L'articolo Legge sulla caccia, Caramiello (M5s): “L’Italia finirà sotto procedura d’infrazione Ue. E a pagare saranno i cittadini” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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L'articolo Legge sulla caccia, Caramiello (M5s): “L’Italia finirà sotto procedura d’infrazione Ue. E a pagare saranno i cittadini” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Un appello lanciato per fermare la nuova legge sulla caccia, a prima firma del leghista Francesco Bruzzone e già ribattezzata ‘Legge spara-tutto‘, è stato lanciato nel corso di una conferenza stampa alla Camera dal Movimento 5 stelle, insieme ad alcune tra le principali associazioni ambientaliste (Enpa, Lav, Lipu e Wwf), nel giorno in cui in commissione è scaduto il termine per gli emendamenti.
“Dobbiamo fermare quello che è un salto indietro di 100 anni, rispetto a una proposta di legge che viola la Costituzione e ci fa andare verso una nuova procedura d’infrazione Ue, dopo le due pre-procedure già aperte sul tema caccia”, è la denuncia lanciata dalla conferenza stampa durante la quale sono state ricordate le recenti modifiche in Costituzione che al contrario hanno prescritto la “tutela di ambiente, biodiversità ed ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”.
“Questa proposta porterà alla legalizzazione dei bracconieri, avranno ‘mani libere’, è una follia”, ha attaccato Sergio Costa, ringraziando anche la petizione del Fatto Quotidiano e invocando la mobilitazione della società civile, compresa “una mailbombing” rivolta ai ministri dell’Ambiente e dell’Agricoltura.
Ma l’appello a cambiare linea e a unirsi insieme per un’opposizione dura in commissione e poi in Aula è rivolto al Partito democratico, accusato di aver depositato soltanto 13 emendamenti a fronte delle oltre “mille” proposte di modifica dei Cinque Stelle. Senza dimenticare come già le associazioni stesse avessero accusato i dem di essersi allineati alla Lega, a causa di un emendamento (a firma Stefano Vaccari, ndr) col quale si conferma di voler tagliare fuori i ricorsi delle associazioni ambientaliste e il giudizio del Tar sui calendari venatori. “Nonostante la posizione ben espressa dalla responsabile della Transizione ecologica del Pd, Annalisa Corrado. che ha evidenziato la contrarietà totale alla proposta di legge della Lega, il capogruppo del Pd in commissione Agricoltura ha sottoscritto alcuni emendamenti che, in perfetta linea con l’orientamento della proposta di legge, smontano le parti essenziali della normativa nazionale sulla tutela della fauna selvatica e aprono a una chiara deregulation della caccia“, avevano già avvertito associazioni come Wwf Italia, Anpana, Enpa, Gaia, Lac, Lav, Leal, Leidaa, Lipu, Lndc Animal Protection, Oipa, Federazione Nazionale Pro Natura. Accuse respinte dallo stesso Vaccari.
“In questa battaglia siamo soli in Parlamento“, ha però continuato Alessandro Caramiello, capogruppo M5s in commissione Agricoltura a Montecitorio (dove non è presente Alleanza Verdi Sinistra, ndr). Mentre Sergio Costa ha chiesto al Pd più coraggio: “Chiediamo di fare un passo in avanti. Fate un intervento che sostenga la Carta costituzionale, la fauna selvatica non va trucidata”. Ma non solo. Perché l’appello è rivolto anche ai gruppi di maggioranza, affinché non si pieghino alle richieste “elettorali” della Lega. “Forza Italia, Fratelli d’Italia e Noi Moderati devono rendersi conto del danno che sarebbe arrecato all’Italia. Non si può uccidere la nostra fauna e il nostro ambiente per motivi elettorali, è una pazzia”, ha aggiunto Costa.
Tutto mentre anche all’interno della maggioranza si sta giocando un’ulteriore partita politica, dentro la quale, grazie al proprio peso al governo e in Parlamento, Fratelli d’Italia sta frenando il Carroccio, rallentando i tempi di discussione del provvedimento, seppur per semplici calcoli elettorali. Ovvero non permettere a Matteo Salvini di poter sventolare una bandierina di fronte al suo elettorato di riferimento in vista delle elezioni Europee.
“Se questa proposta passasse ogni cacciatore o bracconiere potrebbe fare quello che vuole: sparare sette giorni su sette, avere un calendario venatorio secondo una profilatura regionale dove le associazioni ambientaliste non avranno diritto di parola, sparare di giorno e sparare di notte, usare visori notturni per sparare meglio, usare i richiami vivi che significa imprigionare all’ergastolo gli animali che servono per richiamare altri animali per ucciderli meglio, uccidere tutta la fauna selvatica, non solo cinghiali e uccellini”, ha aggiunto Costa. Parole condivise dalle associazioni: “Si tratta di una proposta di legge fondata sull’ideologia. Viviamo una deriva venatoria mai vista prima, un regalo all’1% dei cittadini italiani”, ha avvertito Annamaria Procacci dell’Enpa (Ente nazionale per la protezione degli animali). E ancora: “La proposta Bruzzone riduce le sanzioni per chi esercita la caccia in divieto generale, ovvero il bracconiere puro. Qui si tratta di stare con o contro la legalità”, ha avvertito pure Domenico Aiello (Wwf Italia).
Un provvedimento che si trasformerà poi in un conto salato per tutti i cittadini, considerato il rischio concreto della procedura d’infrazione Ue. “Al governo Meloni sono già arrivate due messe in mora per il mancato rispetto della direttiva Uccelli e del regolamento Reach che riguarda le munizioni di piombo. E adesso arriverà la terza che pagheremo con le nostre tasse e io non sono disposto a pagare con le tasse l’attività dei bracconieri”, ha concluso Costa.
L'articolo “La Legge sulla caccia viola la Costituzione, va fermata”: l’appello di M5s e associazioni contro la proposta leghista. E Costa rilancia la petizione proviene da Il Fatto Quotidiano.
Bagarre a Coffee Break (La7) tra il deputato del M5s Riccardo Ricciardi e il vicesegretario di Forza Italia Stefano Benigni. Miccia dello scontro è la procedura della commissione d’accesso, voluta dal Viminale per verificare eventuali infiltrazioni della criminalità nell’amministrazione comunale e nelle aziende municipalizzate di Bari.
Ricciardi osserva che di fronte a 130 arresti, una commissione è necessaria per fare chiarezza e aggiunge: “La cosa straordinaria è che ieri Forza Italia sembrava uscita dal pool di Mani Pulite: diceva che bisogna fare chiarezza, parlava di mafia e politica… Cioè, questa classe politica di destra e di centrodestra ha provato a sfasciare in ogni modo tutti i controlli, dalle intercettazioni ai reati della pubblica amministrazione e della malavita. Ci vuole un minimo di pudore nel pretendere chiarezza da parte di una parte politica che ha tra i propri fondatori gente in galera per mafia“.
Insorge Benigni, che ripete continuamente: “Sciacquati la bocca quando parli di Forza Italia, noi abbiamo Rita Dalla Chiesa e Caterina Chinnici“.
“Dell’Utri non è stato in galera per mafia?”, incalza Ricciardi ridendo.
“Sciacquati la bocca”, ribadisce il deputato di Forza Italia.
“Sì, vabbè, ciao core”, commenta Ricciardi.
Il giovane parlamentare è irrefrenabile: “Voi avete condannati in Parlamento, come il vostro capo politico“.
Ricciardi scoppia a ridere e replica: “Abbiamo scoperto che Conte è condannato“.
“No, intendo Grillo“, risponde Benigni.
“Ma vogliamo parlare davvero della carriera dei politici di Forza Italia? – rilancia il deputato del M5s, continuamente interrotto dal refrain ‘sciacquati la bocca’ di Benigni – Io non ci sto a sentirmi urlare dall’esponente di un partito che tra le sua fila aveva Nicola Cosentino che è stato sottosegretario dell’Economia nel governo Berlusconi, era dentro il clan dei Casalesi ed è stato condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. Non ci sto perché questa gente ha sdoganato le commistioni tra mafia e politica“.
Lo scontro si rinfocola quando ha la parola Benigni che dà la sua versione del caso di Bari: “Da Forza Italia non c’è stato nessun pressing su Piantedosi, sono le dichiarazioni di Decaro a essere assolutamente sconcertanti, è stato lui a sollevare il polverone mediatico. Noi siamo da sempre garantisti e proprio perché siamo garantisti vogliamo che si accerti la verità“.
Ricciardi ride e Benigni sbotta: “Sì, noi siamo garantisti a differenza dei 5 Stelle e della sinistra, che sono garantisti a giorni alterni”.
“Ma basta, cercate di parlare con un po’ di cervello e di autonomia – replica Ricciardi – parlate come robot, sembrate tutti dei piccoli Gasparri“.
Benigni continua ad accusare il suo interlocutore urlando che il M5s è giustizialista, ma viene fermato dal conduttore Andrea Pancani, che nell’annunciare la linea alla pubblicità commenta: “Ci chiamiamo Coffee break, ma qui ci vorrebbe una camomilla”.
L'articolo Bari, lite Ricciardi (M5s)-Benigni (FI) a La7. “Incredibile che diate lezioni su mafia e politica”. “Sciacquati la bocca, abbiamo la Dalla Chiesa” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Non solo il salario minimo, il governo ha sepolto anche la legge contro il conflitto di interessi voluta dal M5s. Come anticipato da il Fatto quotidiano, la maggioranza di centrodestra ha messo in atto il sabotaggio del provvedimento a firma Giuseppe Conte che ora viene rimandato e di fatto archiviato. E’ arrivato infatti oggi 20 marzo, in commissione Affari Costituzionali alla Camera, dove è in discussione il provvedimento a prima firma Conte, un emendamento del relatore che riscrive il testo dando una delega al governo a intervenire sulla questione entro due anni e, di conseguenza, sopprimendo 17 articoli del testo.
La tecnica non è di certo nuova: come denunciato dalle opposizioni, il governo Meloni ha usato lo stesso metodo anche per altri provvedimenti appartenenti alla quota riservata alle minoranze come il salario minimo ma anche il voto dei fuorisede. “Calpestano il Parlamento. Faremo di tutto per evitare questo ennesimo scempio”, ha protestato il leader dei cinquestelle Giuseppe Conte. “C’è il rischio concreto che tutto finisca in un nulla di fatto. Il Parlamento viene di nuovo calpestato come sul salario minimo. Sui confini fra politica e affari se ne parlerà nelle segrete stanze del governo, anziché lasciare il cuore della discussione a un dibattito trasparente in Aula, alla luce del sole. Faremo di tutto per evitare questo ennesimo scempio. Se non avete paura delle nostre proposte discutiamone in Parlamento e diamo agli italiani il segnale di una politica che vuole davvero cambiare”.
Un modo per “affossare il testo” – attaccano ancora le opposizioni – che di fatto “svilisce” il lavoro del Parlamento. A lanciare l’allarme anche il Pd. “Con questo emendamento – sottolinea la capogruppo in commissione Simona Bonafè – “schiacciano le prerogative delle opposizioni e sviliscono il ruolo del Parlamento”. “Questa maggioranza – accusano i capigruppo pentastellati di Camera e Senato Francesco Silvestri e Stefano Patuanelli – si dimostra colma di ignavi, pronti a tutto per impedire l’approvazione di una legge giusta”. “Sono vigliacchi e sotterrano la legge”, dice Avs con Filiberto Zaratti.
Dal centrodestra però, negano le accuse. E anzi sostengono, come già fatto per il salario minimo, di aver proceduto in questo modo per avere più tempo “per mettere mano a una normativa così complessa”. A dirlo è stato il relatore del provvedimento, il deputato di FI Paolo Emilio Russo. “Nessun cul de sac” sul provvedimento attraverso lo strumento della delega”, ha detto, “come dimostrato dalla normativa sul voto dei fuorisede approvata all’interno del decreto elezioni. Il centrodestra, in una prima fase di esame in commissione, aveva provato a riscrivere il testo con un corposo pacchetto di proposte di modifica. Ma ha poi prevalso la linea più dura”. Quindi, a loro volta, accusano le opposizioni di non aver collaborato: “Anche di fronte all’impossibilità di dialogare per riscrivere un testo su una questione sulla quale le visioni tra maggioranza e minoranza sono diametralmente opposte”.
Nel testo di maggioranza vengono esclusi dal conflitto di interessi gli incarichi a livello locale e l’incompatibilità si ferma alle cariche regionali oltre a quelle di governo e nelle authority. Esclusi anche i coniugi e i parenti, previsti nel testo M5s, così come i leader di partito. Rispetto all’ipotesi dei pentastellati cresce, poi, dal 2 al 50% la quota di partecipazioni in una azienda monopolista o concessionaria di Stato o Regioni oltre la quale scatta il conflitto patrimoniale e si deve decidere se lasciare l’incarico o conferire le partecipazioni a una fiduciaria. A vigilare e sanzionare i conflitti è l’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Il testo è in calendario in Aula per il prossimo 25 marzo.
L'articolo Sepolta anche la legge sul conflitto interessi del M5s: il governo la riscrive e la manda alle calende greche. Le opposizioni: “Parlamento calpestato” proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Continueremo a lavorare per costruire coalizioni competitive in grado di battere la destra. Il nostro avversario è la destra. A volte ci stanno tutti, a volte questo non accade, noi continueremo però a cercare di costruire coalizioni in grado di competere con coerenza e chiarezza contro le destre”. Così la segretaria Pd, Elly Schlein, commentando le parole di Giuseppe Conte contro Carlo Calenda durante una conferenza stampa. Il leader M5s, infatti, ha di fatto affermato che non intende allearsi con Azione perché l’obiettivo di Calenda è quello di distruggere il Movimento.
“Non smetteremo di parlare con nessuno, parleremo con tutte le forze alternative alla destra, a volte si riesce a stare tutti insieme, a volte no”, ha proseguito Schlein sottolineando di “non aver drammatizzato” neanche “in Sardegna quando non è stato possibile”.
“Continueremo a parlare con tutti quando possibile e soprattutto a porre questioni su cui speriamo di unire le forze”, come la battaglia per il congedo paritario, ha rimarcato ancora la segretaria Pd.
L'articolo Schlein: “Conte e Calenda? Il Pd continuerà a parlare con loro e a lavorare per costruire coalizioni in grado di battere la destra” proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Non riconosciamo quelle elezioni (in Russia) così come invece ha fatto Matteo Salvini, che continua il legame con la Russia, tanto che non ha mai smentito l’accordo con il partito Russia Unita. Hanno fatto anche delle dichiarazioni veramente stranissime sul caso Navalny. Quindi continua la linea della Lega filo putiniana; tra l’altro anche Forza Italia, l’allora presidente Silvio Berlusconi dichiarò che Putin voleva solo togliere Zelensky da Kyev e mettere delle persone perbene. Anche in Forza Italia ci sono dei problemi a riguardo”. Lo ha dichiarato il deputato del Movimento 5 stelle, Filippo Scerra, ospite a Start su Sky TG24.
L'articolo Scerra (M5s): “Salvini continua con la linea filoputiniana della Lega. Ma anche in Forza Italia ci sono dei problemi” proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Io sono l’unico candidato lucano in corsa, Bardi è nato in Basilicata ma vive prevalentemente fuori. Se lo batterò? Ne sono sicuro, dobbiamo continuare a lavorare sull’ascolto dei territori”. A dirlo a Un giorno da pecora su Rai Radio 1 è Piero Marrese, nuovo frontman del campo largo alle elezioni regionali in Basilicata del 21 e 22 aprile, scelto in extremis dopo il ritiro-lampo dell’oculista Domenico Lacerenza. Sarà lui, 43enne presidente della Provincia di Matera, a tentare di soffiare la Regione a Vito Bardi, il governatore uscente sostenuto dal centrodestra e anche dal fu “Terzo polo”. Rispetto a Lacerenza – che nelle sue poche uscite da candidato aveva mostrato un certo spaesamento – Marrese sfodera un piglio più combattivo: “Il mio è il campo vincente“, risponde quando gli si chiede se si riconosca o no nell’espressione “campo largo” usata per riferirsi all’alleanza tra Pd e Movimento 5 stelle. E racconta di aver già sentito tutti i leader della coalizione: la segretaria dem Elly Schlein e il presidente pentastellato Giuseppe Conte (“che mi ha dato la piena fiducia”, dice), nonché Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni di Alleanza Verdi e Sinistra, con cui, spiega, “abbiamo fatto una videocall”.
Ma chi è l’aspirante governatore del centrosinistra? Laureato in giurisprudenza a Bari – dove ha svolto anche attività di ricerca – dal 2015 Marrese è sindaco di Montalbano Jonico, Comune di seimila abitanti nell’entroterra materano. Dal 2018 è anche presidente della Provincia, scelto dai primi cittadini e dai consiglieri comunali del territorio nell’elezione di secondo livello: eletto a soli 37 anni, è stato il più giovane di sempre ad assumere la carica. Riconfermato nel 2022 per un secondo mandato, dal 2019 è anche presidente della sezione lucana dell’Upi, l’Unione province italiane. Il suo nome era già stato fatto dal Pd al tavolo di coalizione per le Regionali, ma finora il sindaco ha tenuto un profilo piuttosto defilato, proseguendo nell’attività amministrativa: in particolare, nelle ultime settimane ha seguito da vicino la vertenza della CallMat (un call center di Matera con circa quattrocento lavoratori a rischio esubero) e la valorizzazione delle riserve protette della provincia. A dicembre ha promosso una protesta contro la giunta regionale per la contrarietà ai criteri del piano di dimensionamento scolastico.
L'articolo Piero Marrese, chi è il nuovo candidato del “campo largo” alle Regionali in Basilicata. “Se batterò Bardi? Ne sono sicuro” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Tanto per sgombrare subito il campo dai bru-bru: ma come si permette Carlo Calenda di apostrofare “cialtrone” qualcuno che non sia l’immagine che vede riflessa nello specchio quando si rade? Questo funzionarietto di Confindustria che – come tutti i suoi pari – concentra sotto il simbolo dell’aquilotto un risibile mix di spocchia e banalità. Però “seria”. Quella progenie di serve padrone che si facevano belle menando per il naso i loro datori di lavoro; gestendo in nome di costoro l’organizzazione di rappresentanza che ha accompagnato passo dopo passo la de-industrializzazione italiana. E che ormai è stata declassata a stanza dei giochi di padroncini (molto spesso neppure industriali) ansiosi di fregiarsi con qualche carica e relativa poltrona. Gente inutile per non dire negativa, come il maestro del Calenda in Ferrari – l’Henry Ford del Terzo Millennio Luca Cordero di Montezemolo – e poi il Calenda stesso, sciagurato cessionario in veste ministeriale dell’Ilva nelle mani dei Mittal prendi i soldi e scappa.
Dunque, la quint’essenza della pochezza politica italiana, che si vorrebbe mascherare con operazioni abrakadabra destinate soltanto al tracheggiamento. E consentire di guadagnare tempo alle Destre meloniane (il/la cui leader non appellerò più con quel “puffetta”, che angosciava le anime belle del politicamente corretto, passando a un più muscolare “bulletta mannara”) e lasciar decantare le loro contraddizioni interne.
Ci si riferisce a quel tormentone chiamato “campo largo”, subito sposato dal combinato giornalistico Elkann-Cairo come stampella per il fido Pd (ma non ditelo alla Schlein, che pensa di guidare un partito di sinistra), inteso come il compiacente accompagnatore di decennali operazioni accaparratorie a vantaggio di lor signori. Che – al vaticinato esaurimento del tocco magico della bulletta mannara, smascherata quale cabarettista rionale (de’ Garbatella) – potrebbe tornare in funzione nel guardianaggio del Paese. E perché ciò avvenga risulta necessario mettere in trappola la seconda forza in crescita dello schieramento attualmente all’opposizione: i Cinquestelle di Giuseppe Conte. Vincolandone l’irriducibile natura riottosa nei confronti dell’establishment affaristico grazie al riconoscimento di subalternità alla leadership dei fidati piddini. Quanto Conte non si dichiara disponibile a concedere.
Da qui la trappola di cui si diceva: il mantra contabile “uniti si vince”. Per la cui certificazione quale verità indubitabile è ora sceso in campo un vecchio mestierante di mille recite come Romano Prodi, che dietro l’ingannevole bonomia emiliana ha sempre mascherato la sua vera natura di uomo dell’ancien régime. Come ne diede palese dimostrazione al tempo delle privatizzazioni, con il dono alla Fiat di Alfa Romeo, rapidamente svuotata in marchio commerciale (quando la Ford offriva un mucchio di dollari, puntando a valorizzarne le alte potenzialità costruttive). Accompagnate da vendita all’incanto e liquidazione dell’intero patrimonio industriale delle Partecipazioni Statali, che al loro interno racchiudevano nicchie tecnologiche inarrivabili per le fabbriche private, concentrate su merceologie accessibili alla concorrenza dei Paesi emergenti (le “tre effe” food, fashion, furniture: cibo, moda, mobili).
Del resto ci si è dimenticati che il presidente dell’Iri, poi asceso due volte a primo ministro, era l’altro italiano che partecipava con Massimo D’Alema ai meeting promossi dal duo Bill Clinton/Tony Blair e animati dal presidente della London School Tony Giddens, in cui si celebrava il mito della Terza Via. Ossia il trompe l’oeil, il miraggio ingannevole secondo cui la sinistra avrebbe vinto le elezioni facendo proprio il programma della destra. Una tesi elettoralmente disastrosa ma che ha accompagnato la presa di potere negli organigrammi interni dei partiti ex-laburisti/progressisti della genia di carrieristi opportunisti che ha spregiudicatamente “scaricato” il proprio elettorato per applicare ricette all’insegna dell’inciucio.
Il guaio è che l’elettorato presunto “captive” si è accorto dell’inganno ed è emigrato altrove. Magari in quell’Indignazione che è diventata un fenomeno di massa emerso nel 2011, ma che era latente da tempo. Che i Beppe Grillo e i GianRoberto Casaleggio presumevano di aver inventato quando ne hanno solo intercettato l’onda italiana. Come Podemos in Spagna o il duo Bernie Sanders e Jeremy Corbyn nel mondo anglosassone. Con di più – nel caso italiano – la zavorra del confusionismo ideologico del duo fondatore qualunquista (né destra né sinistra, uno vale uno, la democrazia diretta disintermediata, ecc.). Che la leadership attuale cerca di scrostare.
Fermo restando che l’origine indignata recalcitra alle ammucchiate elettoralistiche con la fauna da regime targata Pd. Per cui si ripete lo stesso effetto di quando nella Prima Repubblica ci fu la fusione PSI/PSDI: si disse che 1+1 avrebbe fatto 3 e invece fu 1 e mezzo. Il motivo per cui il campo largo non va da nessuna parte. E spiace per Pier Luigi Bersani, l’unico sincero nell’auspicarlo.
L'articolo Campo largo? Alla larga! Ma non perché lo dice Calenda proviene da Il Fatto Quotidiano.
Il Pd del Piemonte ha trovato in extremis l’unità sul nome del candidato presidente alla prossime regionali. A sfidare l’attuale governatore Alberto Cirio sarà Gianna Pentenero, educatrice in una cooperativa, ex assessora regionale all’Istruzione con Mercedes Bresso e Sergio Chiamparino, ora assessora con deleghe a Lavoro e polizia locale nella giunta Lorusso. “Siamo arrivati a questa assemblea con due mozioni – ha affermato il segretario regionale Domenico Rossi, chiudendo la sua relazione ai delegati dell’assemblea regionale – ma è maturato in queste ore uno scenario unitario che vede la disponibilità di Chiara Gribaudo e Daniele Valle non tanto di fare un passo indietro, questo non lo chiederei mai, ma a fare un passo di lato. E questo è stato fatto anche grazie alla disponibilità di una persona, Gianna Pentenero, a candidarsi alla presidenza del Piemonte alla prossime regionali”.
Il compromesso è arrivato con la regia di Davide Baruffi e Igor Taruffi, responsabili enti locali organizzazione del Pd. La segretaria Elly Schlein, che pure era favorevole a schierare la vicepresidente dem Gribaudo, spingeva per un accordo per evitare un nuovo caso Chiorazzo, il candidato proposto dai dem in Basilicata ma sacrificato perché sgradito al M5s. “Sento spesso dire che la partita in Piemonte è difficile, anche in Sardegna sembrava difficile, ma ce l’abbiamo fatta”, ha commentato Baruffi. “Il passaggio di oggi è molto importante, semina per il futuro, ma dobbiamo continuare testardamente a lavorare. Non è un punto di arrivo ma di inizio. Solo uniti si vince, ma naturalmente non basta: per vincere dobbiamo risposte ai cittadini”.
Di fronte alla scelta dei dem, il movimento 5 stelle ha mostrato freddezza, ben presto diventata distanza. “Della candidatura di Gianna Pentenero apprendo adesso, non ne ero informato – ha commentato a caldo Giuseppe Conte da Napoli – valuteremo internamente, sentiremo anche il Pd, ma se dovessimo registrare una divergenza non lo faremo certo pensando che abbiamo dei nemici da combattere. Quello che posso dire – ha aggiunto il leader dei 5 stelle – è che in Piemonte si è creato un tavolo di confronto faticoso. Poco tempo fa alle elezioni per il Comune di Torino il Pd ha preso una strada e il M5s un’altra. In Piemonte c’è una giunta che sta realizzando progetti in direzione diversa da quella tracciata da Appendino, quindi ci sono delle difficoltà. Ciò nonostante c’è stata la disponibilità a costruire la coalizione. Apprendo ora della candidatura – chiude Conte – evidentemente c’è una persuasione che non si era raggiunta prima, un sufficiente punto di convergenza”.
Più secca la risposta del gruppo dirigente dei pentastellati in regione. “Apprendiamo dalle agenzie di stampa la decisione maturata dal Partito Democratico di ufficializzare la candidatura di Gianna Pentenero alle prossime elezioni regionali del Piemonte”. Così in una nota Sarah Disabato, coordinatrice regionale e Capogruppo M5S Piemonte, Sean Sacco, consigliere regionale M5S Piemonte , Ivano Martinetti, consigliere regionale M5S Piemonte , Elisa Pirro, senatrice M5S, Chiara Appendino, deputata M5S e Antonino Iaria, deputato M5. Che aggiungono: “Una decisione che cozza con il dialogo che – seppur tra difficoltà e differenze – era stato intavolato in trasparenza e franchezza in questi mesi per definire gli aspetti programmatici di una proposta politica condivisa e unitaria. Alla luce di tutto questo, nei prossimi giorni il Movimento 5 Stelle illustrerà il proprio programma elettorale e avvierà il percorso per la scelta del proprio candidato Presidente – convinto che il nodo per far voltare pagina al Piemonte sia quello di un’agenda programmatica all’altezza della volontà di cambiamento richiesta dai cittadini”.
L'articolo Piemonte, il Pd trova l’accordo e candida Gianna Pentenero contro Cirio. M5s: “Decisione cozza con il dialogo, presto il nostro candidato” proviene da Il Fatto Quotidiano.
L'articolo Basilicata, Silvestri (M5s): “Labirintite politica di Calenda non è affar nostro”. Piccolotti (Avs): “Se vuole andare a destra problema suo” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Inizia in modo turbolento la corsa elettorale di Domenico Lacerenza, il primario oculista annunciato come candidato governatore del “campo largo” di centrosinistra alle Regionali in Basilicata del 21 e 22 aprile. La rottura consumata sul suo nome con Azione (che qui vale il 10%) e le dichiarazioni un po’ spaesate rilasciate nelle prime ore da politico rendono sempre più insistenti le voci di un ritiro-lampo. Dopo la prima indiscrezione, pubblicata giovedì dal sito locale Basilicata24, il mattino successivo anche Repubblica ha scritto che la candidatura del medico è “già pronta a essere messa da parte“, perché “nessuno sembra convinto” della sua figura (scelta da Angelo Chiorazzo, il “re delle coop bianche” proposto come frontman dal Pd ma bloccato dai 5 stelle). Anzi, si legge, “tutti pensano in realtà di stare per andare a schiantarsi contro un muro”. Un retroscena che il Pd si affretta a smentire: Lacerenza “considera prive di fondamento le voci di un suo ritiro”, detta alle agenzie una nota attribuita a “fonti” del partito.
Di certo però il malcontento nella base locale dem esiste. A metterlo per iscritto è un documento firmato da alcuni iscritti e amministratori locali, diffuso dall’ex sindaco di Anzi (Potenza) Giovanni Petruzzi, in cui si chiede al segretario lucano Giovanni Lettieri di ritirare la candidatura e convocare ad horas la direzione regionale, “che non ha mai discusso né deliberato” la designazione. Ma il tema che agita i maggiorenti del centrosinistra è un altro: quello di perdere il serbatoio di voti garantito da Marcello Pittella, potente ex governatore passato negli scorsi anni dal Pd ad Azione, offeso per non essere stato coinvolto nelle trattative e intenzionato a sostenere il candidato di centrodestra, il presidente uscente Vito Bardi. “Ci hanno fatto trovare non solo un nome, ma anche una coalizione già fatta che recepiva il veto” su Azione del presidente 5s Giuseppe Conte, si lamenta al Corriere il leader del partito centrista, Carlo Calenda. E Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia-Romagna e riferimento dell’ala riformista del Pd, lancia un appello a L’Aria che tira su La7: “Penso si debbano usare le prossime ore per chiedere uno sforzo di unità. Non conosco Lacerenza e non mi occupo del candidato, non è detto che si debba per forza mettere insieme tutti, ma in una stagione in cui la destra ha questo vento a favore sarebbe opportuno che chi è alternativo si metta insieme“, afferma.
L'articolo Basilicata, traballa la candidatura Lacerenza. Il Pd: “Prive di fondamento le voci di un ritiro”. Ma una parte della base chiede il dietrofront proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Siamo tutti concentrati sulle modalità più adeguate e opportune per tutelare l’Ucraina, ma questa strategia militare non sta dando frutti. Noi senza voler essere profeti lo avevamo anticipato con le nostre perplessità che ci spingevano a chiedere prima a Draghi e poi a Meloni di farsi portatori di una posizione negoziale per non arrivare a quello che vediamo ora. E non oso immaginare cosa succederà quando entreremo nel vivo nella campagna elettorale per le presidenziali americane”. Lo ha detto il presidente del Movimento Cinque Stelle ed ex premier, Giuseppe Conte, partecipando insieme a Romano Prodi alla presentazione del libro di Michele Ainis, ‘Capocrazia’, nella Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma. Per Conte “sarebbe stato opportuno, necessario e raccomandabile impostare da subito una svolta negoziale, perché man mano che ci allontaniamo temporalmente dall’aggressione di due anni fa perdiamo inevitabilmente sempre più potere negoziale”. E su Gaza – prosegue il presidente M5S – “avremmo voluto un atteggiamento dell’Europa, con la pressione della comunità internazionale e degli Usa in particolare, che chiarisse dall’inizio a Israele in maniera inequivocabile la solidarietà e il diritto a reagire. Ma che a fronte di un’invasione indiscriminata in violazione delle norme del diritto internazionale e dei diritti umanitari, noi non avremmo dato copertura politica. Anche in questo caso la chiarezza avrebbe potuto evitare quello che sta succedendo”.
L'articolo Conte: “Su Ucraina e Gaza le posizioni del M5s non sono negoziabili. Il nostro non è pacifismo astratto” proviene da Il Fatto Quotidiano.
C’è l’ex presidente della commissione Esteri della Camera con i 5 stelle, Marta Grande. Ma pure lo scrittore Nicolai Lilin e il matematico Piergiorgio Odifreddi. Sono questi alcuni dei candidati della lista di Michele Santoro per le prossime elezioni europee. In vista del voto del prossimo 9 giugno il giornalista ha presentato a Roma, nella sede di Servizio Pubblico, Pace Terra Dignità.
Con Santoro sarà capolista anche Raniero La Valle, ex parlamentare di Sinistra indipendente oggi 93enne. In corsa anche il vignettista Vauro Senesi, da sempre vicinissimo al giornalista. Oltre a Marta Grande sarà candidato anche l’europarlamentare Piernicola Pedicini, pure lui un ex 5 stelle.
Con Santoro anche il segretario di Rifondazione Comunista, Maurizio Acerbo. Sarà candidata come seconda in lista in tutte le circoscrizioni Benedetta Sabene, autrice del libro “Ucraina. Controstoria del conflitto oltre i miti occidentali”. Inclusi nelle liste pure lo storico Angelo D’Orsi, Ginevra Bompiani, il cronista palestinese Alì Rashid.
L'articolo Odifreddi, Vauro e gli ex M5s: chi si candida nella lista di Santoro. Pure lo scrittore Lilin proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Sinistra Italiana? Si batte per la pace anche lei, ma senza dare troppo fastidio al Partito democratico. Anche Elly Schlein non è un nemico per quanto ci riguarda, ma si dovrebbe far sentire agli europarlamentari dem in Parlamento Ue il peso di una mozione dove in pratica si è dichiarato guerra alla Russia per i prossimi decenni. Non ci spieghiamo perché SI non voglia fare l’unità con noi”, ha concluso Santoro.
L'articolo Santoro presenta le liste “Pace Terra Dignità”: “M5s? Non è antagonista, ma per noi sarebbe difficile votare la missione in Mar Rosso” proviene da Il Fatto Quotidiano.
La candidatura a governatore della Basilicata? “L’ho saputo ieri pomeriggio, poche ore prima che la notizia diventasse di dominio pubblico. Mentre uscivo dall’ospedale, come faccio tutti i giorni, dopo aver fatto otto interventi chirurgici, mi è arrivata la telefonata”. Lo dice a Repubblica l’oculista Domenico Lacerenza, designato da poche ore come leader del “campo largo” Pd-M5s-Avs alle Regionali di aprile. Che afferma di “non aver fatto nulla” per proporsi alle forze politiche progressiste: “Hanno ritenuto che io sia la persona giusta e ne prendo atto. Questo mi carica di responsabilità che spero di riempire di massimi contenuti”, spiega. Specificando di non conoscere né la segretaria dem Elly Schlein né il presidente 5 stelle Giuseppe Conte: “Non ho mai avuto l’onore. Se hanno avuto buone informazioni su di me è perché sono un pragmatico. Non ho ancora sentito nessuno, né Conte, né Schlein”.
Anche all’agenzia LaPresse Lacerenza manifesta un certo spaesamento: “Io sono stato coinvolto appena ieri pomeriggio, prendo atto della fiducia che mi è stata riconosciuta. Sono stato catapultato in questa impresa, che può incuriosire, mi rendo conto, ma mi servono 24 ore per orientarmi“, afferma. E alla richiesta di un commento sulle parole del governatore Vito Bardi, che ha definito la sua candidatura “un regolamento di conti della sinistra”, risponde candidamente: “Lo apprendo adesso. Non so se lui ha lavorato oggi, io ho timbrato alle 6:15 e sono appena uscito dalla sala operatoria”. Secondo il sito di news locale Basilicata24, peraltro, l’oculista potrebbe addirittura scegliere di ritirarsi a breve, anche per la contrarietà alla sua invesititura manifestata dai quadri locali di Pd e 5 stelle.
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Sarà l’oculista Domenico Lacerenza il candidato governatore del campo largo di centrosinistra alle elezioni regionali in Basilicata, in programma il 21 e 22 aprile. Lacerenza, 66 anni, è stato primario all’ospedale San Carlo di Potenza: sul suo nome c’è l’accordo di Pd, Movimento 5 stelle, Alleanza Verdi e Sinistra, +Europa e anche del movimento “Basilicata casa comune” di Angelo Chiorazzo, il “re delle coop bianche” inizialmente proposto dai dem ma non gradito dai pentastellati. Le forze politiche del campo progressista, si legge in una nota congiunta, hanno chiesto al medico “di offrire la sua disponibilità quale interprete di un solido progetto politico e sociale per imprimere una svolta nell’amministrazione della Regione Basilicata. L’agenda di governo regionale che propone questa coalizione, forte della candidatura di Lacerenza, prevede in primo luogo di offrire una sanità di qualità a tutti i cittadini lucani: una sfida essenziale per rilanciare un territorio che ha sofferto profondo disagio per ciò che attiene la fruizione del diritto alla salute e il diritto alle cure”, prosegue il comunicato.
I partiti, si legge ancora, “ringraziano Angelo Chiorazzo, in rappresentanza di “Basilicata casa comune”, che pure si era reso disponibile a impegnarsi in prima persona per questa sfida, per la sua disponibilità a offrire il suo contributo nell’individuazione, di comune accordo, di un candidato unitario. Al dottor Lacerenza, che ha accettato con entusiasmo questa sfida, va il nostro ringraziamento, certi di poter offrire alla intera comunità lucana un’alternativa di governo, costruita su basi serie, concrete, credibili”, conclude il testo. “Per me, che mi sono sempre dedicato alla professione di medico a tempo pieno, è il primo incarico politico: mi impegnerò al massimo per essere all’altezza”, dice l’oculista raggiunto dall’Ansa. Lacerenza sfiderà il governatore uscente del centrodestra Vito Bardi, ex generale della Guardia di finanza scelto da Forza Italia: non è ancora chiaro se della coalizione progressista faranno parte anche Italia viva e soprattutto Azione, il partito a cui aderisce il potente ex governatore Marcello Pittella, fuoriuscito dal Pd nel 2022.
“Siamo soddisfatti, abbiamo individuato una candidatura che unisce il campo progressista e riformista. Siamo aperti a tutte le forze che insieme a noi vogliono archiviare 5 anni di governo della destra in Basilicata”, commenta all’AdnKronos il segretario regionale del Pd lucano Giovanni Lettieri.
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Abbassare al 40% dei voti (invece della maggioranza assoluta) la soglia oltre la quale un candidato sindaco di un Comune sopra i 15mila abitanti viene eletto al primo turno, senza passare dal ballottaggio. A sorpresa e all’insaputa degli alleati, la Lega ripropone un suo vecchio pallino in uno dei quaranta emendamenti presentati in Aula al decreto Elezioni, licenziato martedì dalla Commissione Affari Costituzionali. E fa infuriare le opposizioni, che denunciano come l’iniziativa arrivi a poche settimane dalle Comunali dell’8 e 9 giugno (quando si voterà, oltre che per le Europee, per il rinnovo delle amministrazioni di 27 capoluoghi di provincia, tra cui Firenze, Bari e Cagliari). “La Lega si fermi, il blitz sulla cancellazione dei ballottaggi a tre mesi dal voto è uno sfregio alle più basilari regole democratiche“, attacca la segretaria del Partito democratico Elly Schlein. Durante l’esame in assemblea, il Carroccio ha riprovato (senza successo) anche il blitz per consentire il terzo mandato ai presidenti di Regione.
Governo verso la richiesta di ritiro – Per il capogruppo dem a palazzo Madama, Francesco Boccia, l’emendamento sul ballottaggio “è un’aberrazione, una provocazione, un colpo di mano inaccettabile contro leggi che hanno dimostrato di funzionare bene. È intollerabile che la Lega, per regolare conti interni alla maggioranza, giochi sulle regole della nostra democrazia. Il dl Elezioni, che doveva solo stabilire la data del voto, è diventato un golpe al quale ci opporremo. Il partito di Giorgia Meloni e Forza Italia cosa ne pensano?”, chiede. Secondo fonti parlamentari consultate dall’Ansa, il governo dovrebbe invitare i senatori del Carroccio al ritiro dell’emendamento e il partito di Matteo Salvini dovrebbe trasformarlo in un ordine del giorno, cioè un atto di indirizzo non vincolante per l’esecutivo. La richiesta di ritiro invece è già arrivata dal relatore, il meloniano Alberto Balboni: “Sono d’accordo nel merito, è un sistema che ha la sua dignità, ma non vedo l’opportunità di inserirlo in questo momento. Cambia le regole in vigore, avrebbe avuto bisogno di maggior confronto. Un tema così importante andava affrontato con ben altro metodo”, ha detto.
M5s: “Porcata come la legge Calderoli” – Furiosa anche Alessandra Maiorino, capogruppo del M5s in Commissione Affari Costituzionali: “Un nuovo attacco alle regole della democrazia da parte della Lega”, denuncia. “Adesso vogliono cancellare i ballottaggi dei sindaci, stabilendo così che possa essere una minoranza degli elettori di una città a scegliere, con buona pace della partecipazione. D’altra parte per chi considera la democrazia un optional, l’astensionismo crescente non è un problema. Ci avevano già provato nel ddl per l’elezione diretta dei presidenti di Provincia (e non solo, ndr) ora ci riprovano in un decreto che nasce con finalità meramente tecniche e che, tra pretese sul terzo mandato di sindaci e presidenti di Regione e cancellazione dei ballottaggi, rischia di diventare una porcata come la celebre legge elettorale Calderoli”.
Il nuovo tentativo (fallito) sul terzo mandato – Il Carroccio infatti ha riproposto in Aula anche l’emendamento, già bocciato in Commissione, per consentire il terzo mandato ai presidenti di Regione (il decreto lo permette solo ai sindaci dei Comuni sotto i 15mila abitanti): si tratta della cosiddetta norma “salva-Zaia“, dal caso del governatore veneto Luca Zaia, che con le regole attuali non potrà ricandidarsi. Il governo si è rimesso all’Aula, ma Forza Italia e Fratelli d’Italia sono rimaste contrarie: la proposta è stata respinta con soli 26 voti a favore e 112 contrari. “La Lega sembra una belva ferita che prova il tutto per tutto con una foga fuori controllo. Fa ancora parte della maggioranza? Il suo comportamento sembra più quello ostruzionistico di una forza di opposizione, con emendamenti che spuntano dal nulla prima dell’esame dell’Aula”, sottolinea Maiorino.
L’Anci: “Stravolgimento senza interpellare i Comuni” – Contraria al blitz sul ballottaggio anche l’Anci (l’associazione degli amministratori locali) con il suo presidente, il sindaco Pd di Bari Antonio Decaro: “Abbiamo appreso che in sede di discussione sulla conversione in legge del decreto elezioni è stato presentato un emendamento che, se approvato, cancellerebbe i ballottaggi per l’elezione dei sindaci nei comuni sopra i 15mila abitanti in caso di raggiungimento di un quorum del 40% da parte di uno o più candidati. Noi non crediamo che uno stravolgimento della legge sull’elezione diretta dei sindaci possa essere ipotizzato senza interpellare i Comuni, come invece è accaduto per altri provvedimenti nella logica della leale collaborazione tra istituzioni”, sottolinea Decaro. “Speriamo che la proposta venga ritirata, anche perché andrebbe a intaccare alle fondamenta un sistema che fino a oggi ha funzionato nell’interesse dei cittadini”, conclude.
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di Pietro Francesco Maria De Sarlo
Non è difficile. Mi ero appena sintonizzato sulla Maratona Mentana mentre diceva che nella sede del comitato elettorale di D’Amico si stava appalesando D’Alfonso snocciolandone il curriculum da oligarca locale del Pd. Un attimo dopo i dati dell’affluenza: da record negativo. Non conosco nulla dell’Abruzzo ‘politico’ ma ho immediatamente inviato un sms a un amico e, ancor prima degli exit poll, ho scommesso una pizza che il distacco tra la destra e il campo larghissimo avrebbe superato i 5 punti percentuali.
Se l’elettorato Pd va a votare anche turandosi il naso, anche se con sempre minore convinzione, l’elettorato del M5S fa fatica a seguire le alchimie della politica e ha una storia di travasi di bile e, al solo sentire i nomi degli oligarchi Pd per non parlare di Calenda e Renzi, gli viene la paresi alla mano. Mentre però Calenda e Renzi sono irredimibili, nei confronti del Pd c’è maggiore disponibilità. Ma solo in presenza di un reale rinnovamento: Elly sì, Bonaccini no! Chiaro?
Attenzione: senza non tanto il M5S, la cui dirigenza ha una presa modesta sul suo elettorato, ma senza i suoi elettori, e di quelli ormai disillusi dalla sinistra, ‘yo soy Giorgia’ governerà ancora tra 40 anni.
Aiuterebbe anche che gli ‘intellettuali’ del mainstream si dichiarassero, finalmente, di destra invece che di sinistra perché essere di destra è considerato da sfigati. Per esempio: Draghi e il liberismo sono di destra, come Monti, Fornero, von Der Leyen, chi propone il Mes e non chiede di riformarlo (come fa il direttore dell’Istituto Jaques Delors, Lucas Guttemberg, che è invece di sinistra). Sono di destra tutte le riforme indicate nella lettera del 2011 di Draghi-Trichet, come il Jobs act, e fatte dai governi tecnici o sedicenti di sinistra (Monti, Letta, Renzi, Gentiloni). Sono di destra tutti i giornalisti e i giornali che hanno sponsorizzato queste riforme e questi governi. Cioè un poco tutti. Da Giannini a Floris, giusto per fare un paio di nomi, e anche Giorgia Meloni lo è. Sono dalla stessa parte! Sull’Ucraina, su Gaza, sull’economia… Uffa! Ci vuole chiarezza!
Con queste premesse si potranno leggere il 22 aprile i risultati delle elezioni lucane.
A menare le danze che hanno portato allo stallo attuale sono: Pittella, Margiotta, De Filippo, Follino, il vescovo Orofino, Santarsiero, Speranza. Insomma, chiedo scusa per le dimenticanze, tutti gli oligarchi del Pd che hanno governato prima di Bardi e che sono stati succubi dei petrolieri, sono stati gli alfieri della relazione corta e del potere clientelare e hanno teorizzato il “meno siamo meglio stiamo”. Chiorazzo è figlio dello stesso brodo di coltura e quindi inadatto a raccogliere i voti degli astenuti e del 5S. Non solo: ogni volta che Chiorazzo si siede allo stesso tavolo e con pari dignità con Conte e Schlein, mentre i civici veri sono stati costantemente ignorati e avversati, si perdono voti. Non ve la pigliate con i dirigenti del M5S locale. Hanno solo cercato di fare i bravi bambini per fare il campo largo ingoiando di tutto e dividendosi nella lotta per bande del Pd suicidandosi.
È proprio contro questa storia locale del Pd che tanti lucani hanno votato il M5S in passato.
Così come a livello nazionale scordatevi i voti degli astenuti se ricicciate Gentiloni, Draghi e i governi tecnici, Letta, Bonaccini eccetera. Come si fa poi a fare una alleanza con Calenda che dice: “Speranza e Pd feudatari” quando il suo uomo in Basilicata è Pittella che di quel sistema feudale era e ne è parte? Credete veramente a Speranza quando dice: “Con Chiorazzo si vince, io? Darò una mano”? Ma da un ex segretario Pd lucano che si è fatto eleggere in Campania e in Toscana io una mano non me la farei dare.
In sintesi smettetela di fumare roba scadente, come Calenda e Speranza, se volete veramente mandare via Yo soy Giorgia.
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Gli insulti dai banchi del centrodestra, poi Romano La Russa che perde la pazienza e spintona un consigliere. Seduta tesa al Pirellone, al Consiglio regionale della Lombardia, quando si discute la mozione – poi votata a maggioranza – per esprimere “massima solidarietà a tutte le Forze dell’ordine” e una “ferma condanna a chi, snaturando i principi democratici, confonde la libertà di esprimere il proprio pensiero col diritto di impedire agli altri di esprimerlo”. Ma in Aula è bagarre, con il capogruppo del M5s Nicola Di Marco che viene espulso dopo aver occupato i banchi della giunta e, come si vede nel video, dopo alcuni momenti di tensione specie con l’assessore alla Sicurezza La Russa. “Ho scelto di manifestare, con questo gesto simbolico e pacifico di disobbedienza civile – ha detto Di Marco – occupando i banchi della Giunta, la mia vicinanza a tutte le persone che manifestano oggi e che manifesteranno domani, in difesa di tutte le idee, meglio se contrarie dalle mie. Spiace che questo abbia agitato gli animi di alcuni esponenti della maggioranza, in particolare dell’Assessore La Russa. La mozione presentata dalla Lega è un concentrato di banalità strumentali, dove si mettono insieme recenti fatti di cronaca come Pisa, Torino e Milano molto diversi da loro, volta a polarizzare un confronto fra tifoserie che per noi è irricevibile e svilente”.
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Un quadro di scarsa trasparenza, e non solo: finanziamenti elettorali che non seguono le norme di legge, soldi da persone che hanno ricevuto nomine, oppure da società che poi hanno ottenuto lavori. È l’intreccio tra politica, professionisti e imprese che ha segnato la seconda campagna elettorale di Maurizio Rasero, rieletto sindaco di Asti nel 2022 per Forza Italia. A denunciarlo pubblicamente in conferenza stampa, dopo mesi di ricerche e approfondimenti, sono Massimo Cerruti, consigliere comunale del M5s, e Alberto Pasta, avvocato ed ex assessore. “A luglio, guardando la sezione “Amministrazione trasparente” del sito del Comune di Asti, mi sono accorto che mancavano i rendiconti delle spese elettorali e dei finanziamenti di Maurizio Rasero per la campagna elettorale del 2022”, spiega Cerruti. Gli unici dati disponibili erano quelli della campagna elettorale del 2017, anno in cui Rasero è stato eletto per la prima volta. A quel punto, tramite un accesso agli atti, il consigliere pentastellato ha chiesto e ottenuto la documentazione che avrebbe dovuto essere pubblicata online, accessibile alla cittadinanza. Ma qualcosa non tornava.
Per la sua campagna elettorale Rasero ha avuto a disposizione 41.500 euro, di cui soltanto 1.500 messi di tasca propria. Tutto il resto arrivava da 15 finanziatori, di cui tre persone fisiche e dodici società. Secondo Cerruti e Pasta, però, la maggior parte di questi finanziamenti, ben 33.500 euro, non è in regola. Il motivo? Per legge, le aziende che vogliono stanziare una donazione a favore di un candidato devono far approvare la decisione dal consiglio di amministrazione o da un altro organo deliberante, e in seguito devono registrarla nel bilancio. Per molte delle erogazioni a favore di Rasero, invece, mancavano sia i verbali di approvazione dello stanziamento sia i bilanci. In questi mesi, dunque, Cerruti e Pasta hanno consultato gli atti delle società depositati alle Camere di commercio: visure, bilanci, verbali delle assemblee. Nessun “giustificativo” è emerso. Secondo l’avvocato Pasta, si tratta di finanziamento illecito: un reato, sottolinea, che prevede “fino a quattro anni di reclusione, non poco, sia per chi dà, sia per chi riceve”. Lo stesso controllo è stato fatto anche per le quattro società che hanno erogato settemila euro a favore della lista di Fratelli d’Italia: nessun atto societario in allegato, inesistente anche nei database delle Camere di commercio.
Oltre a queste presunte irregolarità formali, sono emerse anche delle coincidenze. Alcuni dei finanziatori del candidato di Forza Italia sono anche persone che nel corso della prima amministrazione Rasero avevano ottenuto degli incarichi remunerati dal Comune. Ad esempio Gianmaria Piacenza, presidente del consiglio d’amministrazione della Casa di cura Sant’Anna: lui ha dato personalmente duemila euro, mentre la società ne ha stanziati tremila, come aveva già fatto nel 2017. Nel 2019, poi, Piacenza è diventato componente del collegio dei revisori dei conti della Fondazione Cassa di risparmio di Asti, sulla quale il sindaco Rasero ha grande influenza (potendo nominare undici membri del consiglio d’indirizzo). L’incarico, che dà diritto a una retribuzione di 13.500 euro e a 250 euro di gettone per ogni seduta, è stato riconfermato poco prima delle amministrative del 2022. Non solo. Dario Piruozzolo, che aveva già donato tremila euro per la campagna di Rasero nel 2017, ne ha elargiti altrettanti nel 2022: il 14 aprile dello stesso anno è stato nominato presidente del collegio dei revisori dei conti della Fondazione, incarico da 16mila euro l’anno (più gettoni).
Tra le persone giuridiche, invece, tremila euro sono arrivati dalla Corevi Servizi, il cui amministratore delegato è Stefano Sesia, mandatario della campagna elettorale di Rasero che negli ultimi anni ha avuto cariche nel collegio dei revisori della Cassa di risparmio di Asti e della Fondazione bancaria, ma è stato anche presidente della Pitagora, società di finanziamenti controllata dall’istituto bancario cittadino. Altri duemila euro (mille ciascuna) sono arrivati da due società amministrate da Fabrizio Imerito, che nel 2021 è stato nominato dal Comune presidente del Consiglio di amministrazione della multiutility Asti servizi pubblici (Asp). “Grazie al sindaco Rasero per la fiducia, che spero di ripagare facendo un lavoro importante”, aveva detto in occasione dell’incarico. Poi c’è una società che ha stanziato diecimila euro, nonostante i bilanci in perdita: è amministrata dal titolare di un’azienda che ha ottenuto l’appalto per la ricostruzione di una scuola. Una ditta di Bibbiano, in provincia di Reggio Emilia, ha erogato tremila euro e risulta essere la stessa che ha ottenuto l’affidamento diretto per la fornitura di campane bianche per la raccolta del vetro: “Perché un’azienda di Bibbiano, in provincia di Reggio Emilia, va a finanziare un candidato sindaco in un’altra regione?”, si chiede Cerruti, secondo il quale in tutto questo quadro “parrebbe esserci un sistema di dare per avere. Strane coincidenze, ma molto ricorrenti”.
L'articolo Asti, la denuncia: “Finanziamenti illeciti per 33mila euro alla campagna del sindaco Rasero. Soldi da nominati e aziende vincitrici di gare” proviene da Il Fatto Quotidiano.
di Andrea Taffi
Al di là degli illusori squilli di tromba e cambi di vento, al di fuori dei campi larghi, larghissimi e giusti, quello che conta (secondo me), quello che dopo ogni elezione (sia essa regionale o nazionale) si fa finta di non vedere è una cosa che invece fa la differenza: l’astensione. Anche in Abruzzo, come del resto è accaduto in Sardegna, la metà degli aventi diritto è stata a casa non ha votato. Quello dell’astensione è un fenomeno storico dal quale, però, tutti si tengono lontani; apparentemente perché il non voto sembra impossibile da catalogare: chi ci dice che se la gente che non vota lo facesse voterebbe proprio quel partito invece di quell’altro? E così il fenomeno viene relegato ai margini della discussione politica, stancamente richiamato o invocato da quale deluso di turno.
Io credo, invece, che l’indifferenza verso l’astensione dipenda dalla difficoltà di capirne i motivi e soprattutto dalla totale incapacità di intercettarne i messaggi, che, a dispetto dell’indifferenza, ci sono eccome. Sì perché a non votare non è solo chi se ne frega a prescindere; no, parte di coloro che non votano lanciano un messaggio, talvolta pure disperato. Questa frangia dell’astensionismo ha votato in passato, e ha votato 5 Stelle; quello di Grillo, quello di Di Battista e persino quello del primo Di Maio. Lo so: quel Movimento non c’è più e con esso non ci sono più la maggioranza di quel 33% che l’aveva votato nel 2018. Quel Movimento si è (auto) distrutto combinando tutto quello che sappiamo, e alla fine è diventato un partito come gli altri guidato da un signore che l’essere stato un buon presidente del Consiglio non ha automaticamente trasformato in politico di razza. Un signore che (secondo me e detto per inciso) dovrebbe dimettersi.
I 5 stelle attuali, infatti, languono tra i mal di pancia verso un campo largo e una ingenua difesa dei vecchi valori fondanti, ai quali loro per primi non credono più. Io penso che, al di là dei partigiani da salotto, quello che toglierebbe la destra dal governo sono quel 20% di ex grillini che non votano perché maltrattati proprio da quelli ai quali avevano creduto, da quelli che gli avevano detto che si poteva davvero cambiare. Solo ridando speranza a tutta questa gente, facendoli capire che sul serio si possono cambiare le cose, i 5 stelle potranno tornare quelli che erano.
C’è però un problema: in Italia è davvero possibile un vero cambiamento? Perché se la risposta è no (come sembra) non rimane che il teatrino televisivo dove, al netto dei risultati elettorali, si celebra l’antifascismo da operetta.
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La sconfitta del candidato del centrosinistra e la rielezione del meloniano Marsilio confermano che in Abruzzo non c’è stato “l’effetto Todde“. Dopo lunghe ore di silenzio è arrivata l’analisi del voto della segretaria del Pd: esulta per “l’ottimo risultato del Pd” come lista e sulle alleanze parla di ancora più “determinazione per costruire un’alternativa alle destre”, “continueremo a seminare con pazienza”, ha aggiunto Elly Schlein. Di altro tenore le dichiarazioni di Carlo Calenda che, citando la frase utilizzata dagli altri leader dopo le elezioni sarde, ricorda che è “sbagliato” parlare di “vento che cambia a livello nazionale”. Non solo, il leader di Azione insiste e stronca il concetto di “campo largo“.
Schlein: “Determinati a costruire un’alternativa” – “Fino a qualche settimana fa l’Abruzzo era dato per perso senza discussioni, il presidente uscente di Fratelli d’Italia partiva con un vantaggio di 20 punti nei sondaggi. E invece unendo le nostre forze attorno a una visione comune abbiamo riaperto la partita e ridotto quello scarto in modo significativo, ma non ancora sufficiente. Questo ci sprona a continuare a batterci con ancora più determinazione per costruire un’alternativa solida in grado di competere con la coalizione delle destre”, ha affermato la segreteria Elly Schlein. “Continueremo a seminare, sappiamo che sarà un lavoro di costruzione paziente“, sottolinea Schlein. “A volte si vince e a volte si perde, ma noi non perdiamo né la speranza né la determinazione e rilanceremo la sfida in vista delle prossime tornate e delle elezioni europee”. In merito al risultato della lista la segretaria ha ringraziato le candidate e i candidati “per l’ottimo risultato ottenuto dal Pd, che ha quasi raddoppiato il suo consenso arrivando oltre il 20%, rispetto all’11% delle ultime regionali, e crescendo di quasi 4 punti anche rispetto alle politiche dell’anno scorso”.
Calenda: “Sbagliato parlare di vento che cambia” – Punto di vista differente quello del leader di Azione. “Le elezioni abruzzesi dimostrano in primo luogo quanto sia sbagliato parlare di ‘vento che cambia’ a livello nazionale per un’elezione vinta in Sardegna per 1.600 voti, grazie al voto disgiunto nel centro destra. Purtroppo sappiamo che questa è una tentazione irresistibile per politici e media. Tralascio ogni commento relativo ai fantomatici campi larghi che non esistevano prima e non sarebbero esistiti neppure nel caso di una vittoria in Abruzzo. Ogni elezione regionale fa storia a sé ed è influenzata da dinamiche locali. Provo a sintetizzare cosa ci racconta l’esito dell’Abruzzo”. Così Carlo Calenda nella newsletter. “L’affluenza bassa delle regionali – vicina ad un elettore su due – premia il voto organizzato. Il voto di opinione continua a rimanere ai margini di questo tipo di elezione”, analizza Calenda passando in rassegna i risultati della sua lista: “Ne abbiamo una prova anche guardando i dati di Azione. Dove abbiamo un parlamentare presente sul territorio, Giulio Sottanelli, prendiamo il 7% (Teramo), dove non abbiamo parlamentari o consiglieri regionali prendiamo il 3%”. Frecciatina anche a Renzi: “Si conferma il fatto – afferma Calenda – che siamo l’unico partito dell’area liberale ad esistere sui territori e ad avere una prospettiva di crescita. Adesso pensiamo alle europee”.
I risultati dei partiti – Il risultato elettorale delle liste a sostegno di Luciano D’Amico evidenzia due risultati in particolare.: il buon risultato personale del Pd e il crollo dei consensi del M5s. Il Partito democratico registra un aumento sostanziale di voti rispetto alle scorse regionali passando dall’11% (66.769 voti) del 2019 al 20,29% (117.497 voti). Cinque anni fa, invece, il Movimento 5 stelle otteneva 118.287 voti pari al 19,74%: oggi si ferma, invece al 7% con sole 40.629 preferenze. I 5 stelle perdono pertanto quasi 78 mila voti mentre il Pd ne guadagna oltre quasi 51 mila. Il lungo silenzio stampa dei due partiti può essere spiegato dalla necessità di evitare dichiarazioni che possano compromettere il dialogo in corso per trovare un accordo su un nome unitario da candidare alle regionali in Basilicata, previste tra poco più di un mese.
D’Amico: “Espretrimento campo largo straordinario” – Nella tarda mattinata di lunedì è invece intervenuto Luciano D’Amico: “Al di là del risultato elettorale, l’esperimento del campo largo l’ho trovato straordinario per la capacità che c’è stata di condivisione”, ha detto il candidato del centro sinistra. “Auspico – ha aggiunto – che possa essere riproposto in altri contesti sia regionali, sia istituzionali”. D’Amico ha raccontato di avere telefonato al neo rieletto Marsilio per congratularsi: “Il risultato è stato chiarissimo“, ha detto D’Amico: “Evidentemente – ha aggiunto – non siamo riusciti a spiegare bene la bontà del programma e dei candidati e di questo mi assumo la responsabilità“. Un commento riservato anche alla bassa affluenza: “Due abruzzesi su quattro non hanno votato e questo credo sia stata la sconfitta più bruciante”, ha concluso.
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