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venerdì 28 giugno 2019

Ponte Morandi, M5S contro Rainews24: “Di Maio oscurato”. Il cdr: “La notizia era la demolizione, non la passerella politici”

“La Rai oscura il Movimento 5 Stelle”, si legge nel primo piano del Blog delle Stelle. Il casus belli è la diretta di Rainews24 da Genova, in occasione della demolizione del ponte Morandi: secondo i 5 stelle il vicepremier Luigi Di Maio è stato tagliato fuori dalle inquadrature. E il dibattito va anche oltre il blog: il senatore Primo Di Nicola, vicepresidente della commissione di Vigilanza Rai, ha dichiarato che “nel punto stampa è stato davvero sgradevole vedere Luigi Di Maio tagliato fuori dalle telecamere di Rainews24 per minuti e minuti, nelle inquadrature dove invece erano ben visibili il sindaco Bucci, il governatore Toti e l’altro vicepremier Salvini. Il M5s è stato letteralmente ignorato nei servizi”.

Il comitato di redazione di Rainews24 ha replicato ricordando che la notizia del servizio era la demolizione del ponte, non la passerella dei politici: “Le accuse a Rainews24, mosse da alcuni membri del M5S in Vigilanza – si legge nel comunicato del cdr – fanno venire il sospetto che quella di oggi fosse una passerella per i politici. Per noi la notizia era la demolizione del ponte Morandi e la ripartenza per Genova. Dopo un’ora e mezza di diretta sulla demolizioneì, RaiNews24 ha trasmesso anche le dichiarazioni finali del sindaco e commissario Marco Bucci. La nostra telecamera inquadrava i due vicepremier, Salvini e Di Maio, il governatore Toti e il sindaco Bucci, ma a causa di problemi tecnici il segnale non è stato costante e la regia, per non interrompere la diretta, ha mandato in onda un’agenzia internazionale che non includeva il vicepremier Di Maio”.

E, conclude Rainews24 nel comunicato, “come si può facilmente comprendere si è trattato di una semplice scelta tecnica. RaiNews24 è una testata giornalistica, non l’ufficio stampa di alcuna parte politica e oggi ha reso onore al Servizio Pubblico nell’indipendenza che lo stesso Movimento 5 Stelle invoca per la Rai”.

Attacchi al Movimento 5 Stelle sono arrivati anche da esponenti di altri partiti. Giorgio Mulè di Forza Italia attacca:”È un sistema di occupazione militare dei 5Stelle dell’informazione volto a schiacciare ogni spazio e ogni afflato di libertà e di pluralismo”. Michele Anzaldi, deputato del Partito Democratico e segretario della commissione Vigilanza Rai, scrive su Twitter: “M5S si lamenta con la Rai per la censura subita da di Di Maio durante la diretta da Genova per la demolizione del Ponte Morandi? La responsabilità per questo tipo di problemi ricade su un unico soggetto: lo stesso M5S. Chi ha scelto l’ad Salini se non loro?”.

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Immunità, la ministra M5s Lezzi non sarà giudicata per diffamazione: ha ottenuto l’insindacabilità

La ministra M5s per il Sud Barbara Lezzi non verrà giudicata nel processo in cui è accusata di diffamazione: il giudice di pace della sezione penale di Bari ha infatti accolto la richiesta di insindacabilità avanzata dai legali della parlamentare del Movimento 5 stelle. Lezzi era stata accusata da un attivista salentino del Movimento, Massimo Potenza, per alcune dichiarazioni fatte in un incontro politico nel 2016.

A renderlo noto è la stessa Lezzi, che precisa che “insindacabilità è altra cosa rispetto all’immunità parlamentare“, spiegando che le è stata concessa “perché è stato riconosciuto che avevo espresso opinioni a carattere politico, e non riferite alla condotta privata del querelante, in occasione di una riunione a porte chiuse, alla quale partecipavano attivisti e portavoce del Movimento 5 Stelle, incentrata sul giudizio-graticola di alcune potenziali candidature politiche”. La ministra ha quindi chiuso: “Il giudizio da me espresso allora faceva tra l’altro seguito a una denuncia per diffamazione che avevo rivolto nei confronti dello stesso querelante, dovuta a un suo post pubblicato su Facebook rivolto alla mia persona, che avevo ritenuto sessista e lesivo. Concludo precisando che il giudice della Corte di Bari stesso ha deciso di non chiedere alle Camere l’autorizzazione a procedere con il giudizio nei miei confronti proprio perché le mie opinioni sono state espresse in un contesto politico e avevano valenza legata all’oggetto dell’incontro”.

L’insindacabilità parlamentare, prevista dall’articolo 68 della Costituzione, rientra tra le immunità parlamentari e prevede che il parlamentare non può essere chiamato a rispondere giuridicamente dei voti dati e delle opinioni espresse nell’esercizio delle sue funzioni. Gli appartenenti al Movimento 5 stelle si sono sempre detti contrari alle immunità parlamentari, ma non è la prima volta che fanno ricorso all’insindacabilità. A dicembre 2017, il gip di Roma ha archiviato la querela di alcuni giornalisti contro Di Maio, proprio appellandosi all’art.68 della Costituzione. In quel caso il capo politico M5s venne contestato per non aver rinunciato spontaneamente all’immunità. Un anno prima, a luglio 2016, al centro delle polemiche era finito il senatore M5s Mario Michele Giarrusso che aveva chiesto l’immunità per evitare un processo per diffamazione e aveva poi fatto un passo indietro dopo essere stato travolto dalle polemiche. In quel caso era stato poi il Senato a votare perché fosse giudicato.

 

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mercoledì 26 giugno 2019

‘Free vax’, evento alla Camera. Pd e Forza Italia chiedono cancellazione. Giulia Grillo: “Prossimo ministro Wanna Marchi”

La discussione sulla libertà di scelta riguardo ai vaccini torna alla Camera. E scoppia di nuovo la polemica. L’incontro, una conferenza stampa promossa dal Corvelva, il Coordinamento regionale Veneto per la libertà vaccinale, e dal guru di Life 120, Adriano Panzironi, si terrà giovedì a Montecitorio dopo l’invito ricevuto a gennaio dall’allora deputata del Movimento 5 Stelle, Sara Cunial. Lei, espulsa nel frattempo e approdata al gruppo misto, sarà all’incontro.

In campo contro l’evento ‘free vax’, l’Ordine dei medici e la Società italiana di pediatria a cui si sono aggiunti due deputati di Forza Italia e Pd, Roberto Novelli e Alberto Losacco, chiamando in causa il presidente della Camera, Roberto Fico, chiedendogli di cancellare l’incontro. L’uso della sala per le conferenze stampa di Montecitorio è concesso, secondo disponibilità, sulla base della semplice richiesta dei singoli parlamentari, viene però fatto notare da ambienti di Montecitorio, che ricordano come né gli uffici della Camera né la presidenza possono entrare nel merito di una conferenza stampa.

Resta insomma la responsabilità del parlamentare che la organizza. A prendere le distanze pure il ministro della Salute, Giulia Grillo: “In Italia celebriamo gli scienziati, come Leonardo da Vinci e Galileo Galilei, ma si crede ancora in maghi e stregoni”, taglia corto. Fino all’ironia: “A questo punto tutto è possibile, anche che il prossimo ministro della Salute sia Wanna Marchi“.

Il Corvelva, nato nel ’93, nel suo ‘carniere’ cita la legge regionale veneta sulla sospensione dell’obbligo dei vaccini per i nati dal 2008, poi superata dal decreto Lorenzin sulle dieci vaccinazioni obbligatorie. Per il forzista Novelli, “non si tratta di negare la libertà di espressione, ma di non legittimare l’antiscienza offrendole come pulpito la Camera”. Preoccupato anche Losacco che, in una lettera a Fico, ha chiesto di “evitare che tali iniziative possano diventare sistematiche”.

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Ue, M5s ancora senza gruppo a Bruxelles: ha chiesto di aderire al gruppo della Sinistra (Gue) con Podemos e Syriza

Autonomia, Fontana contro il M5s: “Si assuma responsabilità. Se non vuole riforma lo dica ma basta prese in giro”

domenica 23 giugno 2019

M5s, Di Maio ribadisce: “Basta minare forza politica con dichiarazioni e libri, c’è bisogno di unità”

M5s, Nugnes se ne va: “Passo al Misto”. Di Maio: “Si dimetta, non vada in un altro gruppo. Rinnega taglio parlamentari”

Sedriano, il vicesindaco M5s parcheggia usando pass per disabili del padre morto. Il Consiglio boccia la mozione di sfiducia

Parcheggia con il pass disabili del padre morto, viene ‘pizzicato’ e fotografato, inventa una serie di scuse (e una bugia) per giustificarsi e, quando il caso finisce in Consiglio comunale, si rifiuta di chiarire davanti ai cittadini, mentre i suoi compagni di partito gli salvano la poltrona. Non è l’ennesima furbata di un politico della casta, ma solo l’ultima figuraccia del vicesindaco pentastellato di Sedriano, nel Milanese, primo comune lombardo sciolto per mafia e anche primo della regione ad aver eletto un sindaco del Movimento 5 Stelle.

Siamo nell’ottobre del 2018 quando l’auto del vicesindaco Davide Rossi (con delega alla Trasparenza e all’Anticorruzione) viene immortalata in via Falck a Milano, nel quartiere San Leonardo, vicino alla fermata della metro rossa e sulle strisce blu a pagamento. Sul parabrezza però non c’è il ticket, bensì il pass disabili di Nicola Rossi, padre del politico e deceduto cinque mesi prima. Nell’aprile 2019 stessa scena e stesso scatto, stavolta con il racconto di un testimone: “Ho visto più volte Rossi parcheggiare in quella zona utilizzando il permesso del padre disabile per poi dirigersi verso la metropolitana”. Il vicesindaco grillino lavora in Regione Lombardia e raggiunge abitualmente il Pirellone con i mezzi pubblici. La notizia arriva alla stampa locale e genera un’ondata di indignazione: perché quel pass non è stato restituito dopo il decesso dell’intestatario?

Il politico, a questo punto, è costretto ad ammettere le sue colpe. Ma qui comincia una lunga serie di scuse, contraddizioni e bugie. All’inizio Rossi sostiene una tesi bizzarra: “Ogni comune prevede una prassi diversa sulla restituzione. A Rho (che ha rilasciato il documento, ndr) non è obbligatorio riconsegnarlo”. La frottola dura cinque minuti. Basta una telefonata al comando della Polizia locale per sentirsi rispondere che “la restituzione è assolutamente obbligatoria, proprio per evitare che si utilizzi il pass in modo improprio”.

Colto in fallo, il vicesindaco la butta sul sentimentalismo: “Ho tenuto il pass per ragioni affettive, come ricordo di mio padre”. Di solito i cimeli si tengono nel comodino, non nel cruscotto dell’auto. E in ogni caso non si usano per non pagare i parcheggi. Non domo, Rossi scomoda la madre: “Anche mia mamma è disabile. L’accompagno spesso per le visite in ospedale, per le commissioni oppure a far visita ai parenti. Devo aver fatto confusione con i due pass”. Peccato però che il pass della madre – unico documento che il politico ha prodotto – scadrà nel novembre 2023. Ciò significa che è stato rilasciato nel novembre 2018, mentre la foto incriminata è precedente. Secondo Rossi si tratta di un rinnovo, ma non esistono prove a riguardo.

Esaurito l’elenco delle giustificazioni, i Cinque Stelle di Sedriano si mettono in campo l’ipotesi del “complotto”. Secondo il sindaco Angelo Cipriani, Maresciallo della Guardia di finanza prestato alla politica, si tratta di una vendetta degli avversari, mentre secondo l’interessato siamo davanti a una ripicca personale. E così la colpa viene scaricata su chi ha fotografato l’auto e non su chi ha violato le regole. In consiglio comunale il vicesindaco non parla, il sindaco neppure e la maggioranza M5s vota contro la mozione di sfiducia: “Rossi ci ha chiesto di non esprimerci sulla vicenda”, hanno spiegato. Intanto il pubblico protesta e alza i cartelli con la scritta “Dimissioni”.

Non è la prima volta che il vicesindaco finisce nelle polemiche. In passato pubblicò su Facebook un post inneggiante a Benito Mussolini, salvo poi dichiarare che il suo profilo era stato hackerato, ma non c’è traccia di denuncia. All’inizio del suo mandato finì in tribunale per aver insultato gli avversari politici e fu costretto a risarcirli. E il mese scorso non si presentò in municipio per celebrare un matrimonio civile.

Ma i vertici del Movimento 5 Stelle non gli hanno tirato le orecchie, al contrario di ciò che fecero i leader nazionali quando nel 2015 ci si accorse che nella lista delle Comunali compariva un candidato amico di una famiglia mafiosa. Stavolta la linea è ultra garantista. Persino sulla questione del pass disabili, il capogruppo pentastellato in Regione, Marco Fumagalli, getta acqua sul fuoco: “Il vicesindaco sta lavorando bene per la comunità intera e se ha sbagliato pagherà la multa. È invece inquietante che qualcuno lo abbia pedinato al solo fine di creare un caso mediatico”. Al netto delle possibili sanzioni, il codice di comportamento dei pentastellati all’articolo uno prescrive per gli iscritti e gli eletti un’azione improntata a “lealtà, correttezza, onestà, trasparenza, disciplina e onore”.

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Di Battista: “Sinistra ha smantellato stato sociale più della destra, M5s cerca di ricostruirlo”

venerdì 21 giugno 2019

Legge sfascia-parchi, governo la impugna davanti alla Consulta: “È competenza statale, non regionale”

Un ministro leghista che porta alla Consulta la legge leghista, invocando norme costituzionali a tutela dell’ambiente. Sembra strano, ma è ciò che è successo nell’ultimo Consiglio dei ministri, quando la responsabile degli Affari Regionali, Erika Stefani, ha annunciato a nome del governo l’impugnazione davanti alla Corte Costituzionale della legge regionale della Liguria numero 3 del 2019, fortemente voluta dall’assessore all’Ambiente Stefano Mai. Un provvedimento – ribattezzato “legge sfascia-parchi” – che ad aprile, quando fu approvato, scatenò un mare di polemiche per la sua forte impronta anti-ambientalista: oltre a tagliare 540 ettari dal territorio dei più grandi parchi della Regione (Aveto, Antola, Alpi liguri e Beigua), cancellava 42 aree protette regionali nella provincia di Savona e abortiva il progetto ormai decennale di realizzare un altro parco, quello del Finalese, nell’entroterra di Finale Ligure. A contestare la legge – oltre agli esperti di dissesto idrogeologico e alle associazioni ambientaliste – soprattutto il Movimento 5 Stelle che in Liguria punta da sempre sulla lotta al cemento e non aveva risparmiato bordate sul tema agli alleati di governo per bocca di esponenti locali e nazionali.

Già lo scorso 11 maggio, incontrando le delegazioni di Wwf, Italia Nostra e Fridays for future, il sottosegretario savonese alla presidenza del Consiglio, Simone Valente, aveva detto di voler portare a Palazzo Chigi la loro richiesta di impugnare lo sfascia-parchi. Ed è stato il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, uno dei più vicini al Movimento, a farsene carico: il suo ufficio legislativo ha elencato i punti critici che presumibilmente saranno ripresi dalla Presidenza del Consiglio nell’atto di impugnazione. “La legge – scrivono i tecnici del ministero – contempla disposizioni che appaiono costituzionalmente illegittime, in quanto contrastanti con gli standard di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema posti dal legislatore statale nell’ambito della competenza esclusiva” che gli è attribuita dalla Carta. Competenza statale, quindi, non regionale. In particolare, la soppressione unilaterale delle 42 aree protette sarebbe in contrasto con la legge quadro del 1991 che prevede la partecipazione degli enti locali (comuni, province, comunità montane) al procedimento di istituzione delle aree. Se per far nascere un’area protetta è necessario consultare Comuni e Province interessati – è il ragionamento dei tecnici – a maggior ragione sarà necessario per sopprimerla. Ciò che invece non è stato fatto dalla giunta Toti.

Inoltre, “nel restringere i confini dei parchi”, la legge regionale violerebbe l’articolo della legge quadro che riserva la variazione dei confini “a un atto amministrativo dell’ente di gestione (l’ente-parco, ndr) soggetto all’approvazione regionale, e non certo a una legge-provvedimento”. Entrambe le misure più discusse dello sfascia-parchi, dunque, sarebbero illegittime. Ma l’assessore Mai non ci sta e accusa il ministro Costa e il sottosegretario Valente di malafede: “È evidente che si tratta di una scelta politica ed elettorale e non di un fatto tecnico”, scrive in un comunicato. “Con questa scelta il ministro Costa ha palesato di rispondere a tirate di giacca politiche e non al bene del territorio. Il sottosegretario Valente, che aveva già annunciato il ricorso prima di conoscere i contenuti della legge, ha mosso osservazioni senza fondamento, basate solamente su motivi elettorali dei Cinque stelle, e Costa ha ubbidito. Come Regione Liguria siamo certi che l’impugnativa cadrà nel vuoto e che la Corte Costituzionale ci darà piena ragione. È davvero grave – attacca ancora Mai – che un Ministro della Repubblica e un Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri utilizzino strumentalmente il ricorso alla Corte Costituzionale nei confronti delle leggi della Regione, per fini politici e non tecnico-normativi”.

“È proprio dal punto di vista ‘tecnico-normativo’, come dice l’assessore Mai, che sussistono le illegittimità che hanno portato alla decisione di impugnare”, risponde Valente a ilfattoquotidiano.it. “La legge è scritta male e risponde a logiche che con la tutela ambientale non hanno nulla a che fare. Nessun intento strumentale, ho sostenuto il ministero dell’Ambiente solo perché si tratta di una legge che avrebbe determinato danni incalcolabili a un ecosistema già fragilissimo. Non c’era altra strada che quella di impugnare la legge e difendere il nostro patrimonio ambientale e faunistico. Sarà la Corte Costituzionale a verificare la legittimità, nel frattempo però è nei pieni poteri del Governo impugnarla”. E sulla vicenda è intervenuto anche il capogruppo Pd in Consiglio regionale ligure, Giovanni Lunardon: “L’ennesima brutta figura di una giunta che non sa fare leggi visto che gliele impugnano praticamente tutte (è il quarto provvedimento proposto dall’assessore Mai e impugnato dal Governo, di cui uno è stato dichiarato illegittimo, ndr). Ieri era un Governo ostile, oggi? Il destino cinico e baro? Tutti scommettono sulla biodiversità come volano economico, noi qui riduciamo le aree protette. Per fortuna la legge è uguale per tutti, anche per Toti, Mai e compagnia”.

Twitter: @paolofrosina

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Calcio femminile, ex consigliere M5s pubblica post sessista su calciatrice. Spadoni: “E’ fuori dal Movimento”

L’ex consigliere comunale M5s di Reggio Emilia Cristian Panarari scrive un post offensivo e sessista sulla portiera della nazionale italiana di calcio femminile, interviene la vice presidente della Camera Maria Edera Spadoni. La grillina, concittadina dell’ex portavoce e noto per il suo passato di wrestler, ha fatto un post su Facebook per condannare le frasi di Panarari: “Un ex portavoce comunale M5s”, ha scritto il 20 giugno,“che fa battute pessime e di un sessismo squallido non merita neanche troppe righe. I piccoli uomini si rivelano in queste cose. Sto procedendo alla segnalazione nei confronti di Cristian Panarari. Per me è fuori dal Movimento 5 stelle”. Come si intuisce dal post, la deputata ha segnalato il caso al collegio dei probiviri del Movimento che ora procederanno con l’eventuale sanzione o espulsione.

Il post sotto accusa è stato pubblicato il 19 giugno sulla pagina Facebook di Panarari. L’ex consigliere ha infatti rilanciato la foto della portiera della nazionale italiana di calcio femminile Laura Giuliani mentre si trova a terra: “La preparazione atletica in questi mondiali di calcio”, ha scritto, “fa la differenza…… Forza azzurre, regalate ‘notti magiche’ agli italiani”. Le sue parole hanno provocato numerose polemiche.

 

 

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Governo, Travaglio: “Di Battista propone deroga secondo mandato? Così libera M5s dal ricatto di Salvini”

giovedì 20 giugno 2019

Strage Viareggio, Ferrara (M5s): “Moretti nominato cavaliere da Napolitano, partiti votino mozione per togliere il titolo”

Dopo la sentenza d’appello che ha confermato i sette anni di reclusione per l’ex ad di Fs e Rete Ferroviaria Italiana, Mauro Moretti, per la strage di Viareggio, il senatore del M5s, Gianluca Ferrara, ha chiesto a tutti i partiti di votare a favore della mozione che impegna il governo a togliere il titolo di cavaliere a Moretti. “Se è un uomo, rinunci lui al cavalierato e chieda scusa”.

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Spazzacorrotti, Sardoni vs Morra: “Avete fatto un governo con persone condannate”. “Questa non gliela consento”

Salvini, Di Battista a La7: “Non è fascista ma conformista, perché al posto degli italiani ha scelto Radio radicale”

giovedì 13 giugno 2019

Csm, sul caso Lotti Zingaretti continua a invocare il “garantismo”. M5s: “Silenzio gravissimo e imbarazzante”

M5s, Nicola Morra a Otto e Mezzo: “Non ho votato su Di Maio perché ho ritenuto quell’operazione infelice”

Rai, non c’è accordo Lega-M5s: salta il voto in Commissione Vigilanza sul doppio incarico al presidente Macello Foa

Radio Radicale, ok a 3 milioni per salvarla La Lega vota a favore, contrario il M5s

Passa nelle Commissioni Bilancio e Finanze della Camera un emendamento del Pd al decreto Crescita per salvare Radio Radicale con un finanziamento di altri 3 milioni per il 2019, che punta a favorire la conversione in digitale e la conservazione degli archivi. Il testo è stato riformulato, spiegano i dem, su proposta della Lega, ma il governo con il viceministro dell’Economia, Laura Castelli, ha dato parere contrario. Hanno votato a favore il Carroccio e tutti gli altri partiti, mentre il Movimento 5 Stelle ha votato contro. “Anche se con un contributo inferiore alle necessità, abbiamo approvato un emendamento che stanzia 3 milioni per radio radicale nel 2019. Per ora la radio è salva. Adesso subito la gara”, ha twittato il deputato del Pd Roberto Giachetti, tra i firmatari dell proposta di modifica.

Mercoledì a dettare la linea era stato Matteo Salvini: “Su Radio Radicale non cambio idea rispetto a quanto ho detto prima delle elezioni: non si cancella l’esistenza di una radio con un emendamento e con un tratto di penna. Il mandato a nome della Lega in Commissione è di lavorare affinché questa voce ci sia”, aveva detto il vicepremier rispondendo ai giornalisti alla Camera.

I lavoratori dell’emittente sono tornati in campo con la consegna a Palazzo Chigi di quasi 170mila firme raccolte tramite la piattaforma Change.org per chiedere di non spegnere la Radio. “Il nostro appello – ha spiegato il direttore Alessio Falconio – coincide con quanto chiesto dall’Agcom il 17 aprile scorso, quando ha definito quello svolto da Radio Radicale un servizio di interesse generale che va messo a gara, come noi chiediamo dal 1998, da quando cioè è scaduto il bando”.

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martedì 11 giugno 2019

Regione Lombardia, M5s protesta in Aula: “Il sindaco di Legnano si dimetta”. Consiglieri Lega urlano: “Raggi, Raggi”

Unione europea, la corsa dell’Italia per una poltrona a Bruxelles. I candidati: da Giorgetti a Picchi, fino a Moavero

Le fonti ufficiali dicono che il tema non è stato affrontato durante il summit Conte-Di Maio-Salvini di lunedì sera, ma quello delle nomine Ue è uno dei temi caldi delle ultime settimane, in vista del prossimo Consiglio europeo tra i capi di Stato e di governo del 20-21 giugno dove inizieranno ufficialmente le trattative sulle nomine delle alte cariche dell’Unione. L’Italia, nonostante sia rimasta in seconda fila, con il presidente del Consiglio che ha tenuto pochissimi incontri bilaterali e Matteo Salvini che ha disertato per la sesta volta su sette il Consiglio europeo dei ministri dell’Interno, spera comunque di ottenere una poltrona influente a Palazzo Berlaymont, magari quella del commissario per il commercio o la concorrenza, o comunque con un portafoglio economico. La sensazione è che, qualunque sia l’incarico, il rappresentante italiano sarà di espressione leghista, visti i risultati del voto del 26 maggio. E i nomi dei candidati iniziano a circolare.

Il ministro dell’Agricoltura, Gianmarco Centinaio, non ha dubbi sul nome giusto da portare in Europa: il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Giancarlo Giorgetti. “Giancarlo è una risorsa per l’Italia, indipendentemente dal fatto che sia un esponente della Lega. La sua competenza, la sua serietà e la sua professionalità sono riconosciute da tutti, in modo trasversale. Se andasse in Europa sarebbe un ottimo risultato per il nostro Paese”, ha detto ai microfoni di Circo Massimo, su Radio Capital. “È altrettanto normale – ha aggiunto – che ci sarebbe una forte risorsa in meno all’interno del governo e a quel punto bisognerebbe trovare non qualcuno che lo sostituisca, che per me è una mission impossible, ma che faccia almeno la metà di quello che fa lui”.

Il nome di Giorgetti è stato il primo a circolare nell’immediato post elezioni, visto che si tratta di un membro di alto rango del Carroccio, anche se non ha mai ricoperto incarichi europei o di contatto con Bruxelles. E questo potrebbe rappresentare un ostacolo alla sua nomina.

Chi, invece, un alto profilo europeo ce l’ha è il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, che a domanda diretta risponde senza giri di parole: “Sono a disposizione – ha dichiarato a margine del primo Luiss Diplomatic Forum -, ma non sono assolutamente candidato a nulla in ambito europeo. Si tratta di una scelta che dovrà fare il governo e quindi su questo bisogna comprendere quali saranno gli orientamenti. Occorre naturalmente un placet di chi sarà designato presidente della Commissione”. Se le competenze europee giocano a suo favore, a frenare un’eventuale nomina di Moavero è il fatto di non appartenere al clan leghista. Con una vittoria così schiacciante alle ultime europee, difficilmente il Carroccio si priverà della possibilità di piazzare uno dei suoi uomini in Commissione.

Questo vincolo è proprio quello che ha fatto rapidamente calare le quotazioni di due nomi usciti pochi giorni dopo il voto e che sarebbero stati più facilmente digeribili dalla nuova maggioranza Ue: quello di Guido Crosetto e di Giulio Tremonti. Entrambi, inoltre, avrebbero dovuto ottenere anche l’ok dei partner pentastellati.

Fonti della Lega sentite da Politico hanno indicato invece nel Sottosegretario di Stato del Ministero degli Affari Esteri, Guglielmo Picchi, uno dei papabili candidati del Carroccio per ricoprire il ruolo di commissario Ue. Il profilo di Picchi mette insieme competenze economiche e nelle relazioni internazionali, ma stiamo parlando di un “falco” della Lega che si è scontrato con il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, sulla vendita di armi alle petromonarchie del Golfo e di uno di quelli che più guardano al modello Stati Uniti di Donald Trump.

Un membro del Carroccio in Commissione Ue non è certo ciò a cui aspira la nuova possibile maggioranza europea composta da Popolari, Liberali e Socialisti. Per questo motivo, il ruolo di mediazione svolto da Giuseppe Conte è di fondamentale importanza. Il premier lo sa e, secondo quanto trapelato dall’incontro di Palazzo Chigi, ha chiesto “carta bianca per trattare con l’Ue”, allontanando così la possibilità, almeno nell’immediato, di vedere Alberto Bagnai come erede al dicastero che fu di Paolo Savona, passato alla presidenza di Consob.

Maggiori chiarimenti si avranno dopo il 21 giugno, quando si sarà concluso il prossimo Consiglio europeo. Nell’ultimo incontro di maggio, Conte si è presentato pochi minuti prima della riunione senza tenere, unico tra i suoi omologhi insieme a Theresa May, alcun bilaterale. Anche nelle ultime settimane, l’Italia non si è mai seduta ai tavoli riservati alle contrattazioni sulle nomine di alto livello all’Unione europea. Non si trovava al pranzo organizzato da Macron con i leader Liberali e Socialisti a cui hanno partecipato Pedro SanchezAntónio Costa, Mark RutteCharles Michel.

Lunedì il premier si è sentito telefonicamente con il primo ministro croato Andrej Plenkovic, mentre per martedì è in programma una chiamata con il primo ministro lettone Krisjanis Karins. Ma l’incontro più importante è quello che si è tenuto sempre lunedì, a Palazzo Chigi, tra Conte e lo Spitzenkandidat dei Popolari, Manfred Weber. Il tedesco, che vede a rischio la sua candidatura al top job della Commissione Ue, è venuto a chiedere appoggio al governo italiano per cercare di ottenere i numeri in Consiglio Ue. Il premier avrà invece chiesto rassicurazioni sulle prossime nomine e su un ruolo non di secondo piano dell’Italia nella prossima legislatura Ue. Un accordo che, se venisse rispettato, renderebbe l’elezione di Weber un vantaggio per Roma, ostacolando anche l’ascesa di un tedesco alla guida della Banca Centrale Europea.

Twitter: @GianniRosini

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M5s, Di Maio: “Ogni volta che succede qualcosa è colpa mia. Adesso basta prendersela sempre con me”

“Il movimento cosi com’è, così come non è strutturato né organizzato non può andare avanti. Quando qualcosa non va bene l’unico destinatario delle accuse sono io come capo politico. Adesso anche basta prendersela sempre con me“. A dirlo, ospite di Non stop news su Rtl 102.5, è il vicepresidente del Consiglio, Luigi Di Maio, secondo il quale “non è più rinviabile un processo di organizzazione interna. Dobbiamo avere dei referenti regionali e nazionali con gente che si prende le responsabilità”.

Audio Rtl 102.5

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lunedì 10 giugno 2019

Di Maio lancia esame per sottosegretari M5s: iniziano Valente e Santangelo. Al termine valutazione anonima

Dl Crescita, dopo mediazione Lega-M5s arriva emendamento per salva Roma e salva comuni

Civitavecchia, Lega diventa ambientalista nella città del carbone e vince le elezioni. Ma Salvini non rinuncia al combustibile

A Civitavecchia, nella città del carbone, la Lega si mette il vestito ambientalista e alle amministrative batte un Pd piuttosto ambiguo sul destino della centrale Enel. Solo che ora il neo sindaco del Carroccio, Ernesto Tedesco, e la maggioranza che lo sostiene, finita la campagna elettorale dovranno confrontarsi con la linea nazionale di Matteo Salvini. Il quale, sull’argomento, ha già detto che “è finito il tempo dei ‘no’ a tutto”. Dichiarazione in linea con i piani di phase-out dell’Enel che, nei siti di La Spezia, Fusina, Brindisi e Civitavecchia, vuole sostituire il carbone con il metano. Tutt’altro, insomma, rispetto al “polo delle rinnovabili dal 2025” di cui la nuova maggioranza ha parlato in campagna elettorale. Un argomento che mette in ansia anche il M5s, di cui i comitati No-Coke civitavecchiese – da sempre per la dismissione della centrale – sono stati fra i primissimi sostenitori nello scorso decennio e che ora attendono pronunciamenti chiari dai due ministri competenti, quello allo Sviluppo Economico, Luigi Di Maio, e quello all’Ambiente, Sergio Costa. Quest’ultimo, nelle scorse settimane, proprio a Civitavecchia ha annunciato “l’uscita dal carbone” senza però soffermarsi sul futuro della centrale.

LA CARBON-STORY – Il carbone si affaccia a Civitavecchia all’inizio degli anni 2000, con il governo Berlusconi che decide di trasformare la storica centrale a olio combustibile di Torre Valdaliga Nord in un sito di produzione energetica a cosiddetto “carbone pulito”. L’ok della città arriva il 25 marzo 2003, quando il consiglio comunale a maggioranza di centrodestra – sindaco il forzista Alessio De Sio – vota con 19 favorevoli e 10 contrari l’ok alla riconversione. Fra gli assessori c’è proprio Ernesto Tedesco, che ovviamente non votò in consiglio ma disse di ‘si’ in Giunta allo schema di convenzione con la società elettrica. “Ma non è stato mai un carbonaro e le sue battaglie lo dimostrano”, affermano dal suo entourage.

Nonostante le proteste dei no-coke di fine decennio, appoggiate da Beppe Grillo, nel 2008 l’allora ministro allo Sviluppo Economico, Pierluigi Bersani, certifica l’ok definitivo alla centrale, che comincia a bruciare il carbone in arrivo dagli Stati Uniti all’inizio del decennio successivo. Negli anni, il Comune di Civitavecchia stipula con la società elettrica una convenzione che prevede l’investimento di 300 milioni di euro sul territorio per un polo eolico, ma la situazione critica delle casse comunali spinge il sindaco pentastellato, Antonio Cozzolino, nel 2014, a chiedere di trasformare quei fondi in “progetti per la città”. Progetti, fin qui, realizzati solo in minima parte.

LA PHASE-OUT DELL’ENEL – Il carbone torna nell’agenda politica locale nel 2017, quando il premier Paolo Gentiloni indica, nel documento di strategia energetica nazionale, il 2025 come data di uscita dal carbone. Enel si adegua e, in vista dell’apertura di un tavolo nazionale con il Governo, il 15 maggio 2019 – dunque al culmine della campagna elettorale – presenta un piano di “sostituzione progressiva degli attuali impianti a carbone” con “impianti a gas nei siti in cui Enel è oggi presente”. Il tema è subito divisivo. Il metano scontenta tutti. Gli ambientalisti che danno la colpa – mai dimostrata – alle centrali per i 700 tumori all’anno che colpiscono i civitavecchiesi. I sindacati, che vedrebbero crollare l’occupazione dai 2.000 posti assicurati dall’indotto del carbone ai 60-70 che impiegherebbe una centrale a gas.

Così accade l’imponderabile. Il centrodestra sceglie la linea ultra-ambientalista e una parte della coalizione a sostegno di Tedesco invoca addirittura il no al gas, fermo restando il ripristino del “polo delle rinnovabili” e dei 300 milioni di euro spostati dal sindaco pentastellato, mentre il Pd e il suo candidato Carlo Tarantino, sposano la mozione “lavoro” auspicando addirittura una permanenza del carbone “in mancanza di un piano alternativo”. Linea che in parte ha pagato – nonostante la sconfitta – visto che al ballottaggio Tarantino si è preso 2.000 voti dei pentestallati esclusi dal secondo turno. Tutto ciò mentre Matteo Salvini affermava che “non si può dire no a tutto: al carbone, al metano e agli inceneritori. È finito il tempo del no a tutto”.

I DUBBI DEL M5S – In tutto questo, l’ultra ambientalismo della Lega potrebbe andare a scontrarsi con le “frenate” del Movimento 5 Stelle. Perché se il sindaco uscente Antonio Cozzolino si è sempre schierato contro ogni ipotesi di aumento del carbone bruciato – “ma tutelando il più possibile l’occupazione per evitare di creare nuove povertà”, in una città in cui si lavora soprattutto al porto, in centrale e in poche altre attività locali – a livello nazionale i tentennamenti sono più di quelli previsti. Il capo politico Luigi Di Maio, vicepremier e titolare del Mise (dunque il più titolato a pronunciarsi) ancora non ha rilasciato dichiarazioni ufficiali sul tema, avendo aperto un tavolo governativo su tutta la strategia energetica nazionale che riguarda, ovviamente, altri siti in città. A Civitavecchia è andato invece il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, che tuttavia si è soffermato solo sull’uscita dal carbone, senza approfondire il tema della riconversione a metano. “Enel va richiamata al rispetto degli impegni assunti con la città di Civitavecchia. Se da parte dell’azienda ci si volesse limitare alla riconversione a gas, sarebbe inaccettabile”, dice a IlFattoQuotidiano.it Massimiliano Grasso, esponente civico e uno dei principali azionisti della neonata maggioranza di centrodestra.

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M5s, Di Maio: “Vittoria Campobasso? Non ne faccio un trofeo. Siamo vittime nostra fissazione, ci serve organizzazione”

domenica 9 giugno 2019

De Magistris: “Interrogazione M5s per commissariare Napoli? Una vergogna, neppure Mussolini sarebbe arrivato a tanto”

M5s, Peter Gomez a Pop Fest: “Non ha alternative, deve stare lì, pedalare e sperare che ci sia una ripresa economica”

“La prima cosa da fare per un partito di sinistra? Eleggere un segretario donna”. Dal palco della Pop Fest di Milano, il direttore del Fatto.it Peter Gomez si è confrontato con alcuni colleghi sullo scenario politico all’indomani delle elezioni europee: “Il M5s ha un’unica possibilità: stare lì, sperare che in cinque anni ci sia una ripresa economica e dire che è grazie a loro. Non hanno alternative: sono lì devono pedalare”

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M5s, Di Maio vede i consiglieri comunali: “Per loro deroga a regola dei 2 mandati”

Arriva una deroga alla regola dei due mandati, tra i precetti fondativi del M5s, riguarda gli amministratori locali. La breccia l’ha aperta Luigi Di Maio su Facebook: “Oggi pomeriggio ci siamo incontrati con circa cento consiglieri comunali, municipali e di circoscrizione del MoVimento 5 Stelle, uno per ogni provincia in rappresentanza anche di tutti gli altri – ha spiegato il capo politico del movimento – Abbiamo discusso della regola dei due mandati per i consiglieri comunali, municipali e di circoscrizione e siamo tutti d’accordo sul fatto che si può superare. Solo per loro, non per i consiglieri regionali e non per i parlamentari nazionali ed europei”, scrive il vicepremier.

Che sabato ha incontrato a Bibbona il fondatore Beppe Grillo per discutere di come riformare la struttura interna dei Cinquestelle dopo il crollo alle europee e sul social network è tornato ad affrontare l’argomento dell’apertura alle liste civiche: “È un processo da affrontare con cautela, potremmo iniziare delle sperimentazioni se gli iscritti lo vorranno – ha aggiunto – Abbiamo affrontato la proposta di un’organizzazione nazionale, ma anche di una territoriale che sentono ormai necessaria”.

“Ci siamo soffermati anche sulle difficoltà che incontrano tutti i giorni i nostri consiglieri comunali, municipali e di circoscrizione, specialmente quelli all’opposizione, che si devono occupare di tanti temi – aggiunge – dal bilancio, fino all’ambiente e alla mobilità. E per questo è necessario fare più rete, potenziare gli strumenti che già abbiamo e adottarne di nuovi. Dobbiamo potenziare, ad esempio, la tutela legale per difendere i nostri consiglieri dalle querele temerarie e allo stesso tempo per supportarli nei ricorsi che muovono ogni giorno. È stato un incontro importante e ne faremo altri. Nelle prossime settimane sarò in giro per l’Italia per incontrarli di nuovo, assieme agli attivisti e agli altri eletti con incontri in ogni regione. Il MoVimento è di sana e robusta costituzione. È necessario organizzarci al meglio per rendere ai cittadini il miglior servizio possibile”.

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venerdì 7 giugno 2019

Livorno, la Cgil invia una mail ai dipendenti del Comune: “Votate contro il fascismo”. Sindacato: “Niente di strano”

Un attacco alla giunta Nogarin, ai “vecchi e nuovi fascismi” rappresentati dalla Lega e quindi, di conseguenza, l’endorsement per il candidato del Pd, Luca Salvetti. A quattro giorni dal ballottaggio di Livorno, martedì ai dipendenti del Comune è arrivata per posta elettronica una lettera e un comunicato firmati Cgil che invitavano espressamente i propri iscritti (e non) ad allontanare lo spauracchio della destra in città e votare per il candidato Dem che al primo turno ha ottenuto il 34% dei voti. Questa mail però non è andata giù a molti dipendenti di Palazzo Civico – soprattutto tra i non iscritti alla Cgil – che non hanno gradito una richiesta così esplicita del sindacato. Quattro dipendenti comunali hanno rivelato a Ilfattoquotidiano.it di aver ricevuto la mail. “Sì, è vero, abbiamo mandato la comunicazione a tutti – conferma Giovanni Golino, segretario della funzione pubblica Cgil di Livorno – ma è da sempre così e non c’è niente di strano: ogni volta le informazioni sindacali sono rivolte a tutti i lavoratori del Comune”.“È una cosa allucinante che la Cgil tratti il Comune come casa sua – replica il sindaco uscente del M5s, Filippo Nogarin – Qui siamo ai limiti della legge e dell’etica. Siamo veramente al limite del diritto, penso che sia una sconfitta, è veramente brutto e penso che questa città si meriti molto meglio di questi comportamenti”.

La lettera e il comunicato – La mail inviata dall’indirizzo istituzionale della Cgil livornese era composta da un comunicato, “una valutazione sugli esiti del voto e della passata consiliatura”, ma anche da un appello al voto da parte dello stesso sindacato, Anpi e Arci. Nella nota il sindacato critica aspramente la giunta uscente del Movimento 5 Stelle per non aver “ringraziato” i dipendenti del Comune anche “a fronte della mancanza di precise direttive dirigenziali dovuta al parossistico susseguirsi di cambi nella struttura organizzativa”. La Cgil fa riferimento alle riforme della macrostruttura comunale operata dalla giunta Nogarin, finite sotto la lente della Procura di Livorno e criticate dalle opposizioni per l’effetto “negativo” che avrebbero avuto sulla macchina organizzativa del Comune nella notte dell’alluvione. Poi i dirigenti della Cgil livornese si espongono in vista del ballottaggio di domenica: “I livornesi dovranno scegliere tra i vecchi (e nuovi) fascismi e una visione diametralmente opposta della società e dei rapporti umani”.

“Votate per il Pd” – Oltre al comunicato, al corpo del testo è stato allegata anche una lettera firmata da Cgil, Anpi e Arci della provincia di Livorno ancora più dura nei confronti del centrodestra a trazione leghista rappresentato da Andrea Romiti: “È un dovere etico e politico sbarrare la strada a una destra pericolosa, reazionaria e illiberale – si legge – Facciamo quindi appello agli elettori, ai militanti di forze politiche, movimenti, liste civiche e a quanti si riconoscono nei valori dell’antifascismo, dell’antirazzismo e nei principi fondativi della nostra Carta Costituzionale a votare e far votare, in occasione dei ballottaggi del 9 giugno, le candidate sindaco e i candidati sindaco della provincia di Livorno che da sempre si riconoscono in questi principi”. Ovvero i candidati di centrosinistra che domenica andranno al ballottaggio: Luca Salvetti a Livorno, Anna Tempestini a Piombino, Samuele Lippi a Cecina, Daniele Donati a Rosignano Marittimo e Adelio Antonini a Collesalvetti.

L’indicazione di voto anche ai non iscritti – Mercoledì a Palazzo Civico tirava una brutta aria e non si parlava d’altro: molti dipendenti non iscritti alla Cgil hanno ricevuto l’indicazione di voto, si sono lamentati e alcuni di loro hanno addirittura chiesto espressamente al sindacato di non ricevere più alcuna comunicazione. Il segretario della funzione pubblica Cgil Giovanni Golino però spiega che quello di mandare comunicazioni sindacali a tutti i dipendenti del Comune è un modus operandi consolidato: “Noi abbiamo un indirizzo broadcast che ci permette di girarlo a tutti i lavoratori – continua – quindi non esiste un problema di privacy perché noi non abbiamo tutti gli indirizzi mail”. Ma è normale che un lavoratore iscritto alla Cisl o alla Ugl debba ricevere i vostri comunicati? “Sì, lo è – dice -, ma se vogliono possono espressamente segnalarcelo e noi li togliamo dalla mailing list”. “Quando siamo così al limite del diritto – conclude al Fatto.it Nogarin – è una sconfitta per tutti ed è veramente una brutta cosa. Livorno merita molto meglio di questi comportamenti”.

Il ballottaggio a Livorno – Domenica prossima i livornesi andranno alle urne per un ballottaggio storico: dopo la sconfitta al primo turno del M5s che qui ha governato negli ultimi cinque anni, la partita si giocherà tra il candidato Pd Luca Salvetti e il poliziotto di centrodestra Andrea Romiti. Aghi della bilancia saranno gli elettori dei 5 Stelle e di Buongiorno Livorno, lista civica di sinistra arrivata quarta al primo turno con il 14%. I grillini, pur corteggiati da Romiti, non hanno dato indicazioni di voto mentre Bl ha chiesto ai suoi elettori di arginare la destra in città e votare per Salvetti. La partita però è ancora aperta.

Twitter: @salvini_giacomo

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Il Pd può essere l’alternativa solo di se stesso. Ma per ora di sinistra non si parla proprio

mercoledì 5 giugno 2019

M5s, bilancio dell’Associazione Rousseau in attivo ma debiti per quasi 500mila euro

Conti in attivo per l’Associazione Rousseau nel 2018. Secondo l’ultimo bilancio, quello chiuso il 31 dicembre scorso (il terzo in ordine di tempo), la piattaforma digitale del Movimento 5 Stelle ha concluso l’esercizio con un avanzo di gestione pari a 57mila 573 euro e un “patrimonio netto positivo” per 2.188 euro. L’Associazione, presieduta da Davide Casaleggio, è molto ‘liquida’: i depositi bancari e postali, infatti, ammontano a 404mila 558 euro, cui vanno aggiunti 86 euro in ‘denaro e valori in cassa’, per un totale di 404mila 644 euro. Un vero e proprio tesoretto, che però viene ‘superato’ dal totale dei debiti, pari a 497mila 754 euro.

Tra le passività spiccano i ‘debiti verso fornitori’ stimati in 352mila 96 euro, rispetto ai 129mila 406 euro di ‘debiti tributari correnti’. Nella relazione al rendiconto sottoscritta da Casaleggio vengono citati alcuni “fatti di rilievo” verificatisi dopo la chiusura dell’esercizio. In particolare si segnala “la pubblicazione di una nuova piattaforma di voto nel mese di marzo per aderire alle richieste privacy e alle richieste di volumi di partecipazione degli iscritti”: sistema che “è stato utilizzato per il voto delle europarlamentarie”. In seguito alla pubblicazione del nuovo sistema “il Garante della Privacy – si legge sempre nella relazione – ha ritenuto di inviare una sanzione di 50mila euro per irregolarità individuate lo scorso anno“. A marzo “è stato inoltre completato il prototipo per il voto su blockchain messo a disposizione della comunità di sviluppatori perché possa essere testato e valutato”. Per quanto riguarda il futuro, “durante il 2019 si prevedono investimenti ulteriori per il miglioramento dell’infrastruttura sul fronte della sicurezza e della scalabilità ed il rilascio di nuove funzionalità a supporto degli iscritti”.

L’associazione ha incassato un milione 124mila 54 euro nell’anno 2018 sotto forma di “contributi da persone fisiche” dove spiccano i circa 700mila euro versati da deputati e senatori. Ammontano a 119mila 800 euro, invece, i contributi “da associazioni, partiti e movimenti politici” ricevuti dalla no-profit di Via Gerolamo Morone. E se i proventi delle “attività editoriali, manifestazioni e altre attività” si attestano a 2mila 731 euro, i contributi da “altri soggetti esteri” (che riguardano le donazioni da persone fisiche di valore inferiore a 5mila euro) toccano quota 7mila 446 euro: dagli Stati Uniti, ad esempio, sono arrivati 2mila 870 euro, mentre proviene dal Belgio una donazione di 2mila e 11 euro. Nel bilancio si legge nel dettaglio che “i contributi da persone fisiche” riguardano principalmente “il contributo per le piattaforme tecnologiche per l’attività dei gruppi e dei parlamentari” ed “il contributo per lo Scudo della rete avviato nel 2018”. Solo grazie ai versamenti dei parlamentari – che, come prevede il regolamento interno, sono tenuti a sborsare 300 euro a testa ogni mese per sostenere la piattaforma Rousseau – l’Associazione presieduta da Casaleggio ha incassato 699mila 844 euro. Il contributo per lo Scudo della rete – funzione che ha come obiettivo quello di fornire la difesa legale a iscritti ed eletti M5S dalle cause intentate contro di loro – raggiunge la cifra di 257mila 992 euro. Nella relazione è inoltre specificata l’entità delle donazioni inferiori a 5mila euro (154mila 800 euro) e di quelle superiori (11mila 391 euro) e viene chiarita la natura delle “contribuzioni da associazioni, partiti e movimenti politici”: quest’ultima voce riguarda la “devoluzione del residuo fondo del Comitato eventi nazionali creato nel 2017”, pari a 119mila 800 euro.

Tra le voci di spesa si trovano impianti e attrezzature come la struttura Mouse (47mila 464 euro), tensostruttura gonfiabile utilizzata nelle varie tappe del Rousseau City Lab; un raffrescatore (1.846 euro); un estintore (83 euro). E ancora: oltre 8mila euro per ‘computer e telefoni’ più 1.199 euro per ‘altre apparecchiature ufficio. L’Associazione spende per servizi telematici 144mila 838 euro e circa 90mila euro per attività editoriali, di informazione e comunicazione, a cominciare dal nuovo Blog delle Stelle, stimato 17mila euro. Nel dettaglio, 26mila 245 euro sono stati investiti per il ‘Sistema Ocr’, mentre costano 12mila 300 euro il ‘Sistema gestione selezione’ e 976 euro il ‘Sito Academy’. Per la ‘nuova infrastruttura softwarè sono stati spesi 33mila euro. Rousseau sborsa per l’affitto dei locali in uso 29mila 780 euro (tecnicamente si tratta di ‘affitti passivì), mentre versa quasi 5mila euro per ‘altri noleggì e 230mila 676 euro per il ‘personale dipendente’. In particolare, gli stipendi rappresentano un onere di 176mila 74 euro.Ci sono poi 272mila 972 euro spesi per supporto legale “a tutela del garante Beppe Grillo“, dell’Associazione Movimento 5 Stelle. Nel dettaglio, questi costi comprendono le voci ‘spese legali’ (176mila 651 euro), ‘accantonamenti per rischi’ (70mla euro), ‘contributi per Associazione Movimento 5 Stelle e Comitatì (26mila 321 euro). Spulciando il rendiconto, si apprende che le spese ‘per infrastruttura’ toccano quota 220mila 318 euro, mentre quelle per ‘comunicazione e organizzazione eventi’ si attestano a 87mila 858 euro.

 

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L’appello di Conte è un buco nell’acqua. E all’orizzonte si profila una sola via d’uscita

lunedì 3 giugno 2019

Ballottaggi, il caso Malnate (Varese): l’intervento di Di Maio fa saltare l’accordo dei 5 Stelle locali con Lega, Fi e FdI

C’è voluto “un documento direttamente dal capo politico” del Movimento 5 Stelle per sventare un apparentamento senza precedenti tra i 5 Stelle e i partiti di centrodestra che, seppur in una piccola realtà locale, avrebbe certamente creato una polemica nazionale. Alla fine però, lo strano “caso” della quadruplice alleanza a Malnate (Varese), si chiude prima dei ballottaggi della prossima settimana.

I fatti. Si sfideranno per la poltrona di sindaco la candidata del centrodestra, Daniela Gulino, sostenuta da Lega e Forza Italia e quella del centrosinistra, Irene Bellifemmine, che partiranno rispettivamente dal 45,02% e dal 39,99% del primo turno. Domenica mattina, però, la coalizione di centrodestra si è modificata in maniera clamorosa. Il volto storico locale del Movimento 5 Stelle, Giovanni Gulino, papà della candidata leghista, si è presentato in Comune firmando il documento che certifica l’apparentamento con la coalizione guidata dalla figlia. Un’ora più tardi negli stessi uffici si è presentato anche il referente di Fratelli d’Italia, Sandro Damiani, allargando ulteriormente la coalizione con un secondo apparentamento. In un lampo la leghista Daniela Gulino si è ritrovata sostenuta, oltre che da Lega e Forza Italia, anche da Fratelli d’Italia e dal Movimento 5 Stelle.

La strategia politico-familiare ha scatenato un vero e proprio putiferio nel cuore del Movimento locale con il candidato sindaco, Domenico Mancino (7,24% al primo turno), risentito per un’alleanza che a suo dire era stata architettata a sua insaputa, oltre che non gradita. Mancino, infatti, durante la campagna elettorale più volte aveva ribadito che il Movimento 5 Stelle dopo il primo turno non avrebbe fatto alcun apparentamento. Zero inciuci. Il Movimento si è espresso contro Gulino che si è difeso in un lungo comunicato nel quale ha spiegato come si era arrivati al discusso apparentamento: “All’incontro fissato con la Lega – si legge – è intervenuto un un fatto strano: il candidato sindaco Mancino lo ha disdetto dicendo che non è possibile fare alcun ragionamento in quanto le “regole” del Movimento non lo consentono. Di fronte a tale fatto è stata svolta una riunione di iscritti e simpatizzanti che ha deciso di confermare l’incontro anche con la Lega”. Al termine del quale “il Movimento ha proposto di concordare un contratto di governo così come è stato fatto a livello Nazionale, previa consultazione degli iscritti. La delegazione della Lega ha risposto di Sì”.

Gulino ha spiegato di aver fatto la stessa proposta al centrosinistra che però non aveva accettato, provando a scrollarsi di dosso i sospetti di aver aver aver fatto questa scelta per favorire la figlia. Sulla vicenda è intervenuto anche il deputato Matteo Bianchi, punto di riferimento della Lega in provincia di Varese: “Malnate è da sempre una sorta di Stalingrado del Varesotto, una roccaforte del centrosinistra. Abbiamo messo insieme tutto il centrodestra chiedendo al Movimento 5 Stelle di agire sull’impostazione del contratto di governo nazionale. Ho chiesto alla segreteria nazionale che ha accolto questa possibilità”. Ma la situazione si è fatta sempre più incandescente tanto che lunedì pomeriggio c’è stata un’ulteriore svolta, che ha messo la parola fine all’ipotesi di apparentamento usando il simbolo dei 5 Stelle: “Ho ricevuto un documento – ha fatto sapere Gulino padre – a firma del capo politico Luigi Di Maio che mi ha chiesto di ritirare la richiesta di apparentamento. Sto provvedendo in questo momento”.

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Whirlpool, Calenda: “Di Maio non va ai tavoli di crisi, ha tolto una persona valida e ha messo un incapace, Sorial del M5s”

I tavoli di crisi sono fuori controllo, Di Maio arrogantemente ha tolto una persona che sapeva fare quel lavoro molto bene e ci ha messo un incapace, Giorgio Sorial del M5s, che non è stato eletto“. Così l’europarlamentare di Siamo Europei-Pd, Carlo Calenda, ospite di 24 Mattino (Radio24), risponde a una domanda di Oscar Giannino in merito alle chiusure di Mercatone Uno e Whirlpool.

L’ex ministro dello Sviluppo Economico spiega: “Non è che la colpa della decisione di Whirlpool è di Di Maio, ci mancherebbe. La colpa enorme di Di Maio è che lo viene a sapere dalla stampa. E’ una cosa inimmaginabile. La verità è che ai tavoli di crisi non ci sta più nessuno. E il ministro Di Maio non ci va, non si sa il perché. E’ stato sostituito un signore, Giampiero Castano, che non era certamente un uomo mio, lo trovai quando diventai ministro. Castano da 20 anni con grande perizia seguiva ai tavoli le crisi aziendali, monitorando il tutto”.

E aggiunge: “Il ministero dello Sviluppo Economico è stato occupato “manu militari” da persone che in vita loro non hanno mai fatto questo lavoro. Risultato? Si apprende del Mercato. ne Uno dopo che è andato in fallimento, cosa assurda perché si tratta di vigilanza commissariale e i commissari hanno un anno di vigilanza successiva. E la stessa cosa è successa per Whirlpool”.

Calenda sottolinea: “Nessuno dà a Di Maio responsabilità che non ha. Ma ne ha una gigantesca: non si siede ai tavoli di crisi. Nessuno segue più questi tavoli, lo ha detto anche Marco Bentivogli l’altro giorno. Di Maio nega? Veramente lui non ci va ai tavoli. Fa venire a Roma a spese loro quelli di Alcoa, che è gente tosta. E non li incontra. Ma come si permette? Perché pensa di potersi permettere una cosa del genere?”.

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Ballottaggio Livorno 2019, alleati cercasi. Pd chiede e ottiene l’appoggio a sinistra. La destra guarda al M5s che rifiuta

Vincere al ballottaggio del 9 giugno e riconquistare Livorno dopo cinque anni di governo del Movimento 5 Stelle. Anche a costo di fare alleanze improbabili o imbarcare forze politiche molto lontane tra loro. È questa la strategia che il centrosinistra di Luca Salvetti e il centrodestra di Andrea Romiti stanno adottando in vista del secondo turno di domenica prossima. Il Pd ha chiesto alla lista di sinistra Buongiorno Livorno di stringere un accordo programmatico in vista del ballottaggio, ricevendo la richiesta di un apparentamento che, però, non è stata accettata. Dall’altra parte, il candidato in quota Fratelli d’Italia, Andrea Romiti, ha provato a chiedere un accordo alla vicesindaca e candidata del M5s, Stella Sorgente, ma questa ha rifiutato rendendo pubblica la telefonata. Venerdì però Romiti non si è arreso e ha convocato una conferenza stampa per corteggiare gli elettori grillini: “Per rinnovare Livorno si deve ripartire anche dalle cose buone fatte dall’amministrazione 5 Stelle” ha detto Romiti.

Le divisioni a sinistra – Subito dopo i risultati del primo turno, in città si era iniziato a parlare di un “fronte democratico” per fermare l’avanzata del centrodestra a trazione leghista che ha raggiunto il ballottaggio per la prima volta nella storia di Livorno. Gli aghi della bilancia al secondo turno sarebbero stati inevitabilmente Buongiorno Livorno (14,3%) e il Movimento 5 Stelle (16,4%), ma con i grillini il Pd livornese non vuole parlare e quindi ha provato a lanciare l’amo alla lista alla propria sinistra.

E così il candidato del Pd, Luca Salvetti, ha chiesto un incontro al leader di Bl, Marco Bruciati, per scrivere insieme un “accordo politico programmatico” su cinque grandi temi per la città. L’assemblea di Buongiorno Livorno ha detto “sì” all’offerta ma rilanciando: “Accettiamo ma con un apparentamento al ballottaggio per entrare nella coalizione di centrosinistra”. Una condizione che il Pd di Salvetti non ha accettato per una semplice ragione numerica: con l’apparentamento e la vittoria al secondo turno, le opposizioni avrebbero più seggi in consiglio comunale (7 invece che 6 la Lega e 4 invece che 3 il M5S) e il Pd dovrebbe rinunciare a 4 sui 18 consiglieri a favore proprio di Bl. Alla fine quindi è saltato sia l’accordo politico che l’ipotesi dell’apparentamento. È rimasta solo l’indicazione di voto data dalla lista di sinistra ai propri elettori: “Invitiamo a votare contro questa destra – hanno detto i rappresentanti di Bl dopo l’incontro di venerdì con Salvetti – anche se la nostra disponibilità ad andare a rafforzare la coalizione del centro-sinistra in occasione del testa testa con la Lega non viene colta, purtroppo”.

Romiti tenta l’accordo con il M5S – Dall’altra parte, il centrodestra di Andrea Romiti (27% al primo turno) nel fine settimana ha provato ad avvicinare il Movimento 5 Stelle telefonando alla ex candidata Sorgente per proporgli un accordo politico sulle “cose buone fatte” dalla giunta Nogarin. La vicesindaca di Livorno, però, ha rifiutato rendendo pubblica la telefonata sul suo profilo Facebook: “Andrea Romiti mi ha proposto un incontro ‘segreto’ nel quale poter parlare di alcune ‘cose buone’ che ha fatto la giunta uscente e che potrebbero essere portate avanti da lui in caso di vittoria – ha denunciato Sorgente – Gli ho prontamente risposto che il prossimo sindaco, chiunque sia, dovrebbe portare avanti le ‘cose buone’ fatte da questa giunta per il bene della città e non in funzione di accordicchi dell’ultimo minuto. E che, se non lo farà, avrà la giusta opposizione in consiglio comunale da parte nostra”.

Romiti, che negli ultimi giorni ha ricevuto a Livorno le visite di Daniela Santanchè, Susanna Ceccardi e anche Giorgia Meloni, non ha nascosto di aver cercato il M5s iniziando a corteggiare i suoi elettori: “Se ci sono alcune cose ci accomunano ai 5 Stelle una è di sicuro la lotta alle lobby, agli amici degli amici, al clientelismo che ha tarpato le ali allo sviluppo economico e culturale della città per decenni”, ha detto in conferenza stampa prima di elencare i punti in comune con il programma dei grillini (porto e ospedale su tutti). Il M5S non darà indicazioni di voto al ballottaggio e al momento vive un conflitto interno: storicamente la sua base livornese è molto vicina al mondo della sinistra che un tempo votava Pci (poi Ds e Pd), ma allo stesso tempo a livello nazionale governa con la Lega e sarebbe quantomeno imbarazzante dare un’indicazione di voto opposta al suo alleato attuale. Per questo il M5s ha deciso di rimanere fuori dalla partita del ballottaggio.

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Governo M5s-Lega, Conte: “Ho alcune cose importanti da dire agli italiani”. Centinaio: “O fa il miracolo o si va al voto”

Ha convocato una conferenza stampa perché ha “alcune cose importanti da dire a tutti voi“. E quel “tutti voi” sono gli italiani. Il presidente del consiglio, Giuseppe Conte, decide di rivolgersi al popolo per uscire dall’impasse di governo. E quelle cose importanti da dire sono rivolte ai cittadini, certo. Ma anche e soprattutto alla Lega e il Movimento 5 stelle.

A borse chiuse – conferenza stampa convocata alle 18 e 15 – il premier detterà le sue condizioni alle due forze di governo per continuare a guidare l’esecutivo reduce da un lunghissimo corpo a corpo in campagna elettorale, e mai pervenuto dopo le Europee. Luigi Di MaioSalvini, a parte l’evento dell’uno giugno al Quirinale, non parlano da quasi due mesi.  Conte intende riunirli a Palazzo Chigi entro la fine della settimana (“martedì parto per tre giorni per il Vietnam per il congresso euroasiatico, così i due alleati avranno il tempo di smaltire l’uno l’euforia e l’altro le tossine elettorali”), perché mettano sul tavolo le proprie intenzioni. L’alternativa è semplice: o il governo va avanti almeno fino alla legge di Bilancio, ma alle sue condizioni, o è meglio votare subito, secondo il calendario concordato con Sergio Mattarella (Camere sciolte a luglio, elezioni a settembre e Finanziaria affidata a chi le vince).

“Auspico che il presidente Conte faccia un miracolo. Continuo a essere dell’idea che la campagna elettorale è finita e i toni si devono abbassare. Il premier deve ricominciare a far parlare la politica, e soprattutto i due contraenti del contratto, di cose concrete”, dice il ministro Gian Marco Centinaio, aggiungendo che da parte della Lega “c’è la buona volontà, ma se non ci dovessero essere le condizioni, se non si riesce a mettersi d’accordo, non vedo alternativa a elezioni“. Secondo il ministro dell’Agricoltura se il governo non riparte la Lega è pronta al voto perchè “in Parlamento non ci sono numeri per governo con Berlusconi e Meloni, sennò l’avremmo già fatto”. In autunno, però, ci sarà una manovra complicata da gestire, ma in cui la Lega vuole inserire a tutti i costi la flat tax, anche a rischio di scontrarsi con l’Europa. “Ci sono altri Paesi che – risponde Centinaio – sono messi nelle nostre condizioni e hanno fatto saltare il deficit. Se lo fanno gli altri perché non possiamo farlo noi? Se lo fa la Francia, non vedo perché non lo possa fare l’Italia”.

L’esponente della Lega è poi tornato sull’intervento di Roberto Fico, che ieri aveva dedicato la festa della Repubblica “a tutti quelli che si trovano sul nostro territorio”, e quindi anche “ai migranti, ai rom, ai sinti, che sono qui ed hanno gli stessi diritti“. “La battuta del presidente della Camera durante quell’evento era inappropriata – dice Centinaio – Se diciamo che il 2 giugno è la festa degli italiani vuol dire che intendiamo tutti gli italiani a 360 gradi, quindi se uno va a precisare che l’italiano deve essere sinti o rom, lombardo o piemontese, cattolico o musulmano, vuol dire che vuoi creare polemica. L’ha fatto perché aveva bisogno di visibilità in un momento in cui tutti stavano intervistando altri e non lui”. La dichiarazione di Fico era stata un assist per Matteo Salvini, subito pronto ad attaccare l’alleato dei 5 stelle: “Qua c’è gente che rischia la vita per difendere l’Italia nel mondo e sentire il presidente della Camera che si tratta della festa dei migranti e dei rom a me fa girare le scatole“.

Anche per questo motivo lo stesso Luigi Di Maio si era smarcato dalle parole di Fico. “Io e Roberto su queste questioni siamo molto diversi e non è una novità. Io non avrei mai alimentato questa polemica di distrazione di massa sui migranti il 2 giugno. È una sua opinione, lui è il Presidente della Camera, io il capo politico del M5s”. Secondo il Corriere della Sera, ieri, il ministro dello Sviluppo Economico era “molto arrabbiato” per le frasi di Fico. “Inaccettabile strumentalizzare la festa del 2 Giugno in un momento così delicato. io non avrei mai detto quella frase”, si è sfogato il capo politico del M5s convinto che Fico abbia di proposito provocato Salvini “per sfasciare tutto”. Anche per questo motivo Di Maio ha telefonato a Fico, per un chiarimento.

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