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giovedì 29 aprile 2021

Conte-Letta, il segretario Pd: “Convergenza con M5s e Leu arriverà nel tempo, obiettivo sono le politiche. Amministrative tappa intermedia”

“La convergenza tra M5s, Pd, Leu è avvenuta prima sull’azione che sul pensiero”, così il segretario dem, Enrico Letta, intervenendo all’iniziativa “Verso le Agorà”, con Giuseppe Conte e Goffredo Bettini. Secondo il segretario in questo percorso di convergenza, ora sta cominciando “una convergenza di dibattito e di pensiero”. E specifica: “Le amministrative saranno una tappa di un percorso, ma l’obiettivo principale, verso questa idea di Italia, saranno le politiche del 2023″. Secondo Letta “ci sarà una convergenza che arriverà nel tempo” e quindi “le amministrative saranno un momento importante” che “non ho timore di vivere in questa logica di tappa intermedia” verso un’idea di progetto comune.

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M5s, Conte: “Nei prossimi giorni grande evento con gli iscritti sullo statuto e verranno eletti i nuovi organi di vertici”

“Il nuovo M5s? Prima è giusto dare i dettagli a tutti gli iscritti al M5s e poi annunciarlo. Ormai i tempi sono maturi e nei prossimi giorni sarà fissato un grande evento in cui coinvolgere gli iscritti. Discuteremo del nuovo statuto, verranno eletti nuovi organi di vertici”. Così l’ex presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, al Festival del Lavoro. “Non ho rimpianti, cerco sempre di impegnarmi tanto nelle cose che faccio quindi difficilmente lascio strascichi. Il mio principale desiderio è poter dare un contributo al M5s, ovviamente se il mio progetto sarà approvato e se mi sarà riconosciuto un ruolo. Abbiamo il cuore per farlo”, ha concluso.

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mercoledì 28 aprile 2021

M5s, Di Battista: “Sta un po’ perdendo di vista la realtà. Questo governo è piuttosto scadente. Futuro in politica? Vedremo dopo settembre”

Il Movimento 5 Stelle che sta “perdendo di vista un po’ la realtà”, il governo “piuttosto scadente”. E un futuro in politica non escluso: “Vedremo dopo settembre”. Alessandro Di Battista, ospite a Zona bianca su Rete 4, risponde a tutto tondo sull’attualità politica, sul M5s di Giuseppe Conte e sulle sue scelte nei prossimi mesi. “Credo che il Movimento stia perdendo di vista un po’ la realtà, così come tutte le forze politiche che stanno sostenendo questo governo, per me piuttosto scadente”, dice.

“Io ho amici che stanno chiudendo le loro attività e non noto più – attacca l’ex deputato che ha abbandonato i Cinque Stelle – che il Movimento stia combattendo come un tempo a sostegno soprattutto della classe media e a sostegno delle persone che vivono maggiormente in difficoltà”. E sul futuro dei pentastellati aggiunge: “Ce l’ho messa tutta per fargli capire che la linea che si doveva seguire era un’altra. Io ho lasciato il Movimento 5 Stelle perché non mi ritrovavo più”.

Per quanto riguarda il suo rientro sulla scena della politica attiva, l’ex deputato M5s non chiude le porte: “Non lo so, io fino a fine settembre porto avanti le mie cose personali, sono anche battaglie politiche che ho scelto anche rinunciando a poltrone importanti. Il futuro vedremo. A fine settembre farò le mie valutazioni e deciderò. Non sono tenuto a fare politica per tutta la vita”, spiega di non aver “mai escluso” un ritorno. “Io quello che escludo è che baratterò le mie idee per poltrone o incarichi importanti, quelle non le baratterò mai, mai”.

Interpellato sulla guida dei Cinque Stelle da parte dell’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, Di Battista dice: “Gli faccio un in bocca al lupo. Io con Conte ho un rapporto molto leale e schietto, è una persona che stimo e, che dire, io ho deciso di aderire al Movimento 5 Stelle in virtù di una differenza con le altre forze politiche, in virtù di una diversa visione, regole diverse, anche etiche e una lotta alla politica professionista. Detto questo, parlate con una persona che non si è ricandidata”.

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Rousseau si separa dal Movimento: ora cosa rimane?

Il punto è arrivato. Il sipario si è chiuso. Il Movimento 5Stelle non esiste più. A sancirlo definitivamente la rottura fra Casaleggio e i restanti pezzi del Movimento grillino. La cara, nel vero senso della parola, piattaforma Rousseau non farà più parte dei grillini. Chiusa per paventati debiti dei parlamentari 5Stelle.

La storia dei grillini dovrà essere studiata per capire come la società italiana abbia potuto dare credito ad un comico poco amato e abbia potuto eleggere cittadini a mio avviso privi di competenza solo per un simbolo di finto cambiamento.

Un Movimento nato da Casaleggio padre ed incarnato dal viso e dal carattere di Beppe Grillo. Un radicale e volgare cambio nella comunicazione che ha coinvolto il sistema dell’informazione non solo televisiva ma anche istituzionale con Casalino. Si potrà fare un film su quello che è accaduto in questi anni. Un Film storico drammatico. E la storia si ripete sempre, come diceva Aristotele. I cittadini italiani hanno creduto, per colpa dei vecchi partiti e della solita classe dirigente, che Grillo fosse il classico salvatore della patria. E su questo teorema tutti sono andati dietro assecondando un modo verbalmente violento di fare politica.

La tv si è inchinata e genuflessa all’ondata di populismo e non ha posto resistenza alle evidenti esagerazioni dei grillini. Sono stati eliminati i programmi di confronto e approfondimento serio e si è dato spazio a monologhi ed opinionisti di facciata ma super tifosi dei grillini. Il tutto con la speranza di ottenere poltrone e posti di sottogoverno. La Rai da servizio pubblico è diventata oggetto di occupazione grillina. Vecchi i ricordi in cui Grillo diceva che la Rai doveva essere liberata dai partiti.

Se si avvolgesse il nastro del tempo le contraddizioni dei grillini sarebbero numerosissime. Le abbiamo dette e ormai superate. Dal grido di onestà al garantismo per se stessi. Il tutto con il video finale di Grillo in difesa non tanto del figlio accusato di stupro di gruppo ma in attacco della ragazza che ha denunciato. Un video che ha finalmente mostrato, se ci fosse ancora bisogno, chi è Grillo. Il tutto ben ricordando che la Giustizia è stata governata dai grillini dal 2018 fino a qualche mese fa. Insomma, oggi la situazione è questa.

Un Movimento che ufficialmente aveva votato sulla piattaforma Rousseau, qualche mese fa, per attribuire la direzione del Movimento ad un Direttorio. A seguito è rimasto reggente tale Vito Crimi ma di fatto esautorato. Poi, Grillo ha investito Conte di nuovo capo del Movimento. E qualche giorno fa Casaleggio ha staccato la spina della sua piattaforma. Seguiranno battaglie legali per debiti, schede iscritti e altre cose da prima repubblica. Praticamente il delirio totale.

Cosa è rimasto dei grillini adesso? Intanto sarà difficile chiamarli ancora grillini. Chi rimarrà e con chi e per cosa. Chi rappresentano? I grillini al Governo a chi rispondono? A Beppe Grillo? A Casaleggio o Conte? La politica dei grillini qual è oggi? Quella espressa da Grillo nel suo ultimo video? Quella dell’avvocato del popolo che oggi è in lotta con gli articoli del giornale Domani che parlano delle consulenze da capogiro a favore di Conte? Quella di Casaleggio?

Insomma è chiara una cosa, il Movimento non esiste più. Conte cercherà di prendere il ruolo di nuovo capo del Movimento senza aver avuto alcuna legittimazione ma soprattutto senza alcuna coerenza politica. Tutti gli iscritti alla piattaforma non saranno più consultati e difficilmente si saprà chi sono. Il nulla cosmico. Il vuoto assoluto. Una finzione che a breve sarà spazzata via dalla cruda realtà. Buona parte dell’Italia ha seguito e dato credibilità ad un personaggio che si è dimostrato per quello che era. Una farsa, una fise tragicomica di un Movimento che nella stessa sua scrittura nascondeva la verità: Mo Vi Mento. E così ha fatto. Chiuso il sipario.

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martedì 27 aprile 2021

Santoro a La7: “Oggi in tv il conformismo è ovunque. M5s? Mi sarei aspettato rivoluzione in Rai e invece si sono accomodati sulle poltrone”

“È ovvio che la tv mi manchi. È il mio lavoro, mi sento ancora capace di fornire ancora qualche contributo. Ma evidentemente un personaggio come me, in una situazione dove mi sembra dominare una sorta di conformismo che si estende sulla televisione come una cortina di fumo, è un po’ difficile da governare”. Sono le parole di Michele Santoro, ospite di “Otto e mezzo”, su La7.

E aggiunge: “Mi aspettavo che l’era dei 5 Stelle avrebbe portato una lotta contro la censura, una trasgressione violenta nella Rai. E invece si sono immediatamente accomodati sulle poltrone, piuttosto che riformare il servizio pubblico. Avrei visto bene Marco Travaglio direttore del Tg1, perché così si fanno le rivoluzioni. È un anno e mezzo che vedo tutte le edizioni dei tg e si concludono tutte con persone che non hanno niente da ridire sulla politica dei vaccini e su altro. Nel Paese c’è un’area critica e di dissenso molto ampia che non viene assolutamente rappresentata in tv”.

Staffilata del giornalista sulla Rai: “Non c’è più Rai Tre e non so se esista ancora la Rai. L’informazione della Rai, quando c’ero io, era di gran lunga la più forte di tutte le altre sul piano dell’approfondimento. Andavamo in onda contemporaneamente io, Gad Lerner, Giovanni Minoli e Bruno Vespa in seconda serata. E la Rai faceva il 70% di ascolti in quella fascia oraria. L’hanno demolita, perché il problema erano i target. Adesso fanno programmi che fanno l’1% e nemmeno si pongono il problema del perché”.

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Il nuovo M5s dovrebbe lanciare un vero e proprio processo di liberazione

Il nuovo Movimento 5 Stelle deve lanciare un modello eco-sociale che diventi un manuale di sopravvivenza della specie umana e della costruzione del vero benessere di ogni individuo su questo pianeta. Deve esserlo per noi, così come per i nostri fratelli minori, figli, amici. Un processo di liberazione non solo dai poteri forti, ma anche da quella produzione e quel consumo che stanno logorando la terra che abbiamo sotto i piedi, l’aria che respiriamo e l’acqua che beviamo. Inesorabilmente.

Intraprendere questa rotta non è più solo una esigenza di scelta politica ma diventa una ineluttabile esigenza scientifica, delle leggi della fisica, della biologia, di tutte le scienze umanistiche e scientifiche che ci dicono ogni giorno che il nostro modello sociale ed economico fa acqua da tutte le parti, producendo crisi climatiche, crisi pandemiche nutrite dalle disuguaglianze e che può portare al collasso della società umana e del suo habitat così come lo conosciamo entro il 2050, data stabilita da tutti gli obiettivi europei e internazionali (Sustainable Development Goals, gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, European Green Deal).

Di quale società allora abbiamo bisogno, quale sguardo deve alzarsi, quali paesaggi sociali deve agognare una intera comunità globale che è fatta di migliaia di ecosistemi locali, ma tutti uniti da un destino planetario? Quello che è certo è che le trasformazioni devono seguire un metodo rivoluzionario perché non abbiamo più tempo. Abbiamo, invece, dati ed analisi calcolati ogni anno da scienziati e istituti internazionali su ogni fattore ambientale, sociale ed economico.

In Italia l’Istat calcola il Bes – Benessere Equo e Sostenibile – e ci mostra già oggi una mappa dell’Italia dove esistono ecosistemi ricchi di benessere, ecosistemi equilibrati e sostenibili ed altri totalmente deprivati di benessere, con vivibilità insostenibile e ricchi di disuguaglianze. Possiamo vedere dove agire, dove sono i deserti sociali italiani che fanno più male, in quale realtà la natura è devastata, dove i cittadini sono privi di spazi naturali, di biodiversità e di spazi culturali perché murati nel cemento. È tutto cartografato e geolocalizzato in forma digitale.

Il metodo rivoluzionario richiede un detonatore di liberazione delle persone. Negli spazi delle disuguaglianze e della devastazione deve diventare protagonista un esercito di cittadini liberati dal legame tra reddito e lavoro per creare il legame reddito-vita, il legame reddito-natura, il legame reddito-società, il legame reddito-conoscenza. Lo si fa con il reddito universale capace di coesistere e integrare i redditi saltuari, precari e part time, con il servizio civile universale, e con una rivoluzione nelle scuole e nelle università. L’intero segmento dell’educazione, della formazione e dell’istruzione, i percettori del reddito universale e le generazioni coinvolte nel servizio civile possono occuparsi di straordinari progetti nazionali di riparazione e di rigenerazione, basandosi sui dati scientifici, sul coworking tra professionisti, sulla cooprogettazione di reti sociali, sulla connessione e rigenerazione di spazi naturali e sull’impegno sociale.

Un grande progetto di cura della natura e dell’umanità violentata, partendo dai quartieri di ogni città e le contrade di ogni comune. Un grande progetto per riparare i danni delle precedenti generazioni e riprogettare il futuro sostenibile. Una rivoluzione che attinge agli strumenti della conoscenza e dell’apprendimento dei problemi complessi che ci circondano, in linea con quanto auspicato dal “Pensiero complesso” di Edgar Morin.

Se oggi vige il primato delle regole economiche che deformano la vita sociale, che a sua volta annienta il nostro habitat, essenziale è ora ribaltare le sfere di influenze secondo il “Russian doll model” di Roger Levett del 1998, declinando tutto in cerchi di benessere: benessere ambientale, che include il benessere sociale, che include quello economico. È l’unica nostra strada di sopravvivenza e anche l’unica strada per un benessere sostenibile.

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lunedì 26 aprile 2021

Sondaggi, dopo il video di Grillo il M5s perde un punto. Con le riaperture cresce la Lega e scende ancora Italia viva: ora è sotto il 2

Nella settimana in cui esplode il caso di Ciro Grillo, il Movimento 5 stelle perde un punto. Secondo l’ultimo sondaggio di Swg per il Tg di La7, il M5s scende al 17,4%: una settimana fa era al 18,4. Cosa è successo negli ultimi sette giorni? È deflagrata la vicenda legata alle accuse di stupro per il figlio del fondatore del M5s. Proprio lunedì scorso Beppe Grillo aveva pubblicato un video sui social per prendere le difese del figlio, sotto inchiesta insieme a tre amici da parte della procura di Tempio Pausania. Un filmato molto contestato che ha avuto come effetto quello di trasformare l’indagine sul figlio in un caso politico.

Per quanto riguarda gli altri partiti, da segnalare che la Lega ha ripreso terreno proprio nei giorni in cui il pressing per le riaperture di Matteo Salvini si è tradotto in un allentamento delle restrizioni anti contagio. Negli ultimi sette giorni il Carroccio guadagna uno 0,6% che lo porta al 21,8. Perde quattro decimali Fratelli d’Italia che scende dal 18 al 17,6%, la stessa percentuale guadagnata da Forza Italia, che ora è al 6,8. Stabile al 19,1% il Pd, mentre guadagna uno 0,3% Sinistra italiana che sfonda il muro del 3 percento. Poco più sopra c’è Azione di Carlo Calenda (al 3,6 in discesa di uno 0,1) mentre toccano i due punti percentuali i Verdi. E Matteo Renzi? Evidentemente il pressing per le riaperture che ha premiato la Lega non ha avuto alcun effetto su Italia viva. Anzi: il partito fondato dall’ex premier perde ancora voti (uno 0,2%) e secondo Swg scende addirittura sotto i due punti percentuali. Per i renziani si tratta di un minimo storico, già toccato nell’aprile del 2020.

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sabato 24 aprile 2021

Minacce al senatore del Movimento 5 Stelle Giovanni Endrizzi e alla sua famiglia per il suo impegno contro il gioco d’azzardo

Gravi minacce nei confronti del senatore del M5S Giovanni Endrizzi e della sua famiglia per il suo impegno contro il gioco d’azzardo. L’esponente grillino ha fatto sapere di aver depositato “denunce alle autorità competenti a tutela dei miei familiari e del diritto e dovere di difendere la libertà di pensiero, a protezione dei più deboli”. Endrizzi, coordinatore del gruppo di lavoro della Commissione parlamentare antimafia sugli interessi della criminalità organizzata nel settore dell’azzardo, è già stato vittima di minacce da parte delle lobby delle scommesse e del gioco d’azzardo. Gli hanno espresso solidarietà, tra gli altri, il ministro delle Politiche Agricole Stefano Patuanelli e quello degli Esteri Luigi Di Maio, che su twitter scrive: “Giovanni Endrizzi si è sempre impegnato con tutto se stesso contro il gioco d’azzardo patologico, e non saranno le gravi minacce di qualche vigliacco a fermarlo. A lui e alla sua famiglia va il mio sincero abbraccio e la mia solidarietà”.

“Con grande rammarico sono costretto a comunicare – ha spiegato il senatore – che da troppo tempo ricevo offese e minacce per il mio impegno pubblico contro il dilagare della piaga sociale ed economica del gioco d’azzardo patologico. Un vero e proprio tarlo della nostra società, che ogni anno sottrae ingenti risorse all’economia e getta letteralmente nel dramma tantissime famiglie”. Endrizzi ha ricordato inoltre “il rischio di un incremento vertiginoso della dipendenza è sempre lì, così come il forte interesse per il settore del crimine organizzato. Chi lavora al contrasto di questo fenomeno viene preso di mira”. E ha spiegato che di recente “le minacce, gravi, sono arrivate a coinvolgere anche la mia famiglia. Come padre, come politico e come Coordinatore del Comitato sui rapporti tra mafia e azzardo presso la Commissione Antimafia, ritengo sia sbagliato tollerare oltre: la misura è davvero colma“. Le minacce sono aumentate dopo aver partecipato a un webinar pubblico il 12 aprile su “Il contrasto al gioco d’azzardo nei comuni”. Al termine del seminario sia il senatore Endrizzi che il consigliere regionale M5S Luigi Piccirillo hanno ricevuto intimidazioni che includevano pure le loro famiglie.

Piena e incondizionata solidarietà” ha espresso l’avvocato Attilio Simeone, coordinatore del cartello “Insieme contro l’azzardo”, che ha approfittato dell’occasione per chiedere di “regolamentare il settore dell’azzardo di Stato dai contorni sempre più ambigui“. Simeone ricorda che il senatore Endrizzi “in questi anni ha portato avanti una battaglia non facile che lo ha visto discutere animatamente anche all’interno del M5s”. E invita i leader dei partiti di governo e di opposizione “a fare quadrato attorno ad una persona seria, comunque la si pensi politicamente. A lui e alla sua famiglia il mio personale abbraccio assicurandogli ogni sostegno”.

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venerdì 23 aprile 2021

Rousseau, scade l’ultimatum al M5s: “Cambiamo strada. Movimento non ha saldato i debiti, da oggi nostri dipendenti in cassa integrazione”

“‘Associazione Rousseau cambia strada. La scelta è dolorosa, ma inevitabile. In questi 15 mesi abbiamo sollecitato costantemente la risoluzione delle criticità. Per otto lunghi mesi abbiamo richiesto più volte di condividere un progetto comune con responsabilità e perimetri ben definiti dei ruoli reciproci e abbiamo proposto concretamente un accordo di partnership per rafforzare e chiarire il legame tra Rousseau e il Movimento“. Ma stare insieme deve essere una scelta reciproca” e “questo, purtroppo, non si è verificato”. Con queste parole l’associazione Rousseau sul blog delle Stelle annuncia la fine del suo rapporto con il M5s. “Oggi siamo a terra, ma ci rialzeremo”, è il titolo del post che ufficializza una separazione ormai annunciata.

“Per questo, a fronte dell’enorme mole di debiti cumulati dal MoVimento 5 Stelle nei confronti dell’Associazione Rousseau e della decisione di chi ritiene di essere il gruppo dirigente del MoVimento di impartire ai portavoce un invito diretto a violare espressamente lo Statuto stesso del MoVimento, omettendo di versare, già dal mese di aprile, il contributo stabilito per i servizi erogati, questa mattina abbiamo dovuto comunicare a tutto il personale di Rousseau che siamo costretti ad avviare le procedure per la cassa integrazione”.

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giovedì 22 aprile 2021

Porte girevoli tra politica e affari? Per i partiti non è un problema. Dalla Lega al Pd sono tutti d’accordo: “La legge lo consente, tutto regolare”

Le porte girevoli tra politica e affari? Non sono un problema. Da tempo non si trovava un argomento in grado di mettere d’accordo tutti i partiti. Ma proprio tutti tutti: dalla Lega al Pd, fino a Fratelli d’Italia, Forza Italia e persino un ex ministro del Movimento 5 stelle. Sono tutti d’accordo a dire che siccome non c’è una legge che vieta ad ex ministri e deputati di andare a fare i lobbisti, è tutto regolare. Ecco perché che ilfattoquotidiano.it insieme a the Good Lobby ha lanciato una campagna per chiedere al governo una legge che fermi le porte girevoli. Un fenomeno che rappresenta una delle più deleterie pratiche che possono minare la trasparenza, l’integrità e l’equità delle istituzioni. A sintetizzare il suo punto di vista sul tema era stato già qualche tempo fa Matteo Renzi, che incalzato sui suoi legami professionali con l’Arabia Saudita aveva detto: “I regolamenti permettono di fare quello che noi stiamo facendo, io continuo a farlo nel rispetto delle leggi.

Una linea che nei fatti è condivisa praticamente dall’intero arco parlamentare. “A me non piace, ma se poi rispettano le norme…”, si limita a dire Matteo Salvini, leader della Lega. “Se la legge lo consente è tutto normale e regolare”, sottolinea il senatore del Carroccio, Armando Siri. “Questa cosa io non la chiamo porte girevoli, le scelte di vita individuale appartengono alle scelte di vita individuale”, sostiene Valeria Fedeli, senatrice del Pd. L’ex viceministro dell’Economia Antonio Misiani è ancora più sicuro: “La legge lo consente, ci sono delle regole sul cosiddeto cooling-off e sono molto rigorose, nel momento in cui si rispetta la legge va bene così”. “La legge lo consente, però uno dovrebbe rispondere alla propria coscienza e ai propri elettori e quindi valutare bene le sue scelte”, concede Vincenzo Spadafora, ex ministro dello Sport e attuale deputato del M5s. Addirittura per Giorgio Mulè, sottosegretario alla Difesa di Forza Italia, “se uno è bravo e ha le capacità può essere addirittura un plus avere fatto un’esperienza parlamentare”. La pensa allo stesso modo Ignazio La Russa, che cita il caso del coordinatore del suo partito, Guido Crosetto, ex sottosegretario alla Difesa ed ex deputato che oggi è presidente dell’Aiad, la federazione della aziende Italiane che si occupano di Aerospazio, Difesa e Sicurezza. “Non ci trovo niente di strano che un politico come lui a un certo punto decida di tornare a fare qualcosa di diverso dal parlamentare. Poi magari tra un po’ se ci ripensa può anche ricandidarsi alle elezioni”.

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Ciro Grillo, Di Muro (Lega) in Aula chiede le dimissioni della sottosegretaria Macina (M5s): “Ministra Cartabia intervenga e la licenzi”

“Evidentemente il sottosegretario Macina Macina non avrà il buon gusto di lasciare con le sue gambe le comode poltrone di Via Arenula, il ministro Cartabia venga in quest’Aula e la licenzi”. È quanto ha chiesto intervenendo alla Camera il deputato della Lega Flavio Di Muro dopo l’intervista rilasciata dalla sottosegretaria alla Giustizia M5s Anna Macina al Corriere della Sera dopo il video in cui Beppe Grillo ha difeso il figlio, Ciro, accusato di stupro.

“Il sottosegretario Macina ha accusato la senatrice Giulia Bongiorno di diffondere una prova processuale – ha incalzato Di Muro – Oltre ad essere goffo e ridicolo, questo intervento è assolutamente inaccettabile. È normale che un esponente di governo in un momento così delicato si dedichi alle teorie complottistiche prendendo una posizione pubblica in un processo ancora in corso? La situazione è grave”. Per questo, ha specificato, “noi chiediamo come Lega un intervento del ministro della Giustizia”.

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Salvini: “Io avrei visto il video di Ciro Grillo? È una follia, sono atti segreti”

“È una follia. Se c’è una tizia, che fa la sottosegretaria alla Giustizia, che pensa che io sia andato a vedere il video di uno stupro, è da ricoverare“. Sono le parole di Matteo Salvini sulla deputata del M5s, Anna Macina, che in un’intervista al Corriere della Sera ha ipotizzato che il leader della Lega abbia potuto vedere il video, in mano agli inquirenti, in cui emergono particolari del caso che vede accusato per violenza sessuale, insieme ad altri tre ragazzi, il figlio di Beppe Grillo, Ciro. Il motivo risiederebbe nella scelta della famiglia della ragazza di nominare quale legale Giulia Bongiorno, avvocata penalista e senatrice della Lega.

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mercoledì 21 aprile 2021

Le reazioni al video di Grillo confermano la libertà di pensiero nel M5s. Altro che Italia Viva o Forza Italia

di Nicola Cirillo

Se ne è tanto parlato, ma la discutibile esternazione di Beppe Grillo in difesa del figlio Ciro, indagato per un presunto stupro, presenta degli aspetti che sono stati sottolineati poco o niente dalla stampa e dai social.

Il primo aspetto è che si tratta di un video registrato e non di un video in diretta. Questo deve lasciare qualche dubbio sull’autenticità della comunicazione “istintiva” e lasciare spazio, invece, all’idea che si tratti di un video ragionato, pensato, prodotto e quindi distribuito. Beppe Grillo sceglie l’inquadratura ben illuminata, fa il suo ingresso su una poltrona già pronta, parte con il suo monologo e infine il video viene editato aggiungendo anche un nero in chiusura.

Il tono concitato non deve trarre in inganno: Beppe Grillo è un attore e un comunicatore. La retorica che usa è la stessa di quando parla di trivelle petrolifere o di conflitti di interesse. Anche in questo caso sa quello che ha detto e segue un suo scopo preciso. Forse quello di portare la vicenda che riguarda il figlio su un terreno extra-giudiziale, forse farlo diventare vittima, chiamare alla solidarietà. Ma se gli effetti che sortisce il video sono intenzionali o del tutto occasionali, si può affermare che denuncia un’ignoranza e un maschilismo che l’attore aveva già dimostrato in precedenti esternazioni. E questo è inaccettabile, soprattutto da parte di un personaggio così popolare.

Il secondo aspetto, più interessante a livello sociale e politico, è che non tutti gli esponenti più in vista del M5S lo hanno difeso a spada tratta. Tranne qualche timida espressione di solidarietà “umana” da parte di Paola Taverna e di Vito Crimi, i parlamentari del M5S si sono dimostrati liberi nel giudizio, biasimando l’uscita infelice della loro “illuminata” guida politica. E’ un fatto che ribalta l’idea dominante che Grillo sia il “padre-padrone” del Movimento e che sottolinea che i pentastellati godono di una libertà di pensiero e indipendenza che in altri luoghi politici è negata (penso ad esempio a Forza Italia e alla vicenda di Ruby o a come i parlamentari di Italia Viva difendano acriticamente il loro leader anche nelle situazioni più imbarazzanti, come i viaggi in Arabia).

Non ci è dato sapere se è un effetto voluto o insperato del video, ma è il segnale di una democrazia interna che fa ben sperare per le questioni importanti che deve affrontare questo Parlamento in tema di libertà.

Il blog Sostenitore ospita i post scritti dai lettori che hanno deciso di contribuire alla crescita de ilfattoquotidiano.it, sottoscrivendo l’offerta Sostenitore e diventando così parte attiva della nostra community. Tra i post inviati, Peter Gomez e la redazione selezioneranno e pubblicheranno quelli più interessanti. Questo blog nasce da un’idea dei lettori, continuate a renderlo il vostro spazio. Diventare Sostenitore significa anche metterci la faccia, la firma o l’impegno: aderisci alle nostre campagne, pensate perché tu abbia un ruolo attivo! Se vuoi partecipare, al prezzo di “un cappuccino alla settimana” potrai anche seguire in diretta streaming la riunione di redazione del giovedì – mandandoci in tempo reale suggerimenti, notizie e idee – e accedere al Forum riservato dove discutere e interagire con la redazione. Scopri tutti i vantaggi!

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Grillo col suo video è arrivato a un punto di non ritorno

Non ci sono più attenuanti. Il video di Grillo di qualche giorno fa segna definitivamente la fine dell’ipocrisia che ruota intorno ai 5Stelle e alla loro vera natura. Ed è bene ricordarlo per un motivo fondamentale alla luce degli avvenimenti politici degli ultimi tempi: l’alleanza strutturale con il Pd.

La discesa in campo del comico ha sdoganato l’uso smodato, assurdo e violento di un linguaggio e di un modo di fare “politica” aggredendo l’avversario, nemico, denigrandolo con ogni pretesto. Odio fomentato in rete con una strategia mirata e virale. Uno dei tanti metodi utilizzati ha visto dilagare il loro populismo miscelato ad un giustizialismo becero e ignorante. Ogni avviso di garanzia, anche di un parente, veniva utilizzato per denigrare violentemente il politico di turno. Naturalmente con una grande eccezione: non doveva essere un grillino, altrimenti tale regola non valeva.

Il linguaggio di Grillo e dei suoi burattini è stato concesso senza grandi remore, assecondato da una parte dell’informazione e da una parte del sistema giudiziario. Quindi, non è certo una novità vedere Grillo usare termini e modi contro ogni rispetto di civiltà giuridica e contro ogni forma di buon senso del buon padre di famiglia. Nel video a difesa del figlio accusato di stupro emergono però con una violenza inaudita tutta l’ignoranza, l’arroganza e la saccenza del pensiero grillino. Cercare di giustificare un eventuale stupro con ragionamenti da troglodita senza alcun rispetto per la ragazza che ha avuto il coraggio di denunciare. E farlo dopo appena 8 giorni di certo non significa essere consenzienti.

Ma senza entrare in un processo mediato – creato però dallo stesso Grillo – quello che preoccupa è la questione politica. Perché è bene rammentarlo, Grillo è colui che rappresenta il Movimento 5Stelle, il cosiddetto Garante o l’elevato come ama autodefinirsi. Grillo è colui che sale al Colle per le consultazione per formare i Governi. Grillo è colui che ha praticamente in mano il maggior numero di parlamentari di questa legislatura. Insomma, Grillo oltre a non far più ridere rappresenta un Movimento politico e influenza tanti cittadini. Per fortuna sempre meno.

Ecco, questo individuo è stato scelto come alleato principale dal Pd. Questo uomo con idee violente, arcaiche, ignoranti ed incivili è il punto di riferimento per il grande riformismo che avrebbero in mente Letta e la ditta del Pd. Il tutto preferendo questo personaggio a chi potrà anche risultare antipatico ma vanta una specchiata moralità e lungimiranza politica indiscussa. Questa la verità. Il Pd ha scelto di difendere il mondo grillino e mai Renzi.

Zingaretti e Letta questo hanno scelto. Una alleanza con chi rappresenta da sempre un giustizialismo a corrente alternata ed ha una concezione della giustizia e delle persone prive di alcun rispetto. Il mondo grillino è ormai completamente nudo. Un Movimento senza ideali e senza idee nato sul grido di onestà e finito a cercare il garantismo solo per se stesso. Un Movimento alleato con tutti, da Berlusconi, alla Lega al Pd. Un Movimento al governo da tre anni senza mai staccarsi dalle poltrone. Un Movimento che ha rinnegato ogni propria regola e promessa. Un Movimento diventato di fatto un partito che è privo di qualunque ideale. Un partito guidato sempre da Grillo e dalle sue follie.

Ora però è arrivato un punto di non ritorno. Grillo con il suo ultimo video non può essere giustificato. Non oso immaginare, perché impossibile, se tale video fosse stato fatto da un altro politico. Impossibile pensarlo. Solo Grillo poteva fare una cosa del genere e passare con tranquillità come sfogo di un padre. Il classico padre che se un figlio ipoteticamente va male a scuola non se la prende con lui ma con la maestra che lo segnala.

Grillo è a tutti gli effetti un politico. Questa cosa deve essere definitivamente chiara. Grillo è un politico e rappresenta un partito. Basta giocare con le parole. Grillo è il Movimento 5Stelle senza trucchi e giochini. Ed è bene dirlo ora: Conte non rappresenta nessuno. Grillo è il fondatore ed è lui che decide tutto. Questo è Grillo e questo è l’uomo con cui il Pd ha scelto di allearsi e di fare battaglie contro Renzi. Il Pd questo ha scelto.

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Porte girevoli tra politica e affari, la legge che non c’è: così ex ministri e parlamentari sono diventati lobbisti pagati dai privati – La campagna

Quando Mario Draghi è stato convocato al Quirinale per ricevere l’incarico di formare un nuovo governo veniva da 15 mesi d’inattività. L’ultimo giorno di ottobre del 2019 aveva concluso il suo mandato da presidente della Banca centrale europea e da allora non aveva più ricoperto alcun incarico professionale. Se lo avesse fatto avrebbe dovuto chiedere il permesso al suo vecchio datore di lavoro, se così possiamo definire il rapporto che lega la Bce a quello che era il suo dirigente di più alto grado. Questo perché tutti gli ex funzionari della Banca centrale sono obbligati a dichiarare gli eventuali nuovi incarichi assunti. Almeno nei due anni successivi alla fine del loro mandato all’Eurotower, devono rispettare uno stringente codice di condotta sul quale vigila un apposito comitato etico. Sarà poi il consiglio direttivo a decidere se è opportuno che l’ex dipendente della Banca inizi un nuovo lavoro. O se invece, al contrario, è necessario un ulteriore momento di cooling-off, un periodo di “raffredamento” che separa l’incarico pubblico da quello privato: una pausa che serve, in pratica, a garantire una riduzione del rischio di conflitti di interesse. Per questo motivo, ogni anno, la Bce chiede agli ex funzionari di fornire una dichiarazione in cui sono indicati tutti i loro impieghi retribuiti durante l’anno precedente. A spiegarlo è la stessa Banca centrale europea, interpellata sull’argomento da the Good Lobby, l’organizzazione non governativa che si batte per rendere più trasparenti i processi decisionali europei. Il carteggio tra l’ong e la Bce fa parte di un dossier sulle porte girevoli tra politica e affari, che ilfattoquotidiano.it presenta in esclusiva e ha offerto in anteprima ai suoi sostenitori. Questa è solo la prima puntata di un’inchiesta che, anche grazie alle segnalazioni dei nostri lettori, punta a disegnare la mappa degli ex politici che sono passati a lavorare per le lobby private. L’obiettivo è chiedere al governo di intervenire con una legge per disciplinare quello che rischia di essere a tutti gli effetti un vulnus democratico.

Il fenomeno delle poltrone che girano – Non è illegale e non rappresenta neanche una forma di illecito. Non viola la legge, per il semplice fatto che una vera e propria norma, almeno in Italia, ancora non c’è. Eppure il fenomeno delle porte girevoli rappresenta una delle più deleterie pratiche che possono minare la trasparenza, l’integrità e l’equità delle istituzioni. Un fenomeno sfuggente, quasi sempre legale, spesso sottovalutato o ignorato dall’opinione pubblica nonostante sia causa di enormi conflitti d’interesse. Gli inglesi lo hanno ribattezzato revolving doors, i francesi lo chiamano pantouflage, nei fatti è sempre la stessa storia: poltrone che girano, cambiando radicalmente la propria natura e sulle quali siedono le stesse persone. Ieri erano ufficiali pubblici, politici eletti per prendere decisioni a tutela degli interessi della comunità; oggi fanno i lobbisti, pagati per fare pressione su chi li ha sostituiti a favore del loro nuovo datore di lavoro. Ecco perché si chiamano porte girevoli: imboccandole ex politici di alto livello riescono a passare da un ruolo pubblico a un incarico privato, spesso molto ben remunerato. Dove sta il problema? Nel fatto che l’ex politico porta con sé una rete di informazioni e relazioni costruita negli anni trascorsi al vertice dell’amministrazione pubblica. Rapporti e conoscenze che fanno gola ai privati. Soprattutto quando i profitti di questi ultimi sono legati a doppio filo al tipo di decisioni che prenderà la politica. In questo senso le porte girevoli sono una patologia dell’attività di lobbying: è pressione sul decisore pubblico operata da un ex decisore pubblico. Cosa succede quando un ministro o un presidente del consiglio interloquisce con un’azienda privata, rappresentata da un ex politico, che magari nella “vita precedente” l’ha preceduto in quella stessa carica pubblica? O ancora: che tipo di indipendenza di giudizio può avere un esponente di governo quando magari deve la sua carriera politica a quello che nel frattempo è diventato il portatore d’interessi di una società privata? Gli americani la chiamano regulatory capture: una sorta di soggezione che spinge un organismo statale, creato per tutelare l’interesse pubblico, ad agire in favore degli interessi commerciali privati.

Italia girevole, poche leggine ma confuse – È per questo motivo che la Bce chiede ai suoi ex alti funzionari informazioni dettagliate su ogni nuovo incarico assunto nei due anni successivi alla fine del mandato. Un codice di condotta che a Francoforte è stato aggiornato proprio sotto la presidenza Draghi. Tornato a Roma, l’attuale presidente del consiglio ha finora tenuto un basso profilo sul fenomeno. In Italia, infatti, non esiste una legge univoca sulle porte girevoli. Non c’è una norma unica e chiara, ma in compenso ci sono alcune leggine piccole e piccolissime che sono completamente inutili. E infatti nel 2015 Transparency International indicava il nostro Paese come uno dei pochi dell’Unione Europea privo di una normativa organica sulle revolving doors. Gli altri erano l’Austria, l’Ungheria e la Lettonia. Sei anni dopo non è cambiato quasi nulla. Poche settimane fa il Greco, l’organo del consiglio d’Europa che si occupa di lotta la corruzione, ha indicato tra i punti deboli della legislazione italiana la mancanza di una legge sul conflitto d’interessi, di norme che disciplinino le attività di lobbying e i rapporti tra lobbisti e decisori pubblici. E poi ha chiesto potenziare i codici di condotta della Camera e del Senato. Quello di Montecitorio, infatti, non contiene alcun riferimento alle porte girevoli ma obbliga i deputati a dichiarare gli incarichi ricoperti quando si candidano ed eventuali nuovi impieghi assunti dopo la propria elezione. Il Senato, per non sbagliare, un codice di condotta neanche ce l’ha. E dire che di porte girevoli si preoccupavano già i padri della Repubblica. La prima legge a imporre limitazioni a coloro che avevano rivestito cariche pubbliche risale al 1953 e porta il nome di don Luigi Sturzo: per un anno, chi aveva avuto funzioni di Governo non poteva assumere cariche in alcuni enti che gestivano servizi per conto dello Stato. Cosa è accaduto nel mezzo secolo successivo? Quasi niente. Sono stati aggiunti altri micro divieti, quasi sempre senza una logica. E quasi sempre senza sfiorare il vero cuore della questione: i conflitti d’interesse dei politici di alto livello. Nel 1973, per esempio, si è imposto agli ex funzionari pubblici un divieto temporaneo, di durata variabile, per lo svolgimento di attività professionale privata. Nel 2012, la legge Severino ha introdotto un periodo di “raffreddamento” per tutti i dipendenti pubblici che hanno esercitato poteri negoziali per la pubblica amministrazione: devono aspettare tre anni prima di andare a lavorare per i privati. E i politici? La stessa Severino dice che se hai ricoperto cariche elettive il periodo di “raffreddamento” rimane almeno di un anno, ma deve essere regolato in base alla rilevanza della carica ricoperta. Insomma: in Italia il quadro normativo che regola le porte girevoli è frammentario e confuso. E quindi inutile. Non c’è una norma che spieghi cosa possono e non possono fare i parlamentari, i ministri, i presidenti del consiglio e di regione. E a partire da quando. Il risultato compare sui giornali continuamente: ex onorevoli che in modo completamente legale passano da una parte all’altra della barricata. Porte che girano continuamente seppur in modo sempre diverso. C’è chi è più a rischio di conflitto d’interessi, visto che per i privati si occupa esattamente degli stessi dossier trattati quand’era decisore pubblico, e chi invece cambia completamente settore. Un fattore importante è anche quello rappresentato dal tempo: una cosa è passare dalla politica alle lobby senza alcun cooling-off; un’altra quando l’ex onorevole trascorre un periodo di “raffreddamento” prima d’imboccare la sua porta girevole. Sono casi distinti ma solo a livello teorico: non esistendo una norma, infatti, al momento è tutto lecito. Altra cosa, ovviamente, è il fattore legato all’opportunità.

Dal governo a Unicredit e Leonardo: i casi Padoan e Minniti – Per esempio: è opportuno che un ex ministro dell’Economia vada a presiedere uno dei più grossi gruppi bancari del Paese? Di sicuro è legale. Non c’è alcuna legge che ha impedito a Pier Carlo Padoan di dimettersi da deputato del Pd per accettare l’incarico nel consiglio di amministrazione di Unicredit. Ministro dell’Economia per quattro anni nei governi di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, poi parlamentare membro della commissione Bilancio, a ottobre Padoan ha lasciato il suo seggio a Montecitorio ed è in attesa che sia formalizzata la sua nomina a presidente dell’importante istituto di credito. Da via XX settembre a piazza Gae Aulenti, da Roma a Milano, la poltrona girevole di Padoan potrebbe beneficiare dell’esperienza accumulata negli anni trascorsi in politica. Era lui il ministro quando nel 2017 il governo nazionalizzò Monte dei Paschi di Siena. La stessa banca che adesso potrebbe fondersi proprio con Unicredit. Ha recentemente lasciato il suo seggio a Montecitorio anche Marco Minniti, pure lui ministro nel governo Gentiloni, che ha deciso di accettare la guida della fondazione Med-Or, nuova creatura di Leonardo, il colosso della difesa e dell’aerospazio noto per mezzo secolo come Finmeccanica. A leggere i comunicati ufficiali Med-Or sarà “un ponte attraverso il quale fare circolare idee, programmi e progetti” dal Mediterraneo allargato all’Estremo Oriente. Nei fatti sembra somigliare a una sorta think tank creato per costruire rapporti e sinergie in Paesi che per l’ex Finmeccanica sono molto interessanti da un punto di vista strategico. Med-Or è una sorta di fondazione culturale che punta a sostenere le strategie industriali di Leonardo anche dal punto di vista geopolitico. In questo senso, chi meglio di Minniti? Uno che ha fatto il sottosegretario alla Difesa con Giuliano Amato, poi è stato titolare della ambita delega ai servizi segreti quando a Palazzo Chigi c’erano Enrico Letta e Renzi, prima di essere nominato ministro dell’Interno di Gentiloni. Al Viminale ha interpretato il ruolo in maniera decisa, con delicate incursioni all’estero, come quando per frenare i flussi migratori ha condotto la trattativa con le tribù libiche. Politico di lungo corso, un passato remoto nei Ds e uno recente come aspirante leader del Pd (aveva annunciato la sua candidatura alle primarie prima di ritirarsi e sostenere Nicola Zingaretti), Minniti porta in dote numerose e profonde relazioni politiche e diplomatiche, sia sul fronte interno che su quello estero. E proprio nella stessa fetta di mondo in cui opererà la nuova fondazione di Leonardo.

Il caso Pistelli: politica e lobby guardano al Medio Oriente – Tutto assolutamente legittimo. Non ci sono leggi e se ci sono sono talmente deboli da essere praticamente inutili. Lo dimostra il caso di Lapo Pistelli, noto per essere il primo rottamato da Renzi, che lo ha sconfitto a sorpresa alle primarie di Firenze del 2009. Più volte deputato ed europarlamentare, nel 2013 Pistelli viene nominato viceministro degli Esteri nel governo Letta, per poi essere confermato dallo stesso Renzi. Sono i mesi in cui l’allora giovane premier si fa sfuggire in diretta televisiva chel’Eni è oggi un pezzo fondamentale della nostra politica energetica, della nostra politica estera, della nostra politica di intelligence. Cosa vuol dire intelligence? I servizi, i servizi segreti”. Passa un anno e Pistelli lascia la politica. Per andare dove? Ma ovviamente all’Eni, che nel giugno del 2015 lo nomina vice president stakeholder relations business development support. “Mi occuperò di promuovere il business internazionale e di tenere i rapporti con gli stakeholders, in Africa e in Medio Oriente, e dei progetti sulla sostenibilità”, raccontava in quei giorni il neo manager dell’azienda del cane a sei zampe. Qualcuno fa notare che i temi e i luoghi frequentati dal Pistelli manager sono più o meno gli stessi di cui si occupava il Pistelli politico, viceministro con delega al Medio Oriente e alla cooperazione. Sul caso viene chiamato a esprimersi l’Antitrust, che dà il suo via libera: Pistelli può imboccare la sua porta girevole perché la “competenza a amministrare e regolare i settori economici di riferimento di Eni Spa” riguardava “attribuzioni estranee” alle funzioni di viceministro degli Esteri. Del resto in quel momento il presidente dell’Antitrust era Giovanni Pitruzzella, che qualche tempo prima aveva riconosciuto durante un’audizione in Parlamento: “La legge italiana rinuncia a prevenire la situazione di conflitto di interessi e lo affronta solo quando sorge, in modo complesso e del tutto inefficace”. Che lavoro fa oggi Pistelli? Lavora sempre all’Eni, ma ha cambiato incarico: adesso è il director Public Affairs dell’azienda energetica. In pratica è a capo di tutte le attività di lobbying.

L’uomo dell’Air Force Renzi per i Benetton – Diverso è il caso di Claudio De Vincenti, altro ex ministro dei governi di centrosinistra che per imboccare la sua porta girevole non si è dovuto dimettere da parlamentare. Il motivo? Alle politiche del 2018 non è stato eletto. Sconfitto clamorosamente al collegio uninominale di Sassuolo, da alcune settimane è stato nominato presidente di Aeroporti di Roma, la società dei Benetton che gestisce gli scali di Ciampino e Fiumicino. Già ministro per il Mezzogiorno con Gentiloni, De Vincenti non è affatto nuovo al settore dell’aviazione: negli anni in cui Massimo D’Alema era a Palazzo Chigi, si occupava di aeroporti e autostrade in qualità di coordinatore del Nars, la struttura del ministero del Tesoro che regolava i servizi di pubblica utilità. Da sottosegretario alla presidenza del consiglio di Renzi, invece è l’autore di un carteggio che nei fatti dà il via libera all’acquisto in leasing dell’Airbus da Etihad, passato alla storia come Air Force Renzi. Recentemente, invece, il quotidiano Domani ha fatto notare come l’attuale ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, sia un dipendente di Leonardo in aspettativa. Solo pochi mesi prima era intervenuto come responsabile del dipartimento tecnologia e innovazione davanti alle commissioni parlamentari competenenti per spiegare su quali punti l’azienda avrebbe potuto competere nell’assegnazione dei fondi del Recovery Plan: oggi è il titolare di uno di dicasteri più importanti per la gestione dello stesso Recovery plan. Non si tratta propriamente di un esempio di porte girevoli, ma è un fatto che Cingolani tornerà – in teoria – a lavorare in Leonardo una volta finito il suo incarico al governo, senza un momento di cooling-off visto che la sua aspettativa è legata all’incarico ministeriale. Va sottolineato che per quanto riguarda alcuni progetti del Recovery non esistano in Italia concorrenti di Leonardo, società partecipata dello Stato: con o senza Cingolani al ministero. Nel cda della società siede anche Federica Guidi, che ha goduto di un momento di “raffreddamento” lungo quattro anni: si è dimessa da ministra dello Sviluppo economico nel 2016, mentre nell’aprile del 2020 è stata nominata – in quota Italia viva – nel cda di Leonardo. Di cui ha fatto parte – tra il 2014 e il 2016 – anche Marta Dassù, consigliere per la politica estera di D’Alema e Amato, poi sottosegretaria agli Esteri nel governo guidato da Mario Monti, quindi viceministro quando a Palazzo Chigi c’era Letta. Dal 2016 Dassù siede anche nel cda (con incarico non esecutivo e da indipendente) della Trevi Finanziaria Industriale, multinazionale dell’ingegneria e delle costruzioni con importanti commesse all’estero: tra i lavori più delicati quelli della messa in sicurezza della diga di Mosul. Un appalto valutato in circa 270 milioni di dollari.

L’Alfano d’Egitto, la Difesa di Crosetto e i derivati di Siniscalco – Ha fatto trascorrere circa un anno tra l’incarico politico e quello privato anche Angelino Alfano, ministro della giustizia con Berlusconi, dell’Interno con Renzi e degli Esteri con Gentiloni: nel 2019 ha accettato di diventare presidente del gruppo San Donato, la holding della famiglia Rotelli che domina la sanità privata in Lombardia. Più contestato l’altro lavoro cominciato da Alfano solo 30 giorni dopo aver concluso la sua esperienza di governo: consulente per il nuovo team dello studio legale Bonelli Erede specializzato in Public International Law & Economic Diplomacy con focus su Mediterraneo, Africa e Medio Oriente, con un occhio di riguardo all’Egitto. Lo stesso Paese dove Alfano rimandò l’ambasciatore, precedentemente richiamato a Roma dopo l’omicidio di Giulio Regeni. I familiari del ricercatore assassinato furono tra i primi a chiedere spiegazioni per quel nuovo lavoro di Alfano. Faceva parte dell’ultimo governo Berlusconi anche Guido Crosetto, più volte deputato e sottosegretario alla Difesa, tra i fondatori di Fratelli d’Italia, che nel 2014 – dopo aver fallito la rielezione – viene nominato presidente dell’Aiad, la federazione della aziende Italiane che si occupano di Aerospazio, Difesa e Sicurezza: fa parte di Confindustria e ha come obiettivo quello di tenere i rapporti con le istituzioni nazionali e internazionali, come per esempio la Nato. Rieletto nel 2018, Crosetto si è dimesso pochi mesi dopo per rimanere al vertice di Aiad e assumere la presidenza di Orizzonte sistemi navali, una società creata da Finmeccanica e Fincantieri che costruisce tecnologia per le navi militari: corvette, fregate e portaerei. Domenico Siniscalco, già direttore generale del Tesoro, nel 2004 viene nominato ministro dell’Economia del governo Berlusconi. Si dimette nel settembre del 2005. Sette mesi dopo, nell’aprile del 2006, accetta di fare il vicepresidente della banca d’affari Morgan Stanley. Nel 2017 verrà citato in giudizio davanti alla corte dei conti per un presunto danno erariale, legato alla stipulazione – ai tempi in cui era dg del Tesoro – dei contratti in prodotti finanziari derivati con la stessa Morgan Stanley. Un caso riaperto nel febbraio del 2021 quando la Cassazione ha rigettato l’archiviazione del caso per difetto di giuristizione, accogliendo il ricorso del Procuratore generale della Corte dei Conti, che ha quantificato il danno erariale in 3,9 miliardi di euro. Più recente il caso di Maurizio Martina, per quattro anni ministro delle Politiche Agricole, poi segretario reggente del Pd, fino alle dimissioni da deputato nel gennaio scorso per essere nominato vicedirettore generale aggiunto della Fao, l’organizzazione delle Nazioni unite che si occupa di alimentazione e agricoltura. Intendiamoci: la Fao non è una lobby che ha tra i suoi obiettivi quello di fare pressione occulta sui governi. Quindi in questo senso il caso dell’esponente Pd è diverso dagli altri. Ma senza il passato in politica, con la relativa rete di conoscenze e relazioni che appartiene a chi ha fatto il ministro, Martina avrebbe avuto comunque accesso a quell’incarico di prestigio? Non esiste una controprova e dunque è impossibile saperlo.

Le lacune italiane e il caso Renzi: così fan tutti (finché è legale) – Un vero e proprio caos, impossibile da riordinare senza una norma. Allo stato in parlamento ci sono alcune proposte di legge che provano a intervenire sul fenomeno. Sono quelle di Anna Macina del M5s, Francesco Boccia ed Emanuele Fiano del Pd, raggruppate in un testo base da Giuseppe Brescia, presidente della commissione Affari costituzionali della Camera: prevedono un freno al fenomeno delle porte girevoli, limitandolo però solo a chi ha ricoperto incarichi di governo, con un periodo di “raffreddamento” ristretto ad appena 12 mesi. Per i parlamentari, invece, non è prevista alcuna limitazione. Un’altra proposta porta la firma di Francesco Silvestri del M5s: vieta a politici di ogni ordine e grado di iscriversi al registro dei lobbisti nei due anni successivi alla fine del mandato. Tutte norme che rappresentano una buona base di partenza, ma che sono ferme in Parlamento da molti mesi. Di “lacune” e “contraddizioni che caratterizzano la rappresentanza degli interessi particolari presso decisori pubblici, il lobbying e il conflitto d’interessi”, ha parlato recentemente Marta Cartabia, la nuova guardasigilli, intervenuta in commissione Giustizia per delineare il programma del suo dicastero. Parole pronunciate nelle stesse settimane in cui hanno fatto rumore le trasferte in Arabia Saudita di Renzi. L’ex premier, ora leader d’Italia viva, fa parte del board del fondo arabo Future Investment Initiative Institute: incarico che gli garantisce denaro e una presenza più o meno assidua nel Golfo persico. Solo che Renzi, a differenza dei suoi colleghi citati in questo articolo, non si è dimesso per intraprendere l’attività di lobbista ma è ancora un senatore in carica, leader di un partito che, per quanto piccolo, ha determinato la caduta del governo di Giuseppe Conte. E non contento ha appena aperto una sua società specializzata nel fare consulenza alle imprese. Problema: come si fa a capire che tipo di interessi rappresenta Renzi quando va in Arabia? Quelli italiani o quelli del fondo arabo di cui fa parte? E quando invece vota al Senato agirà come un semplice parlamentare, senza farsi influenzare dai possibili clienti della sua società di consulenza? “Finché i regolamenti permettono di fare quello che noi stiamo facendo, io continuo a farlo nel rispetto delle leggi”, dice il diretto interessato. Renzi parla al plurale e al momento ha pure ragione: finché non ci sarà una legge chiara per fermare le porte girevoli, queste continueranno inesorabilmente a girare.

Cari sostenitori, partecipate a questa campagna, arricchitela con noi! Ieri avete ricevuto in anteprima esclusiva il report di The Good Lobby sulle “poltroni girevoli” in Italia e in Europa: leggetelo e partecipate oggi pomeriggio alle ore 17 alla diretta sulla nostra pagina facebook. Le domande o le idee che lancerete nel Forum a voi dedicato avranno la priorità e verranno discusse in diretta. E non finisce qui. Ogni giorno sul sito troverete approfondimenti su questo tema, combattete con noi la battaglia perché questa anomalia venga regolamentata. E partecipate: segnalateci i casi di porte girevoli, anche a livello locale, di cui siete a conoscenza.

Se non sei ancora Sostenitore de Ilfattoquotidiano.it, scopri come diventarlo. Mettici alla prova e proponi la tua campagna: continueremo a occuparci di lobby, ma anche di diritti, corruzione e poteri occulti. Dando di volta in volta voce alle associazioni che hanno qualcosa da dire e qualcosa da denunciare. Gli utenti Sostenitori sono anima e motore di una community che vogliamo veder crescere sempre di più: sono quelli pronti a mettere la faccia, la firma o l’impegno sulle battaglie in cui credono.

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martedì 20 aprile 2021

“Basta danè ai condannati”: protesta del M5s contro il vitalizio a Roberto Formigoni in Regione Lombardia – Video

Fuori programma in Consiglio regionale della Lombardia, con i rappresentanti del Movimento 5 stelle che hanno esposto dei cartelli di protesta, fatti ritirare dal presidente Alessandro Fermi, contro la decisione del Parlamento di ripristinare il vitalizio all’ex presidente della Regione, Roberto Formigoni. “Meno ristori più vitalizi… con la Lega”, “Basta danè ai condannati”, “Ai lombardi meno sanità, al celeste soldi in quantità” e “Prima i (vitalizi) lombardi” gli slogan apparsi sui cartelli, sui quali campeggiava la foto di un abbraccio tra Formigoni e il leader della Lega, Matteo Salvini.

Sull’argomento i pentastellati hanno anche presentato una mozione urgente, a prima firma Dario Violi, che potrebbe essere discussa nel pomeriggio dall’Aula “che impegna il presidente della Giunta regionale e l’assessore competente in materia a farsi promotori presso le istituzioni centrali di una doverosa uniformità di trattamento, anche per i parlamentari della Repubblica, nell’esclusione dell’erogazione dell’assegno vitalizio per i soggetti condannati” e “a farsi promotori presso il governo di una celere revisione della disciplina”. “Persone corrotte che hanno speculato sulla sanità, che sono condannate in via definitiva non possono ricevere questo premio – ha spiegato fuori dall’Aula il capogruppo del M5ss, Massimo De Rosa riferendosi all’ex presidente Formigoni – soprattutto in un momento come questo dove c’è una crisi economica spaventosa. È vergognoso, sono le perle del centrodestra”.

Da oggi al via la raccolta firme per la petizione de Il Fatto Quotidiano che chiede al Senato di sollevare un conflitto di attribuzione di fronte alla Corte costituzionale

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domenica 18 aprile 2021

Vitalizio al corrotto Formigoni, M5s: “È una questione etica, andremo fino in fondo”. Di Nicola: “In gioco credibilità delle istituzioni”

La decisione di ridare il vitalizio a Roberto Formigoni, nonostante una condanna definitiva per corruzione? È un “vulnus al principio della separazione dei poteri”. Parola di Pietro Grasso, l’ex presidente del Senato che con un’intervista al Fatto Quotidiano chiede a Palazzo Madama di sollevare “di fronte alla Corte Costituzionale un conflitto di attribuzione” contro quella che definisce “l’invasione di campo di un organo giurisdizionale“, cioè la commissione Contenziosa, che ha deciso di restituire l’assegno all’ex governatore della Lombardia. Assegno che gli era stato tolto perché una delibera varata proprio da Grasso nel 2015 cancellava il vitalizio per i senatori condannati a pene superiori ai due anni. I concetti espressi dall’ex presidente del Senato vengono rilanciati anche dal Movimento 5 stelle. “Sull’inaccettabile restituzione del vitalizio a Roberto Formigoni, decisa dalla commissione Contenziosa di Palazzo Madama, il Movimento 5 Stelle andrà fino in fondo.”, si legge su un post su facebook del M5s, in cui si ricorda che nella commissione “il Movimento 5 Stelle non è presente. Una scelta presa da Lega e Forza Italia”.

Nell’organo che funziona praticamente da tribunale interno di Palazzo Madama, infatti, siedono il berlusconiano Giacomo Caliendo, che è anche il presidente, i senatori leghisti Alessandra Riccardi e Simone Pillon, e due tecnici: l’avvocato Alessandro Mattoni e l’ex magistrato Cesare Martellino. “Roberto Formigoni – continua il post dei 5 stelle – peraltro tra i maggiori responsabili del disastro della sanità lombarda, con una condanna definitiva per corruzione nel processo per il crac delle fondazioni Maugeri e San Raffaele, non ha diritto al vitalizio. Questo perché, lo ricordiamo, nel 2015 una delibera dell’allora presidente Presidente Grasso prevede che tutti gli ex parlamentari che si macchiano di reati gravi contro lo Stato e contro i cittadini non possono avere diritto al loro vitalizio”. La commissione Contenziosa, nei fatti, ha annullato proprio quella delibera. “È una questione etica- continuano i 5 stelle – una questione giusta e a chi sostiene che i parlamentari che commettono dei reati sono uguali a tutti i cittadini e hanno diritto a prendere il vitalizio rispondiamo che non è così. Non si può paragonare chi lavora tutta la vita e prende una pensione magari di mille euro a chi invece ne prenderebbe quasi 5mila dopo aver commesso un reato così grave proprio contro i cittadini che doveva invece servire da politico”.

La commissione del Senato, infatti, ha motivato la restituzione del vitalizio a Formigoni appellandosi alle legge che nel 2019 ha introdotto il reddito di cittadinanza. Un’erogazione che viene sospesa quando il percettore è condannato per mafia o terrorismo oppure si rende latitante: essendo Formigoni condannato “solo” per corruzione, era il ragionamento della commissione, gli va restituito l’assegno. “Rendiamoci conto che annullando la delibera anche i senatori condannati per mafia o terrorismo potranno riprendere ad avere il vitalizio. Qualcuno ci ha pensato? L’annullamento non vale solo per i reati come la corruzione, ma anche per tutti gli altri reati compresi nella delibera del 2015”, ha avvertito Grasso, parlando col Fatto. Un’intervista che secondo Francesco Giro, senatore di Forza Italia, “è piena di strafalcioni giuridici”. Secondo il berlusconiano “Grasso limitando il ruolo della Corte Costituzionale ad un mero esercizio di ‘Moral suasion’ verso le assemblee legislative compie un’operazione non solo priva di fondamento ma francamente puerile”. A difesa dell’ex presidente di Palazzo Madama si schiera Primo Di Nicola, senatore del M5s: “Gli attacchi forsennati al presidente Pietro Grasso che in una intervista ha espresso alcune criticità giuridiche sull’operato della commissione contenziosa, dimostrano a quale livello di politicizzazione si siano esposti gli organi interni del Senato. La questione non è più quella della sentenza sul vitalizio del senatore Formigoni o delle avventurose motivazioni adottate per cancellare la delibera che sospende i vitalizi per i parlamentari che si siano macchiati di reati gravissimi. In discussione ormai c’è la credibilità dell’operato di organi interni che rischiano di gettare discredito su una delle istituzioni più alte della Repubblica”.

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venerdì 16 aprile 2021

Grillo in ricordo di Casaleggio: “Vedessi cosa è successo. Ci vorrebbe un neurologo per le nostre psicopatologie”

“C’è gente che ha delle rivoluzioni culturali, dei mancamenti di intelligenza. Abbiamo delle psicopatologie, ci vorrebbe un neurologo“. Lo dice Beppe Grillo nel videotributo ricordare l’amico e co-fondatore del Movimento 5 stelle, Gianroberto Casaleggio, a cinque anni dalla scomparsa, nell’ambito della settimana di iniziative di Sum#05.

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Salari sotto la soglia di povertà, ma l’azienda leader nella vigilanza privata vuole tagliarli ancora. E può farlo perché è una cooperativa

Pur lavorando nell’azienda leader del settore, in continua espansione e dai fatturati in crescita, tirano la cinghia da otto anni e con tutta probabilità dovranno farlo ancora. Loro sono “gli omini disarmati che presidiano le reception e i cantieri”, come li chiama il proprietario e amministratore delegato del Gruppo Sicuritalia, Lorenzo Manca, alla guida dell’azienda di famiglia dal ’94. Ma se gli affari del gruppo vanno bene, come ha recentemente dichiarato lo stesso ad, nella cooperativa che raccoglie gli oltre quattromila addetti della vigilanza non armata i conti ancora non tornano. E per l’ennesima volta si invitano i soci lavoratori a derogare al già misero contratto collettivo di categoria – ai primi livelli prevede meno di 800 euro lordi al mese – perché l’immediato adeguamento a quel contratto, scrive l’azienda nella convocazione dell’assemblea del prossimo 20 aprile, “comprometterebbe seriamente la continuazione dell’attività”. I sindacati denunciano incongruenze nelle informazioni dovute ai soci lavoratori e attaccano: “Il gruppo in salute e la cooperativa in crisi? Il giochino va avanti da anni e con le deroghe al contratto Sicuritalia ha ridotto il costo del lavoro e fatto man bassa di appalti pubblici e privati”, sostiene Stefano Franzoni della Uiltucs. “Ci sono sentenze e accertamenti dell’Ispettorato del lavoro che censurano questa prassi”, rincara Sandro Pagaria della Filcams Cgil. Invece tutto va avanti da otto anni e la partita rimane aperta. Anche in Parlamento, dove una proposta di legge del Movimento 5 stelle per riformare appalti e cooperative è in Commissione lavoro alla Camera dal 2018, dove però qualcosa si è inceppato.

Ma andiamo con ordine e ai giorni nostri. “Con la pandemia per noi non è cambiato moltissimo, non sono stati particolarmente intaccati i numeri, né i volumi di lavoro”, dichiara l’ad di Sicuritalia al Corriere.it il 12 marzo scorso. Il suo gruppo conta 15mila dipendenti in tutta Italia, 100mila clienti e un ricavo consolidato da 650 milioni che l’azienda conferma anche per il 2020. Un traguardo importante in un settore, quello della sicurezza privata, dove un’impresa su due lamenta il peggioramento della condizione economica a causa della pandemia (dati Osservatorio Federsicurezza). In Italia il comparto vale 3,5 miliardi di euro, ma il 40% del fatturato è prodotto dalle dieci aziende più grandi. Sicuritalia siede in testa al podio e ha da poco acquisito, tra gli altri, anche chi stava al secondo posto, l’Ivri, incorporata nel 2019. Un successo da festeggiare, visti i tempi che corrono. Se non fosse per i dipendenti della vigilanza non armata che invece la crisi la sentono eccome, da otto anni. Si tratta degli oltre quattromila soci lavoratori della cooperativa Sicuritalia servizi fiduciari, che fa parte del gruppo. Chi sono i soci lavoratori lo dice la legge sulle cooperative, stabilendo tra l’altro la loro partecipazione “al rischio d’impresa”, come “alla sua gestione” e “alle scelte strategiche”. Insomma, ben più di semplici dipendenti, come vuole l’articolo 45 della Costituzione, che “riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata”. Ma non basta. Per capire chi sono davvero i soci lavoratori della cooperativa controllata dal gruppo Sicuritalia serve altro. A cominciare dal loro famigerato contratto di categoria, il CCNL della vigilanza privata e dei servizi fiduciari.

C’è contratto collettivo e contratto collettivo, e quello di cui parliamo non è certo il migliore. Siglato nel 2013 dalle associazioni datoriali con Cgil e Cisl, deve la pessima fama proprio ai salari della sezione servizi fiduciari, che ai primi livelli non arrivano a 800 euro lordi al mese. Numeri alla mano e senza giri di parole, i tribunali del lavoro di Torino e Milano hanno stabilito che si tratta di salari al di sotto della soglia di povertà, incompatibili con l’articolo 36 della Costituzione che garantisce al lavoratore una retribuzione “proporzionata alla qualità e quantità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Come non bastasse, il contratto è scaduto da sei anni, e nemmeno il richiamo dei giudici è servito a stimolare un accordo tra le parti. Ma se a migliorare il contratto c’è sempre tempo, a peggiorarlo ci hanno pensato proprio i soci lavoratori della cooperativa di Sicuritalia, che da otto anni approvano deroghe per affrontare continue crisi aziendali. “All’iniziale piano di crisi del 2013 segue a ruota quello del 2017”, spiegano i sindacati. Le ragioni sono nel verbale di assemblea: “La crisi del settore, la difficile congiuntura economica e la diminuzione delle tariffe che i clienti sono disposti a pagare”. E dunque: “Un immediato adeguamento al contratto avrebbe ripercussioni sui livelli occupazionali” o peggio, “determinerebbe il dissesto economico-finanziario della cooperativa”.

Così ai soci lavoratori viene proposta la cancellazione dell’integrazione per la malattia, che l’accordo del 2013 sul CCNL volle pagata al 100 percento anche per compensare salari tanto bassi. “Chi si ammala non costa nulla perché gli spetta solo il 50 percento della retribuzione, la parte pagata dall’Inps”, chiarisce Franzoni della Uiltucs, che ricorda però come l’Istituto di previdenza non copra i primi tre giorni di malattia, detti “di carenza”, e che il contratto collettivo pone interamente a carico dell’azienda: “Grazie alle deroghe, in quei tre giorni il lavoratore non prende un euro”. Ma non solo. “Per ogni ora di straordinario i lavoratori hanno avuto molto meno di quanto previsto dal CCNL, indifferentemente che si trattasse di lavoro diurno, notturno o festivo”, spiega il sindacalista. E aggiunge: “Con salari così bassi, gli straordinari fanno la differenza, arrivando anche a un terzo del guadagno. L’effetto di questi tagli è facilmente intuibile”.

Dopo otto anni, la fine delle deroghe al contratto collettivo era prevista per il prossimo primo maggio. Il triennio dal 2017 al 2019, anno dell’ultimo bilancio disponibile, vede la cooperativa in utile e i fatturati in crescita. Ma con la pandemia le cose vanno di nuovo male. E se l’amministratore delegato del gruppo non sembra preoccupato – “Dove c’è stata qualche flessione, come nel trasporto valori, è stata compensata dallo sviluppo” – la cooperativa parla di “grave crisi economica”, e di “grave perdita di esercizio” nel caso si procedesse al previsto adeguamento al CCNL. Inoltre, a preoccupare l’azienda ci sono anche “gli ulteriori costi che la Cooperativa dovrà sostenere per l’ormai prossimo rinnovo del contratto di categoria”. Lo stesso rinnovo che manca da ormai sei anni. “Ancora danni economici imposti surrettiziamente”, denunciano i sindacati in una lettera che invita i soci lavoratori a contattare l’azienda, richiedere il regolamento e rivendicare la partecipazione telematica. L’azienda risponde, ma qualcosa non torna. Perché nel regolamento del 2018 che l’azienda allega alle risposte non c’è traccia delle deroghe sugli straordinari. Anzi, si dichiara di applicare le maggiorazioni previste dal CCNL. “Strano, visto che nella convocazione dell’assemblea del prossimo 20 aprile si propone di prorogare il regolamento del 2017, quello con le deroghe”, fanno notare i sindacalisti. Contattata da ilfattoquotidiano.it, ad ora l’azienda non ha ritenuto di fornire informazioni in merito. Quanto alle buste paga che alcuni lavoratori hanno accettato di mostrare mantenendo l’anonimato, le maggiorazioni ribassate dalle deroghe sono riportate inequivocabilmente. “Non ci stupiamo”, commentano i sindacati, che contestano l’azienda nel metodo ancor prima che nel merito. “Sono le premesse di un’assemblea che si terrà a porte chiuse, dove a rappresentare i lavoratori sarà una persona indicata dall’azienda”, affermano dalla Filcams, e denunciano la “raccolta di deleghe in bianco”. Come per gli anni precedenti, i sindacati escludono che si rispetti la volontà dei lavoratori. “Purtroppo la loro consapevolezza è nulla o molto scarsa. E in ogni caso chi guadagna 800 o 900 euro lordi al mese è in una condizione di pressione tale da piegarsi alle richieste del datore”, ragiona Franzoni della Uiltucs.

Quanto al merito, la pietra angolare di tutta la vicenda è la legge 142 del 2001 sulle cooperative. Ma se l’articolo 3 garantisce ai soci lavoratori “un trattamento economico complessivo non inferiore ai minimi previsti dalla contrattazione collettiva nazionale della categoria”, il successivo articolo 6 consente agli stessi soci di deliberare, in caso di crisi aziendale acclarata, “forme di apporto anche economico alla soluzione della crisi, in proporzione alle disponibilità e capacita finanziarie”. Ed è proprio applicando la norma che la cooperativa Sicuritalia approva i suoi piani di crisi e il regolamento sociale che deroga al CCNL. Un’applicazione corretta? Nel 2020 il tribunale del lavoro di Bergamo ha dato ragione a un lavoratore della cooperativa di Sicuritalia, condannata a risarcirlo per gli straordinari in deroga al contratto collettivo. La sentenza si aggiunge ad altre e anche la Cassazione, pronunciandosi sulla materia nel febbraio 2019, ha affermato che il principio costituzionale della “sufficienza della retribuzione” si soddisfa proprio rispettando i minimi previsti dai CCNL di categoria. Figurarsi se si può derogare a un contratto giudicato al di sotto della soglia di povertà, verrebbe da dire. Eppure, in una sentenza dello scorso febbraio, la stessa Cassazione ha stabilito che le deroghe al contratto dettate dallo stato di crisi aziendale vanno considerate nel rispetto della funzione sociale delle cooperative e dello scopo di mutualità tutelati dall’articolo 45 della Costituzione. Un vero groviglio, tale da scoraggiare ulteriormente chi intenda impugnare il regolamento di una cooperativa. Proprio per questo è pressoché unanime l’opinione di legali e magistrati: i tribunali non possono fare il lavoro del legislatore, ci vuole una legge.

Il tentativo più recente di riformare la materia, anzi di tagliare la testa al toro, è quello della proposta di legge Costanzo, depositata dal M5s a fine 2018 durante il primo governo Conte e attualmente in Commissione lavoro. Alla proposta ha lavorato il giuslavorista Piergiovanni Alleva, che sulla questione ha un’opinione risolutiva: “L’articolo 6 della legge 142 sui soci lavoratori delle cooperative va eliminato perché è la legalizzazione dell’auto-sfruttamento”. E infatti la proposta di legge lo cancella integralmente allo scopo di “impedire autoriduzioni della retribuzione”. Ma è la stessa prima firmataria della proposta, la ex cinquestelle Jessica Costanzo a frenare facili entusiasmi: “Dall’estate scorsa assistiamo a una pantomima di rinvii sulle scadenze per depositare gli emendamenti”. E di questo passo si allontana anche il giorno in cui la legge arriverà in Aula, sempre che ci arrivi. “In gioco ci sono enormi interessi e già nell’alleanza tra Pd e M5s sono emersi segnali di contrarietà alla riforma”, spiega la deputata. Così a una legge ambigua, a sentenze contrastanti e a un contratto che non si vuole rinnovare, va aggiunta la politica che si volta dall’altra parte. L’unica certezza è nei numeri: in Italia i lavoratori poveri sono più di tre milioni. Con il Covid la povertà è aumentata soprattutto nelle famiglie con un solo lavoratore. Tra i working poor italiani ci sono anche molti lavoratori della vigilanza privata, gli stessi che ci hanno misurato la temperatura mentre entravamo in un supermercato, n, in ospedale o nelle sedi di qualche ente pubblico.

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giovedì 15 aprile 2021

Dl Covid: ok a emendamento M5s sul diritto alla disconnessione con smart working, possibile anche con figli in dad o quarantena

La pandemia ha costretto o, a seconda dei casi, dato l’opportunità a milioni di lavoratori di lavorare da casa. Ma tra i nodi tuttora irrisolti della modalità ‘da remoto’ ci sono la possibilità di usufruirne in caso di didattica a distanza o quarantena di un figlio e il diritto alla disconnessione. Entrambi gli aspetti sono entrati nel dibattito legislativo, con un emendamento M5s al decreto Covid approvato dalle commissioni Lavoro e Affari sociali della Camera, che prevede fino al 30 giugno la possibilità per il lavoratore dipendente con un figlio minore di 16 anni in didattica a distanza o in quarantena di svolgere l’attività da casa. Obiettivo, superata l’emergenza, è affrontare il punto in senso generale, con un aggiornamento della disciplina del lavoro agile, anche nella cornice della contrattazione collettiva. D’altronde alla fine dello stato d’emergenza, al momento fissato al 30 aprile, verrà meno anche la procedura semplificata, che consente il ricorso allo smart working senza la necessità di un accordo individuale.

Una misura sostenuta anche dal ministero del Lavoro: lo smart working è “lavoro a tutti gli effetti e non di serie B” e questo “dovrà trovare un’affermazione solenne in sede normativa”, ha recentemente detto il ministro del Lavoro, Andrea Orlando. Intanto per la prima volta si mette nero su bianco che viene “riconosciuto alla lavoratrice o al lavoratore che svolge l’attività in modalità agile il diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche, nel rispetto degli eventuali accordi sottoscritti dalle parti e fatti salvi eventuali periodi di reperibilità concordati”. Il ricorso alla disconnessione, si aggiunge, “necessario per tutelare i tempi di riposo e la salute del lavoratore, non può avere ripercussioni sul rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi“. Per la pubblica amministrazione resta la disciplina dei contratti collettivi. È un passo avanti “importante” sul fronte dei diritti, commentano le deputate e i deputati M5s in commissione Lavoro, dicendosi “molto soddisfatti”.

Per andare incontro alle esigenze familiari in questo contesto di pandemia, il governo punta ad estendere il bonus babysitter anche alla polizia locale. Mentre dalle commissioni della Camera arriva l’ok ad un altro emendamento al decreto Covid con un primo allargamento agli operatori sanitari, socio-sanitari e agli assistenti sociali, inizialmente esclusi. Per finanziare la nuova misura si è fatto ricorso, su impulso del ministro Andrea Orlando e del titolare della Salute, Roberto Speranza, a fondi residui dei due ministeri. Ora nel prossimo provvedimento utile si punta ad inserire una norma che consenta di usufruire del bonus alla polizia locale, al pari di forze dell’ordine e forze di sicurezza. Per la Pubblica amministrazione tornano dal 3 maggio i concorsi in presenza e il ministero pubblica il Protocollo per lo svolgimento delle prove in sicurezza: distanza tra i candidati di almeno di 2,25 metri; obbligo di tampone nelle ultime 48 ore e uso delle mascherine Ffp2 che saranno “fornite dall’amministrazione”.

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