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giovedì 30 giugno 2022

Draghi: “M5s? Ho sempre detto che senza di loro non si fa il governo. Non ci accontentiamo di un eventuale appoggio esterno”

“Sono ancora ottimista, il governo non rischia perché l’interesse nazionale e degli italiani è preminente. Il governo non si fa senza i 5 stelle, l’ho detto durante le consultazioni e questa è ancora la mia opinione”. Lo ha detto il presidente del Consiglio, Mario Draghi, nel corso della conferenza stampa che ha seguito il Consiglio dei ministri. “Un loro eventuale appoggio esterno? Non ci accontentiamo di questa ipotesi, perché il loro contributo sin qui è stato significativo”.

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Pd: “Tentativo di spingere M5s fuori dalla maggioranza? Non lo vedo, teniamo i nervi saldi”. E attacca Lega sullo ius scholae: “Va approvato”

Mentre nell’esecutivo non mancano le fibrillazioni, in casa Pd, nel giorno della direzione del partito, si cerca di minimizzare almeno le tensioni tra il premier Draghi e il M5s, così come la denuncia pentastellata sulle pressioni per “spingere fuori dal governo il Movimento” stesso, rievocate pure dal ministro delle Politiche agricole Stefano Patuanelli. “Bisogna lavorare insieme, il governo deve andare avanti”, taglia corto la capogruppo al Senato Stefania Malpezzi. Dall’alleato dem non arriva alcuna sponda: “Spinta contro il M5s? Non la vedo, Draghi ha smentito il caso, bisogna tenere i nervi saldi. Legittimo promuovere le proprie istanze, lo fa anche il M5s, ma noi dobbiamo andare avanti”, rivendica invece il deputato Antonio Misiani.
Tutto mentre è scontro invece con la Lega di Matteo Salvini sullo Ius Scholae, altro fronte aperto dentro l’esecutivo. “Materia parlamentare, il governo non c’entra“, è il mantra ripetuto in casa Pd, dal segretario Letta fino alla stessa capogruppo Malpezzi e alla vicepresidente di Palazzo Madama, Anna Rossomando. “Sbagliammo cinque anni fa a non mettere la fiducia, questa volta dobbiamo andare avanti, fino in fondo, sia alla Camera che al Senato”, rivendica pure Matteo Orfini.
“Dobbiamo approvare la legge, anche perché il Paese è più avanti”, concorda Rossomando. “Non siamo noi a mettere in fibrillazione l’esecutivo, ma Salvini. Sono i leghisti a votare contro l’esecutivo in Aula”, concludono in casa dem, ricordando “il voto sugli emendamenti da parte della Lega contro le proposte del proprio ministro Garavaglia” e pure il comportamento tenuto in Aula sulla riforma del Csm.

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Whistleblowing, Corrao (M5s) interroga la Commissione Ue sul mancato recepimento della direttiva in Italia: “A rischio il Pnrr”

C’è un’interrogazione alla Commissione europea sul mancato adeguamento italiano alla direttiva sul whistleblowing, mai recepita dal nostro governo nonostante il termine per farlo sia scaduto ormai da più di sei mesi. A presentarla in questi giorni è stato l’eurodeputato dei Cinque stelle Ignazio Corrao, che ricorda che la direttiva stabiliva “come ultima data per il recepimento della stessa il 17 dicembre 2021“. Inoltre, si legge nell’atto, anche la legge di delegazione europea approvata dal Parlamento lo scorso aprile inseriva la direttiva tra quelle che il governo avrebbe dovuto recepire con decreto legislativo nel corso del 2021. Corrao sottolinea poi che mentre l’attuale legge italiana – in alcuni casi – punisce il whistleblower che rivela un atto coperto da segreto, “la direttiva Ue invece prevede che a prevalere è sempre il whistleblower, ad eccezione di alcuni casi particolari come il segreto di Stato”. Insomma, la legge “mette al centro le procedure, mentre la direttiva mette al centro la persona“. E chiede alla Commissione di far sapere se abbia “avviato colloqui con il governo italiano in merito al mancato decreto legislativo”, nonché se il mancato recepimento abbia “ripercussioni sul Pnrr e sulle Country Specific Recommendations, in particolare la n. 4 del 2019″, in cui l’esecutivo di Bruxelles raccomandava al nostro Paese di rafforzare la lotta alla corruzione.

“Attualmente la legge italiana protegge i datori di lavoro dagli illeciti. Se si viola il segreto, da vittime si diventa colpevoli. Per questo il ritardo del governo sull’applicazione della norma sui whistleblower è davvero preoccupante”, dice Corrao. “Non solo perchè l’uso dei fondi è strettamente legato alla pratica corruttiva, che in un paese come l’Italia raggiunge vette altissime, ma anche perché è stata la stessa Unione europea a raccomandare ufficialmente al nostro paese di migliorare l’efficacia della lotta contro la corruzione. Per questo ho portato la questione alla direttamente Commissione Ue: il mancato recepimento della direttiva, e dunque della riforma del settore, mette in pericolo la corretta attuazione del Pnrr. La Commissione Ue deve intervenire di fronte ad una macroscopica lacuna: senza uno strumento fondamentale per la lotta alla corruzione, come questa direttiva, l’Italia non pone al sicuro risorse e investimenti che sono vitali in questa fase di ripresa”. Pochi giorni fa era stato il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, Giuseppe Busia, a stigmatizzare l'”ormai inaccettabile ritardo nel recepimento della direttiva”, confidando “che Parlamento e governo vogliano farsene carico”.

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Tensioni nel governo, Draghi rientra in anticipo dal vertice Nato: non solo il fronte M5s, la Lega alza la voce e la destra si ricompatta contro lo ius scholae

Ha lasciato il vertice della Nato a Madrid, dove a rappresentare l’Italia sarà il ministro della Difesa Lorenzo Guerini. Il presidente del consiglio, Mario Draghi, è rientrato in anticipo in Italia. Un ritorno a Roma che fonti di governo motivano con la riunione del consiglio dei ministri di giovedì: sul tavolo c’è, tra le altre cose, la questione bollette. Ma il Cdm non è una novità dell’ultima ora, così come già previsto era che il vertice dell’Alleanza atlantica sarebbe continuato anche domani. È evidente dunque che la decisione di Draghi di fare ritorno nella Capitale è, in un certo senso, precipitata nelle ultime ore. Certo c’è il fronte aperto in seno ai 5 stelle, ma non solo: anche la Lega e in parte Forza Italia sembrano trasformarsi in una fonte di preoccupazione per il premier. Per tacere di Fratelli d’Italia che sullo ius scholae ha compattato il centrodestra. Ma andiamo con ordine.

Il fronte M5s – La giornata di Draghi è stata terremotata dalle rivelazioni di Domenico De Masi al Fatto Quotidiano: secondo il sociologo il premier ha chiesto a Beppe Grillo – che glielo ha raccontato in un incontro di due giorni fa – di rimuovere Giuseppe Conte dal vertice del M5s. L’ex premier si è detto sconcertato ma ha confermato, per il momento, il sostegno dei 5 stelle al governo. Interpellato a Madrid sulla questione, a domanda diretta Draghi non ha smentito e anzi ha spiegato di avere cercato Conte in mattinata e di averlo poi sentito: “Abbiamo cominciato a chiarirci, ci risentiamo domani per vederci al più presto”. In serata però è arrivata una velina di Palazzo Chigi a smentire richieste da parte del premier a Grillo per rimuovere Conte dal vertice dei 5 stelle. La tensione dunque tra il premier e il M5s resta altissima. Fonti del Movimento hanno fatto sapere che nel pomeriggio Conte è salito al Quirinale per un incontro con Sergio Mattarella durato più di un’ora. Il Quirinale non ha confermato né smentito e d’altra parte non è noto l’oggetto del colloquio ma è sintomatico che l’incontro sia arrivati proprio oggi.

Il fronte Lega – Il rientro anticipato di Draghi, però, non è legato probabilmente solo al fronte 5 stelle. Ad agitare la stabilità del governo c’è anche la legge sulla cittadinanza – lo ius scholae – ed il disegno di legge sulla cannabis, due temi affidati al dibattito parlamentare, che sono diventati occasione per un nuovo scontro nella maggioranza, A salire sulle barricate è la Lega, particolarmente sensibile alle dinamiche interne alla maggioranza. Una parte del Carroccio, infatti, soffre di non poter fare opposizione e quindi continuare a perdere consensi a favore di Fratelli d’Italia. L’ultimo caso esploso sulle pressioni di Draghi per far fuori Conte, però, potrebbe a un certo punto portare all’uscita dal governo del Movimento. Fino a questo momento Conte ha sempre smentito di voler togliere sostegno all’esecutivo, ma se davvero alla fine i 5 stelle dovessero andare all’opposizione, la Lega si troverebbe praticamente incastrata in maggioranza: sarà per questo che oggi Matteo Salvini ha riunito i deputati e ha consegnato al capogruppo Riccardo Molinari un messaggio di avviso al premier: “Il governo si occupi del rincaro del gasolio o è difficile restare“. Parallelamente la Lega al Senato ha deciso di marcare il territorio appoggiando un emendamento di Fdi (bocciato in Aula) che di fatto chiede di escludere dalla direttiva Bolkestein i balneari. Un provvedimento in contraddizione con quanto prevede la legge sulla concorrenza. A Montecitorio invece la battaglia si preannuncia molto più dura e dall’esito incerto. L’occasione è l’approdo nell’Aula della Camera della riforma che garantisce la cittadinanza dopo un ciclo scolastico di cinque anni. Il segretario della Lega attacca: “Incredibile, vergognoso e irrispettoso per gli italiani. In un momento di crisi drammatica come questo, la sinistra mette in difficoltà maggioranza e governo insistendo su cittadinanza agli immigrati e cannabis anziché occuparsi di lavoro, tasse e stipendi”. Una sfida soprattutto al Pd, che preme per fare in fretta e provare a portare a casa una legge prima della scadenza della legislatura.

Fdi e Forza Italia: la destra si ricompatta – Ad alzare la voce però non è solo la Lega. Il disegno di legge sulla cittadinanza e quello sulla cannabis hanno l’effetto di ricompattare il centrodestra. A fare eco a Salvini è infatti Giorgia Meloni che annuncia la richiesta del suo partito a stralciare dall’esame di Montecitorio provvedimenti che definisce “ideologici e fuori dal mondo, portati avanti da una sinistra Pd-Cinquestelle ormai lontana anni luce dal mondo reale e dai problemi concreti dei cittadini. La volontà della maggioranza Draghi di impegnare il Parlamento su questi temi – attacca la leader Fdi – è un’offesa agli italiani alle prese con una crisi economica senza precedenti”. Persino Forza Italia ha toni di sfida. Pure il partito di Silvio Berlusconi, infatti, è contrario ai due disegni di legge e chiede con il capogruppo alla Camera Paolo Barelli che “non ci siano forzature d’Aula”. Ma il fronte berlusconiano non sarebbe totalmente compatto, anzi, nel corso di una riunione del gruppo sarebbero emersi diversi distinguo. La battaglia sarà ora in Aula dove dalla prossima settimana si inizieranno a votare i testi. Difficile che si arrivi ad una mediazione vista la distanza tra i partiti e le barricate alzate dalla Lega. E’ con questo clima che domani il Cdm si occuperà di bollette: Draghi, evidentemente, ha preferito essere presente.

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mercoledì 29 giugno 2022

Catania, montagne di rifiuti alte fino a tre metri in strada. M5s: “Discarica satura e differenziata partita male. La città sta affogando”

Finestre che restano sbarrate per evitare che la puzza entri in casa e una strada percorribile alle auto soltanto invadendo il marciapiede. In via delle Calcare, nel cuore del quartiere popolare San Cristoforo, a Catania, i cumuli di spazzatura raggiungono i tre metri d’altezza. Una vera e propria montagna che sfiora i balconi ai piani bassi delle case. “Non raccolgono da dieci giorni e ci sono topi grandi come conigli” racconta una residente. Poco distante, in via del Principe, c’è talmente tanta spazzatura da non rendere più percorribile via Toledo nemmeno a piedi. Un muro di sacchetti, scarti edili e materassi come cartolina della situazione che vive il capoluogo etneo, ormai da giorni sommerso dai rifiuti.

I nodi al pettine di Regione e Comune sono più d’uno. C’è la discarica di Lentini satura e periodicamente costretta a chiudere i cancelli lasciando gli autocompattatori in fila ma anche il via alla raccolta differenziata in tre zone della città dato in concomitanza con il cambio appalto. “Sapevamo che sarebbe finita così – spiega il consigliere comunale dei 5 Stelle Graziano Bonaccorsi – L’amministrazione non ci ha risposto in Consiglio ma nessuno ha prescritto a queste persone di rimanere al loro posto. Se non sono capaci è bene che vadano via”. Nel mirino l’assessore all’Ecologia Andrea Barresi e il sindaco facente funzioni Roberto Bonaccorsi, da mesi sostituto del primo cittadino di Fratelli d’Italia Salvo Pogliese, sospeso dalla prefettura dopo l’applicazione della legge Severino. “Da anni chiediamo alle amministrazioni di avviare una differenziata puntuale – aggiunge il segretario di Legambiente Catania Davide Ruffino – Non volevamo arrivare a questo punto”.

Nei prossimi giorni è prevista l’apertura di un tavolo di crisi in prefettura mentre l’unica soluzione al momento sembra quella di spedire quantitativi maggiori di rifiuti fuori Regione. Operazione costosa che con ogni probabilità peserà sulle tasche dei cittadini. Gli stessi che a Catania pagano la tassa sui rifiuti più cara d’Italia. “Non possiamo fare magie. In questa città bisogna costruire un percorso cominciando da zero. Il problema sia di Catania che della Regione è la carenza di impianti. Per il momento siamo impegnati a rimuovere centinaia di cumuli di indifferenziata da terra, ci vorrà del tempo ma la colpa non può essere imputata alla ditta che è subentrata nel lotto Centro soltanto dal 20 giugno”, replica Alfonso Zito, direttore generale del consorzio Gema (con sede nel Salernitano) che si occupa di raccogliere e portare i rifiuti in discarica

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Toninelli: “Cancellazione Superbonus 110% mina la nostra presenza nel Governo”

“L’eliminazione del Superbonus mina la nostra presenza nel governo. La questione è salvarlo perché, oggi, centinaia di migliaia di italiani si sono visti bloccare i fondi dal ministro Franco. Adesso stiamo pensando a ristabilire la cessione del credito, poi ragioneremo sul rifinanziamento. La nostra presenza al governo è legata anche a questo“. Lo ha detto il senatore pentastellato, Danilo Toninelli, entrando a Palazzo Madama per incontrare Beppe Grillo. “Rischio appoggio esterno? Non parlerei di queste tecnicalità, bisogna ragionare sui temi”, ha continuato.

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Governo, Grillo: “Draghi mi ha chiesto di rimuovere Conte? Con le vostre storielle coprite la verità”

“Con le vostre storielle coprite la verità“. Così, con poche parole, Beppe Grillo, lasciando l’Hotel Forum per raggiungere il Senato e proseguire gli incontri con i parlamentari del M5s, liquida le domande sulle rivelazioni di De Masi rilasciate al Fatto Quotidiano, secondo il quale Draghi avrebbe chiesto a Grillo di rimuovere Conte. Alfonso Bonafede invece ha preferito non commentare e dribblare le domande salutando i cronisti.

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M5s, di Grillo non mi fido più. Ora è Conte ad avere un’opportunità importante

di Giulio Angelini

Io non fidandomi più di Beppe Grillo – che assomiglia sempre più ad un’eminenza grigia – da quando disse che Mario Draghi è un grillino, vedo in questa sua performance per salvare il Movimento un’ulteriore spinta verso l’abisso. Conte è una brava persona e forse non è un buon politico ma questo non lo ritengo un difetto, anzi, visti i risultati dei politici fin qui, sembra proprio un pregio raro. Che la politica sia ridotta ad un mercimonio è chiaro a tutti, ma che debba essere la protagonista incontrastata in eterno non deve essere così scontato. E, almeno per me, l’unico che può cambiare il corso di questa lurida politica è solo Giuseppe Conte.

L’avvocato dovrebbe affrancarsi da Grillo e creare un suo Movimento con quelli che credono (e non sono pochi) in un progetto veramente riformatore come quello iniziale del M5s. Ora il governo può cadere, non c’è nessuna emergenza all’orizzonte (certo, la guerra in Ucraina desta preoccupazioni ma è gestibile) e, se non cadesse perché Di Maio e FdI lo sosterrebbero, tanto peggio tanto meglio: Conte non sarebbe più connivente con un governo dei Peggiori.

Sono anche convinto che chi ha lasciato il M5s ritornerebbe all’ovile perché quella politica è un buco nero e chi ha lo stomaco tenero non può sopportare le porcate di certi personaggi.

Conte e i suoi collaboratori hanno un’opportunità importante che non devono lasciarsi sfuggire, perché il nocciolo duro della società civile è li che aspetta. Aspetta un discorso chiaro, onesto e che dia speranza a tutti in un Paese migliore. E, ripeto, l’unico leader che si vede all’orizzonte è Giuseppe Conte, coadiuvato da Alessandro Di Battista. L’uno prudente l’altro ribelle. Insieme in una nobile alchimia.

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M5s, Travaglio a La7: “Sta nel governo Draghi per vedersi distruggere ciò che ha fatto o ha voce in capitolo? Ma gli elettori contano qualcosa?”

“Il M5s è nato come un movimento ambientalista, pacifista e legalitario. Sulla giustizia hanno fatto carne di porco con la riforma Cartabia, sulla guerra a momenti siamo più oltranzisti di Biden, sull’ambiente abbiamo il premio Attila ministro della Transizione Ecologica, per giunta raccomandato da Grillo. La domanda è: ma gli elettori contano ancora qualcosa?”. Sono le parole pronunciate a “Otto e mezzo” dal direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, circa la permanenza dei 5 Stelle nel governo Draghi.

E aggiunge: “Quando i 5 Stelle hanno governato nei primi due esecutivi hanno fatto un sacco di roba che stava nel loro programma: il reddito di cittadinanza, il decreto Dignità, lo spazzacorrotti, il taglio dei parlamentari, il superbonus 110%, il cashback. Nel giro di un anno e mezzo Draghi le ha smantellate quasi tutte. Ma uno entra nel governo e sta alla finestra per guardare gli altri che gli distruggono quello che ha fatto o avrà voce in capitolo, essendo fino alla settimana scorsa il partito di maggioranza relativa e adesso il secondo gruppo parlamentare?”.

Travaglio chiosa: “Poi non ci meravigliamo che la gente non vada a votare. Ci mancherebbe altro che andasse. Già agli elettori stiamo dicendo come sarà il prossimo governo prima ancora di avergli chiesto cosa vogliono loro. Ma io mi meraviglio che il 40% abbia votato alle elezioni comunali e mi meraviglio che non scenda al 30% alle prossime elezioni politiche, se andiamo avanti a trattare gli elettori e i contenuti come se fossero epifenomeni. Un governo si sostiene perché faccia le cose che vuoi, altrimenti te ne vai e lo lasci sostenere da quelli che sono d’accordo con Draghi”.

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Travaglio a La7: “Stanno lavorando tutti per creare tanti partiti di centro uguali. Draghi? Il premier più sopravvalutato della storia”

“Stanno lavorando tutti perché dopo le elezioni, qualunque sia il voto degli italiani, i partiti tradiscano la scelta dei propri elettori e impongano la minestra riscaldata che c’era prima, cioè un governo che in un anno e mezzo non ha combinato niente, perché Draghi è il più sopravvalutato presidente del Consiglio della storia”. Sono le parole del direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, che, intervenendo a “Otto e mezzo” (La7), aggiunge: “Se uno dovesse ricordare una cosa memorabile che ha fatto questo governo, a parte galleggiare, rinviare i problemi e fare disastri sulla giustizia e sull’ambiente, si renderebbe conto che non ha fatto assolutamente niente. Ed è questo che ci stanno preparando per il dopo elezioni: cercare di fare tanti partiti di centro uguali per fregare gli elettori la prossima volta”.

Travaglio menziona la rivelazione del sociologo Domenico De Masi al Fatto Quotidiano, ovvero le richieste di Draghi a Grillo per rimuovere Conte dalla guida dei 5 Stelle: “Oggi è uscita la notizia che Grillo ha raccontato ai suoi parlamentari: Draghi gli scrive e gli telefona per parlare male di Conte e per tirarselo su. E secondo voi, Draghi è neutrale ed è stato neutrale rispetto alla scissione di Di Maio dal M5s? Stanno lavorando per spianare tutte le differenze e per creare un pensiero unico – spiega – con la creazione di tanti di partito di centro uguali per Draghi o per qualcun altro come lui, che potrebbe essere Cottarelli o un altro commissario esterno. Ci hanno provato coi 5 Stelle. Vedremo se gli riesce con Di Maio che ha più candidati che voti. Adesso ci proveranno con la Lega. Hanno messo a cuccia la Meloni, che ora è diventata atlantista, ma sono pronti a tagliarle la testa non appena la mette fuori dalla siepe”.

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martedì 28 giugno 2022

M5s, Grillo arriva al Senato: “Se rimaniamo al governo? Ma certo” – Video

Rimanete al governo o no? “Ma certo”. Si limita a rispondere così ai cronisti il garante del Movimento 5 stelle Beppe Grillo, arrivando al Senato. “Ma siete esaltati, voi coprite con le vostre non cose le cose vere. Quando vi comporterete bene con me, con noi, con il Movimento faremo delle belle interviste”, aggiunge Grillo entrando a Palazzo Madama dove ha in programma di incontrare i senatori delle varie commissioni dopo aver parlato con i deputati del suo gruppo.

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M5s, Grillo lascia l’hotel Forum: “Con Conte andiamo d’accordo”

“Con Conte andiamo d’accordo quindi smettetela di scrivere non cose”. Così Beppe Grillo lasciando l’Hotel Forum per andare alla Camera dei Deputati per incontrare i parlamentari pentastellati. Su quando gli attivisti voteranno sul quesito del limite al doppio mandato, il garante e cofondatore del Movimento non risponde ai cronisti.

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lunedì 27 giugno 2022

Campania, il M5s si spacca anche in Regione: tre consiglieri seguono Di Maio. In Abruzzo aderisce a Ipf la capogruppo Sara Marcozzi

Dopo quello in Comune a Napoli, anche il gruppo consigliare M5s in Regione Campania si spacca. Dei sei eletti con il simbolo del Movimenti, la metà ha deciso infatti di seguire il ministro degli Esteri Luigi Di Maio nel progetto “Insieme per il futuro”. Come già anticipato, hanno aderito Valeria Ciarambino, Salvatore Aversano e Luigi Cirillo. Stando ai rumors delle ultime ore, non sarebbe esclusa l’ipotesi che Ipf possa entrare nella giunta di Vincenzo De Luca: una strada che fino a poco tempo fa sembrava impraticabile, ma che all’improvviso viene valutata dai vari attori in campo.

Si dicono invece “compatti con Conte” i tre consiglieri rimasti nel M5s Michele Cammarano, Vincenzo Ciampi e Gennaro Saiello. Per i 5 stelle il nuovo capogruppo sarà Michele Cammarano, il vice sarà Ciampi. “Il rispetto del mandato elettorale”, hanno dichiarato Cammarano, Ciampi e Saiello – è e resta un valore fondante del nostro impegno politico”. Per il Movimento 5 stelle, aggiungono, “oggi si apre una fase nuova, sotto la guida del nostro capo politico Giuseppe Conte, la cui leadership è stata legittimata da oltre il 94% degli iscritti”. Proprio la Campania è considerato l’epicentro della faida nel M5s, con lo scontro tra Di Maio e l’ex collega Roberto Fico che da tempo ormai si scontravano nella gestione dei territori. Ecco perché le prossime evoluzioni locali sono destinate ad avere effetti anche a livello nazionale. Per quanto riguarda la situazione sui territori, oggi si è registrata un’altra defezione per il Movimento: la capogruppo M5s in Abruzzo e due volte candidata alla presidenza della Regione Sara Marcozzi ha deciso di aderire alla scissione del ministro degli Esteri. Del gruppo consiliare regionale dei 5 stelle, è l’unica a passare con Di Maio. Restano invece pentastellati i consiglieri Francesco Taglieri Sclocchi, Barbara Stella, Pietro Smargiassi, Domenico Pettinari e Giorgio Fedele. Infine, in queste ore, a spiegare la decisione di restare con Di Maio è stato i sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri: “Ho uno spiccato senso di rispetto per lo Stato e per le istituzioni”, ha detto a SkyTg24, “quindi appartengo a un’ala governista, senza se e senza ma, in un momento in cui dobbiamo essere tutti dei soldati. E’ un momento duro, stiamo uscendo dalla pandemia, vi è una guerra a pochi chilometri da noi, serve vicinanza e chiarezza in ogni scelta governativa”.

Tra i movimenti locali, da segnalare anche il caso di Assemini in Sardegna. Qui è infatti caduta anche l’ultima roccaforte pentastellata. Sabrina Licheri si è dimessa da sindaca di Assemini, nella città metropolitana di Cagliari, a un anno dalla scadenza naturale del mandato, mettendo così fine a nove anni – i primi cinque con Mario Puddu – di dominio incontrastato dei 5 stelle. Un passaggio che non c’entra nulla con la recente scissione a livello nazionale, ad ogni modo il passo indietro è il segnale che le cose nel Movimento non stanno funzionando. La spiegazione ufficiale è stata la stessa Licheri a fornirla. “La nostra amministrazione non ha più la forza numerica necessaria per portare a compimento il mandato che dovrebbe concludersi in maniera naturale a giugno 2023 – scrive nel suo profilo Facebook – cinque consiglieri di maggioranza hanno deciso di voltare le spalle alla maggioranza, di tradire il loro mandato, avviando una crisi politica in sede di approvazione del bilancio comunale, bloccando ogni progetto in attesa di risorse”. Ora Sabrina Licheri ha venti giorni di tempo per riflettere, ma difficilmente tornerà sui suoi passi. D’altro canto, spiega, “ulteriori sforzi per avere la forza numerica necessaria, non sarebbero compatibili con i nostri principi, valori, con la nostra coerenza e con il nostro modo di intendere e fare politica. Per questo, per il rispetto e per il bene che vogliamo al nostro Paese, facciamo un passo indietro”. Assemini è stato il primo Comune sardo amministrato dal Movimento 5 stelle nell’Isola, tra i primi in Italia. Poi ci sono stati Porto Torres e Carbonia, ora però entrambi governati da altre forze politiche.

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Sciacca, trionfa il candidato di Pd e M5s. Sconfitto Messina, che aveva mancato l’elezione al primo turno per 29 voti

Alla fine a guidare Sciacca sarà a sorpresa Fabio Termine, il giovanissimo candidato sostenuto dal Pd e dal M5s che è arrivato al ballottaggio per un soffio. E solo grazie ad un errore corretto la notte stessa dello spoglio del primo turno. Batte Ignazio Messina, candidato di Italia dei Valori e sostenuto da cinque liste civiche, di cui una, Onda, fa capo al consigliere regionale della Lega, Carmelo Pullara, alleatosi al secondo turno con Fratelli d’Italia. Una differenza di 1284 voti assegna quindi al ballottaggio la vittoria al centrosinistra, con un clamoroso recupero sull’ex deputato di Idv, che era già stato sindaco nella città in provincia di Agrigento negli anni ’90. Al primo turno Messina aveva preso 8.617 voti, arrivando a 8.728 per il ballottaggio. Termine, invece, partiva da 8.019 preferenze, arrivando a 10.014.

Un secondo turno che ha rischiato seriamente di non esserci. La vittoria al primo turno di Messina era stata infatti dichiarata e pubblicata nei siti ufficiali della Regione il giorno dello spoglio. Per un soffio il candidato del centrodestra aveva superato il 40 per cento. Così almeno pareva. Un vero colpo di scena ha però riaperto completamente la partita. Messina, infatti, non aveva superato la soglia del 40 per cento che in Sicilia basta per vincere al primo turno. Gli erano stati attribuiti 38 voti (20 per Mangiacavallo e 18 per Termine) per un errore: “La correzione è avvenuta su indicazione dell’Ufficio elettorale”, sottolinea il presidente della sezione in cui è avvenuto il clamoroso errore, Amindore Ambrosetti, figlio di Alfredo, dirigente regionale, ex direttore reggente del parco delle Madonie, impegnato in queste elezioni proprio a favore di Messina. Alla pag 43, divenuta il nodo centrale di un vero e proprio giallo, i numeri giusti sono contornati da rettangoli, sopra i quali appaiono i numeri corretti.

Una correzione come tante se non che questa in particolare stava per cambiare completamente le sorti dell’elezione. È stato, infatti, il ricorso degli avvocati Calogero Marino e Girolamo Rubino presentato la notte stessa a ribaltare il risultato. I 38 voti assegnati a Messina erano frutto di un errore: erano 18 di Termine e 20 di Matteo Mangiacavallo, candidato di Attivia Sicilia (il movimento formato dagli ex Cinquestelle) e appoggiato anche da Fratelli d’Italia. Questo è quanto ha accertato il magistrato a capo dell’ufficio elettorale che ha corretto tutto e dichiarato il ballottaggio. Ne sarebbero bastati 29 a Messina per vincere al primo turno, ma nessuno di quei 38 era suo. Nel frattempo, nelle due settimane di campagna elettorale extra, il candidato di Idv, già sostenuto dalla Lega, ha stretto un’alleanza con Fratelli d’Italia. Apparentamento che non è bastato per vincere. E il candidato di M5s e Pd esce vittorioso da questa curiosa sfida: “Non ce lo aspettavamo prima ma negli ultimi giorni si era capito che l’atmosfera era questa, siamo molto contenti, certo”, dice lui.

Laureato in giurisprudenza, Fabio Termine a 32 anni è il giovanissimo neo sindaco della città nota per il suo Carnevale. Ed esultano i Cinquestelle: “”Felicissimi che i cittadini di Sciacca abbiano scelto di eleggere Fabio Termine come sindaco- Per noi, e per il Movimento 5 Stelle, è stato un onore sostenerlo e sarà un piacere continuare a farlo”, commentano insieme il referente siciliano del M5s Nuccio Di Paola e il consigliere regionale Giovanni Di Caro. E Di Paola fa un bilancio: “Nei dieci comuni al di sopra dei 15 mila abitanti in cui si è votato nessuno degli uscenti era del M5s. Siamo contenti che uno dei neo sindaci sia un candidato fortemente voluto dal Movimento”. Fallisce, invece, l’elezione a Scicli della candidata renziana. Nella cittadina in provincia di Ragusa, famosa per essere diventata lcation della serie sul commissario Montalbano, si è consumata una sfida con un’importante impronta femminile, visto che la candidata Caterina Riccotti aveva designato come vice sindaca Marianna Buscema. Due donne che correvano per la guida di Scicli, una sfida insolita, infine persa contro Marco Marino, sostenuto da liste civiche di centrodestra, per una differenza di 158 voti. Il centrodestra vince anche a Palagonia, dove il sindaco uscente, Salvo Astuti, sostenuto da liste civiche che facevano capo alla Lega e al movimento di Nello Musumeci, Diventerà bellissima, è stato riconfermato con il 59,2 per cento. Si è infine sbloccatolo lo stallo a Villafranca Sicula, dove i due candidati avevano ottenuto al primo turno gli stessi voti: 481 sia l’uno che l’altro. Al secondo turno, invece, Gaetano Brucculeri è riuscito ad ottenere ben 7 voti in più del suo sfidante, Domenico Balsamo.

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M5s, Beppe Grillo a Roma: il primo colloquio è con Conte. Sul tavolo l’ipotesi di una deroga al limite del secondo mandato

Ore decisive per il Movimento 5 stelle e per una delle norme fondanti della creatura di Beppe Grillo: il limite dei due mandati per le nuove candidature. Nella tarda mattina di lunedì e come già annunciato, il fondatore M5s è arrivato a Roma e per tutto il giorno farà colloqui con i vertici. Sul tavolo, stando alle ultime indiscrezioni, ci sono gli effetti della scissione di Luigi Di Maio e soprattutto la questione delicatissima delle candidature per chi ha già fatto due giri in Parlamento. La prima persona che il comico ha ricevuto all’hotel Forum, dove di solito alloggia, è stato il presidente del Movimento Giuseppe Conte: il faccia a faccia è durato circa quattro ore e alla fine l’ex premier ha lasciato la struttura da una porta secondaria. Subito dopo, il garante ha incontrato il tesoriere M5s Claudio Cominardi. e il sociologo Domenico De Masi.

Il nodo due mandati e la fretta per il caso Cancelleri – La decisione più attesa rimane quella sulla deroga a una norma che è da sempre considerata intoccabile per i 5 stelle. Dopo il primo turno delle amministrative, l’ex premier aveva annunciato che il M5s avrebbe messo ai voti entro fine mese la questione. Ma perché è urgente decidere? A scalpitare è soprattutto il sottosegretario alle Infrastrutture Giancarlo Cancelleri che freme per partecipare alle primarie siciliane per le Regionali, ma ha alle spalle due mandati da consigliere regionale (uno interrotto però prima della scadenza per entrare nell’esecutivo). Attualmente sarebbe -stando alla regola aurea del Movimento- fuori gioco e c’è tempo solo fino al 30 giugno perché possa chiedere la candidatura.

Secondo quanto apprende l’Adnkronos, nei vertici del M5s si ragiona su una ‘micro deroga’, che fisserebbe la percentuale degli eletti ammessi al ‘terzo giro’ ben al di sotto del 10%. Il che aprirebbe le porte del Parlamento e dei Consigli regionali solo a una manciata di grillini forti di due mandati, mentre a Bruxelles gli europarlamentari al ‘terzo round’ si conterebbero sulle dita di una mano. Ammesso che la rete dia il disco verde alla deroga. Che, per aprire la strada a Cancelleri in Sicilia, andrebbe fatta entro e non oltre mercoledì, dunque messa ai voti e ratificata entro 72 ore. Tempi strettissimi. Negli ultimi giorni nei vertici si era infatti convenuto su un rinvio del voto -uno slittamento che non è ancora da escludere- così da mettere il Movimento a riparo da polemiche e frizioni in una fase molto difficile. E anche per la contrarietà del garante e fondatore, convinto difensore di una norma fortemente voluta da lui e Gianroberto Casaleggio.

Eppure c’è chi, nella cabina di comando del Movimento, nelle ultime ore parla di qualche spiraglio, anche se la questione -ieri rimasta fuori dalla discussione del Consiglio nazionale convocato da Conte in serata- è tutta da dirimere – “ancora non si capisce niente”, si sfoga con l’Adnkronos uno dei membri del Consiglio nazionale- e, spiegano alcuni beninformati, non aiutano certo nell’accelerazione del dossier i rapporti non proprio idilliaci tra Grillo e Cancelleri, guastati la scorsa estate, quando si aprì la guerra tra il fondatore e Conte, e il sottosegretario siciliano prese le parti dell’ex premier segnando le distanze da Grillo. Fatto sta, che la mancata candidatura di Cancelleri alle primarie in Sicilia – dove è ormai a lavoro da mesi proprio per preparare la sua corsa sul territorio – costituirebbe un bel pasticcio per il M5s. Oltre a generare una nuova fattura, che potrebbe innescare nuovi addii nelle file del Movimento, a Roma come in Sicilia. Se Cancelleri -in passato considerato vicinissimo a Luigi Di Maio, che, da capo politico, lasciò che abbandonasse la carica da consigliere per assumere quella da sottosegretario a Roma (altra regola grillina infranta)- decidesse di rompere, stando alle voci che circolano nel Movimento potrebbe portarsi dietro 10 parlamentari, compresa la sorella deputata Azzurra Cancelleri, anche lei al secondo mandato.

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Di Maio, un divertissement: mi stupisce che per qualcuno la magia sia destinata a ripetersi

Pare che la scissione dal MoVimento Cinque Stelle sia stata discussa e pianificata mesi fa tra una consegna di gazzosa a Palazzo Chigi e una di limonata al Quirinale. Non è dato sapere se su richiesta del cliente o come omaggio direttamente dal vassoio della ditta “Pomigliano in Rignano, a servirVi”.

Non stupisce che il peggior ministro degli Esteri che la Storia italiana ricordi (cito qualcuna delle sue massime: Ping presidente della Cina, Francia democrazia millenaria, Putin animale nel pieno del conflitto russo ucraino – a tal proposito qualche solerte badante dell’entroterra napoletano dovrebbe ricordare il vecchio adagio “a lavar la testa all’asino…”), da mesi sia incensato dai colleghi parlamentari (per lo più di centrodestra), dai giornaloni e da altri (alti) rappresentanti del Sistema nonostante il recente passato no-Euro e anti-Nato e le performance imbarazzanti. Fa parte del piano.

Ciò che lascia perplessi è come una pletora di semisconosciuti (tra i quali cercatori di formiche, amici del popolo libanese di… Libia, ragionieri che vorrebbero dare lezioni di economia a noti economisti e perfino eroine sui banchi a rotelle che combattono i vil gaglioffi, insomma puri talenti della politica) possa credere che la magia sia destinata a ripetersi. La magia di tornare in parlamento “Insieme” o di assicurarsi magari una nomina nelle partecipate amiche. Mentre, e senza alcuna magia, il posto assicurato, come da accordi, è uno solo. Anzi due (c’è anche quello per la badante).

E allora appare chiaro il bluff: sotto il piano “per il Presente” non c’è nulla “per il Futuro”, nessun progetto serio, nessun contenuto, neppure un manifesto o una mission se non quella (reale) di puntellare un pessimo governo già puntellato da tutte le forze politiche. In cambio di un posto sicuro da ministro (quinta volta? Sesta?) nella prossima legislatura da ottenere grazie a qualche contenitore informe che sarà presentato, soprattutto in Campania, per un paio di mesi, sufficienti per imbarcare traffichini e portatori d’acqua, e da chiudere, ça va sans dire, subito dopo le elezioni.

Che se poi, dopo il voto, dovesse ripresentarsi uno stallo ancor più complicato di quelli del passato, c’è sempre un posto da premier tante volte sfiorato e mai agguantato oppure, se non avete obiezioni contrarie, quello alla Nato. A tutti gli altri (e non sono pochi) non rimane che sperare nel futuro, anzi in the Future, come piace dire a noi atlantisti.

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Patuanelli: “M5s non si sta spegnendo, c’è un tentativo di spegnerlo. Sì ad alleanza con Pd, era Di Maio a voler un campo liberale-moderato”

Il M5s va verso lo spegnimento? No, vedo invece un tentativo di spegnere il Movimento, che è cosa ben diversa. Credo che sia un valore per il Paese il fatto che esista un Movimento che mette al centro le politiche ambientali e le politiche a favore dei più deboli”. Così, ai microfoni di “24 Mattino”, su Radio24, il ministro delle Politiche Agricole, Stefano Patuanelli, commenta un sondaggio del Sole 24 Ore che dà i 5 Stelle al 6,9% di gradimento, sottolineando: “Di sondaggi ne ho visti diversi e ci sono anche quelli che ci danno in crescita dopo la scissione di Di Maio. Ricordo che le dimensioni del corpo elettorale sono molto limitate e che c’è una incredibile aleatorietà del voto. Credo che oggi fare il sondaggista sia molto complicato”.

Inevitabile il riferimento all’ex compagno di partito Luigi Di Maio: “La sua uscita dal M5s? Sicuramente non l’ho letta con sorpresa. È evidente che ci fosse un percorso già disegnato da tempo, probabilmente da gennaio, quando cioè il ministro Di Maio si è adoperato per Draghi affinché diventasse presidente della Repubblica. È chiaro che in quel momento si sia consumata una visione diversa col M5s. Quello che invece mi ha sorpreso – aggiunge – è la soddisfazione con cui Di Maio ha parlato dei danni fatti dal Movimento, cioè dalla forza politica che gli ha consentito di fare un percorso di grandissimo rispetto e di avere una crescita enorme. Ingratitudine di Di Maio? La gratitudine in politica è il sentimento del giorno prima, mai del giorno dopo. Diciamo che da parte di Di Maio sarebbe stato sufficiente anche un atteggiamento di neutralità”.

Patuanelli, infine, smentisce categoricamente che nel Consiglio nazionale del M5s, tenutosi ieri sera con Giuseppe Conte, si sia discusso del doppio mandato (“In questi consessi non parliamo di 2, 3, 6 mandati, sarebbe un tipo di approccio veramente deprimente”).
E sul campo largo progressista osserva: “Sono molti anni che parlo di una prospettiva di rapporto strutturale col Pd, quando altri volevano un movimento nel campo liberale e moderato. E ogni riferimento non è per niente casuale. Anche dopo questi ballottaggi, è del tutto evidente che un campo progressista debba essere la risposta contro l’avanzata delle destre. Credo che ci siano le condizioni per farlo. Anche con Di Maio dentro? Sì, purché non sia più quello del campo liberale e moderato e sia diventato progressista”.

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domenica 26 giugno 2022

M5s, Giuseppe Conte convoca il consiglio nazionale per “comunicazioni del presidente”. Collegato anche Beppe Grillo

“Comunicazioni del Presidente”. Con questo ordine del giorno Giuseppe Conte ha convocato il Consiglio nazionale del M5s a partire dalle 21 e 30. La riunione è stata convocata su zoom e tra le persone collegate c’è anche Beppe Grillo. “Ho aderito a una nuova religione… l’altrovismo”, ha scherzato il fondatore, atteso a Roma nella giornata di domani.

Nella Capitale Grillo incontrerà i componenti pentastellati delle varie Commissioni parlamentari. Alle 17 il fondatore vedrà i componenti M5s della commissione Lavoro e Cultura, alle 18 quelli della commissione Attività produttive e Bilancio e alle 19 Trasporti e politiche Ue. Martedì alle 9 vedrà i parlamentari di Finanze e Ambiente, alle 10 Affari costituzionali e Giustizia, alle 11 Esteri e Difesa, alle 12 Agricoltura e Affari Sociali. Nel primo pomeriggio di lunedì, invece, vedrà Conte. Nelle prossime ore, infatti, l’ex premier deve sciogliere una serie di nodi: l’avvio della votazione degli iscritti sul doppio mandato e, contestualmente, quella per la designazione dei referenti territoriali in seno al Consiglio nazionale per i quali si è appena chiusa la fase delle autocandidature. Ma anche la strategia per il rilancio della proposta politica del M5s attraverso una mobilitazione. Rimessi i panni del “grande saggio” starà al fondatore del Movimento dire la sua sulla delicatissima questione del tetto ai mandati e, soprattutto, su quella delle eventuali deroghe per i “meritevoli“. Una partita cruciale per il M5s alle prese con la scissione dei “dimaiani” di Insieme per il futuro e con alcuni eletti ancora in bilico.

“Penso che alla fine il vincolo cadrà. Riusciranno anche a convincere Beppe Grillo che l’ultimo principio portante del M5s dovrà venir meno, grazie alle deroghe per gli amici. Sarà la giravolta finale. Comunque sono fatti loro, che non ci riguardano e non interessano agli italiani che hanno altre priorità”, dice Primo Di Nicola, capogruppo designato al Senato di Insieme per il futuro. Se così fosse e se Giuseppe Conte dovesse decidere di “derogare” anche Giancarlo Cancelleri, per farlo partecipare alle primarie per la scelta del candidato del centrosinistra alle regionali in Sicilia, il voto degli iscritti dovrebbe avvenire addirittura entro metà settimana. Il 30 giugno scade infatti il tempo per l’scrizione dei candidati alle primarie che si terranno il prossimo 23 luglio. Proprio ieri Cancelleri aveva invitato Conte a “non perdere altro tempo” in vista di questa scadenza aggiungendo che “se non vinciamo queste primarie il M5s finisce, e non in Sicilia ma in Italia. E questo lo sanno bene a Roma”.

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Da Tabacci a Calenda al “partito dei sindaci”. Lo scisma M5S rianima la galassia centrista, pronta alle sportellate per un pugno di voti

Al centro! Al centro! La scissione di Luigi Di Maio dal M5S per formare Insieme per il futuro (ma è un nome provvisorio che non sarà quello della nascitura forza politica) ha fatto ringalluzzire centristi di ogni genere e grado. Magari anche con qualche preoccupazione, perché il nuovo soggetto dimaiano, lavorando per la cosiddetta “area Draghi”, in quello spazio politico si collocherà e magari ruberà voti agli altri. Insomma, tutti al centro appassionatamente, a fare a sportellate per un pugno di voti. “Più culi che poltrone”, dicevano i vecchi marpioni democristiani quando i posti scarseggiavano. Secondo Clemente Mastella, però, quello spazio vale almeno il 10% dell’elettorato. E comunque la creatura dimaiana ha ridato fiato, energie e terreno politico a tutto un universo che sembrava già ripiegato su se stesso. Più realista sembra essere Bruno Tabacci, che si appresta a prestare il simbolo del suo Centro Democratico in Senato al ministro degli Esteri, secondo cui “di centro si potrà parlare solo se si farà una legge proporzionale con le preferenze”.

Vediamola, dunque, questa galassia centrista che in Parlamento dal 2018 in avanti è andata gonfiandosi grazie ai 414 cambi di casacca che hanno coinvolto 280 tra deputati e senatori. La sigla che nell’ultimo paio d’anni ha visto più turbolenze è quella di Giovanni Toti, Gaetano Quagliariello e il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro. Giusto un anno fa, infatti, nasceva “Coraggio Italia” con 23 deputati e 7 senatori, che rappresentava l’unione di tre componenti: Cambiamo di Toti, Idea di Quagliariello e i civici di Brugnaro. Le cose tra i primi due e il terzo della compagnia però non sono andate bene fin da subito, tanto che a febbraio scorso è arrivato il divorzio col governatore ligure e l’ex ministro che hanno dato vita a Italia al centro (che ora conta 8 senatori e 4 deputati), mentre Brugnaro si è tenuto quel che restava di Coraggio Italia. In questo bailamme, il sindaco di Venezia ha poi perso ancora pezzi e la sua componente si è sfasciata definitivamente con l’uscita della deputata Simona Vietina, mentre l’ex capogruppo a Montecitorio, Marco Marin ha fondato nei giorni scorsi “Vinciamo Italia” con 7 parlamentari. Insomma, sono finiti divisi in tre. Dal punto di vista politico, Toti, Quagliariello e Marin vorrebbero stare ancorati al centrodestra, rappresentare il centro della coalizione, mentre Brugnaro preferisce tenersi le mani libere e dialogare con tutti. E infatti si dice che in queste ore diversi siano stati i colloqui con Di Maio. Da segnalare che “Italia al centro” non è andata male in queste amministrative: 9% a Genova, 5,2% a L’Aquila, 9% a Catanzaro con due liste.

Dall’area più travagliata a quella più in salute, ovvero Azione di Carlo Calenda, che i sondaggi accreditano intorno al 5-6%, ma l’ex ministro alle Politiche non fa mistero di puntare almeno all’8%. Nata nel novembre 2019 come opposizione al Conte II e dopo l’addio di Calenda al Pd, è dunque la formazione che al momento gode di maggiore salute elettorale. Forse è per questo che il suo leader tratta gli altri in maniera sprezzante e non teme la corsa solitaria. Se i sondaggi dovessero dargli ragione, una discreta truppa parlamentare nella prossima legislatura sarebbe assicurata. Ora a Montecitorio insieme a + Europa e Radicali sono in 7, mentre a Palazzo Madama si contano 4 senatori.

Altro protagonista è Matteo Renzi che, se ancora con i suoi 30 deputati e 15 senatori ha un grande potere nell’attuale Parlamento, a livello di sondaggi non riesce a schiodarsi dal 2-3%. E con quei numeri sarà difficile per lui dare le carte anche nella prossima legislatura. Il perimetro della sua azione politica, però, è necessariamente il centro, con la differenza rispetto agli altri delle geometrie variabili: può allearsi in maniera intercambiabile con Letta o con Berlusconi. Come abbiamo visto alle amministrative, per esempio a Genova, dove Italia Viva ha sostenuto il sindaco Marco Bucci. Mentre in altre realtà ha contribuito alla vittoria del centrosinistra. Alle Politiche, però, tenere il piede in due staffe sarà possibile solo col proporzionale, mentre con l’attuale sistema elettorale Renzi sarà costretto a scegliere da che parte stare.

Guardando ancora alle truppe ora in Parlamento bisognerà tenere d’occhio Noi con l’Italia di Maurizio Lupi (5 deputati), che però resterà convintamente nel centrodestra, il Centro democratico di Tabacci (altri 5) che guarda a Draghi e Di Maio, dopo esser stato, ricordiamolo, uno dei protagonisti della caccia ai “responsabili” per favorire il Conte-ter, e gli ex grillini di Alternativa, che alla Camera sono in 15.

Ma in quest’area tutto è in movimento. Ad esempio ora avanza una sorta di partito dei sindaci che vede Beppe Sala molto interessato alle mosse di Di Maio, tanto che ormai si parla di un suo ingresso nella nuova formazione degli scissionisti in autunno. Ma Sala non è l’unico: anche Dario Nardella, Sergio Pizzarotti, Giorgio Gori fino allo stesso Brugnaro osservano interessati cosa si muove intorno al ministro degli Esteri. Un universo che potremmo definire “draghiano” non perché Draghi lo incoraggi o se lo intesti, ma perché essi non escludono, anzi alcuni lo sperano apertamente, che l’attuale premier sieda a Palazzo Chigi anche dopo il 2023 (e così vorrebbe anche Calenda). Ipotesi che potrebbe realizzarsi se dalle urne non uscisse un vincitore chiaro, il tutto facilitato da un proporzionale che farebbe tenere a tutti le mani libere.

Della partita “draghiana” anche l’ala governativa di Forza Italia: Mariastella Gelmini, Renato Brunetta, e soprattutto Mara Carfagna prima del voto potrebbero decidere di staccarsi finalmente da Berlusconi e buttarsi nella mischia. Questo però dipenderà da quanto l’attuale Fi andrà alle elezioni facendosi dettare l’agenda da Salvini e Meloni. In tal caso, la scissione sarà quasi inevitabile. Anche perché, oltretutto, sarà difficile che i tre possano esser ricandidati nelle ormai esigue truppe di Silvio.

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sabato 25 giugno 2022

Scissione M5s, Grillo sarà a Roma già lunedì per “fare squadra con Conte e i portavoce”

Beppe Grillo sarà a Roma già lunedì, nel primo pomeriggio. Lo assicurano a LaPresse fonti parlamentari qualificate del Movimento 5 Stelle. Il fondatore e garante, viene riferito, si tratterrà qualche giorno per incontrare il presidente Giuseppe Conte e altri esponenti del Movimento. Il suo obiettivo, spiegano le stesse fonti, è “fare squadra con il presidente Conte e tutti i portavoce”. Secondo i piani originari, l’ex comico sarebbe dovuto scendere nella capitale martedì, dopo aver rinviato, in seguito alla scissione di Luigi Di Maio, la visita fissata in precedenza a giovedì scorso. E sabato ha pubblicato sul blog un intervento in cui sponsorizza la tecnologia di combustione rifiuti senza fiamma come alternativa alla costruzione dell’inceneritore a Roma, annunciata dal sindaco Roberto Gualteri e osteggiata dai 5 Stelle.

Proseguono intanto le turbolenze dovute all’addio del ministro degli Esteri, che ha portato con sé nei nuovi gruppi parlamentari di “Insieme per il futuro” 51 deputati e 11 senatori (a cui venerdì si è aggiunta l’ex ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina). Ma dal M5s parlano di un boom nelle iscrizioni dopo la scissione, con mille nuove tessere solo in questa settimana e trecento nuovi iscritti al giorno: “Un trend in continua ed esponenziale crescita”, festeggiano dalla sede di via di Campo Marzio, affermando che venerdì, “in 24 ore, si è registrato un +900% rispetto al numero di nuovi iscritti della giornata di sabato scorso”.

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Cacciari: “Draghi grossa delusione, non è Macron. M5s? Fuoco di paglia, come lo è stato Renzi. Non hanno storia e fondamenti culturali”

Scissione di Di Maio dal M5s? È l’ultima cosa che deve preoccuparci. Sono fuochi di paglia, come lo è stato Renzi. Sono personaggi che nascono senza nessun fondamento culturale e senza nessuna storia che ne sostenga l’azione”. Così, ai microfoni della trasmissione “L’Italia s’è desta”, su Radio Cusano Campus, il filosofo Massimo Cacciari commenta la spaccatura nel M5s, aggiungendo: “Che i 5 Stelle fossero in caduta libera lo si era capito da tempo, era scritto nel loro genoma. Come poteva durare e funzionare un organismo che nasce senza nessuna strategia o idea, ma solo sull’onda di una protesta, seppure legittima e comprensibile?”.

E sottolinea: “In realtà, quello che drammaticamente dovrebbe preoccuparci è la crisi nera che si sta profilando e nella quale già ci siamo con caratteristiche completamente nuove. A questo dovrebbero interessarsi le residue intelligenze e le forze politiche di questo Paese. Siamo in una situazione di quasi recessione e se le forniture di gas russo andranno sotto il trend del 25%, noi saremo in totale recessione. Dovremmo cominciare ad affrontare questa crisi, che è particolarmente dura per noi, a differenza di altri Paesi come la Francia e la Germania – spiega – Abbiamo il debito pubblico più alto di tutti i Paesi avanzati, fatta eccezione per il Giappone. E questo debito sta diventando ingestibile. Qui bisogna fare politiche fiscali nuove, politiche aggressive contro l’impoverimento. Siamo un Paese in netta decadenza ed è ridicolo parlare di altro. Qui c’è un Paese che si sta avvitando in un processo di decadenza economica, politica, culturale, sociale“.

Critico il giudizio di Cacciari sul presidente del Consiglio: “Abbiamo ‘sto Draghi, ma per me è stato una grossa delusione. Ha gestito il covid continuando sulla linea massimalista e terroristica che ha certamente ha reso più difficile la ripresa. Adesso, per la guerra in Ucraina, è sdraiato sulle posizioni americane, tra l’altro in una situazione in cui ci stanno pesantemente sanzionando. La strategia di Draghi manca di equilibrio. Certamente il grande vantaggio di Draghi è dato dalla sua credibilità e dalla sua autorevolezza sul piano internazionale in un Paese con un grande debito pubblico. Ma sul piano squisitamente politico Draghi ogni giorno di più mostra di non avere alcuna autonomia. Non è Macron, ecco”.

Dura riflessione di Cacciari sulle prossime elezioni politiche: “Avremo un governo politico? Ne dubito tantissimo. Intanto, non cambiano la legge elettorale. Il centrosinistra che cosa aggrega? Tolto il Pd, chi c’è? Il nuovo partitino di Di Maio? Calenda? Renzi? E questo sarebbe il campo largo? Il centrodestra dovrebbe avere sicuramente numeri più consistenti, ma poi cosa succede? Non abbiamo ancora capito che non è realisticamente ipotizzabile un governo guidato da Salvini o da Meloni? Se vuoi governare un grande Paese dell’Occidente – puntualizza – devi avere forze politiche e personaggi che vanno bene alle grandi potenze internazionali, agli Usa. C’è poco da fare, è pure realismo. Se si mette come presidente del Consiglio Salvini o Meloni, vuol dire fare una crisi nel giro di sei mesi. O questo centrodestra si resetta tutto come si deve e Salvini e Meloni diventano leader europei a 360 gradi, smettendola di giocare ai nazionalisti e agli anti-immigrati, oppure non potranno mai governare”.

Finale staffilata del filosofo al Pd: “Ormai da 15-20 anni a questa parte, ha finito ogni spinta propulsiva sul piano delle riforme. Non ne parla neanche più, c’è una totale afasia sulle grandi riforme costituzionali o della pubblica amministrazione o della scuola. Quando va bene, il Pd fa battaglie sui diritti da Partito Radicale, cioè da partito che nella sua vita non ha mai preso più del 3%. E qual è il merito del Pd? – conclude – È quello di presentarsi al Paese dicendo: ‘Io, comunque, garantisco un governo. Io il governo lo faccio con chiunque, anche con Salvini o col M5s. Basta che sia un governo. Io sono quello che fa il governo’. Il Pd, cioè, è diventato un partito assolutamente conservatore. Quelli che lo votano sono coloro che hanno qualcosa da perdere se si va in un casino peggiore di quello in cui siamo. Sono cioè la borghesia, come si sarebbe detto una volta: quelli che hanno da perdere se il Paese va definitivamente a puttane”.

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I partiti tradizionali festeggiano la scissione di Di Maio: ha dimostrato che la politica è irriformabile

Se fossi professionalmente tenuto a occuparmi delle cose della psiche, ci andrei cauto e osserverei la Goldwater Rule. Ma siccome non devo sottostare a quel codice deontologico, proverò a dire quel che penso della scissione di Luigi Di Maio e soprattutto delle reazioni che l’hanno seguita. Partendo tuttavia da più lontano, ovvero da quello che i 5 Stelle hanno rappresentato e rappresentano per l’establishment. Il quale si è sempre sentito minacciato dell’esistenza del Movimento, prima che dalle sue proposte, si è sentito giudicato e messo all’indice, e così da quando Di Maio ha dato l’addio al M5S festeggia in modo sguaiato, inneggia al fallimento, sostanzialmente dicendo niente di diverso da un grottesco “volevate dimostrare di essere diversi ma siete stronzi esattamente come noi!!”; e ancora, con un incredibile ghigno sul viso: “volevate riformare la politica e invece vi siete ridotti a più miti consigli: la politica è irriformabile”.

Ecco, con la scissione di Giggino è iniziato questo tipo di festeggiamenti, quelli contro la hybris pentastellata. I partiti tradizionali festeggiano, in sostanza, il fatto che il M5S ha dimostrato di essere ‘poltronaro’, governista, opportunista proprio come loro. Festeggiano quella che a loro pare la compiuta e definitiva assimilazione. Per questo l’orgia di chi brinda ha una dimensione psicanalitica. È come veder cadere lo spocchioso primo della classe (chiaramente soi disant, beninteso) a un’interrogazione e ballare sulla sua disfatta cantando “non c’è un primo della classe, sei mediocre proprio come noi”. Il quadro in realtà si complica, dal punto di vista ‘clinico’ (ma si veda il caveat iniziale), quando si parla di quei leader che hanno cercato di dire le stesse cose degli odiati 5S. Pensate a Matteo Renzi, che da anni ne ha adottato temi e un po’ anche stili, parlando di lotte alla casta, ai privilegi, al poltronificio e alla “seggiola”. Oggi Renzi festeggia il fatto che invece Di Maio sia diventato esattamente come lui.

Il capolavoro sarà l’ammissione di Di Maio ai tavoli da cui veniva ancora escluso perché portatore dello stigma a 5S: ora che se ne è liberato, si è trasformato da burattino in bambino, o meglio da bambino in burattino, da ‘bibitaro’ (come sprezzantemente lo chiamavano quando era ancora un bambino) a statista. La fata turchina gli ha consentito una metamorfosi al contrario, lo ha dovuto insozzare facendogli fare un bagno nella cloaca della politica politicante. Ora, maleodorante come gli altri, potrà sedersi al desco e nessuno sentirà la differenza. E si badi bene, non burattino per eventuali allusioni alla sua manovrabilità o alla presenza di ‘fili’ (del resto, neanche Pinocchio ne aveva), ma perché erano gli stessi 5S a denunciare la disumanità di quella politica a cui orgogliosamente facevano mostra di non appartenere. Non conta quanto quell’immagine di purezza fosse autentica, conta solo quanto essa sia stata negata da chi fino a qualche tempo fa ne faceva un vessillo.

Personalmente, avevo scritto proprio su questo giornale del rischio normalizzazione dei 5S nel 2016: “Quanto invece al Movimento, è cresciuta una classe dirigente più matura, meno ruspante e anche più capace di dialogare con la realtà produttiva del paese. Occorrerà vedere se queste nuove facce dialoganti riusciranno a mantenere il vantaggio del M5s, quel vantaggio dovuto a un certo oltranzismo che li ha fatti apparire ‘duri e puri’ agli occhi di chi non ne poteva più della ‘vecchia politica’. Insomma, occorrerà vedere se governare significherà la ‘normalizzazione’ del Movimento, cosa che dipenderà anche dalla selezione della propria classe politica futura e da come, e se, quella attuale uscirà di scena. Poiché un movimento appena nato può chiaramente vantare la freschezza e novità dei propri dirigenti, solo il tempo ci dirà se i 5s avranno saputo mantenere fede all’impegno di ricambio e all’idea della politica come servizio più che come lavoro (permanente)”.

Ecco, Di Maio ha confermato la normalizzazione. E gli altri festeggiano l’inversione del dictum grillino: se il Movimento non ha aperto il Parlamento come una scatoletta di tonno, si rischia che la casta apra il Movimento come una scatoletta di tonno. Con la conseguenza che quel voto di protesta che li ha scelti fin qui faccia il passaggio ulteriore, quello dell’astensionismo, riducendo la democrazia a una competizione alla quale partecipa un numero sempre più esiguo di persone. Una dittatura delle minoranze che fa stappare bottiglie di champagne a coloro che si servivano di quegli spin doctor che teorizzavano la spinta al non voto per l’elettorato grillino. Ecco: con la fattiva collaborazione dei grillini, la cosa si sta realizzando.

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venerdì 24 giugno 2022

Sicilia, il limite dei due mandati e l’incognita Cancelleri: alle primarie per le regionali manca solo il candidato del M5s

La scadenza per la presentazione della candidatura è alle porte e il M5s è l’unico a non avere ancora espresso un nome per le primarie del centrosinistra. Sul tavolo c’è il posto da candidato governatore alle regionali siciliane del prossimo autunno. “C’è tempo fino al 30 giugno”, ricorda Giancarlo Cancelleri, sottosegretario ai Trasporti, tra i nomi che circolano in queste ore, e già da mesi, come possibile candidato. Su di lui però pende il vincolo che vieta il terzo mandato, argomento diventato ancora più sensibile dopo la scissione di Luigi Di Maio. Una deroga alla regola in questo momento non pare essere vista di buon occhio da Giuseppe Conte. L’ex premier si è espresso in questi termini nel corso della riunione avuta giovedì con gli eletti all’Assemblea regionale e con i senatori e deputati siciliano. Il risultato è che a 5 giorni dall’ultima data possibile per presentare le candidature manca ancora un nome dei 5 stelle. Per scegliere il candidato del centrosinistra si voterà il 23 luglio tramite app (sky vote) e nei 32 gazebo che saranno allestiti nelle 5 provincie più popolose della Sicilia. Già pronto pure il sito per iscriversi alla votazione: presidenziali22.it. Potranno votare 16enni e i residenti in Sicilia ma fuorisede.

Pronti anche due dei tre candidati. In campo già da mesi c’è Claudio Fava, l’ormai ex presidente della commissione siciliana Antimafia che sta girando la Sicilia ormai dall’inverno scorso. Da pochissimo, invece, il Pd ha ufficializzato la sua scelta, ricaduta infine su Caterina Chinnici, magistrata, figlia di Rocco Chinnici il magistrato che diede vita al pool antimafia a Palermo, ucciso nel 1983: “Perché mi presento? Perché, questa terra, la Sicilia, io la amo, i miei genitori con il loro esempio mi hanno insegnato ad amarla – ha detto la candidata del Pd – E all’invito del Partito democratico, io rispondo con entusiasmo e con lo stesso spirito di servizio che ha sempre contraddistinto il mio impegno civico”. E politico: Chinnici è europarlamentare ed è stata assessora del governo regionale di Raffaele Lombardo, prima alla Famiglia e poi alla Funzione pubblica. Il suo nome circolava già da mesi: proprio per il suo ruolo nell’esecutivo dell’ex presidente della Regione, la magistrata è considerata in grado di attrarre nella coalizione di centrosinistra anche gli Autonomisti che fanno capo a Lombardo, garantendo così alla coalizione un campo più largo. A sfidarsi, dunque, saranno due vigli di vittime di Cosa nostra visto che Fava è figlio di Pippo Fava, giornalista ucciso a Catania nel 1984.

Manca all’appello soltanto il candidato del M5s che sarà scelto da Giuseppe Conte nei prossimi giorni. Intanto i siciliani incontreranno gli attivisti, in un confronto vis à vis, lì dove tutto ha avuto inizio. Ovvero nel cortile della biblioteca Scarabelli a Caltanissetta. Lì cioè dove i Cinquestelle siciliani si riunirono nel 2012 e decisero di formare la prima lista per le Regionali. Un luogo simbolo in cui il referente regionale, Nuccio Di Paola, raccoglierà tutte le adesioni per le primarie. In campo attualmente c’è di sicuro Luigi Sunseri, deputato regionale di Termini Imerese, che già da mesi aveva annunciato la sua disponibilità. Anche lo stesso Di Paola aveva fatto altrettanto, ma la sua candidatura potrebbe sfumare, qualora si presentasse la deroga per Cancelleri, anche lui disponibile alla candidatura, ma arrivato al terzo mandato: candidato governatore nel 2012, era arrivato terzo ma era stato eletto all’Ars. Rieletto nel 2017 (dopo essere stato sconfitto nella corsa alla presidenza da Nello Musumeci) si è poi dimesso nel 2019 per entrare nel governo Conte 2.

A sparigliare tutto potrebbe arrivare un nome nuovo, e nelle retrovie si fa il nome della senatrice messinese, Barbara Floridia. Sarà comunque tutto ufficializzato domani. Una volta raccolti i nomi sarà Conte a scegliere chi sarà il candidato alle prossime primarie per il M5s che in Sicilia ha avuto ancora pochi contraccolpi dopo la scissione: sono 9 i parlamentari passati con Di Maio (ad inizio legislatura erano 36 deputati e 17 senatori i parlamentari eletti in Sicilia nel M5s, ora sono 20 i deputati e 10 i senatori, dopo le ultime uscite post scissione), mentre nessuno nel gruppo del M5s all’Assemblea regionale: “Paradossalmente questa scissione ha reso il gruppo all’Ars ancora più coeso”, ha sottolineato Di Paola. “Chiunque verrà scelto lo sosterrò senza esitare”, annuncia Cancelleri che resta in attesa di capire se verrà concessa la deroga e se potrà quindi partecipare alle primarie. Ma lui, già candidato alle Regionali due volte, intanto allarga lo sguardo: “Questa avventura delle primarie è molto importante per riaccendere un entusiasmo che in Sicilia non si è mai spento ma che va rialimentato, sono un’occasione per riprendere lo slancio e poter tornare a riassaporare risultati che da tempo non riusciamo ad avere, dopo il Conte 2 abbiamo accusato un po’ di stanchezza, questo è il giusto rimedio”. E sulla scissione non ha dubbi: “Auguro tutto il meglio ai colleghi ma non credo che la scissione ci abbia danneggiato più di tanto, andranno a riempire un vuoto che al momento non è occupato dal Movimento: è un nuovo assetto parlamentare ma non un nuovo assetto elettorale”.Per Sunseri, invece, il MoVimento 5 Stelle “in Sicilia, può vincere le primarie ed essere la prima forza politica. Ma non dobbiamo sbagliare nulla. I siciliani hanno bisogno di un candidato che riesca a coinvolgerli, una persona con cui potersi facilmente identificare. Spero il prima possibile”.

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Caro Direttore, per me il caso Di Maio non è uno dei soliti cambi di casacca ma un salto di specie

di Paola Cattaneo

Caro Direttore,

ai cambi di casacca in Italia siamo decisamente abituati, anzi, ci sorprendiamo nei casi in cui questo non accade e qualche politico può addirittura vantarsi della propria “coerenza” come di una rarità (sic!). Quanto successo di recente nel “caso” Luigi Di Maio non rientra, a mio parere, negli abituali cambi di casacca ma in qualcosa di nuovo e, soprattutto, di più grave. Il MoVimento 5 Stelle non è propriamente un partito politico, ma è, prima di tutto, un movimento che ha riunito persone delle più diverse estrazioni politiche (e sociali) attorno ad alcuni temi, da quelli più vicini ai diversi territori fino a visioni e speranze di cambiamenti innovativi per l’Italia intera.

Non ideologie quindi, piuttosto un modo di essere, o di promuovere una “cultura” diversa (nel senso antropologico di “civiltà”) quando non semplicemente l’immaginare una speranza per il futuro. Le liturgie stesse del MoVimento indicano un modo diverso di intendere il rapporto con i cittadini, più diretto e partecipativo grazie alle nuove tecnologie democratiche del mondo del web. Comunque si voti e comunque la si pensi, quel 33% di votanti nel 2018 ha creduto in questo cambiamento che doveva essere una “rivoluzione” per l’Italia, in molti argomenti finalmente vicina all’unica rivoluzione moderna che ci appartiene, ovvero la nostra Costituzione, purtroppo spesso colpevolmente ignorata o negata. Le tragicomiche dichiarazioni rese da Di Maio in occasione dell’abbandono del M5S dovevano portare, a mio avviso, alla sua uscita di scena non solo dal MoVimento ma dai ruoli istituzionali tout court, avendo lui rinnegato ogni aspetto “culturale”, prima che politico, del MoVimento che lo ha eletto, aspetti che ha “incarnato” per ben due legislature, approdando fino ai ministeri.

Non si tratta, come leggo oggi su molti quotidiani, di un nuovo Mastella, o Alfano o simili, ma di qualcosa di molto peggio: è un salto di specie, in questo caso all’indietro. Un retrovirus Covid, qualcosa che la scienza più che la politica magari un giorno decifrerà, ma che oggi a mio parere ha portato un danno non solo al M5S, ma all’Italia tutta, ancora una volta trascinata all’indietro mentre tanta parte del mondo è già da tempo nel futuro.

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Conte a Otto e mezzo rimane coerente, ma non riesce a bucare lo schermo

di Carmelo Sant’Angelo

Dopo quasi 24 ore di silenzio dalla diaspora dimaiana, l’intervento del presidente dei 5 stelle, nella trasmissione Otto e mezzo, era molto atteso. Le aspettative erano mal riposte perché il presidente Giuseppe Conte è rimasto coerente al suo tratto. Il Veermer della politica italiana non ha lesinato sfumature di colore intermedie usando tutte le nuances ricavabili dalla tavolozza del suo eloquio. Ma lo schermo televisivo non è una tela e lo spettatore non apprezza le sfumature, così come non le ama l’intervistatrice, che non riesce ad ottenere una risposta chiara. Il presidente, persona perbene ed affabile, riceve attestazioni di affetto nelle piazze, ma non riesce a bucare il teleschermo. È un mezzo che non gli è congeniale, come dimostrano: il suo eloquio infiorettato da frastornanti parentetiche; i lunghi preamboli; la pretesa di condurre un ragionamento facendo lo slalom tra le continue interruzioni verbali; lo sguardo fisso sull’interlocutore, di rado rivolto alla telecamera.

“La tv è la gomma da masticare degli occhi”, come aveva capito, con felice intuizione, Frank Lloyd Wright (morto nel 1959).

Chi guarda la tv non ha la stessa predisposizione di chi partecipa a una lezione universitaria, la stessa concentrazione di chi studia un manuale di diritto, lo stesso grado di conoscenza di chi attinge informazioni da più fonti. È necessario, pertanto, catturare l’attenzione dello spettatore con frasi brevi, chiare e incisive. A mio avviso, il presidente Conte avrebbe dovuto dire le seguenti semplici cose: “C’è chi continua ad essere il portavoce degli elettori e chi, invece, ha deciso di diventare il portavoce del premier. C’è chi si batte per tutelare il risparmio delle famiglie e chi preferisce tutelare il banchiere centrale. C’è chi difende il potere d’acquisto delle famiglie e chi difende il potere bellico della Nato. C’è chi rispetta il mandato ricevuto dagli elettori e chi lo tradisce. C’è chi cerca di radicarsi nelle periferie e chi cerca di occupare il centro. C’è chi intende dare voce a chi non ce l’ha e chi decide di farsi megafono dell’establishment. Auguro le migliori fortune al ministro degli Esteri ricordandogli di versare gli arretrati e la penale prevista per i voltagabbana. Questi soldi andranno direttamente alle famiglie più bisognose dei territori di provenienza dei parlamentari che hanno abbandonato il Movimento. Nei prossimi giorni, infine, chiameremo la base ad esprimersi sulla regola del doppio mandato e sulle restituzioni imposte agli eletti Cinquestelle”.

Destinando le somme dovute ai poveri di Pomigliano e non al partito, la sottrazione di Luigi Di Maio apparirà moralmente più riprovevole. Per quanto attiene alle due ultime regole interne, è indubbio che esse sono risultate decisive per un esodo che si è rivelato più largo delle aspettative. Le regole interne devono aiutare a creare il consenso, ma non devono essere autolesioniste.

Senza scomodare McLuhan, il presidente Conte dovrebbe tenere a mente che imparare a comunicare è ben differente dal parlare per dire qualcosa, ma significa soprattutto conoscere e sapere utilizzare il mezzo di comunicazione. Se il mezzo di comunicazione viene sfruttato bene, allora diviene più importante del messaggio stesso. Un messaggio ben costruito e trasmesso con il mezzo idoneo può essere vincente. Sono pienamente consapevole che le domande complesse richiedano un minimo di ragionamento. In tal caso sarebbe meglio rispondere in maniera netta ed elencare, di seguito, didascalicamente, le eccezioni e/o le condizioni (magari aiutandosi con le dita, come ha insegnato Sua Emittenza). Questi spazi televisivi sono costruiti per respingere ogni ipotesi di ragionamento. La prossima volta, mentre le spennellano il viso prima della diretta, caro presidente, pensi a Matteo 5, 17-37: “Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno”.

Il blog Sostenitore ospita i post scritti dai lettori che hanno deciso di contribuire alla crescita de ilfattoquotidiano.it, sottoscrivendo l’offerta Sostenitore e diventando così parte attiva della nostra community. Tra i post inviati, Peter Gomez e la redazione selezioneranno e pubblicheranno quelli più interessanti. Questo blog nasce da un’idea dei lettori, continuate a renderlo il vostro spazio. Diventare Sostenitore significa anche metterci la faccia, la firma o l’impegno: aderisci alle nostre campagne, pensate perché tu abbia un ruolo attivo! Se vuoi partecipare, al prezzo di “un cappuccino alla settimana” potrai anche seguire in diretta streaming la riunione di redazione del giovedì – mandandoci in tempo reale suggerimenti, notizie e idee – e accedere al Forum riservato dove discutere e interagire con la redazione. Scopri tutti i vantaggi!

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Scissione M5s, la deputata Martinciglio cambia idea e torna indietro: “Ho parlato con Conte”. Il capogruppo della lista Raggi sceglie Di Maio

Chi si pente e torna indietro nei 5 stelle, chi invece segue Luigi Di Maio fuori dal Movimento. A tre giorni dalla scissione del ministro degli Esteri, continuano le trattative e gli avvicinamenti da una parte e dall’altra. Nel gruppo parlamentare ci sono stati già due “pentimenti”. Dopo quello del senatore Emiliano Fenu, che si è redento nel cuore della notte subito dopo lo strappo, oggi è stato il turno della deputata Vita Martinciglio. A questo punto il gruppo Ipf a Montecitorio passa da 51 a 50 membri.

Avvocata eletta nel 2018 nel collegio di Mazara del Vallo in Sicilia, Martinciglio è al primo mandato e fino a poche ore fa aveva partecipato alla nascita del nuovo gruppo “Insieme per il futuro”. Oggi ha comunicato il passo indietro ai colleghi, spiegando di aver “vissuto con sofferenza la decisione di lasciare il gruppo per fare parte di questo nuovo progetto. Alla fine il cuore ha avuto la meglio su tutto il resto”. All’agenzia Adnkronos, Martinciglio ha aggiunto: “Di Maio ha grandi capacità, a lui va la mia stima. Rispetto la sua figura e il suo progetto politico. Ipf sarà grande ma io ho deciso di tornare nell’unico posto dove, nonostante tutto, mi sento ancora a casa”. Decisivo, ha raccontato, è stato il colloquio con il leader del M5s Giuseppe Conte. “Ho visto Giuseppe e ho avuto anche altre interlocuzioni. A Conte ho detto quello che ho affermato poc’anzi. Auguro ai colleghi di Ipf il meglio: nutro ancora la speranza che un giorno le nostre strade si possano incontrare di nuovo”.

Intanto procede però lo scouting dentro e fuori il Parlamento, e in particolare sui territori. Antonio De Santis, ex assessore della giunta Raggi e ad oggi capogruppo della Lista Virginia Raggi in Campidoglio, ha annunciato a “Il Foglio” la sua scelta di lasciare il M5s ed andare con il partito di Luigi Di Maio. “Da otto mesi”, ha dichiarato, “nessuno apre con gli eletti a Roma un tavolo politico” e poi “Di Maio ha il merito di aver portato il movimento oltre il 30%. E’ un leader politico vero…” e lamenta che Giuseppe Conte si è poco occupato della Capitale. Parlando dell’ex sindaca di Roma ha aggiunto: “È la prima persona che ho sentito e mi ha detto di fare ciò che ritenevo giusto”.

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