guidata da Salvini, durata poco meno di un’ora, il capogruppo dei senatori leghisti, Massimiliano Romeo afferma: “La nostra posizione è chiara: processare Matteo Salvini per l’esercizio delle sue funzioni di Ministro che ha rispettato il contratto di governo e soprattutto agendo nell’interesse dei cittadini italiani, significa processare tutto il governo e mi sembra anche che le dichiarazioni del Presidente del Consiglio hanno ribadito che quell’azione era stata voluta da tutto il governo. Ora – aggiunge Romeo, rivolgendosi al M5S – il messaggio è chiaro e chi ha orecchie per intendere, intenda”. Conseguenze sul governo se M5S manderà Salvini a processo? “Più chiaro di così…” si congeda Romeo. Più lunga la riunione del M5S, terminata poco prima della mezzanotte. Al termine bocche cucite da parte dei componenti 5 Stelle della Giunta per le immunità del Senato, solo il capogruppo dei senatori M5S, Stefano Patuanelli si lascia sfuggire un “non abbiamo ancora deciso”, mentre Luigi Di Maio dribbla le domande: “Abbiamo mangiato benissimo, adesso andiamo a prendere un caffè da Conte”. Non aggiunge altro Di Maio mentre raggiunge palazzo Chigi, come fa anche Salvini per un vertice iniziato quindi minuti dopo la mezzanotte e terminato all’una e trenta. I due vicepremier hanno lasciato il palazzo del governo in auto evitando i cronisti.

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Sea Watch, Travaglio: “Decisione fu presa da tutto il governo, non solo da Salvini. M5s dovrebbe autodenunciarsi”

Il direttore de Il Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, nel corso della trasmissione Otto e Mezzo (La7), commenta il dietrofront del ministro dell’Interno, Matteo Salvini, in merito alla richiesta di autorizzazione a procedere nei suoi confronti sul caso Diciotti.
“Evidentemente Salvini o si è spaventato – osserva Travaglio – oppure ha deciso di farci sapere una volta di più chi comanda in Italia, e quindi di mettere sotto i suoi alleati.

Io credo che i 5 Stelle farebbero molto bene a mantenere la loro posizione. Questo però non significa prendere le distanze da Salvini, perché la decisione sulla nave Diciotti, in attesa che tutti i Paesi Europei si suddividessero l’accoglienza di quei 177 migranti, non è stata presa da Salvini da solo, ma l’ha presa tutto il governo. Esattamente come è stata presa da tutto l’esecutivo la decisione di far sbarcare i migranti dopo 5 giorni”.
Travaglio aggiunge: “I 5 Stelle potrebbero benissimo autodenunciarsi e proporre ai giudici di processare anche loro, se i magistrati ravviseranno loro responsabilità per un atto collegiale, ma dopo avere detto che devono essere i giudici a stabilire se quello relativo alla nave Diciotti è un delitto o una legittima scelta politica”.

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Diciotti, Di Battista: “Non si processi Salvini da solo. Conte scriva a giudici e dica fu atto condiviso. M5s voterà sì”

“Considero che non sia giusto processare esclusivamente Salvini per il caso Diciotti”. Alessandro Di Battista, intervistato da Bruno Vespa nel salotto di “Porta a porta“, ha parlato della linea che i 5 stelle intendono adottare in Giunta per le immunità quando si dovrà decidere sull’autorizzazione a procedere contro Salvini. “Ritengo che il presidente Conte debba fare un atto formale, scrivere una documentazione nei confronti del Tribunale dei ministri e della giunta” per le autorizzazioni “che attesti il fatto che quella decisione” è stata “un atto di governo condiviso”. Il premier gli ha risposto a distanza poco dopo: “Mi assumo la responsabilità politica del caso Diciotti”, ha detto intervenendo da Malta.

Quindi l’ex deputato ha sposato la linea dell’autodenuncia, già evocata nelle scorse ore dal viceministro Lorenzo Fioramonti. Ma non solo. Per Di Battista, questo non esclude il fatto che i 5 stelle voteranno a favore dell’autorizzazione a procedere: “Credo proprio che voteremo sì: poi cercheremo una soluzione tutti assieme. Mancano due settimane, si mettano intorno a un tavolo Salvini, Di Maio, Conte e Toninelli per trovare una soluzione che rafforzi il governo”. E ha chiuso: “Può cambiare tutto in 24 ore, così come è cambiata la versione di Salvini… Gli consiglio di rinunciare a immunità, allo stesso tempo credo che Conte debba assumersi anche formalmente questa responsabilità”. Quindi Di Battista ha aggiunto: “E’ molto complicato per il M5s votare contro una autorizzazione a procedere. Questa è la nostra storia” ma “quella decisione è stata presa” da Salvini “con il premier Giuseppe Conte e i ministri Di Maio e Toninelli”.

Vespa ha poi chiesto a Di Battista cosa pensa del ministro dell’Interno, anche alla luce dei loro numerosi scontri a distanza: “Non è vero che Salvini non mi piace, lo conosco, l’ho incontrato due volte. È evidente che col 32% non si poteva andare all’opposizione, bisognava trovare un compromesso. Qualunque cosa faccia Salvini sembra la notizia principale, il sistema mediatico l’ha un po’ scelto: un giorno gli danno del razzista, un giorno dello statista. Ho sempre detto che sosterrò questo governo”.

Di Battista ha anche parlato del nodo Tav che da settimane vede scontrarsi i soci di governo. “Non vi nego”, ha detto, “che quando sono tornato, non dico che ho posto condizioni, ma ho detto che la questione no Tav per me era prioritaria. Ho detto: ‘Mi impegno questi quattro mesi ma mi voglio impegnare sul ritiro in Afghanistan. Chiedo che ci sia il no Tav prima possibile”. Proprio il tema Afghanistan nelle scorse ore è stato ulteriore motivo di scontro dentro l’esecutivo dopo che il ministro degli Esteri Moavero ha accusato di aver scoperto del ritiro dalle agenzie di stampa: “Dico al ministro degli Esteri che la posizione del M5s sull’Afghanistan l’ha sempre saputa”, è stato il commento di Di Battista.

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Diciotti, con Salvini il M5s rischia di comportarsi come Berlusconi

Qualche giorno fa, dopo la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini rivolta al Senato dal Tribunale dei ministri (con l’accusa di sequestro di persona), il vicepremier più sborone della galassia aveva gonfiato il petto villoso, proclamando: “Sono qui! Processatemi!!!”. Invece, niente: ora non vuole più essere giudicato. Al centro, c’è la vicenda della nave della Guardia costiera italiana Diciotti, bloccata per dieci giorni da Salvini e dal suo governo con oltre cento migranti di ogni età a bordo: i militari si erano permessi di salvarli dopo alcuni naufragi. Il capo della Lega nazionapopulista in una lettera inviata al Corriere scrive, in sintesi: “Il processo non va fatto, ho agito nell’interesse pubblico e nel pieno rispetto del mio mandato”. Come dire: se decido di sdoganare le rapine in banca, non sono incriminabile, dato che la linea del governo prevale sul mandato della magistratura, con tanti saluti allo Stato di diritto. Poi chiede agli alleati grillini, quelli che hanno fatto del giustizialismo una formula magica e processerebbero chiunque (esclusi i loro capi e i parenti stretti), di non far passare la richiesta al Senato.

Ovviamente di primo acchito i leader pentastellati avevano detto che avrebbero votato per l’autorizzazione a procedere; però, dopo la richiesta di Salvini, hanno fatto scendere in campo un tipo lucido e autorevole come il ministro Danilo Toninelli: ha appena garantito che vuole farsi processare con Salvini, perché quest’ultimo ha deciso in accordo con tutto il governo (nel caso qualcuno avesse ancora dubbi sul fatto che i grillini sono della stessa pasta dei leghisti). Traduzione: siccome siamo tutti colpevoli come lui, che è innocente, siamo innocenti anche noi. Un buon viatico per poter eventualmente annunciare che daranno retta di nuovo al vecchio alleato di Silvio Berlusconi, campione mondiale negli attacchi alla magistratura.

Anche il deputato pentastellato Emilio Carelli ha fatto capire che, per interessi superiori, bisognerebbe salvare il soldato Salvini: “Quella della Diciotti è stata una decisione collegiale che ha investito tutto il Governo. Credo che Conte e Di Maio dovrebbero autodenunciarsi, Dobbiamo riflettere bene se votare sì o no all’autorizzazione per Salvini”. Peccato per loro che la responsabilità penale sia personale e che sia stato il ministro dell’Interno a dare le disposizioni incriminate. Resta il fatto che il M5s sta probabilmente per comportarsi come un Berlusconi qualsiasi (infatti Forza Italia e Fratelli d’Italia hanno già detto che non voteranno a favore dell’autorizzazione a procedere nei confronti di quello che considerano ancora il loro alleato, in attesa che si liberi dei grillini).

Nel frattempo, il M5s ha ingoiato un altro rospo giudiziario: il solito Salvini ha salvato Umberto Bossi dalle accuse legate alla sparizione di 49 milioni di fondi pubblici, evitando di presentare come Lega una querela di parte. Insomma, una bella lezione pentaleghista di incoerenza e, contemporaneamente, di fedeltà a vecchi metodi usati per sfuggire al giudizio; metodi riabilitati perché il sedicente “governo del cambiamento” può permettersi di non cambiare una cippa e di fare peggio dei predecessori pure sul fronte dell’impunità. Tanto – penseranno – chi li vota abbocca sempre. Insomma, contano molto sul potere inossidabile della propaganda che – per lo più a colpi di notizie false o gonfiate – finora ha garantito loro quel tocco di fascino in più.

Però, facciano attenzione gli ex giustizieri. Il vento del consenso può cambiare di colpo, come ci insegna la storia recente. Finora la propaganda è servita per indicare un nemico artificiale – i migranti, seguiti a ruota dai cattivissimi “buonisti” – contro il quale attizzare la rabbia popolare, allo scopo di distogliere dai problemi reali. Manco questa è una novità. È una delle pratiche propagandistiche più gettonate dai regimi totalitari (fascisti, nazisti e comunisti) e dai regimi populisti pseudo democratici del XXI secolo (il putinismo russo, caro a neoleghisti e pentastellati, ne è ormai un esempio da manuale). Per esempio, dalle nostre parti la propaganda fascista fece un “buon lavoro” a suo tempo, innestando l’antisemitismo sul razzismo, già instillato fin dall’inizio dell’avventura coloniale italiana.

Anche oggi tanti cittadini – incoraggiati dalla propaganda – si stanno sentendo liberi di cercare facili “nemici” e di esprimere il proprio odio pubblicamente contro i “diversi”. Perdendo intanto di vista l’incapacità dimostrata dai pentaleghisti nel rispondere alle promesse fatte in campagna elettorale. Proprio quell’incapacità che i governanti vogliono nascondere. In fondo, l’odio instillato giorno per giorno non pesa sul bilancio dello Stato. Che cosa potrebbe esserci di meglio per nascondere i fallimenti? Se i migranti non ci fossero, Salvini e Di Maio avrebbero una potente arma di distrazione di massa in meno. Tuttavia forse il “caso Diciotti” e l’analogo “caso Sea Watch” stanno loro sfuggendo di mano anche sul fronte propagandistico. Ovviamente, sempre a spesse dei poveracci abbandonati in mare. Ma che cosa importa: sono il mitico “governo del cambiamento”, mica pizza e fichi.

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CasaPound, in Campidoglio M5s e Pd approvano la mozione dem per lo sgombero della sede

Una mozione che impegna la sindaca ad “attivarsi presso gli Organi competenti affinché sia predisposto lo sgombero immediato dello stabile sito in Via Napoleone 111 illegalmente occupato dall’associazione CasaPound“. L’ha proposta il consigliere dem Giovanni Zannola ed è stata approvata a maggioranza in Campidoglio: a votare a favore Pd e Movimento 5 Stelle. Trenta sì contro 4 no, tutti di consiglieri di destra. “In questi mesi si è usato sul tema degli sgomberi il pugno duro – ha detto in Aula Zannola presentando la mozione – noi chiediamo alla Giunta di fare altrettanto con un edificio di pregio al centro di Roma occupato ormai dal 2003, dove non si sa bene cosa accade dentro se non che si costruisce un odio profondo, e messaggi negativi in città. Le violenze fuori dalle scuole di cui l’associazione Casapound si è dimostrata rea ne sono l’esempio”.

Zannola, poi, aggiunge: “Sappiamo che l’edificio non è proprietà del Comune, noi pensiamo che una permuta con l’ente di proprietà potrebbe permettere al Campidoglio di acquisirlo al suo patrimonio. Una volta fatto questo il Comune potrebbe dare l’esempio, cacciando chi utilizza un bene pubblico di pregio per fomentare l’odio e restituirlo alla città confrontandosi con la cittadinanza facendolo magari diventare un punto d’incontro per la città. Bisogna avere il coraggio di essere forti con i forti e non solo forti con i deboli. E l’occasione per l’amministrazione di ribadire che questa amministrazione assume la legalità come principio cardine non solo nel disagio delle periferie, ma anche al centro di Roma di fronte a un movimento fascista che genera solo odio”. Voto favorevole anche da parte del Movimento Cinque Stelle. ”Voteremo sì – aveva detto in aula il consigliere Francesco Ardu – non perché ci mettiamo dentro la diatriba tra rossi e neri ma perché coerente con le nostre linee politiche ma difficilmente questo indirizzo politico sarà attuabile perché ci sono delle inesattezze”.

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Diciotti, così la diabolica strategia di Salvini ha smascherato i cinque stelle

Esisteva una volta il Movimento 5 Stelle. Ormai non rimane più nulla del vecchio grillismo.

Di Maio e compagnia pur di rimanere al governo sono disposti a tutto. Rinnegano loro stessi talmente tante volte che anche Giuda diventerebbe un coerente a loro confronto.

Ora è il momento della richiesta arrivata al Senato dal Tribunale dei ministri per l’autorizzazione a procedere contro Matteo Salvini. Il reato ipotizzato è grave: sequestro di persona e abuso d’ufficio. Ed è bene ricordarlo.

Un normale cittadino andrebbe direttamente a processo mentre per un Parlamentare esiste la cosiddetta immunità parlamentare. Ossia senza autorizzazione del Parlamento non si può processare l’imputato. Negli anni l’immunità parlamentare è sempre stata usata in maniera distorta. Ma è bene ricordare che il Movimento 5 Stelle ha sempre detto di essere contro i privilegi della casta e ha inserito nel suo programma la riforma dell’immunità parlamentare.

Altro aspetto importante da ricordare è che nel contratto di governo giallo-verde è previsto che non possano far parte del governo persone sottoposte a processo per reati gravi. Questi i dati e i fatti oggettivi.

Salvini aveva in un primo momento tolto dall’imbarazzo i 5Stelle dichiarando che non avrebbe usato l’immunità parlamentare e si sarebbe fatto processare. Di Maio e Paragone avevano subito preso la palla al balzo per dichiarare che avrebbero votato sì alla richiesta di autorizzazione a procedere. Ma non avevano fatto i conti con la diabolica e cinica strategia della Lega: erodere il più possibile il consenso degli ex grillini.

Ecco la mossa politica di Salvini. Stamane, con una lettera addirittura sul Corriere della Sera, il leader leghista inchioda il Movimento 5 Stelle affermando di non volersi più far processare. Motivo: interesse pubblico e quindi politico. Di Maio incastrato. Ora cercheranno tutte le giustificazioni di questo mondo ma francamente vedere i grillini difendere Salvini anche su questo episodio è umanamente desolante.

Erano nati incendiari.
Erano per l’onestà.
Erano contro la casta.
Erano contro i privilegi.
Erano contro gli inciuci.
Erano contro la Lega.
Erano contro Salvini.

Bene, nel giro di pochi mesi per arrivare al potere hanno rinnegato tutto. E Salvini si diverte ad umiliarli: li fa girare come trottole e li obbliga a contraddirsi ogni volta. Il tutto giocando sulla pelle di povere persone. Ora voteranno anche contro l’autorizzazione a procedere. Troveranno la scusa che avevano capito male e che era una decisione del governo. Insomma, il governo intero sarebbe da accusare di sequestro di persona. Memorabili i tempi in cui Grillo diceva di essere diverso dalla Lega sull’immigrazione. O quando diceva di volere accogliere tutti gli immigrati.

Intanto Salvini ringrazia e continua a speculare ed aumentare nei sondaggi rubando i voti ai 5 Stelle.

E diciamolo chiaramente. Cosa distingue oggi la Lega dal Movimento 5 Stelle? Nulla. Ha un obiettivo diverso dalla Lega? No. Quindi, cari grillini, continuate così e del vostro Movimento non rimarrà nulla.

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Diciotti, Fioramonti (M5s): “Salvini? Potrà esserci un colpo di scena e tutti noi del governo ci autodenunceremo”

“Inizialmente il ministro Salvini aveva detto che guardava positivamente all’idea di un’autorizzazione al processo nei suoi confronti. La sua posizione ora sembra essere cambiata. Quindi, probabilmente ci sarà un colpo di scena, in cui il governo, che ha deciso all’unanimità quell’intervento sulla nave Diciotti, prenderà le responsabilità in maniera unitaria“. Così, a L’Aria che Tira, il viceministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti commenta la nuova posizione del ministro dell’Interno sul caso Diciotti. “Il M5s torna a dire che noi crediamo assolutamente nella magistratura“- contiinua – “e che i processi esistono perché qualcuno si difenda. Ovviamente diventa complicato se per ogni movimento di questo governo scatta un processo. E’ giusto che ci sia una procedura nei confronti di tutti noi che abbiamo sostenuto in maniera corale quell’intervento sulla nave Diciotti. Mi sembra anche un segnale di forza”.
E conclude: “Il governo potrebbe dimostrare la sua forza, dicendo che Salvini è stato il braccio, ma che, in realtà, siccome la decisione è stata condivisa, la responsabilità è di tutti. Non so però, i termini specifici in cui questo potrà avvenire”.

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Sondaggi, Lega torna a crescere: 32,6%. M5s scende sotto il 25%, calano Pd e Fi. Europee: lista Calenda stimata sopra il 20

Dopo diverse settimane di calo, la Lega torna a salire nei sondaggi. Un trend che si inverte a discapito del M5s: i pentastellati, dopo diversi segni positivi, tornerebbero a perdere consenso. In generale però le opposizioni non riescono a reagire, visto che sono stimati ancora in calo sia Pd che Forza Italia. Questo racconta l’ultimo sondaggio realizzato da Swg per il TgLa7. Il Carroccio, probabilmente spinto dalla fermezza sul nuovo caso migranti, viene stimato al 32,6%, quindi 1,1 punti percentuali meglio di una settimana fa. Al contrario il M5s perde lo 0,8% e scendo al 24,9 negli orientamenti di voto al 28 gennaio. Intanto, in vista delle Europee del maggio prossimo, Swg ha provato a stimare anche il consenso a favore del progetto lanciato dall’ex ministro Carlo Calenda: il listone “Siamo Europei” otterrebbe ad oggi, secondo la rilevazione, tra il 20 e il 24 per cento.

Se la Lega in una settimana recupera più di quanto aveva perso nei 7 giorni precedenti, lo stesso vale al contrario per il M5s che scendo sotto quota 25%. È la perdita più consistente stimata da Swg rispetto al 21 gennaio scorso. Non va però meglio al Partito democratico (-0,7) che sembrava riavvicinarsi lentamente almeno al risultato del 4 marzo scorso e invece torna al 17,2%. Anche in Forza Italia la ridiscesa in campo di Silvio Berlusconi non sembra aver sortito nessun effetto, con gli azzurri stimati all’8,1 per cento (-0,5). Variazioni sostanzialmente nulle per il resto dei partiti di centrosinistra e sinistra, da PiùEuropa al 2,9 a Potere al Popolo al 2,4%.

Sarebbe proprio PiùEuropa, fresca di congresso e di elezione a segretario di Benedetto Della Vedova, a portare l’apporto più significativo al Pd in un’eventuale lista unica alle prossime Europee. Grazie poi ai Verdi e ad altre liste civiche, il progetto lanciato da Calenda otterrebbe ad oggi un consenso stimabile poco sopra il 20%.

Il sondaggio su Quota 100 e reddito
Intanto, secondo il sondaggio realizzato dall’istituto di ricerca Quorum/YouTrend per Sky TG24 e diffuso lunedì dall’interno dell’approfondimento Il Confine, il 59% degli italiani non è soddisfatto dell’operato di Governo, contro il 41% che lo è. Questo nonostante tutte le rilevazioni diano ancora a Lega e M5s insieme un consenso elettorale nettamente sopra il 50 per cento. In particolare, il 60,8% degli intervistati da Quorum/YouTrend approva la misura relativa ai requisiti di pensionamento Quota 100, contro il 39,2% che non la gradisce, mentre il 45,3% apprezza il provvedimento di lotta alla povertà del Reddito di Cittadinanza, contro il 54,7% che non lo approva.

Sono d’accordo con il reddito il 90,4% degli elettori M5so e l’89,8% degli elettori della Lega, mentre apprezzano Quota Cento il 97,2% degli elettori del Carroccio e il 90,4% di chi vota Cinquestelle. Sempre relativamente alla pensione, si registra in tutto l’elettorato una forte contrarietà al pensionamento a 67 anni: trovano giusto lavorare fino a questa età l’1% degli elettori M5S, lo 0,1% di quelli della Lega e lo 0% degli elettori di Centrosinistra.

La ricerca analizza anche il rapporto tra gli italiani e le banche: per il 78,5% del campione non è giusto che lo Stato salvi una banca se è in difficoltà. Una contrarietà che con numeri più o meno alti si registra in tutto l’elettorato: è sbagliato per l’84,4% degli elettori M5s, l’81,1% degli elettori della Lega e anche il 67,2% degli elettori di Centrosinistra.

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lunedì 28 gennaio 2019

M5s, deroga per i portavoce uscenti: “Potranno ricandidarsi anche se in passato hanno corso contro Movimento”

Il comitato di garanzia del M5s ha autorizzato una deroga alla norma dello statuto che vieta le candidature alle elezioni di chi ha in precedenza corso ad elezioni con partiti concorrenti al Movimento. La deroga varrà tuttavia “esclusivamente per i portavoce uscenti ed eletti con il Movimento 5 stelle, in virtù del ruolo di portavoce che rivestono o hanno rivestito”.

Secondo l’organismo previsto dallo Statuto del M5s, in presenza di portavoce uscenti, e solo in quel caso, la loro candidatura sarà “ammissibile anche se in precedenza abbiano partecipato ad elezioni in liste civiche contro il Movimento 5 Stelle“. Secondo lo Statuto del Movimento il Comitato dei garanti ha infatti, tra le altre cose, il compito di esprimere il parere sulle candidature a cariche elettive. Secondo il deputato regionale siciliano Giancarlo Cancelleri, uno dei garanti insieme ai parlamentari Vito Crimi e Roberta Lombardi, è stata presa per sanare i casi di alcuni esponenti M5s, come ad esempio alcuni consiglieri uscenti del Movimento, eletti quando ancora non era stata introdotta la regola del divieto di candidatura di chi aveva corso ad elezioni con partiti che si presentavano contro il M5s. Portavoce M5s che si troverebbero ora ad essere impossibilitati a ripresentarsi per un secondo mandato a causa di una regola intervenuta dopo la loro prima elezione.

Lombardi, interpellata dall’agenzia Adnkronos, ha specificato che “il divieto resta assolutamente valido: non devi aver corso contro i 5 Stelle per poterti candidare col Movimento”. In questo caso specifico, “non si tratta di una deroga ma di un’interpretazione del Comitato di garanzia, perché ci sono dei portavoce comunali uscenti che sono stati candidati per il M5s quando non c’era ancora la regola di non aver corso mai contro. Quindi sono portavoce uscenti del Movimento candidati quando la regola non esisteva”. Quinidi, “resta in piedi il criterio di non avere tessere di partito in tasca”, ha puntualizzato ancora Lombardi, ricordando tra le altre regole auree dei 5 Stelle il criterio, per potersi candidare, “di non aver avuto condanne di tipo penale anche in primo grado e di non aver fatto più di due mandati” per poter tornare a correre alle elezioni.

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Teresa Manzo, da “a sbaffo” a “precariare”: la neolingua nella faticosa dichiarazione di voto della deputata M5s

È il 29 dicembre e il governo M5s-Lega sta per incassare la fiducia dalla Camera alla legge di Bilancio. Prima del voto, prende la parola la deputata pentastellata Teresa Manzo per la dichiarazione di voto del suo gruppo parlamentare. Ma il suo intervento, che tra pause e richiami del presidente Roberto Fico ai banchi dell’opposizione è durato meno di dieci minuti, è condito di congiuntivi sbagliati, errori grammaticali e parole fuori posto. Il video sta facendo discutere ora, a distanza di quasi un mese, perché bersaglio dell’ironia di Geppi Cucciari e Giorgio Lauro, conduttori di Un giorno da pecora su Radio1.

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Diciotti, Salvini: “M5s vota sì? Non ho bisogno di aiutini. Tra i 5 stelle c’è corrente di sinistra che difende Maduro”

“C’è una parte di Italia che mi accusa di disumanità? Ormai certe affermazioni non mi toccano più. In questi 7 mesi di lavoro ho sentito di tutto: fascista, nazista, razzista, assassino, delinquente, sequestratore. Mi mancano ‘pedofilo’ e ‘spacciatore'”. Sono le parole del ministro dell’Interno, Matteo Salvini, intervenuto stamattina a RTL.
E aggiunge: “Sulla Sea Watch non ci sono né donne, né bambini. Comunque, non devono essere messi nelle mani degli scafisti. Chi li arresta e chi li vuole cancellare dalla faccia della Terra vuole salvare queste vite, tanto che ai primi di marzo tornerò in Africa, dove stiamo lavorando a diversi progetti di sviluppo economico, mettendoci cioè dei soldi, per aiutare a non scappare e a non essere deportati”.
Il vicepresidente del Consiglio commenta la decisione di alcuni parlamentari di salire sulla Sea Watch: “Non hanno rispettato le norme igienico-sanitarie, possono portare a terra di tutto e di più, visto che non ci sono stati controlli. Il sindaco di Siracusa Francesco Italia? Molti cittadini mi hanno segnalato enormi problemi in quella splendida città, di cui il sindaco non si occupa con altrettanta solerzia rispetto alla sua preoccupazione per questi immigrati. Se la vedrà il sindaco coi suoi cittadini”.

Circa il caso Diciotti, Salvini si esprime sulla decisione annunciata da Luigi Di Maio in merito alla richiesta di processo nei suoi confronti: “Il M5s vota sì? Io non perdo il sonno su questo. Come voteranno i 5 Stelle, Pd o Forza Italia lo lascio decidere a loro. Ma è normale che un ministro dell’Interno, con l’appoggio dell’intero governo e della stragrande maggioranza del Parlamento e della popolazione italiana, venga processato per aver fatto quello che ha promesso in campagna elettorale? Sto cercando dei precedenti a livello internazionale: un ministro viene messo sotto accusa non perché ha rubato o ha fatto casino, ma perché ha applicato le sue promesse. I 5 Stelle decidano con coscienza, io non impongo niente a nessuno, né ho bisogno di aiutini nascosti” – continua – “Su questo il governo non verrà messo in discussione, figuriamoci. Ci sono tante e tali cose da fare. Ci sono sicuramente alcune discussioni aperte che vanno chiarite, come quella sulle grandi opere. Mi sembra un assurdo fermare l’Alta Velocità, perché costa di più fermarla che finirla. E’ chiaro poi che all’interno del M5s c’è una corrente di sinistra, che, per esempio, difende Maduro, che ne sta combinando di cotte e di crude in Venezuela”.

Il leader della Lega risponde anche sul presidente francese Macron: “Da cittadino italiano, mi aspetto una sua risposta nei fatti. Stiamo ultimando la lista dei terroristi che da decenni girano per la Francia, bevendo champagne e visitando la Torre Eiffel. Al di là degli attacchi personali di Macron, a cui non ho nessuna voglia di rispondere, gli chiedo di rispondere non a Salvini, ma agli italiani coi fatti, rimandando in Italia i diversi terroristi condannati all’ergastolo come assassini. Qui il carcere li aspetta. Vediamo se il presidente francese avrà voglia di essere un amico dell’Italia oppure continuerà a tutelare questi delinquenti”.

Salvini poi annuncia la chiusura del Cara di Mineo entro fine anno e si concede un commento sarcastico sulle parole dell’ex deputato M5s, Alessandro Di Battista, che ieri, ospite di Barbara D’Urso, ha invocato il taglio degli stipendi dei parlamentari: “Ma sì, possiamo anche frustare i parlamentari e prenderli a calci nel sedere dalla mattina alla sera. E non solo quelli europei, ma anche statunitensi e cinesi. Di Battista dice che il Paese è una bomba che può esplodere? No, non sono d’accordo. Il Paese ha bisogno di risposte, ma è sano e stupendo. Non dipingiamoci peggio di quello che siamo. Lasciamo ad altri gli allarmismi sull’Italia e sugli italiani“.

Il politico si esprime anche sul ‘cachet’ per il programma che sarà trasmesso stasera in prima serata sulla Rai con gli spezzoni degli show di Grillo:Sono sicuro che Grillo li darà in beneficenza, non ha bisogno di quei 30mila euro. E sono anche sicuro che l’ad della Rai sta già lavorando alla riduzione di alcuni megastipendi che non hanno alcun senso. Certi stipendi sono esagerati. Fazio? Che lui usi il suo megastipendio per fare perenne campagna politica contro Salvini e contro la Lega è un problema suo, perché vive male lui. Io non vivo col pensiero di Fazio, lui evidentemente ha questa sindrome”.

Battuta finale sul chiarimento con Claudio Baglioni e sull’ex attaccante del Milan, ora al Chelsea, Gonzalo Higuain: “Sono contento che se ne sia andato e spero che non si faccia più vedere a Milano, perché si è comportato in maniera veramente indegna. Non mi piacciono i mercenari. Ma senza Higuain al Milan siamo diventati  molto competitivi”.

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Dl semplificazioni, troppi emendamenti: “Dubbi del Quirinale”. Lega e M5s cercano intesa su che cosa togliere

Il Dl Semplificazioni è stato appesantito di troppi emendamenti, oltre 80, diventando di fatto un decreto omnibus con norme che vanno dalla moratoria sulle trivellazioni alle nuove regole per gli Ncc passando per le misure contro la Xylella. E il capo dello Stato Sergio Mattarella ha fatto trapelare i propri dubbi, auspicando che il testo, già all’esame dell’aula del Senato, venga asciugato rispetto alla versione attuale. Lega e Movimento 5 Stelle si stanno confrontando per decidere che cosa tenere e cosa no. Le norme che resteranno fuori potrebbero finire in un disegno di legge di iniziativa parlamentare. Fonti M5s confermano che è in corso una verifica e alcune parti verranno riviste.

Secondo il calendario dei lavori, il Dl deve essere approvato dal Senato in settimana e poi passare alla Camera. Va convertito in legge entro il 12 febbraio, pena la decadenza. Secondo l’agenzia LaPresse la Lega avrebbe indicato come prioritarie le norme sull’Ires e quelle sugli Ncc, il trasferimento degli impianti idroelettrici alle Regioni e lo stanziamento di risorse per i familiari delle vittime di Rigopiano. I 5 Stelle, da parte loro, vorrebbero salvare la norma sulle trivelle e i capitoli relativi a sanità, blockchain, sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (Sistri) e il cosiddetto ‘smart contract’.

Durante l’esame nelle commissioni Affari costituzionali e Lavori pubblici del Senato sono stati approvati un’ottantina di emendamenti su argomenti molto diversi fra loro. E questa sarebbe la ragione che renderebbe necessaria una sforbiciata a molte norme per evitare un testo eccessivamente disomogeneo. Tra quelle che dovrebbero essere salvate, secondo gli auspici della maggioranza, le novità sulle trivelle e l’idroelettrico, il congelamento del raddoppio dell’Ires sul no profit, le misure sugli Ncc, i fondi per le famiglie delle vittime di Rigopiano, il pieno ripristino delle risorse Imu-tasi per i Comuni nonché le novità sull’etichettatura dei prodotti alimentari.

Nei giorni scorsi sono stati approvati dalle commissioni Affari costituzionali e Lavori pubblici del Senato altri emendamenti sullo stop al pagamento di tasse e contributi per i contribuenti colpiti dal crollo del ponte Morandi fino al 2 dicembre 2019, sulla ripresa della riscossione dei tributi e la proroga dei termini di prescrizione e decadenza a Lampedusa e Linosa (dove era stata sospesa dal 12 febbraio 2011 al 15 febbraio 2017 in seguito all’emergenza migranti), sul ripristino a 300 milioni di euro della dotazione del fondo Imu/Tasi, l’allargamento ai professionisti dell’accesso alla sezione speciale del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese.

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domenica 27 gennaio 2019

Tav, alla Camera le mozioni di Pd e Fi per dire sì all’opera: maggioranza alla prova. I dem: “Lega favorevole? Voti con noi”

Le mozioni del Pd e di Forza Italia per aprire la settimana, con il presidente della Regione Piemonte che tira per la giacca Matteo Salvini e lo invita a votarle dopo che il ministro ha ripetuto più volte che la Torino-Lione va fatta: “Allora voti con noi – l’invito di Chiamparino – e dimostri concretamente da che parte sta”. Poi la visita del leader della Lega al cantiere di Chiomonte, per ribadire quel che ha già detto in diverse occasioni: “Farò di tutto perché l’Italia si collegata con il resto del mondo”. Nel mezzo, la chiusura dell’analisi costi-benefici, forse, così da permettere al ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli, di presentarla all’omologa francese, Elisabeth Borne, e alla commissaria Ue ai Trasporti, Violeta Bulc, che lo attende a Bruxelles. Il condizionale è d’obbligo, perché sul documento la commissione incaricata non sembra ancora essere arrivata ad una sintesi.

La questione Tav diventa il tema più caldo sul tavolo del governo dopo giorni di dossier, controdossier, dichiarazioni contrastanti e stilettate come quella di Stefano Buffagni. “Sui numeri, vista la sua precedente gestione dei soldi, la Lega non è affidabilissima”, così il sottosegretario, sabato, ha pungolato gli alleati sul processo per i 49 milioni di euro di rimborsi elettorali. Sale sulle ferite del Carroccio. Mentre Toninelli, rispondendo a Il Giornale, è andato giù dritto: “Quelli che oggi sono ‘Sì Tav’ con lo stesso spirito critico con cui furono ‘Sì Ruby nipote di Mubarak”, ha messo nero su bianco parlando del quotidiano della famiglia Berlusconi su un voto che venne appoggiato anche dai leghisti.

Una settimana cruciale, insomma. Condita oltretutto dall’arrivo in Giunta per le autorizzazioni del Senato della richiesta di processo per Salvini sul caso Diciotti: altro argomento destinato a surriscaldare le due anime della maggioranza. E le opposizioni sono pronte ad approfittarne, tentando di stanare (improbabile) il governo o comunque mettendo a nudo le contraddizioni della Lega, che da un lato spinge per la realizzazione ma dall’altra deve trovare una sintesi con il Movimento Cinque Stelle.

L’occasione è servita dalla discussione alla Camera di tre mozioni depositate sul Tav da parte di Partito Democratico, Forza Italia e Fratelli d’Italia. Il testo degli azzurri, a prima firma Claudia Porchietto, sottolinea che “nel corso di questi mesi lo scontro sociale e tra le forze politiche, anche interne alla maggioranza di governo, si è ulteriormente acuito, anche a causa del sistematico utilizzo di prassi dilatorie poste in essere con l’intento di procrastinare le decisioni” e l’ipotesi di indire un referendum, ipotizzata proprio da Salvini, tra le popolazioni interessate “sia pure benvenuta in termini di chiarezza, comporta ulteriori impegni temporali”.

Al governo, Forza Italia chiede quindi di chiarire quali iniziative intende adottare per “consentire lo sblocco delle gare per l’avvio dei lavori definitivi della” Torino-Lione e propone all’esecutivo di “rafforzare l’intervento in favore delle aree e delle popolazioni interessate dalla realizzazione dell’opera”, incrementando fino a 150 milioni di euro l’impegno a carico dello Stato per le opere compensative. Misure da coniugare a “ulteriori incentivi e defiscalizzazioni”, fino alla “possibilità di istituire una zona franca nell’area geografica interessata”.

Nella mozione firmata dal capogruppo Graziano Delrio e sottoscritta anche da Maurizio Lupi, esponente di Noi con l’Italia, il Pd ricorda invece che “le dinamiche sull’opera” in seno al governo “hanno provocato gravi incertezze sul futuro dell’opera (…) sollevando la preoccupazione di soggetti istituzionali, economici e sociali e in un ampio movimento di opinione favorevole alla realizzazione dell’opera” sfociato nelle due manifestazioni in piazza San Carlo a Torino. “Le confuse dichiarazioni relative all’analisi costi-benefici, la cui commissione appare già in partenza fortemente orientata in una direzione ostile all’avanzamento dell’opera – sottolinea il Pd – hanno ulteriormente accresciuto le richiamate preoccupazioni”.

Delrio rimarca che “la fase di stallo rischia di avere costi economici e sociali elevatissimi per l’Italia e per la mobilità di persone e merci per l’intero continente europeo, finendo per privilegiare irrazionalmente il trasporto su gomma“. Proprio uno dei punti sul quale ha puntato il “controdossier” della Lega, che contesta il calcolo fatto sulle accise del gasolio dei tir da parte della commissione guidata dal professor Marco Ponti. E di conseguenza la mozione dem impegna il governo “a adottare le iniziative di competenza per autorizzare Telt alla pubblicazione dei bandi di gara” per la realizzazione del tunnel di base sotto il Moncenisio.

“Se Salvini vuole difendere l’ambiente spostando le merci dai tir al treno voti sì. Tutto il resto sa di manovra dilatoria per non scontentare gli alleati pentastellati, allungare il brodo e arrivare alle elezioni senza decidere”, è stato l’invito di Sergio Chiamparino alle affermazioni del ministro dell’Interno. “Quali sprechi vogliono tagliare? Solo sulla tratta nazionale ci sono state ben tre revisioni del progetto che hanno ridotto il costo da quasi 5 miliardi a 1,7 – dice il governatore del Piemonte Chiamparino – In ogni caso basta parole, servono fatti: lunedì dimostrino concretamente da che parte stanno”.

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