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venerdì 29 maggio 2020

Scuola, l’insulto (sessista?) alla Azzolina è solo l’ultimo atto di una guerriglia

“La scuola ha bisogno di credibilità e autorevolezza. La credibilità è come la verginità, se si perde non si può più riacquistare”. Sarò sincera: quando ho letto le parole che il vicepresidente dei senatori di Forza Italia, Giuseppe Moles, 53 anni e docente universitario, ha rivolto alla ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, non ho pensato a un insulto sessista. Anche perché la verginità non la si perde da una parte soltanto.

Che però arrivassero da un altro tempo, questo sì, l’ho pensato. I miei coetanei, la mia generazione, non sarebbe in grado di produrre un pensiero di questo genere e mi auguro non abbia aiutato il senatore, con i suoi voti, ad occupare il seggio in cui siede.

Ho pensato anche che siamo nell’età della pietra, fondata su un qualunquismo spinto all’estremo in tutto l’arco parlamentare e dal quale spero che la fascia di cittadini più giovani riesca a liberarsi, magari partendo dal sentirsi alieni rispetto a esternazioni di questo genere. Vi chiedo: ma vi sentite rappresentati davvero in politica?

Arrivo dunque al secondo punto, che riguarda la scuola e quanto accade in questi giorni. L’emergenza Covid ha reso “mainstream” un tema che prima appassionava solo chi vi era direttamente coinvolto (e qualcun altro per un sentimento nostalgico). La scuola è diventata in piena emergenza terreno di scontro politico ideale, un ring dove far sentire il proprio peso e provare a tirare il più possibile, senza il rischio di sembrare sciacalli.

Mi ha stupito, però, che le posizioni si siano inasprite su una tematica molto, molto, di nicchia. Ci sono stati momenti in cui persone che fino a qualche mese fa non sapevano neanche cosa fosse “un ruolo” commentavano il “caos sui concorsi dei precari nella scuola”, di fatto basato sulla contrapposizione tra M5s e parte del Pd, LeU e i sindacati. Soprattutto i sindacati. Ma di cosa parliamo?

In estrema sintesi, di circa 32mila docenti che fanno supplenze nella scuola da almeno tre anni e che chiedono attraverso i sindacati (poi rappresentati e sostenuti dalle varie fazioni politiche) di avere un posto a tempo indeterminato, senza però affrontare un concorso pubblico per esami. Cioè di essere assunti per “soli titoli” in virtù dell’esperienza maturata sul campo (e anche delle continue condanne dell’Ue per i precari sopra i 36 mesi nella Pubblica Amministrazione).

Il problema, però, è che negli ultimi anni e anche con la Buona Scuola, questi precari hanno avuto molte occasioni per essere assunti: ci sono stati concorsi, ricorsi, percorsi. Insomma, salvando i casi di reale ingiustizia, che sicuramente esistono, vien da chiedersi cosa sia successo a tutte queste persone negli scorsi anni. Dov’erano?

Ad ogni modo, da mesi il Ministero aveva progettato per loro una prova semplificata e riservata, prima di settembre: test a crocette via computer e in piena sicurezza. Ma nessuna proposta sembrava soddisfare chi protestava: era stata chiesta “la batteria delle domande”, poi con il Covid di non fare il concorso per garantire la sicurezza e assumere (di nuovo!) in base ai titoli. Su questa battaglia, insomma, si è concentrata la politica nelle scorse settimane, tanto da richiedere l’intervento e la mediazione del premier Giuseppe Conte.

Eppure, a naso, sembra che la scuola (soprattutto in questo momento) abbia bisogno di ben altro. Di tutte le energie possibili per rinnovarla dalle fondamenta, delle idee per evitare che la didattica a distanza diventi un sostituto della presenza invece che un valido alleato, di risorse economiche per motivare genitori, ragazzi e docenti e far sentire loro che esiste una dimensione che li valorizza e li tutela. Non di certo di guerriglie. Anche perché l’assunzione dei precari non risolve la grande “supplentite” che la ministra dovrà affrontare a settembre (ma che esiste da anni) soprattutto sul sostegno.

Sempre guardando con un certo distacco, mi sembra di capire che questo ipotetico e continuo caos sulla scuola dipenda anche dal fatto che i sindacati stiano per rimanere senza battaglie e che i precari da 36 mesi sia l’ultimo baluardo di una lotta più cruenta (e meno concertativa) ancora accesa nella scuola. Moltissimi nodi si sono estinti e si stanno estinguendo, dalle graduatorie a esaurimento alle abilitazioni ai tirocinii.

Le proteste dei maestri diplomati sono state spente dalle sentenze del Consiglio di Stato. Oggi c’è tutta una categoria di giovani docenti che chiedono solo di poter lavorare bene, di essere guidati e di avere quanto gli spetta. Forse è lì che bisognerebbe cominciare a guardare. Altrimenti si rischia di puzzare di vecchio, proprio come Moles.

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giovedì 28 maggio 2020

Il buonsenso di Bersani: presto si tornerà a dare spazio a gente seria

Bentornato Pierluigi Bersani, ormai pienamente rimessosi dallo choc del 1° aprile 2013, quando affrontò il faccia-a-faccia Pd-M5S. Una vera e propria imboscata via streaming, orchestrata da Renata Lombardi e Vito Crimi; le maschere insolenti e proterve della fase rampante di un Movimento appena reduce da una clamorosa vittoria elettorale, quindi convinto di essere destinato a scalare il cielo della politica.

L’incontro, programmato per esaminare i termini di una ipotetica collaborazione, si risolse nel massacro di una impietosa derisione pubblica; che segnò a lungo l’immagine del leader piddino. Con l’ulteriore seguito – a far buon peso – delle sbertucciate iper-realistiche di Maurizio Crozza. Una sostanziale delegittimazione politica, che il buon Bersani resse con civile sopportazione e l’innata bonomia. Ma che lo marginalizzava dal protagonismo pubblico come la simpatica macchietta creatrice di metafore surreali.

Quelle bibliche sette annate di vacche magre sono ormai trascorse. Nella destra è proseguito inarrestabile il declino del berlusconismo, simmetricamente a quello fisico del padre-padrone; l’ascesa nella Lega della nuova leadership etno-sovranista truce, che aveva sbalzato di sella quella secessionista bossiana da avanspettacolo, è durata il tempo di qualche comparsata horror; il neofascismo di Giorgia Meloni e dei suoi fratelli perde smalto nel momento in cui – per escogitare qualcosa contro il governo – deve contraddire il proprio apparato valoriale denunciando (sic) pericoli autoritari.

Nello stesso tempo l’avventurismo renziano insegue a ritroso sul bagnasciuga del 2% il livello di consensi incassati dal competitor pariolino-managerial-naif Carlo Calenda. Intanto gli storici fratelli-coltelli post-comunisti Massimo D’Alema e Walter Veltroni sono dati per desaparecidi, l’uno evaporato nei suoi birignao e l’altro annegato nei fumi del proprio buonismo con retrogusto perfido.

E i Cinquestelle? Mentre scrivo mi viene in mente la scenata di un loro astro nascente – la capogruppo in Regione Liguria Alice Salvatore – infuriata per un mio post in questo blog su Beppe Grillo, che mi sbatteva in faccia la profezia di un prossimo futuro in cui al fondatore dei pentastellati sarebbero state dedicate strade e pubbliche piazze; come si conviene a un padre della Patria. Ora l’ex comico risulta piuttosto in stato confusionale anche per questioni relative alla paternità; mentre la vestale dell’ortodossia grillina Salvatore si è appena aggregata alla mandria degli apostati, fuoriusciti dalla casa madre a cinque stelle.

Una vera e propria strage, da cui emerge come uno dei pochi sopravvissuti proprio il vecchio caro Bersani. Forse non più leader, ma certo interlocutore prezioso in quanto voce di una virtù che sembrava perduta: il buonsenso. Una sorta di saggio Nestore di Bettola piacentina, utile per riflettere sui temi che andranno affrontati nei prossimi mesi, nel momento in cui si cheterà il chiacchiericcio di terroristi verbali, ancora inconsapevoli di essere già morti: i Renzi, i Salvini e il codazzo di opinionisti al napalm. Perché non ci sarà più tempo per i loro miserevoli calcoli di bottega (accalappiare consensi elettorali, vellicare i bassi istinti dei propri lettori).

Presto sarà insopprimibile la necessità di dare spazio a gente seria.

Già l’altra sera proprio Bersani da Lilli Gruber poneva il problema che diventerà centrale in autunno: dopo la “fase due”, in cui il governo pratica la respirazione artificiale a una società con problemi di pura sussistenza, la “fase tre” porrà l’inaggirabile questione di come far riprendere un qualche sentiero di sviluppo a un sistema produttivo allo sbando.

Il tema, negletto da annoni, della politica industriale. Quanto rimosso sistematicamente da una Confindustria ridotta a lobby di accaparramento per sussidi pubblici; coi suoi associati, perennemente sulla difensiva a tutela di meri status proprietari, che ora eleggono un presidente “ultima raffica”: il pretino mannaro Carlo Bonomi, convinto che la sua categoria abbia diritti derivanti da una condizione genetica e non per l’esercizio di un ruolo; mentre rotea i pugni contro minacce immaginarie: “antindustriali”, “statalismo”… E intanto le famiglie Fiat sono in fuga col bottino.

Sull’orlo del baratro, sapremo ascoltare le voci della saggezza e della serietà?

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martedì 26 maggio 2020

Lombardia, Ferrara (M5s): “Lega e Forza Italia hanno governato in maniera criminale, vedi Formigoni”. Gallone (Fi): “Chieda scusa ai morti”

“Appena ci si permette di parlare della sanità lombarda, scoppia un putiferio”. Inizia così l’intervento del senatore del M5s, Gianluca Ferrara, che ha commentato quanto accaduto alla Camera al collega di partito, Riccardo Ricciardi, che aveva criticato il modello sanitario promosso, negli ultimi 25 anni, dal centrodestra, sollevando le polemiche dei deputati di opposizione di Montecitorio. “Lega e Forza Italia“, ha continuato Ferrara, “hanno governato la Lombardia in maniera criminale, vedi Formigoni, condannato e finito in carcere”. “Parlare di ‘maniera criminale’ quando ci sono stati dei morti non è il caso”, lo ha interrotto la presidente di Palazzo Madama, Maria Elisabetta Alberti Casellati. “È stato condannato in via definitiva a sette anni”, ha provato a difendersi Ferrara. Pochi minuti dopo, è arrivata la replica dell’esponente bergamasca di Forza Italia, Maria Alessandra Gallone: “Chieda scusa alle migliaia di morti lombardi. Non è consentito dare dei ‘criminali’ a chi per la Regione ha lavorato mattina, sera, notte. Dare dei ‘criminali’ ha un peso, ma è rimasto agli atti”.

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Lombardia, M5s chiede dimissioni di Gallera: “Ci insegna che servono due infetti per contagiarlo: abbiamo portato due lettere”. Bagarre in Aula

Bagarre nell’Aula del Consiglio regionale della Lombardia, alla ripresa dei lavori dopo l’elezione coi voti di Lega e Forza Italia di Patrizia Baffi (Italia viva) come presidente della commissione di inchiesta sulla gestione dell’emergenza coronavirus. I consiglieri del h,anno esposto cartelli con cui chiedono le dimissioni dell’assessore al Welfare, Giulio Gallera, seduto ai banchi della Giunta: “Siccome Gallera ci ha insegnato che servono due infetti per contagiarne un terzo, abbiamo preparato due lettere di dimissioni per garantire la salute ai lombardi che adesso non è garantita”, ha detto il consigliere Dario Violi. “Ci vogliono due infetti per contagiarlo ma un voto per mandarlo a casa”, è la scritta su uno dei cartelli esposti dal M5s al grido di “a casa”. Mentre dai banchi della maggioranza gridavano “vergogna”, i commessi dell’Aula sono anche intervenuti per sedare un diverbio tra il consigliere leghista Marco Mariani e il collega del M5s Massimo De Rosa.

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Coronavirus, Sileri sotto scorta: “Tentativi di corruzione e minacce sulla destinazione dei fondi per l’emergenza”

Il viceministro della Salute Pierpaolo Sileri è da alcuni giorni sotto tutela a seguito di pressioni per tentativi di corruzione e minacce ricevute rispetto alla sua attività politica in particolare riguardo alla destinazione dei fondi pubblici per l’emergenza coronavirus. L’esponente M5s, secondo quanto si apprende, viene accompagnato da un agente della pubblica sicurezza.

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Open Arms, Riccardi (M5s): “Autorizzazione per Salvini? Ho votato ‘no’ secondo coscienza”. Giarrusso: “Smentisco mio passaggio alla Lega”

“Per prima cosa smentisco di essere passato alla Lega e non ho alcuna intenzione di farlo”. Così il senatore Mario Giarrusso, espulso lo scorso aprile dal Movimento 5 stelle per problemi di rendicontazione, dopo aver votato in Giunta per le immunità contro l’autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini per il caso Open Arms. “Ho espresso il mio voto in linea con quanto stabilito dagli attivisti su Rousseau”, ha aggiunto Giarrusso. “Ho espresso la mia contrarietà dopo aver letto le carte e secondo coscienza”, ha spiegato Alessandra Riccardi del M5s, “come nel caso della nave Diciotti, non è venuta meno l’azione del governo nel perseguimento delle sue politiche sui flussi migratori”.

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Virginia Raggi è una brava amministratrice. Ma ora bisogna cambiare nome

Si discute in questi giorni della possibilità di stralciare il divieto di più mandati e ricandidare, per Roma, Virginia Raggi. Spaccato il Movimento 5 Stelle, contrario il Pd. Al di là delle beghe interne, forse sarebbe il caso di ascoltare quello che pensano i cittadini romani, che pure la sindaca l’hanno votata in massa, con un plebiscito che però rischia non solo di non essere doppiato, ma di finire in una sconfitta, specie se il centro-destra candiderà un nome forte (vedi Giorgia Meloni). E nonostante Roma sia una città fondamentalmente di sinistra, come dimostrano i voti presi dai vari sindaci – Gianni Alemanno unica eccezione e non per suoi meriti.

Vivo a Roma da sempre e seguo la sindaca abbastanza attentamente, sia da giornalista che da cittadina. E il sentimento che provo in questi giorni è contrastante: perché se da un lato ho potuto vedere, anche grazie a un’efficiente pagina Facebook aggiornata più volte al giorno, l’immenso lavoro fatto dalla sua amministrazione, dall’altro se dovessi esprimere un parere sul Raggi bis direi, pur con cautela, no. E questo nonostante gli immensi meriti di questa giovane sindaca, catapultata su una delle poltrone più scomode, forse la più scomoda, d’Italia.

Quello che posso dire è che, a mio parere, Raggi è una buona amministratrice. Di più, un’amministratrice onesta, trasparente, non solo non corrotta ma apertamente schierata contro mafie di ogni tipo, che infatti l’hanno contrastata con tutti i mezzi a disposizione, roghi dolosi compresi.

Ha rifatto centinaia di strade rimaste per anni senza alcuna manutenzione, ha rimesso mano ad appalti gestiti da mano mafiosa, rendendo trasparenti gare e concorsi, ha ridato un volto pienamente democratico a Roma, contro ogni rigurgito fascista. Di tutto questo Roma aveva disperatamente bisogno, visto che la prima emergenza di questa città è senz’altro la legalità.

E tuttavia questo non basta. C’è un secondo fronte, fondamentale per la stessa sopravvivenza della città e dei suoi abitanti, sulla quale la sindaca è stata troppo debole, come d’altronde è stato il suo partito, cioè Movimento, ormai al governo da un po’. E questo fronte implica una visione politica più forte, un disegno più chiaro per la città, una visione lunga, insomma un’utopia più forte. Incentrata su due temi, ovvero ambiente e sostenibilità, quelli che avevano caratterizzato la nascita dei Cinque Stelle e che poi questi ultimi si sono persi per strada.

Ci sono piccole cose che però dicono molto: ad esempio la scarsa cura del verde della città, tanto che i romani si sono ritrovati dopo due mesi di chiusura con parchi parzialmente chiusi oppure con l’erba altissima e non falciata. Ovviamente, spesso per sbloccare qualsiasi appalto ci vuole tempo, le procedure burocratiche richiedono appunto tempo.

Ma non si ha mai avuto l’impressione che la Raggi facesse del verde la sua priorità. Così come non ha mai avuto le idee chiare su come pedonalizzare alcune aree cruciali della città: ci sono progetti mai avviati, anche perché spesso mal fatti e senza consultare i residenti, vedi quello del quartiere Monti; né ad esempio sulle regole che avrebbero dovuto essere fermissime rispetto all’invadenza dei ristoratori e al tavolino selvaggio: su questi temi il Movimento a Roma oscilla tra la vecchia impronta legalitaria e ecologista e invece una sostanziale resa alle richieste di ristoratori e di quelli che vivono sul turismo selvaggio, quello che, insieme ad altro, impedisce il decoro della città.

Per non parlare del tema, talmente grave che per i romani si è passati dalla rabbia a una sorta di rassegnazione disperata, dei rifiuti. Sono ancora ovunque, e nonostante la Raggi abbia avuto dure prese di posizioni contro Ama di fatto la responsabilità della catastrofe è anche sua. Oggi addirittura si parla di eliminare il porta a porta in molte zone della città per tornare ai cassonetti, qualcosa di inimmaginabile in qualsiasi città del mondo.

Ci sono state misure importanti, da non sottovalutare. L’amministrazione Raggi, ad esempio, è riuscita, unica, a togliere i bus turistici dal centro, liberandolo da migliaia di torpedoni che ogni giorno distruggevano le fragili strade millenarie, mettendo a rischio la vita di molti pedoni, uccisi dai pullman. Ma ad esempio sul tema della mobilità sostenibile la città è ancora indietro anni luce, come dimostrano i drammatici incidenti stradali che catapultano la città in cima alle classifiche dei decessi.

Ora si stanno facendo piste ciclabili provvisorie per la fase due del Covid, ma appunto se non ci fosse stata la pandemia quanto avremmo dovuto aspettare? Per non parlare del tema cambiamento climatico: la sindaca ha partecipato a incontri internazionali, Roma ha dichiarato l’emergenza climatica ma tutto questo solo a parole, perché sul tema praticamente nulla è stato fatto e purtroppo non si tratta di un tema secondario. Penso, ad esempio, alla qualità dell’aria, che resta gravemente inquinata.

Insomma, se dovessimo confrontarla a sindaci precedenti, non solo la gestione Alemanno, che ha fatto precipitare la città in un baratro quasi senza ritorno di clientelismo e corruzione, la Raggi ce la dovremmo tenere stretta. Ma se guardiamo ad altre emergenze drammatiche del nostro tempo, la salute e l’ambiente, con inquinamento e cambiamenti climatici in primo piano, si avverte il bisogno di un nome più forte.

Forte, attenzione, non nel senso populista. Ciò che serve è una persona, uomo o donna che sia, che, oltre ad avere maggior carisma, che non guasterebbe, mettesse la questione della sostenibilità e dell’ambiente in assoluto primo piano, con tutto ciò che ne consegue, in primo luogo una lotta senza quartiere per avere un turismo umano e contro quello che ogni giorno deturpa la città, per una migliore qualità dell’aria, per una vera mobilità sostenibile, per una battaglia contro i cambiamenti climatici.

Agli oppositori di Raggi l’onere di trovare questa figura e che non sia, appunto, una figurina “verde” utile per fare poi i propri interessi, perché Roma veramente non può permetterselo. Troppo gravi i problemi di vivibilità della città, divenuta ostile per anziani, bambini e altre categorie fragili. Insomma, noi cittadini vorremmo ringraziare Raggi per tutto ciò che ha fatto, ma andare oltre. Bene cambiare nome, allora, ma per favore non costringeteci a rimpiangere tutto quello che, ripeto, di buono ha fatto.

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sabato 23 maggio 2020

Enrico Mentana, un maestro sorridente e rigoroso che stavolta ha dato segni di insofferenza

In attesa che quello sulla Nove si rafforzi, in famiglia continuiamo a considerare il telegiornale della sera su La7 la migliore delle opportunità disponibili. E il suo conduttore Enrico Mentana un fior di giornalista del piccolo schermo, con tempi televisivi e scioltezza di lingua certamente di prima scelta.

Eppure Enrico “Mitraglia” non sempre riesce a tenere a bada umori partigiani, che vengono da altre stagioni; dal tempo della Prima Repubblica rampante, con tutti i riferimenti di cultura politica e i riflessi condizionati dell’epoca. Quando ascendeva da giovanissimo alla suprema vetrina d’allora: il Tg di Rai Uno. Un golden boy predestinato, provenendo direttamente dalla vice segreteria della Fgsi, la federazione dei giovani socialisti militanti nel partito di Bettino Craxi.

Si era nel lontano 17 febbraio 1980 quando Mentana dà un formidabile balzo di carriera già in partenza, che in un colpo solo scavalcava le canoniche tappe intermedie della professione: aveva solamente 25 anni.

Poi – mentre quella Repubblica entrava in coma – ci fu il passaggio alla corte di Silvio Berlusconi, con la fondazione e la direzione – dal 1992 al 2004 – del Tg5, per poi passare a La7 nel 2010, dove celebra quotidianamente i riti dell’informazione serale. Sempre con grande scioltezza e professionalità. Magari inframezzando con qualche breve predicozzo sulla civiltà informativa democratica; quella che il decano degli anchormen Walter Lippman definiva civic journalism. Insomma, un maestro sorridente ma anche rigoroso.

Eppure talvolta antichi riflessi condizionati balzano fuori. E quando qualcuno glielo fa notare il civic journalist sorridente ma rigoroso dà immediati segni di insofferenza, mostrando il viso dell’arme.

Un’insofferenza tipica del socialista di scuola craxiana nei confronti di chi prende le distanze dalla politica politicante e dai vincoli collusivi che facevano crescere attorno a pratiche di scambio inconfessabili relazioni sottotraccia, che si sarebbero tradotte nella configurazione del mostro sfuggente che chiamiamo “Casta” (la corporazione indifferenziata, composta da quelli che campano di politica e dall’establishment affaristico che con costoro entra sistematicamente in rapporto negoziale).

A quel tempo Bettino Craxi sfidava in Parlamento i suoi critici dichiarando “siamo tutti uguali” e la sua bestia nera era un Enrico Berlinguer che, dopo il fallimento del Compromesso Storico, brandiva lo stendardo della Questione Morale.

Oggi l’antico giovane socialista manifesta palese insofferenza per le pratiche, spesso maldestre ma non colluse, dei Cinquestelle; e per la crescente leadership fuori dal coro di Giuseppe Conte. Come spiegarsi diversamente lo svarione del 10 aprile, quando Mentana si doleva di non aver oscurato il premier, che in conferenza stampa replicava al duo Salvini e Meloni, ai loro continui improperi, chiamandoli direttamente per nome. Una reazione assolutamente incomprensibile, quella del navigato anchorman, se non la si riconduce ad antiche solidarietà da ceto politico, con relative retoriche gesuitiche, che Conte non può sentire proprie.

Qualcosa di analogo si è ripetuto giovedì scorso, nella ramanzina in pubblico impartita su La7 al parlamentare pentastellato Riccardo Ricciardi reo di aver detto, sullo scandalo ormai acclarato della sanità lombarda, una verità controcorrente rispetto alla commedia dell’arte di questa stagione politica. In cui la destra sovranista vomita insulti e le gattemorte della maggioranza praticano “il sopire e troncare” facendo finta di niente. Da responsabili.

Sicché lo scandalo non sarebbe l’irresponsabilità degli sfasciacarrozze, bensì di chi indica qualche nudità (l’amministrazione lumbard) che pure viene esposta quotidianamente. Per cui Mentana chiede, severo e sornione: “ma lei, se tornasse indietro, lo rifarebbe?”. Infastidito se l’altro conferma che sì, lo rifarebbe.

Può darsi che questo governo cada, prima di tutto per consunzione indotta dall’estraneità al politicante-medio. Stia attento Mentana a non smarrire nel frattempo l’aura preziosa di maestro accattivante di civic journalism.

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venerdì 22 maggio 2020

Ricciardi (M5s) a Mentana: “Non ho attaccato la Lombardia ma la politica lombarda. Avrei citato i risultati di Zaia se mi avessero fatto finire”

Prima l’aspra critica via Facebook, poi l’incontro chiarificatore e infine l’invito diretto nel suo telegiornale. Si può sintetizzare così la vicenda della polemica, poi risoltasi, che si è consumata a seguito di un post che il direttore del TgLa7, Enrico Mentana, ha pubblicato sulla sua pagina ufficiale di Facebook contro il deputato del M5s, Riccardo Ricciardi. Qualche ora dopo, Mentana corregge il post e pubblica una foto che lo immortala col parlamentare toscano, anticipando la sua ospitata al TgLa7.

Il vicepresidente del gruppo M5s alla Camera chiarisce: “Ho semplicemente elencato quelli che sono stati gli errori di gestione nella Regione Lombardia in un sistema sanitario che negli anni ha visto un evidente impoverimento della sanità pubblica e una palese perdita di posti letto negli ospedali pubblici. Elencare queste cose non significa fare un attacco strumentale. Se fossi riuscito a finire il mio intervento, avrei detto che, ad esempio, con Zaia in Veneto si è avuta una situazione diversa da quella in Lombardia. Il mio è stato sicuramente un attacco politico, ma non strumentale. Attaccare la politica lombarda non significa attaccare la Lombardia, perché allora tutte le volte in cui sento attacchi al governo dovrei dire che sono attacchi all’Italia. No”.

E aggiunge: “Ci sono stati degli errori che chi fa politica deve evidenziare. Penso alla delibera della Regione Lombardia sulle Rsa. Nel mio intervento ho sottolineato anche gli errori e le scuse che Conte ha espresso in una sua conferenza stampa. Ho evidenziato il gesto di chiedere scusa per degli errori che sicuramente sono stati commessi in varie Regioni e al governo. E in Lombardia bisognerà prendere coscienza del fatto che sono stati commessi degli errori“.

Il deputato M5s, infine, a Mentana che gli chiede cosa correggerebbe del suo intervento nel caso in cui tornasse indietro, risponde: “Nella concitazione del discorso, parlando dell’Ospedale Fiera a Milano, ho parlato di ’21 milioni di tasse e di soldi dei cittadini”. In realtà, si tratta solo di soldi dei cittadini, perché erano donazioni private. Ma sono sempre soldi da gestire”.

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Orlando: “Alternative al governo Conte? Renzi ha molta fantasia, non vedo altre maggioranze. Passo falso l’attacco del M5s alla Lombardia”

Renzi ha molta fantasia. In Parlamento non vedo altre maggioranze, dunque c’è solo questo governo“. Risponde così il vicesegretario del Pd, Andrea Orlando, ospite di Lilli Gruber a Otto e mezzo, su La7, alla dichiarazione del leader di Italia viva, secondo cui sarebbe possibile trovare una nuova maggioranza (e quindi un nuovo esecutivo) “in un quarto d’ora”. Orlando ha commentato anche l’intervento del deputato del M5s, Riccardo Ricciardi, che in Aula ha criticato fortemente la gestione dell’emergenza coronavirus da parte della classe politica lombarda.

Video La7

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giovedì 21 maggio 2020

Meloni a Conte: “Parole irrispettose di Ricciardi sulla Lombardia sono concordate con lei, è una strategia”. Lui: “Mai letto interventi di deputati”

“Lei è perfettamente consapevole di quanto siano sbagliate e offensive le parole pronunciate in Aula dal collega del M5s, ma sono altrettanto convinta che non si alzerà a prendere distanze, come giustamente chiesto dalla collega Gelmini, perché il M5s è il suo partito, e non lo avrebbe fatto, non avrebbe attaccato in quel modo se non lo avesse concordato anche con lei“. Così la leader di FdI, Giorgia Meloni, rivolta al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, dopo la sua informativa alla Camera. “La sua è una strategia”, è stata l’accusa di Meloni.

“Ciascun parlamentare esprime le proprie opinioni. Non è mai accaduto che a me fosse consegnato un intervento ma dire che io abbia condiviso o istigato, è una cosa che si commenta da sé“. È stata la replica all’Ansa di Conte, dopo le parole della leader di Fratelli d’Italia, secondo cui l’intervento del deputato Riccardo Ricciardi sarebbe stato condiviso col presidente del Consiglio.

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mercoledì 20 maggio 2020

Bonafede, Perilli (M5s) al centrodestra: “Proprio voi ci fate la lezione sulla mafia?”. E alla Lega: “Dateci spiegazione sui 49 milioni di euro”

L’idea di una “interferenza della mafia” nelle decisioni del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, “non si può accettare, questa è un’offesa all’intero Paese che il ministro rappresenta”. Lo ha detto in Aula il capogruppo del M5s al Senato, Gianluca Perilli, durante la discussione della mozione di sfiducia nei confronti del Guardasigilli. “Mi fa piacere si parli della trattativa ma credo sia poco accorto. Il termine trattativa mi ricorda la trattativa Stato-mafia che è avvenuta durante i governi di Lega e Forza Italia“, ha rimarcato il Perilli. Per poi rivolgersi alla Lega: “Ha il coraggio di parlare? Desse spiegazioni sui 49 milioni di euro, che i cittadini vogliono sapere. Desse spiegazioni sull’emendamento Arata”.

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Sfiducia Bonafede, al senatore Giarrusso (ex M5s) spengono il microfono. Lui se la prende con un collega: “Ma vaffanc***”

Il senatore Mario Giarrusso, recentemente espulso dal M5s per la questione rimborsi e passato nel gruppo Misto, è intervenuto a Palazzo Madama nel corso della discussione sulla mozione di sfiducia al ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, anticipando il suo voto a favore. Dopo i cinque minuti concessi per esporre il proprio punto di vista, il microfono di Giarrusso si è spento (“in modo automatico”, come ha precisato la presidente Alberti Casellati). Il senatore si è arrabbiato : “Mi avete levato la parola, ho qua il cronometro”, ha detto. Poi, indirizzato a un collega, “ma vaffanculo“.

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Bonafede, Fico a Dimartedì: “Se Italia Viva vota mozione di sfiducia, è crisi di governo. Ma non credo che accadrà”

Il governo Conte gode della fiducia in Parlamento, dove ha una maggioranza importante. Se poi qualcuno ha in mente di dare spallate al governo, non mi sembra ci stia riuscendo. Mozione di sfiducia a Bonafede? E’ presentata dalle opposizioni. Se fosse votata da una forza di maggioranza, sarebbe una questione molto ‘sui generis’. Non credo che finirà così”. Sono le parole pronunciate a “Dimartedì” (La7) dal presidente della Camera, Roberto Fico, a proposito delle due mozioni di sfiducia nei confronti del Guardasigilli Alfonso Bonafede, l’una presentata dal centrodestra e l’altra da +Europa di Emma Bonino e da Azione di Carlo Calenda.

“Se cade il ministro Bonafede – continua – si pone un grossissimo problema politico e mi sembra difficile che una maggioranza possa andare avanti, se un pezzo della stessa maggioranza vota con le opposizioni la mozione di sfiducia. Si aprirebbe una crisi di governo. E penso che o si va avanti con questa maggioranza e con questo governo o saranno elezioni. Oggi non siamo nelle condizioni di avere un’altra tipologia di maggioranza”.

E aggiunge: “Per come l’ho vista io, il ministro Bonafede ha usato il suo potere da ministro per fare le sue nomine discrezionali, quindi è assolutamente una questione di nomine e non c’è altro. Bonafede ha agito nella trasparenza. Che il pm Nino Di Matteo non sia stato nominato alla guida del dap su pressione della mafia è una supposizione che non ho capito quanto sia così dichiarata da lui, ma che non sta né in cielo né in terra. Quello che è successo è solo un qualcosa che rimane nell’ambito di una nomina e di incomprensioni fra Bonafede e Di Matteo, né più, né meno”.

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lunedì 18 maggio 2020

Roma, Raggi su La7: “Ricandidarmi a sindaco? Ho ricevuto tante richieste e sostegno ma ora penso alla fase due. Grillo? Ci sentiamo”

Ricandidarmi a sindaca? Sicuramente ho ricevuto tante richieste in questo senso e tanto sostegno, ma in questo momento sto pensando alla seconda fase della fase 2. Ora dobbiamo essere concentrati nel fare ciò che serve alle nostre città”. Così, a “Non è l’arena”, su La7, la sindaca di Roma Virginia Raggi risponde alle domande reiterate del conduttore, Massimo Giletti, su una sua eventuale ricandidatura alle prossime elezioni amministrative capitoline.

E sui rapporti col fondatore del M5s Beppe Grillo, Raggi afferma: “Ci sentiamo. In questo momento Beppe sta osservando con attenzione quello che accade nelle città e a Roma. Ed è preoccupato, come tutti noi. Perché è in silenzio? In questo momento ci vuole molta concentrazione su quelle che sono le misure concrete per la ripartenza del Paese. A modo suo, lui ci sostiene e sta sostenendo lo sforzo che ognuno di noi sta facendo”.

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mercoledì 13 maggio 2020

Regionali Liguria, Alice Salvatore lascia il M5s e si candida con il suo movimento “il Buonsenso”: “I 5 stelle fanno accozzaglie elettorali per il potere”

“Il Movimento 5 stelle è solo un brand, se dimentica i contenuti rimane vuoto”. Ad annunciarlo, nel corso di una conferenza stampa, è Alice Salvatore, fino a oggi capogruppo M5s in Regione Liguria, ma soprattutto candidata presidente spodestata dopo che la base ha dato il via libera alle trattative per formare una coalizione anti-Toti insieme al centrosinistra. Una scelta quella della Salvatore che era nell’aria da settimane: segue con diverse analogie quella dell’ex-capogruppo e candidato a sindaco per il M5s, Paolo Putti, che lasciò nel 2016 (nonostante lo volessero ricandidare a sindaco) e il caso di Marika Cassimatis, vincitrice delle ‘primarie’ per la corsa a sindaco di Genova ma poi epurata con un comunicato firmato Beppe Grillo.
Una storia che si ripete in forme diverse, e se per Alice Salvatore, nel 2017, era sacra la fedeltà alla linea e piena la fiducia alla gerarchia del movimento (ebbe a dire che lei, nei panni della candidata Cassimatis, votata dalla base e poi esclusa con un post, avrebbe “bevuto la cicuta come Socrate”) oggi cambia versione e, dice, “è più importante la coerenza con i valori che diedero vita al Movimento di Gianroberto Casaleggio“. Secondo la presidente del neonato movimento ‘Il Buonsenso’, il M5s si limiterebbe a “partecipare ad accozzaglie elettorali col solo scopo di perseguire il potere”. Nessun appoggio dai parlamentari liguri, compatti sulla linea del dialogo con il centrosinistra per tentare di sottrarre alla destra il governo della Regione. A sostenere Salvatore è invece il collega consigliere regionale Marco De Ferrari.

“Il Buonsenso”, come annunciato dall’ormai ex grillina, presenterà una lista alle imminenti elezioni e candiderà Salvatore a presidente della Regione: “Ma la nostra non si limita a essere una lista civica – specifica l’ex pupilla di Grillo – è un nuovo soggetto politico, un progetto politico di più ampio respiro aperto anche a adesioni a livello nazionale”. I punti cardine del programma del nuovo partito-movimento “sono quelli originari del Movimento 5 stelle: acqua pubblica, piccole e medie imprese, ambiente, mobilità sostenibile, acqua pubblica e scuola pubblica”. Nessuna reazione, per ora, da Sant’Ilario, dove Beppe Grillo prosegue nel suo prolungato silenzio: “Con lui c’è affetto e stima – ribadisce la Salvatore – ma non ho apprezzato il suo vaffa a tutti quelli che non volevano andare col Pd”. Il capo politico Vito Crimi in compenso ha annunciato, con un post sul Blog delle Stelle, che la vicenda è già stata segnalata ai probiviri: “La nuova compagine politica della Salvatore”, si legge, “è chiaramente incompatibile con la sua permanenza all’interno del Movimento 5 stelle”.

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Sono le Venti (Nove), nel dl Rilancio anche una norma che anticipava i soldi del 2 per mille ai partiti: inserita dal Pd è stata bloccata dal M5s

Un comma inserito nel dl Rilancio, poi tolto con il blocco del Movimento 5 stelle. È la via che il Partito democratico aveva provato ad intraprendere per anticipare ad agosto i soldi del 2 per mille ai partiti, di solito erogati alla fine dell’anno. Un modo per mettere in sicurezza le casse dei partiti con i contributi delle dichiarazioni dei redditi, pari a quasi 18 milioni di euro. L’approfondimento a Sono le Venti, il programma di Peter Gomez, in onda sul Nove alle 19,53.

SONO LE VENTI, il nuovo programma di Peter Gomez, è prodotto da Loft Produzioni per Discovery Italia e sarà disponibile anche su Dplay (sul sito www.it.dplay.com – o scarica l’app su App Store o Google Play) e su sito www.iloft.it e app di Loft. Nove è visibile al canale 9 del Digitale Terrestre, su Sky Canale 149 e Tivùsat Canale 9.

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lunedì 11 maggio 2020

Dl Rilancio, il consiglio dei ministri slitta ancora. M5s: “Testo migliorato, lavoriamo per arrivare a una soluzione positiva”

Slitta ancora quello che doveva essere il “decreto Aprile” ma è stato rinviato ben oltre i primi giorni di maggio. La riunione del preconsiglio, preparatoria del consiglio dei ministri sul decreto ribattezzato Rilancio, è iniziata dopo le 21 di lunedì ed è continuata fino a notte. Il Cdm per il varo della maxi manovra da 55 miliardi si terrà a questo punto forse oggi pomeriggio. “Abbiamo sciolto tutti i nodi politici e di assetto”, aveva detto il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri al Tg5. Ma due ore dopo fonti del Movimento 5 Stelle, che ieri ha nuovamente dato battaglia sul tema della regolarizzazione di braccianti e colf, lo hanno smentito: “Il testo ora è migliorato ma non è stato ancora raggiunto l’accordo”.

Fonti Pd dal canto loro hanno ribadito che il via libera all’accordo sui permessi di 6 mesi con paletti stringenti è arrivato, durante il vertice di domenica sera con il premier Giuseppe Conte, anche dai ministri M5s, che sarebbero stati sempre in contatto con il capo politico Vito Crimi. Nel testo, spiegano i Dem, “sono stati inseriti una serie di vincoli per accogliere le obiezioni M5s, inclusa l’esclusione di ogni sanatoria per chi sia stato condannato per reati come il caporalato: non si può continuare a discutere all’infinito”. Ma è proprio sul tema dello “scudo” per il datore di lavoro che fa istanza per la regolarizzazione di un dipendente che è arrivato il niet dei 5 Stelle.

Ad agitare il percorso del decreto, al di là dei dubbi dei partiti su singole norme (il M5s anche sul tema delle banche, Iv sul bonus turismo per le vacanze in Italia), ci sono anche le richieste degli enti locali. I sindaci delle città turistiche lanciano un grido d’allarme: si rischia il default. E i presidenti di Regione lo dicono nel corso del tavolo con Conte, Speranza e Boccia: “Nel decreto sono stanziati 1,5 miliardi, ma ne servono 5,4”.

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Coronavirus, Delrio: “Nuovo Mes convincente. Capisco prudenza degli amici M5s, ma non si può chiamare ‘baco’ qualcosa che è farfalla”

Mes? Le nuove regole che ha messo nero su bianco l’Eurogruppo sono molto convincenti, quindi credo che adesso la discussione coi 5 Stelle si possa fare più serenamente. Non si può continuare a chiamare ‘baco’ una farfalla, sono due cose diverse: possono diventare belle le cose che in partenza potevano sembrare brutte”. Sono le parole pronunciate ai microfoni di Inblu Radio dal capogruppo Pd alla Camera, Graziano Delrio, intervistato dalla giornalista Chiara Placenti.

“Noi eravamo tutti contrari al Mes con le sue condizionalità, come lo abbiamo conosciuto con la Grecia – continua – ma non è che adesso dobbiamo chiudere gli occhi. Si apre una linea nuova di credito, ed è un grande successo, con la sanità che ha un bisogno enorme di risorse: 36 miliardi di euro sono poco meno di un terzo del bilancio della sanità italiana. Non sono scherzi. Noi così possiamo fare veramente quel lavoro di investimento sulla sanità territoriale e sulla vicinanza alle persone. Quindi, abbiamo bisogno di sostegno in queste scelte nuove. Capisco chiaramente la prudenza degli amici del M5s, finché non vedranno il nero su bianco. Ma l’unanimità dell’Eurogruppo e dei capi di Stato delle nazioni europee mi sembrano due garanzie piuttosto serie”.

Circa le polemiche innescate dai parlamentari di Italia Viva, Delrio chiosa: “Le discussioni sono sempre utili quando servono a fare un passo avanti, ma diventano poco utili quando sono polemiche o tentativi di forzare le sensibilità degli altri senza un dibattito adeguato. Abbiamo visto che gli amici di Italia Viva, come quelli del M5s, hanno le loro idee. Noi abbiamo le nostre e si sta in coalizione per trovare i compromessi. Bisogna sempre ricordare che la parola ‘compromesso’ non è una brutta parola. Significa, infatti, ‘una promessa comune’. E la promessa che dobbiamo fare è quella di servire al meglio gli italiani e di non perderci in polemiche tra di noi”.

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Regolarizzazione, intesa nella maggioranza: “Permesso di 6 mesi agli stranieri che lavoravano in agricoltura o come colf”

Dopo giorni di braccio di ferro nella maggioranza sulla questione della regolarizzazione degli stranieri impiegati in agricoltura o come badanti e colf, nella notte tra domenica e lunedì il governo ha raggiunto un’intesa. I migranti che lavorano nei campi o nelle nostre case potranno godere di un permesso di sei mesi, ma condizionato a una serie di vincoli stringenti. Occorreranno infatti l’istanza del lavoratore ma anche quella del datore di lavoro, che dovrà dunque essere disponibile ad assumersi l’onere di regolarizzare il dipendente ma in cambio otterrebbe uno scudo penale e amministrativo per aver denunciato le irregolarità pregresse. Il lavoratore otterrà un permesso temporaneo convertibile in permesso di lavoro alla sottoscrizione del contratto. Ma dovrà provare di aver svolto in passato attività lavorativa nel settore agricolo o domestico. A controllare sarà l’Ispettorato del lavoro. Secondo le stime del ministero dell’Interno, non ancora ufficiali, i regolarizzati potrebbero essere circa 500mila.

Nei giorni scorsi la ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova aveva minacciato le dimissioni se non fosse passata la regolarizzazione chiesta a gran voce dalle imprese del settore. Il capo politico del Movimento 5 Stelle, Vito Crimi, aveva però ribadito la contrarietà dei vertici M5s a un intervento su larga scala: “Noi diciamo no alla regolarizzazione degli irregolari. Se il nostro obiettivo è sostenere l’agricoltura allora dobbiamo lavorare a misure per garantire il mercato, ma la soluzione non è la regolarizzazione, come se in agricoltura lavorassero solo migranti irregolari”. Di lì il confronto tra il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e una delegazione di esponenti di Italia Viva a Palazzo Chigi il 7 maggio. L’accordo è arrivato solo nel vertice notturno tra il premier Conte e i capi delegazione dei partiti di maggioranza.

A metà giornata, dopo la notizia dell’intesa, il Movimento 5 Stelle ha diffuso una nota che spiega: “Sul tema dei lavoratori stagionali, rimaniamo fortemente contrari rispetto a qualunque intervento che si configuri come una regolarizzazione indiscriminata. Non riteniamo questa una soluzione che possa rispondere alle reali esigenze nostre aziende del settore agroalimentare. Confermiamo il nostro principio di partenza: il permesso di soggiorno deve essere legato ad un contratto di lavoro, non viceversa”. “Resta poi confermato il nostro fermo ‘no’ rispetto a qualunque ipotesi di sanatoria sui reati commessi. Non possiamo immaginare che possa farla franca chi si è macchiato di caporalato, di sfruttamento delle persone. Questo significherebbe, tra l’altro, anche prendersi gioco di tutte quelle aziende oneste che invece hanno sempre rispettato le leggi e rispettato i diritti dei lavoratori. Se vogliamo dare un segnale forte e chiaro, dovremmo inasprire le pene e aumentare i controlli”.

Raccolta a rischio. Nel lavoro domestico emergenza licenziamenti – Le associazioni delle imprese agricole stimano una carenza di 200mila persone per la raccolta. E sui circa 300mila stranieri impiegati nelle campagne italiane, l’Osservatorio Placido Rizzotto stima che gli irregolari siano il 35%. Mentre nei ghetti di diverse Regioni vivono tra 160mila e 180mila persone senza alcuna tutela sanitaria. Per quanto riguarda il lavoro domestico, Assindatcolf conta 860mila persone in regola e ben 1,2 milioni senza contratto. La categoria sta scontando pesantemente l’emergenza coronavirus: ad aprile le assunzioni sono crollate del 50% ed i licenziamenti cresciuti del 30% rispetto all’anno precedente.

L’appello di un gruppo di parlamentari: “No a veti a una proposta di civiltà” – Questa mattina intanto un gruppo di deputati, senatori, europarlamentari e consiglieri regionali di tutti i partiti di maggioranza – Pd, M5S, Leu, Iv – ha lanciato un appello in cui si legge che “le misure attualmente previste per la regolarizzazione dei cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale sono del tutto inadeguate e condizionate da una propaganda inaccettabile” e si chiede a governo e maggioranza “un atto di coraggio e di reale discontinuità“. “Non possiamo pensare che una parte di uno dei suoi partiti – affermano tra gli altri gli europarlamentari Pietro Bartolo e Pierfrancesco Majorino, i deputati Laura Boldrini, Lorenzo Fioramonti, Nicola Fratoianni, Riccardo Magi, Matteo Orfini, Erasmo Palazzotto, Luca Pastorino e Fausto Raciti e i senatori Gregorio De Falco, Loredana De Petris, Davide Faraone, Elena Fattori, Paola Nugnes e Sandro Ruotolo – “metta un veto incomprensibile su una proposta di civiltà”. Regolarizzare i cittadini stranieri presenti sul nostro territorio “è una scelta di buonsenso politico, le frontiere dei paesi di origine sono chiuse a causa della Pandemia e quindi non ci sono i presupposti per nessuna forma di rimpatrio. Tenere persone sul territorio nazionale in condizione di illegalità significa esporle al pericolo di marginalizzazione e di sfruttamento da parte della criminalità organizzata, tutte cose che fanno comodo a chi lucra il consenso sulla paura e sulla xenofobia”. La richiesta quindi è di estendere la misura a tutti i cittadini stranieri sul territorio attraverso un permesso di soggiorno valido per tutto il 2020 e comunque fino alla fine dell’emergenza.

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mercoledì 6 maggio 2020

M5s, Crimi: “Non bisogna stare né con Di Matteo, né con Bonafede, così facciamo brindare i boss. Tra di loro incomprensione”

Non può esserci un altro governo oltre quello che c’è adesso. Non è possibile pensare a ulteriori maggioranze o a nuovi governi, che siano tecnici o di unità nazionale. Oggi c’è già un governo di unità nazionale che ha nella figura di Giuseppe Conte una personalità di garanzia“. Lo afferma ai microfoni di “24 Mattino”, su Radio24, il capo politico del M5s.

Crimi si pronuncia sul caso Bonafede-Di Matteo e premette: “Giusto per chiarire: le persone che sono state scarcerate sono state scarcerate su decisione dei magistrati di sorveglianza, perché le decisioni vengono prese dai giudici. E quella legge che hanno applicato è ben precedente a questo governo e quindi al ministro Bonafede. Oggi il ministro Bonafede ha fatto un decreto legge per impedire che ciò avvenga di nuovo, in modo che ci siano dei percorsi molto più rigidi di pareri da avere e un magistrato non decida autonomamente, in periferia, senza avere pareri della Direzione Nazionale Antimafia. E so che sta lavorando anche a una misura per riportare quelle persone in carcere, venute meno le condizioni dell’emergenza”.

E chiosa: “Non bisogna stare né con Di Matteo, né con Bonafede, così facciamo brindare solo i boss. Io credo che lì ci sia stata una incomprensione, lo stesso Di Matteo ha ammesso che, secondo lui, non ci sono i presupposti perché Bonafede si sia fatto influenzare dai boss, anche perché non avrebbe neanche chiamato Di Matteo. Queste cose le sapeva già da prima. Anzi, quando lo ha chiamato, lo ha fatto nella consapevolezza che stava facendo qualcosa che poteva mettere in difficoltà i boss di mafia. Lo ha fatto volontariamente. E’ impensabile che uno proponga a Di Matteo un ruolo di primo piano, qualunque esso sia, nel ministero e che questa cosa faccia felici i boss”.

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