di Paolo Di Falco
In un’Italia in cui basta una mail o un messaggio su Whatsapp per essere licenziati, in un’Italia in cui troppe volte i grandi sindacati di un tempo abdicano alla difesa dei lavoratori limitandosi a far la voce grossa dinnanzi alle telecamere per poi trasformarsi in agnelli mansueti durante le trattative con le aziende e il governo, non ci resta che stare a guardare in doveroso silenzio i tanti cortei dei troppi lavoratori lasciati soli dalle istituzioni e dalla politica. Una politica che ha smarrito da un pezzo la sua bussola e che cerca, giorno dopo giorno, di tirare a campare e continuare ad andare avanti.
Quella stessa politica fatta di proclami e battaglie che poi sembrano naufragare davanti alla figura del premier Draghi, a cui spetta l’ultima parola su qualsiasi decisione. Una politica che ha smarrito il suo orizzonte, il suo fine e che al giorno d’oggi insegue i futili hashtag del momento riducendo i suoi programmi alle poche righe di un tweet. Programmi inadeguati che si muovono tra assistenzialismo, patriottismo e il nulla più totale, costituito dalle molteplici proposte avanzate da quel poco che resta della sinistra italiana confusa dalle innumerevoli scissioni subite.
Conseguenza diretta di questo clima politico non è solamente la mancata compattezza sulle battaglie di civiltà per il nostro Paese, come il ddl Zan o l’innominato ius soli, trasformate in bandiere identitarie dalla destra secondo una logica a dir poco novecentista; ma anche la mancanza di un’alternativa al sistema politico attuale. Inutile girarci intorno, ma durante questi anni ogni tipo di alternativa è andata a naufragare o per le smanie protagonistiche dei leader, come accaduto per quel Pd che raggiunse il 40% alle Europee del 2014, o per il rinnegamento dei valori e delle battaglie originali, come nel caso del Movimento 5 Stelle attuale che ha imparato virtuosamente a scendere a compromessi accantonando la propria identità. Identità che, per inciso, adesso appare incerta e contesa tra un Elevato non disposto a ritirarsi e un ex Premier che sogna di trasformare il Movimento originale in un Partito, nella casta contro cui l’originario movimento si scagliava.
A pagare il conto più salato sono però gli elettori: sfiduciati da un lato perché le loro voci rimangono inascoltate e le idee per cui hanno votato vengono via via rottamate, dall’altro lato delusi da coloro che si ergevano ad “alternativa del sistema” e di conseguenza diretti verso quel patriottismo vagheggiato dalla destra. Una destra che, per inciso, si ferma lì e non sa andare oltre: non a caso, nel momento in cui terminano gli argomenti, la direzione è sempre quella di ricorrere all’eterno clima della perpetua campagna elettorale. Così ricominciano le giornaliere minacce di invasioni, ricomincia la narrazione dei porti chiusi e “dei ladri del lavoro che appartiene agli italiani brava gente”.
A fare da spartiacque tra queste due “visioni” politiche troviamo qualche figura giovane ed energica che però viene relegata ai margini del dibattito politico e dietro le file dei vari partiti. Figure che troppo spesso non riescono ad emergere e che si vanno a perdere con il tempo.
Di fronte a questo scenario non stupiamoci se, al momento, tutte le varie decisioni politiche sembrano ruotare esclusivamente intorno alla figura dell’ex governatore della Bce e non sembrano esserci astri in grado di sostituirlo. Non stupiamoci se la politica si rifiuta di prendere le decisioni più importanti, se si rifiuta di risolvere le crisi in cui da oltre un decennio la nostra Italia si trova impantanata, dalle mancate riforme ai mancati diritti. Non stupiamoci se la narrazione nazionalpopulista, che ripete agli italiani brava gente quello che vogliono sentirsi dire, continua a prendere piede e, dall’altro lato, la sfiducia delle nuove generazioni continua a crescere.
Non stupitevi quando noi ragazzi, figli di una politica che non pensa assolutamente a noi, cerchiamo vanamente di scendere in piazza con la speranza che qualcosa cambi in questo Paese. Continuate a non stupirvi quando, rassegnati, scegliamo di lasciare questo Paese che ci forma ma che non ci offre un lavoro con uno stipendio adeguato o che ci relega in fondo alle graduatorie dietro agli incompetenti. Non stupitevi se forse un giorno riusciremo a cambiare quest’Italia partendo dai bisogni effettivi del Paese reale, superando il patriottismo e l’assistenzialismo.
L'articolo La politica tira a campare. E a farne le spese sono sempre i soliti noti proviene da Il Fatto Quotidiano.
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